Cefalee o mal di testa

Cefalee_01E’ un dolore di multifattoriale e di varia entità che colpisce la regione della testa in tutte le sue componenti, muscoli, tendini, membrane intracraniche, tessuto fasciale di congiunzione, organi, strutture vascolari, articolazioni, ad eccezione del tessuto cerebrale in quanto tale perché privo di nocicettori, ovvero di cellule che captano e innescano la sensazione del dolore.

Il mal di testa affligge la quasi totalità della popolazione per almeno una volta l’anno, con rapporto variabile tra uomo e donna a seconda del tipo di cefalea che si manifesta.

Cefalee_02Gli studi per capire questa patologia si perdono nel tempo, ma i primi tentativi di classificazione più conformi a noi si rifanno all seconda metà del 1600, ed è anche per questo che oggi non abbiamo una classificazione unica;

la più diffusa e quella accettata dall’OMS (organizzazione mondiale della sanità) è l’ICHD (international classification of headache disorders).

 

 

Anche di questa classificazione, nel tempo, ci sono state varie revisioni ed aggiornamenti per giungere alla attuale suddivisione in 3 macro gruppi:

  • cefalee primarie
  • cefalee secondarie
  • altri

Essendo l’inquadramento molto complesso e con varie sottoclassificazioni vi rimando all’indirizzo

http://www.ihs-klassifikation.de/it/02_klassifikation/

dove sarà possibile entrare nelle singole elencazioni ed analizzarle nel dettaglio.

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Le cefalee primarie non presentano una causa organica o strutturale, apparente e ben definita; potremmo dire che non sia ben chiaro il meccanismo di insorgenza e di manifestazione; ci sono alcune teorie su cui vari studi sono stati portati avanti dimostrando delle relazioni intreressanti, come il ruolo attivo della serotonina, ma proprio per la nebulosità eziologica (la causa della malattia) questa classificazione viene definita primaria.

Le cefalee secondarie sono legate ad eventi di varia natura e quindi con una motivazione concreta che spazia su molti fronti:

  • traumiCefalee_04
  • disfunzioni dell’articolazioni temporo-mandibolare e cervicali
  • modificazioni posturali
  • aumento della pressione sanguigna
  • aumento della pressione intracranica del liquido cerebro-spinale
  • aumento della pressione intraoculare
  • alterazione dell’accomodamento visivo e della vista in generale
  • nevralgie dei nervi cranici
  • mastoiditi
  • alterazioni dell’orecchio
  • emorragie cerebrali
  • ischemie cerebrali
  • infezioni batteriche o virali, intracraniche o sistemiche
  • patologie vascolari arteriose o venoseCefalee_05
  • infiammazioni locali e perilocali mono o multi tessutali
  • alterazioni ormonali
  • attività premestruale
  • abuso farmacologico
  • intossicazioni di varia natura e avvelenamento
  • patologie psichiatriche
  • attività fisica
  • colpo di calore
  • neoplasie.

Come inizialmente accennato il dolore associato alla testa è causato dall’attivazione dei nocicettori che sono presenti ovunque tranne nella massa cerebrale, pertanto possono essere attivati per una cattiva funzione, per una patologia inerente o per un evento traumatico.

Cefalee_06Con tale considerazione viene facile applicare un ragionamento causa-effetto-risoluzione sulle cefalee di origine secondaria e meno per le cefalee di tipo primario.

Nelle cefalee di tipo 1 (primarie) si cerca un riscontro di cattivo funzionamento, un’alterazione di tipo congestizio, di ipossia che disturbi l’equilibrio dei tessuti, ma che non sfoghi nel patologico.

Una teoria oggetto di discussione riguarda anche la predisposizione ad una ipereccitabilità dolorifica della corteccia cerebrale, il tutto spesso ritrovato anche come condizione di familiarità.

Cefalee_07Per approcciare una patologia cosi diffusa e complessa, diventa fondamentale fare una buona anamnesi (raccolta di dati clinici fisiologici e patologici sia personali che familiari, a scopo diagnostico), con la quale stabilire una diagnosi il più possibile precisa ed associare la cura migliore per avere una rapida e duratura riduzione delle manifestazioni e dei sintomi.

Come ormai è chiaro, le cefalee hanno varie sfaccettature per tanto è consigliabile, ove le manifestazioni siano frequenti e invalidanti, tenere un diario sul quale appuntare il tipo di dolore, la zona dove si manifesta, i sintomi associati e i fattori aggravanti, per facilitare il compito diagnostico e terapeutico di chi vi tiene in cura.

Cefalee_08Nelle cefalee primarie bisogna trovare il giusto equilibrio tra:

  • l’aiuto farmacologico, per bloccare l’evoluzione del mal di testa e non renderlo invalidante nelle attività di vita quotidiane
  • la terapia manuale che possa migliorare e tenere in equilibrio le funzioni che abbracciano il campo osteoarticolare, muscolare e legamentoso delle strutture che ritroviamo direttamente nella testa e in quelle che con esse convivono direttamente e indirettamente
  • il drenaggio dei liquidi inerenti, che possono influire negativamente sullo stato biologico e tensivo della zona cranica
  • la diminuzione degli stimoli dolorifici e la riduzione della sensibilità all’attivazione dei nocicettori

Cefalee_09Nei casi di cefalee secondarie invece sono spesso prescritti esami appropriati per confermare la causa scatenante, che possa influire sulla comparsa del mal di testa.

Le indagini utilizzate variano dall’emocromo a TC, RM, RX, ecografie e quant’altro sia di supporto all’ipotesi diagnostica dello specialista a cui vi affiderete.

