Dorsalgia

Dorsalgia-01La dorsalgia è un dolore nella zona centrale della colonna vertebrale, ovvero del segmento che va dai trapezi medi fino alla fine della gabbia toracica.

Viene comunemente distinta come il dolore della zona interscapolare, perché di tutto il segmento dorsale, è quello maggiormente posto sotto stress, ma sarebbe riduttivo associarlo solamente a quel tratto.

Il segmento dorsale o toracico, è una porzione della colonna vertebrale, che unisce la zona cervicale e quella lombare.

È composta da 12 vertebre, inframezzate dai dischi intervertebrali e alle quali si agganciano le 12 paia di costole, creando insieme allo sterno, la gabbia toracica.

Dorsalgia-02La gabbia toracica ha rapporti con lo stretto toracico superiore, con il muscolo diaframma, con il cuore, con i polmoni, con l’esofago, con l’aorta toracica, con una porzione del fegato e dello stomaco, con gli angoli colici, con la milza e vede affacciarsi i poli superiori dei reni e le ghiandole surrenali.

Non va dimenticato che le articolazioni costo-vertebrali anteriori hanno una rapporto diretto con la catena gangliare neurologica autonoma ortosimpatica, mentre il canale vertebrale contiene il midollo con i nuclei inerenti.

Pertanto possiamo dire che il tratto vertebrale di cui parliamo oggi ha un’enorme rapporto con la vita neurologica autonoma delle relazioni vascolari, respiratorie, viscerali, muscolari.

La postura della persona vede il segmento toracico come un punto di equilibrio e di coordinamento delle lordosi cervicali e lombari.

La zona dorsale ha il compito di sostenere i movimenti dei segmenti a monte e a valle, distribuendo i carichi di linee di forze nei 3 piani dello spazio, ovvero in flessione ed estensione, in rotazione ed in inclinazione laterale.

Ciò sta a significare che il dorso deve essere sufficientemente mobile, ma allo stesso tempo garantire una stabilità di sostegno alla gabbia toracica, agli organi in esso contenuti e alle lordosi cervicali e lombari.

Queste considerazioni sono valide sia nella posizione eretta e sia nel posture da seduto.

Le cause

Alla domanda su quali fattori possano manifestare il dolore della zona dorsale, vien da se capire che le cause possono essere tante e inquadratili su molteplici aspetti.

Cerchiamo di capirli insieme:

  • artrosi delle faccette articolari
  • discopatia degenerativa
  • ernia discale
  • chiusura dei forami di coniugazione
  • ernia intraspongiosa
  • compressione vertebrale
  • ipercifosi
  • scoliosi
  • disequilibrio respiratorio diaframmatico e dei muscoli accessori respiratori intercostali
  • osteoporosi con esiti lesionali vertebrali
  • fratture da compressione
  • nevrite segmentaria
  • innervazione riflessa viscerale

Dorsalgia-03Come notiamo le cause che innescano il dolore dorsale sono svariate e per semplificarle  le possiamo racchiudere in un capitolo osseo, un capitolo discale, un capitolo neurologico, un capitolo posturale, un capitolo respiratorio e uno viscerale.

I sintomi

I sintomi della dorsalgia si manifestano nella zona di mezzo della colonna vertebrale, ovvero dalle spalle fino alla fine del costato, generalmente si concentrano nella zona tra le scapole e possono essere centrali oppure decentrati nella parte destra o sinistra, con un dolore puntiforme o irradiato.

Quando il sintomo è scaturito da un problema di postura, generalmente la posizione di anteriorizzazione acuisce il dolore, mentre l’estensione dorsale da una sensazione  paragonabile al bruciore che genera un sollievo nell’immediatezza, per poi trasformarsi in una riduzione della forza nel mantenere le spalle aperte fino a dare una percezione di contrattura muscolare e di dolore latente.

Dorsalgia-04Spesso si può associare un’ acutizzazione durante un atto inspiratorio profondo se il problema è puramente a carico della zona vertebrale, oppure ad un atto inspiratorio minimo se il problema è causato dall’aggancio della costola rispetto alla vertebra inerente.

La sintomatologia nocicettiva si può acuire da fermo, durante il movimento, o può essere presente in entrambi i casi.

Se il dolore è causato da un collegamento viscerale (fegato, stomaco, milza, pancreas, polmone, cuore, esofago, angolo colico), si manifesta un malessere generale di organo a cui si associa un dolore di riferimento, su precise mappe dermatomeriche della zona dorsale, quasi sempre decentrate, come un cono d’ombra del viscere di rappresentanza.