Una volta accertata la causa che scatena la sintomatologia, sarà diretta la cura da seguire e sarà possibile stabilire la prognosi sull’andamento e sull’evoluzione della cefalea.

E’ proprio il caso di dire: MENS SANA IN CORPORE SANO

 

Cellule del pancreas riprogrammate contro il diabete

Non è mai troppo tardi per cambiare vita e imparare un nuovo mestiere, anche per le cellule del pancreas.

Sono le cellule che normalmente non producono insulina, infatti, possono essere riprogrammate per farlo, in maniera da rimpiazzare le cellule colpite dal diabete.

Lo dimostra l’esperimento pubblicato sulla rivista Nature dai ricercatori dell’Università svizzera di Ginevra: in una prima assoluta, sono riusciti a convertire cellule pancreatiche umane in ‘fabbriche’ di insulina che, trapiantate nei topi, hanno tenuto a bada il diabete per sei mesi.

“Le cellule umane sono state molto efficienti, i topi non hanno più mostrato i segni della malattia”, afferma il coordinatore dello studio, Pedro Herrera.

Il suo gruppo ha ottenuto questo risultato usando cellule pancreatiche umane di tipo alfa e gamma (che normalmente non producono insulina come fanno invece le cellule di tipo beta): prelevate da donatori sani e diabetici, le cellule sono state riprogrammate ‘accendendo’ due geni chiave (Pdx1 e MafA) per la secrezione di insulina.

In seguito sono state raggruppate (formando strutture simili alle isole di Langerhans in cui si sviluppano le cellule beta) e poi sono state impiantate in topi diabetici.

“Come previsto, quando le cellule umane sono state rimosse, i topi sono tornati a essere diabetici”, spiega Herrera.

“Abbiamo ottenuto – aggiunge – lo stesso risultato usando sia cellule da donatori diabetici che da sani e questo dimostra che la loro plasticità non è intaccata dalla malattia.

Inoltre questo funziona nel lungo periodo: sei mesi dopo il trapianto, le cellule modificate e aggregate in isole hanno continuato a secernere insulina umana in risposta ad alti livelli di glucosio”.

“E’ un risultato molto importante che dimostra la potenziale plasticità di cellule pancreatiche umane, non-beta – commenta Livio Luzi, docente di endocrinologia all’Università Statale di Milano

Occorre però molta cautela nel considerare la possibilità che tali risultati siano traslabili all’uomo nel breve-medio termine”.

“Si tratta di un filone di ricerca entusiasmante, attivo da alcuni anni, e che con questa ricerca compie un passo molto importante in vista di un suo potenziale uso nei pazienti diabetici”, commenta il presidente della Società italiana di diabetologia (Sid) Francesco Purrello.

In questi soggetti, sottolinea, “spesso non solo sono carenti le beta cellule, ma aumenta il numero di alfa cellule, il cui prodotto, l’ormone glucagone, esercita un effetto opposto: aumenta la glicemia.

Avere la possibilità di riprogrammare una corretta massa beta e alfa cellulare, è certamente una prospettiva di grande interesse.

Fonte: ANSA

Scoliosi

La scoliosi è un’alterazione della colonna vertebrale che si manifesta su vari piani dello spazio, stabilendo la sua gravità proprio in rapporto ai numeri dei piani impegnati e all’angolazione sviluppata.

La visione frontale è quella che primariamente viene coinvolta dando uno spostamento, verso destra o sinistra della curva vertebrale primaria, rispetto ad un ipotetico filo a piombo che si proietta dalla base del cranio fino a terra, con l’osso sacro come punto intermedio.

Oltre al piano frontale anche quello orizzontale e in alcuni casi il sagittale, vengono a modificarsi con l’aumento della patologia.

Abbiamo tre grosse distinzioni di causa:

  • atteggiamenti scoliotici
  • le scoliosi idiopatiche (ovvero senza motivo apparente)
  • le scoliosi secondarie

Nell’esame bisogna accertarsi se sia una deviazione patologica vera oppure solamente un atteggiamento, se sia idiopatica, oppure secondaria a delle condizioni malformative o patologiche pre esistenti, quali siano le caratteristiche delle malformazioni e che potenziale evolutivo abbiano.

L’atteggiamento scoliotico si differenzia dalla scoliosi vera per la presenza della deviazione di una porzione vertebrale solo sul piano frontale, senza la formazione di gibbi, mentre la scoliosi, alla flessione anteriore, denota un rilievo monolaterale;

le due differenti situazioni prevedono un’attenzione ed una cura ben diversa ed un piano terapeutico adeguato.

 

Le scoliosi vengono denominate in base alla curva primaria vertebrale che da il via alla patologia.

Hanno tutte una loro evoluzione, maggiormente pericolosa nell’età dello sviluppo e quindi della crescita ossea, è però altrettanto vero che il loro cambiamento può continuare anche nell’età adulta quando lo stato di salute generale crea situazioni afisiologiche che diventano condizioni di causa secondaria, alimentando la scoliosi stessa.

Altra condizione di evoluzione è il mancato compenso nel contesto posturale, quindi va cercato, oltre alla miglior correzione possibile, il mantenimento di un ottimale equilibrio posturale per evitare che la scoliosi possa irrigidirsi nel tempo, spostando le curve adattative su altri segmenti.

La gravità della scoliosi diventa maggiore quanto più i suoi gradi angolari salgono di valore; per valori alti la condizione ortopedica si sposta anche ad un contesto viscerale, dove una curva eccessivamente accentuata può generare dei disturbi di funzionamento a quegli organi che vengano compressi dalla deviazione vertebrale.

L’individuare un atteggiamento scoliotico o una scoliosi in fase iniziale, diventa fondamentale per attuare un piano terapeutico efficace ed ottenere il massimo recupero possibile.