Nel caso di una dorsalgia di provenienza neurovegetativa, la zona di interesse midollare vertebrale viene attivata anche da movimenti o compressioni, con origine lontano dalla zona del dolore dorsale.

La diagnosi

Nella diagnosi è importante fare un’ analisi postulare, per accertarsi se il carico vertebrale sia corretto, o esagerato nel caso sia presente un’ ipercifosi o una scoliosi rigida e strutturata.

L’esame clinico permette di valutare la mobilità e l’esacerbazione del dolore durante la richiesta di movimento attivo e passivo nei 3 piani dello spazio.

Dorsalgia-05Fondamentale è il supporto di indagini diagnostiche come sostegno alla diagnosi:

  • RX colonna nelle proiezioni sagittali e frontali che possono essere richieste sia in carico che in fuori carico
  • RM dorsale per valutare lo stato anatomico delle strutture discali e radicolari del segmento e quindi indagare la presenza di un’ eventuale ernia discale e la compromissione delle radici nervose
  • TC dorsale per valutare la presenza di lesioni della struttura vertebrale o per studiare la grandezza del canale midollare e la conformazione delle faccette articolari.
  • MOC per apprezzare lo stato di salute dell’osso, rispetto alla massa cellulare che lo compone e l’eventuale rischio di frattura nel caso sia presente l’osteoporosi.Dorsalgia-06
  • RX MORFOLOGICA per analizzare il rapporto volumetrico vertebrale rispetto all’intero segmento nella percentuale destinata alla singola vertebra.

Il trattamento

Il trattamento vede la possibilità di agire su più fronti.

A livello farmacologico saranno usati antinfiammatori, ai quali si possono associare dei miorilassanti, in maniera da ridurre il tono muscolare, limitare le contratture e lo stato di tensione locale.

Gli analgesici possono essere molto utili per ridurre il circolo del dolore e le sue conseguenze sul movimento, sulla postura, sulla forza e sulla resistenza.

Sarà importante affrontare una cura farmacologica e delle indicazioni di gestione, nel caso sia presente un quadro osteoporotico.

Dorsalgia-07 La fisioterapia e l’osteopatia sono di fondamentale importanza per ristabilire i giusti assetti vertebrali sia a livello locale, sia nell’inquadramento generale della postura , combattendo eventualmente la presenza di ipercifosi, cosi come la presenza di un dorso piatto, contrastando una scoliosi, la quale nel caso non fosse più corregibile, bisognerà almeno evitare che si irrigidisca.

Dorsalgia-08Di grandissima utilità sarà riequilibrare il meccanismo respiratorio, migliorando le sinergie tra il diaframma, i muscoli accessori della respirazione, l’elasticità della gabbia toracica e dell’addome.

E’ importante analizzare e correggere le malposizioni locali vertebrali e il loro cattivo funzionamento, rilanciando il movimento e migliorandone l’ articolarità.

Sarà necessario decomprimere la zona dorsale, ove richiesto, per migliorare lo scorrimento e il contenimento stesso delle strutture neurologiche, sia midollari che radicolari.

Dorsalgia-09Nel caso di un coinvolgimento viscerale, ove fossimo di fronte ad una riduzione della sua mobilità o di aderenze, sarà possibile utilizzare delle manovre manuali, tali da migliore il movimento sia passivo che autonomo.

Dorsalgia-10Non è da sottovalutare la possibilità di adoperare un busto di supporto, variandone l’utilizzo sia per numero di ore da indossare nella giornata, sia per la rigidità di sostegno e di scarico che si vuole conferire alla colonna vertebrale.

La chirurgia alle volte si rende necessaria, nel momento in cui ci siano patologie anatomiche non più gestibili e pericolose, a carico del canale midollare, dei forami di coniugazione e del disco intervertebrale.

Nel caso la colonna ceda sotto il suo stesso peso, impossibilitata a mantenere una postura accettatile, prendendo degli angoli di curva eccessivamente esagerati e quindi patologici a livello locale e globale, si potrà pensare di ricorrere ad una stabilizzazione vertebrale con staffe e viti, bloccate sulla colonna dei corpi vertebrali stessi.

Nella prevenzione delle patologie a carico del tratto dorsale, è fondamentale porre attenzione all’assetto vertebrale della postura, è importante evitare che ci sia una riduzione di mobilità e di funzione, cosi  com’è importante mantenere un tono muscolare capace di sostenere e di guidare la colonna vertebrale, pertanto fare un’attività fisica mirata e costante sarebbe di buon auspicio.

Nell’adoperarsi con i lavori da sforzo è utile saper gestire le attività mi maniera da alternare fatiche massime con lavori di minor impegno fisico, in maniera da evitare sovraccarichi e sforzi prolungati.

Anche l’alimentazione e le attività all’aria aperta possono esser un tassello della prevenzione, soprattutto in ottica osteoporosi e fragilità ossea.

Abbiamo analizzato gli aspetti più comuni della dorsalgia e come sempre, il saperne di più e acquistarne coscienza, ci permette di essere più vicini alla buona salute.

Spondilodiscite

Con il termine di spondilodiscite si definisce una patologia a carico vertebrale (spondilite) e discale (discite), inerente alla degenerazione patologica dei loro tessuti biologici, causata da un’ infezione da agente esterno.

Il paziente vede un coinvolgimento diverso se è nella giovane età compresa tra i 10 e i 20 anni rispetto ad un adulto oltre i 50 anni.

La differenza sostanziale sta che mentre nella fascia di età più giovane, i dischi intervertebrali sono ancora vascolarizzati, caratteristica che viene definitivamente a mancare attorno ai 20 anni.

Le infezioni di tipo discale e quindi le disciti, sono superiori alle spondiliti, proprio perché la vascolarizzazione del disco intervertebrale può veicolare l’agente patogeno, mentre nell’età adulta l’infezione avviene soprattutto per via ossea, dove invece la vascolarizzazione è permanente e per tanto le spondiliti saranno nettamente superiori alle disciti.

Spondilodiscite_02Il risultato è spesso similare perché il danno si estenderà per contiguità a entrambe le strutture, ma viene spontaneo capire che se si è bravi a fare una diagnosi precoce, la mirabilità della cura e la prognosi possono prendere strade ed aspetti diversi.

In entrambi i casi l’infezione porta ad un danno del tessuto biologico che subirà un erosione da agente patogeno, tale da distruggerne la struttura e a seconda di quanto il processo lesivo sia andato avanti e con quale grado di aggressività, si potrà riscontrare un cedimento anatomico che coinvolgerà anche le zone attigue.

Ci sono dei fattori di predisposizione alla patologia che possono essere indicati su un’ampia scala:

  • abuso di cortisone
  • insufficienza renale
  • insufficienza epatica
  • infezioni delle vie urinarie
  • infezioni cardiache
  • ipertensione arteriosa
  • diabete
  • interventi chirurgici vertebrali
  • malattie reumatiche
  • uso di sostanze stupefacenti che causino immunodeficienza.

La spondilodiscite può colpire qualunque porzione vertebrale, dalla zona cervicale a quella lombosacrale, ma statisticamente, circa il 65%, la zona maggiormente interessata è a carico del segmento lombare.

Spondilodiscite_03

Ma quale parte della zona vertebrale può essere colpita?

Come prima accennato, generalmente le strutture che vengono attaccate sono il disco intervertebrale (discite) e la parte ossea della vertebra (spondilite), ma essendo un processo infettivo può succedere che l’attacco venga esteso anche alle strutture contigue quali: il midollo spinale, le radici nervose, le meningi, le capsule articolari, la muscolatura di stretto rapporto.

I sintomi legati alla spondilodiscite sono molti, si presentano in base al tipo di agente patogeno che ha innescato la patologia e alle strutture danneggiate nell’attacco.

Il tutto si manifesterà con un’ intensità  sintomatologica che varia da soggetto a soggetto.

I segni e i sintomi più diffusa sono:

  • dolore
  • febbre
  • stanchezza
  • perdita di peso
  • contratture muscolari di tipo antalgiche
  • rigidità nei movimenti
  • riduzione della forza muscolare
  • riduzione della sensibilità
  • disfunzioni della mobilità viscerale e della continenza degli sfinteri (urina e feci).

Spondilodiscite 05Mentre i disturbi legati alla muscolatura e alla dolorabilità sono di facile comprensione, il resto dei sintomi elencati sono dati dal danno batterico, anatomico o compressivo per cedimento strutturale, che il segmento vertebrale può relazionare alle strutture nobili neurologiche contigue.

Gli agenti patogeni che possono generare una spondilodiscite sono molti e variano in percentuale di incidenza e possibilità di danno.

I tessuti vertebrali possono essere infettati per via ematica come già accennato precedentemente (70% dei casi circa), ma anche per inoculazione diretta, per contiguità, per situazioni di immunodepressione, come conseguenze di interventi chirurgici vertebrali.

Spondilodiscite_04I batteri che possono innescare la spondilodiscite e che hanno un’ incidenza maggiore nel nostro territorio, appartengono al complesso dei batteri piogeni, ovvero in grado di generare infezioni purulente e appartengono alla famiglia sia dei gram-positivi quanto dei gram-negativi:

  • streptococco aureus
  • streptococco
  • stafilococco coagulasi-negativo
  • escherichia coli
  • pseudomonas
  • enterococco
  • mycobacterium tuberculosis (responsabile della tubercolosi)
  • brucella (responsabile della brucellosi)

La spondilodiscite può essere provocata anche dai funghi quali:

  • candida
  • aspergillus

Solamente per nominarli, ma di incidenza rara, sono i parassiti:

  • echinococco granulosos
  • toxoplasma gondii.

La diagnosi

Spondilodiscite 06Nella diagnosi diventa fondamentale fare una buona anamnesi, raccogliere tutti i dati che il paziente possa fornire per capire se ci siano state infezioni, se ci siano stati dei fattori predisponenti, che sintomi si manifestano e in che modalità.

E’ importante lo studio delle analisi del sangue per individuare la presenza di una possibile infezione.

Fondamentale è la diagnostica per immagini che si avvarrà della RM, spesso associata a mezzo di contrasto.

Spondilodiscite 07La scintigrafia ossea con tecnesio 99 è molto utile, soprattutto se il paziente è impossibilitato ad effettuare una RM.

La TC si utilizzerà nel caso si voglia studiare bene i danni che la spondilodiscite abbia causato sulla struttura vertebrale.

La biopsia del tessuto infetto permetterà di individuare in maniera specifica, il tipo di agente patogeno che ha innescato la patologia, per poi mettere a disposizione del paziente una cura mirata.

La terapia

Spondilodiscite 08La terapia ha i suoi maggiori risultati in base alla tempestività della diagnosi e allo studio del fattore patogeno che l’ha generata.

Si parte con un approccio farmacologico mirato alla causa primaria dell’infezione, a questa si associa una terapia di immobilità, di scarico delle forze e del peso corporeo, utilizzando un busto decompressivo.

La fisioterapia e l’osteopatia sono importanti per gestire lo stato di salute fisico sia nella dolorabilità, sia nella perdita del movimento che del tono muscolare.

Nel caso in cui il danno della spondilodiscite sia eccessivamente grave, come un crollo vertebrale, come una suppurazione contigua alla radice nervosa o nel cono midollare, sarà necessario intervenire per mezzo della chirurgia, che sceglierà la tecnica più adeguata in base alla condizione e al disagio anatomo-funzionale a cui dovrà far fronte.

Anche in questo caso sarà necessario un periodo di riabilitazione, mirato al recupero del deficit patologico e delle conseguenze del post operatorio.

La spondilodiscite non va assolutamente sottovalutata, perché i danni che può lasciare sono potenzialmente gravi, però se presa tempestivamente, se curata con pazienza e costanza, si può tornare a fare una vita normale e piena di soddisfazioni.

Tromboflebite

Tromboflebite 01La tromboflebite è un’infiammazione della parete venosa che porta alla formazione secondaria di un trombo, ovvero di un coagulo di sangue all’interno della vena stessa, aderendo alla parete intima del vaso.

Tromboflebite 02Le piastrine del sangue si legano tra di loro e approfittando delle rugosità vasali che si formano per via dell’infiammazione, aderiscono ad esse.

Le piastrine sono gli elementi più piccoli del sangue e insieme agli enzimi della coagulazione permettono il passaggio del sangue stesso, dallo stato liquido a quello solido, dando il via alla formazione del trombo, nel momento in cui si riuniscono insieme.

Il sistema venoso del corpo umano vede la presenza di vasi superficiali e vasi profondi, pertanto anche la tromboflebite sarà di tipo superficiale e di tipo profonda, anche se sarebbe corretto parlare della tromboflebite profonda come trombosi venosa profonda.

Le vene superficiali si trovano nello strato più esterno, sono più piccole e drenano nelle vie venose maggiori, mentre le vene profonde le troviamo nella parte più intima del segmento, sono più interne e hanno una via di drenaggio diretta.

La tromboflebite può manifestarsi su ogni vaso venoso, ma si presenta maggiormente dove la circolazione rischia un rallentamento significativo, pertanto la casistica maggiore è a carico degli arti inferiori, ma non è fuori luogo confrontarsi con manifestazioni patologiche dell’arto superiore, dei vasi del collo e di altre zone ancora.

Le cause

Tromboflebite 03Le cause che possono portare dalla tromboflebite sono molte:

  • stasi venosa o rallentamento del flusso venoso
  • vene varicose
  • infiammazione del tessuto venoso
  • infezioni
  • traumi diretti sulla parete venosa
  • traumi della zona
  • aumento della coagulazione del sangue (trombofilia)
  • il mantenimento per lungo tempo di una posizione con riduzione del movimento articolare e della contrazione muscolare
  • cateterismi venosi
  • compressioni prolungate della zona
  • farmaci che influiscono sulla viscosità sanguigna per via diretta o indiretta
  • obesità
  • gravidanza
  • fumo
  • alcool
  • familiarità di vasculiti e tromboflebiti.

Come potete capire leggendo le varie cause, tutte quante per un motivo od un’altro, riconducono ad un rallentamento se non addirittura ad una stasi del sangue venoso, ad un danno della parete della vena di tipo infiammatorio, infettivo, traumatico, lesionale o compressivo, ad un’alterazione dei fattori di coagulazione del sangue.

Il tutto nel campo sanitario viene riassunto come TRIADE DI VIRCHOW.

I sintomi

Vediamo adesso la sintomatologia legata alla tromboflebite.

Tromboflebite 04La sintomatologia ha dei tratti di contraddistinguo tra una flebite di tipo superficiale e una di tipo profondo.

La tromboflebite superficiale manifesta rossore e irritazione della cute, edema superficiale locale, dolore e spesso il tronco venoso coinvolto diventa duro e ben localizzabile tramite la palpazione, proprio per la sua posizione superficiale.

Nella tromboflebite profonda la sintomatologia manifesta è più importante e coinvolge un’area ben maggiore rispetto a quella superficiale.

Il paziente riscontra un edema distrettuale generalizzato e non più segmentale, c’è una dolorabilità superficiale alla palpazione se non addirittura allo sfioramento e una dolorabilità profonda ben più acuta e costantemente presente, che si acuisce alla compressione.

La cute può manifestare delle dermatiti, subisce un cambiamento del trofismo, tendendo a scurirsi e ad assumere una pigmentazione cianotica, si possono notare anche dei segni di desquamazione superficiale e nei casi più gravi la presenza di ulcerazioni cutanee.

Il movimento dell’arto risulta difficoltoso, dolente all’esecuzione e soggetto ad affaticamento precoce.

Nelle situazioni limite il paziente può andare incontro a stati febbrili ed infezioni da prima localizzate, ma che se trascurate possono espandersi in maniera sistemica.

Le complicanze

Le complicanze più importanti che la tromboflebite può causare sono diverse a seconda che sia superficiale o profonda.

Tromboflebite 05La tromboflebite profonda è quella maggiormente pericolosa perché, dovendo supportare un deflusso maggiore di sangue e avendo delle vie di drenaggio dirette, possono dar luogo al distacco parziale o totale del trombo dalla parete venosa, dando il via al dislocamento dello stesso, formando un embolo.

L’embolo va considerato come un corpo estraneo insolubile, ovvero che non può sciogliersi in maniera autonoma, libero di scorrere nel sistema circolatorio.

L’embolo, nella sua corsa, può andare a bloccarsi in un vaso minore dove ridurrebbe o peggio ancora bloccherebbe, il normale flusso di sangue, causando un danno del tessuto di competenza.

Tromboflebite 06L’embolia potrebbe causare quindi un infarto del miocardio, un ictus cerebrale ischemico, un’embolia polmonare, ovvero tutte condizioni pericolosissime per l’incolumità e la vita del paziente.

Le complicanze della tromboflebite superficiale invece rimangono concentrate a livello locale, dove la permanenza di sangue venoso crea un’acidificazione dei tessuti, diminuendone la vitalità biologica e rovinando in maniera irreparabile il tessuto cellulare e valvolare della parete venosa.

La diagnosi

Tromboflebite 07

Nella diagnosi lo specialista sanitario si avvale della raccolta dati dei sintomi manifesti nel paziente, dell’esame clinico volto all’ispezione visiva e palpatoria della zona interessata, effettuerà dei test clinici di forza, resistenza e affaticabilità muscolare e compirà delle manovre specifiche per valutare la circolazione venosa superficiale e profonda, in maniera tale da poter stabilire la presenza di un’anomalia circolatoria.

Fondamentale sarà l’ecocolordoppler dei vasi per poter stabilire la funzionalità venosa, la velocità del flusso, lo stato infiammatorio del parenchima venoso e l’eventuale formazione di trombi.

Può ritenersi necessario nei casi di manifestazioni ripetute, richiedere le analisi del sangue per studiare i fattori di coagulazione del paziente.

Il trattamento

Il trattamento prevede varie misure e strade a seconda della gravità della tromboflebite, se sia di tipo superficiale o profonda e se sia in fase acuta o post acuta.

Nella tromboflebite superficiale, generalmente si associano farmaci antinfiammatori e antiedemigeni, non è raro vedere l’utilizzo di questi in forma topica, soprattutto se la manifestazione è recente e non particolarmente aggressiva, altrimenti vengono somministrati per via orale.

Nel caso la tromboflebite superficiale sia ad uno stadio avanzato si potrà rendere necessario l’utilizzo di anticoagulanti per evitare la formazione di trombi.

Tromboflebite 08La fisioterapia come l’osteopatia sono di grosso supporto per favorire il ripristino della circolazione, per ridurre l’edema e per sgonfiare il segmento interessato dalla patologia.

E’ molto utile l’utilizzo di ausili sanitari elastici con compressione graduale, per favorire il circolo venoso compensato dalla contrazione muscolare.

Nella flebite profonda la situazione si fa più dedicata perché le cure farmaciologiche in pomata saranno inefficienti e quindi da scartare, potranno essere utilizzati antinfiammatori non steroidi per abbassare la soglia del dolore causato dall’infiammazione della parete venosa e se non dovessero essere sufficienti si può ricorrere all’uso di analgesici.

Tromboflebite 09Nel caso la tromboflebite profonda non sia presa allo stato iniziale si può rendere necessario ricorrere all’utilizzo di farmaci anticoagulanti e se l’esame ecocolordoppler dovesse mostrare la presenza di un trombo sarà necessario ricorrere alla somministrazione di farmaci trombolitici, per ridurne il volume e diminuirne la pericolosità in caso di distacco.

Nei casi più gravi e soprattutto resistenti alle cure farmacologiche, si può rendere necessario l’approccio chirurgico, utilizzando stunt o filtri venosi a seconda della situazione a cui il chirurgo dovrà far fronte.

Nei casi di infezione delle vie venose e quindi di una tromboflebite settica, dove l’uso di antibiotici non abbiamo avuto sufficiente successo e il danno cellulare non riesca a fermarsi, sarà necessario l’asportazione del tessuto venoso e di quelli circostanti coinvolti.

Tromboflebite 10Una volta stabilizzato il paziente è necessario ricorrere ad un periodo di riabilitazione vascolare, mirata al drenaggio del segmento, al ricondizionamento della circolazione venosa, al ripristino del trofismo cellulare, del tessuto connettivo e muscolare, avvalendosi anche di bende o manicotti elastici che favoriscano il drenaggio e riducano l’effetto della stasi.

 

 

La tromboflebite è una patologia con cui non si scherza, nella maggior parte dei casi si risolve senza complicanze, tuttavia è importante fare tempestivamente una diagnosi corretta e agire in maniera veloce.

Adesso che ne sappiamo di più, difficilmente ci faremo cogliere impreparati.

Piede piatto

Il piede piatto è una caduta della zona interna del piede, che si abbassa verso il piano di appoggio, ovvero verso il pavimento, nel momento in cui la persona sta in piedi.

Piede piatto 01La parte interna del piede può scendere completamente fino a toccare terra, o in parte e questo determina lo stato di importanza del piede piatto.

L’arco plantare interno smette di funzionare perdendo la sua capacità di sostenere, di ammortizzare il peso del corpo e perde la dinamica del carico.

Il piede ha 3 archi plantari, due longitudinali e uno trasverso, con il ruolo di ammortizzare e scaricare a terra il peso del corpo quando si è fermi in posizione eretta e le forze di taglio, di compressione e di torsione, durante la fase del passo.

Il tutto avviene mettendo in relazione le articolazioni del piede, la muscolatura e i legamenti che ne fanno parte.

Piede piatto 02I 3 archi plantari sono così organizzati:

  • l’arco plantare esterno che va dal calcagno alla base del 5° metatarso
  • l’arco plantare interno che va dal calcagno alla base del 1° metatarso
  • l’arco plantare trasverso che va da dalla base del 1° metatarso alla base del 5° metatarso.

Le volte plantari servono anche a mettere in comunicazione tra di loro le 3 zone di suddivisione del piede.

Piede piatto 03Le tre zone di cui parliamo sono:

  • retropiede, la zona posteriore che da sola scarica a terra circa l’80% del peso corporeo
  • mesopiede, la zona di mezzo che serve ad attuare il passaggio dallo scarico del peso corporeo al movimento, trasferendolo dal retropiede all’avampiede
  • avampiede, la zona di spinta nella fase finale del passo, che permette all’altro piede di avanzare e andare a sua volta a poggiare sul tallone.

Questo resoconto semplificato della biomeccanica segmentale, ci fa intuire che organizzazione perfetta e affascinante abbia, ma quanto allo stesso tempo sia delicata e predisposta a cambiamenti patologici.

Non va dimenticato che il piede ha delle correlazioni indirette ma di stretto rapporto con l’adattamento del ginocchio in primis e dell’anca a seguire, fino ad arrivare alla relazione con il bacino e la zona lombare.

Vanno spese delle parole per fare un distinguo tra piede piatto nel bambino e nell’adulto.

Piede piatto 04Sono due piedi piatti differenti.

Nell’adulto la situazione è strutturata ma può essere resa più funzionale, ovvero la si può in minima parte correggere, oppure stabilizzare evitando i peggioramenti che il tempo e il cambiamento biologico ci impongono.

Nel bambino (parlando di una fascia di età fino ai 4-5 anni) si ha una conformazione cutanea e di tessuto adiposo, che potrebbe nascondere la vera conformazione del piede e inoltre il suo tono muscolare postulare segmentale deve ancora ben stabilizzarsi, per cui nella prima fascia di età del bimbo, bisogna stare molto attenti a giudicare un piede dall’essere piatto o semplicemente immaturo per sviluppare correttamente una forma e una struttura.

L’errore di valutazione potrebbe portare a prendere dei provvedimenti non necessari se non addirittura controproducenti.

Torniamo adesso a parlare del piede piatto nell’adulto.

Esiste una differenza tra il piede piatto strutturale e il piede piatto funzionale e vale la pena accennarla, perché è una differenza sostanziale anche nell’affrontare una cura e una gestione del piede.

Piede piatto 05Il piede piatto funzionale si manifesta nel momento in cui la volta plantare interna cede per una problema di cattivo aggiustamento tra articolazioni, muscoli e legamenti, ma che riesce a recuperare la sua forma coerente se liberato dai compiti biomeccanici e dal peso del copro.

Il piede piatto strutturato invece si ha nel momento in cui la porzione interna cede, si abbassa e nonostante venga scaricato dalle responsabilità meccaniche di adattamento al peso e al passo, non ritorna alla sua normale forma ma rimane piatto.

Anche mobilizzandolo manualmente recupera con grande difficoltà e solo parzialmente, la volta plantare interna.

Pertanto possiamo dire che il piede piatto funzionale lavora male ma ancora svolge parzialmente il suo compito se commisurato all’arco interno, mentre il piede piatto strutturale perde la funzione quasi nella sua totalità, mettendo in crisi tutti gli adattamenti di relazione.

La sintomatologia

Il piede piatto ha molti stati di sintomatologia, sia locali che a distanza… andiamo a vedere quali sono:

  • Piede piatto 06tendiniti e capsuliti nella zona del mesopiede e del tendine d’Achille
  • metatarsalgia
  • ascite plantare secondaria
  • tallonite
  • affaticamento allo sforzo
  • cattivo drenaggio con possibilità di gonfiori perimalleolari sia interni che esterni
  • Piede piatto 07predisposizione alla lassità legamentosa dei compartimenti articolari
  • crampi muscolari sia nella zona del piede quanto della gamba, che possono salire fino all’altezza del ginocchio
  • cattivo assetto posturale
  • stress del ginocchio sulla zona interna
  • predisposizione al valgismo del ginocchio
  • predisposizione all’alluce valgo
  • esposizione di una protuberanza ossea nella zona mediale del piede dolente alla palpazione e allo sfregamento
  • alterazione del bacino e della zona lombare bassa con la possibile manifestazione di lombalgia diffusa
  • asimmetrico consumo della suola della scarpe.

La manifestazione dei sintomi va sempre analizzata in base a se il piattismo dell’arco interno sia funzionale o strutturale e se sia di uno solo piede o di entrambi.

Questo insieme di sintomi e di predisposizioni ai mutamenti degli assi articolari, vanno ricondotti al pensiero che il piede è un segmento multiarticolare e particolarmente adattativo, che necessita dell’interrelazione con tutto l’arto inferiore e col sistema lombo / sacrale / bacino, per questo un suo cambiamento morfologico e di funzione può scatenare una serie cosi grande di mutamenti e patologie associate.

Le cause

Il piede piatto ha molteplici concause:

  • Piede piatto 08predisposizione familiare
  • traumi distorsivi o fratturativi a carico del mesopiede, del retropiede o dell’avampiede
  • patologie muscolari di tipo neurologiche sia centrali che periferiche, a carico delle guaine mieliniche o delle vie di trasmissione del messaggio
  • sarcopenia, ovvero perdita di fibre muscolari per degenerazione da invecchiamento cellulare
  • l’invecchiamento biologico dei tessuti molli e articolari
  • ipotonia da riduzione dell’attività fisica o dall’eccessivo utilizzo di scarpe durante la giornata
  • scarpe inadeguate
  • patologie artritiche o artrosiche che arrecano danni alle articolazioni, viziandole nelle posizioni e riducendone il movimento
  • patologie vascolari che riducono l’apporto e il drenaggio di sangue alle strutture muscolari e legamentose, danneggiandone la qualità tessutale
  • il sovrappeso o peggio ancora, l’obesità.

La diagnosi

Per la diagnosi l’esame obiettivo è la strada diretta con cui il professionista sanitario esamina il paziente e il suo piede, tanto nella posizione anatomica di appoggio, tanto in scarico, cosi come nella palpazione, nella mobilizzazione e nel recupero della corretta posizione.

Va osservato anche come si adatta la postura del soggetto rispetto alla perdita della volta interna del piede e come si sviluppa la deambulazione durante la fase del passo.

Piede piatto 09Un esame molto valido è la baropodometria sia in statica che in dinamica, ovvero da fermo e mentre cammina, per vedere come, su uno schema computerizzato, si adatta il piede al terreno, la qualità del movimento che compie e gli assi funzionali che segue nel passaggio dal retropiede all’avampiede, la distribuzione dei pesi su entrambi i piedi e nelle loro specifiche zone.

L’ RX del piede permette di apprezzare lo stato di forma se fatta sotto carico, oppure lo stato articolare anatomico se fatta fuori carico.

La Rm diventa uno studio molto interessante se si ha la necessità di conoscere lo stato di salute dei tessuti molli muscolari, legamentosi, capsulari, ovvero di quelle strutture che hanno il compito di sostenere e rinforzare le articolazioni del piede.

In sostituzione della Rm potrebbe essere utilizzata anche un’ecografia, con lo stesso identico scopo, ma con una precisione minore di immagine e quindi di diagnosi.

L’esame TC viene utilizzato raramente e nei casi in cui vi sia un’incertezza sullo stato di salute del tessuto osseo periarticolare o intrarticolare.

La cura prevede varie strade e vari approcci.

Piede piatto 10La fisioterapia, per recuperare dove possibile la volta plantare interna e nel caso fosse possibile, ridare un assetto naturale al piede, stabilizzare il suo stato di salute ed evitare che vada incontro a rigidità e deformazione, controllare la corretta mobilità articolare.

Va mantenuta tonica la muscolatura di sostegno dell’arco plantare mediale e di questo rispetto agli altri due (l’esterno e il trasverso), come allo tesso tempo insieme alla tonicità va curata la miglior elasticità possibile.

Va assolutamente evitato che i legamenti possano cedere nel tempo ed oblungarsi maggiormente, altrimenti il piede perderebbe ulteriormente sostegno.

Piede piatto 11E’ fondamentale una ginnastica propriocettiva mirata ad allenare il sistema di adattamento del piede a terra.

Piede piatto 12L’ausilio dei plantari di sostegno è sicuramente buono ma va evitato di portarli tutto il giorno, perché è vero che il piede viene sostenuto ma non deve perdere il tono muscolare per il mantenimento autonomo dell’arco interno del piede, altrimenti verrebbe a mancare ogni minima capacità residua di svolgere i proprio ruolo in autonomia.

Pertanto almeno che il piede piatto non sia di origine strutturale e gravemente compromesso, deve alternare una fase di sostegno plantare e una di appoggio e passo libero al suolo.

Non va dimenticato che è fondamentale inquadrare il paziente nella sua postura e cercare di correggerla per portare il miglior assetto nello scarico a terra, nella dinamica del passo e poter distribuire in maniera ottimale i carichi di lavoro al piede.

Piede piatto 13La farmacologia diventa di aiuto nel momento in cui si dovesse far fronte a un’infiammazione delle strutture molli quali legamenti, tendini, articolazioni e possono essere usate componenti chimiche locali o infiltrative.

Nel caso di infiammazione cronica è molto utile approcciare il problema con l’ozonoterapia in maniera ciclica e costante.

La chirurgia vede l’entrata in scena nel momento in cui ci sia una evento traumatico che necessita di una stabilizzazione articolare, oppure quando delle patologie neurologiche vadano a viziare irreparabilmente la posizione del piede, cosi come la presenza di patologie artritiche vadano a deformare irrimediabilmente l’anatomia del segmento.

Piede piatto 14Il piede piatto è una condizione di svantaggio nel nostra quotidianità, ma adesso abbiamo tutte le nozioni per poterlo gestire al meglio, recuperare lo stato di salute e ottimizzarne il suo funzionamento.

Se curiamo i nostri piedi sicuramente ci ringrazieranno, portandoci a spasso con leggerezza.