Ernia iatale e reflusso gastro esofageo

Anatomia

L’ ernia iatale è una traslazione di una porzione dello stomaco dalla cavità addominale verso la cavità toracica, il tutto attraversando un punto anatomico ben preciso, che si chiama iato esofageo.

Ernia Iatale_01Lo iato esofageo si posiziona sul diaframma e stabilisce l’unione tra l’esofago e lo stomaco.

Spesso all’ernia iatale si può associare il reflusso gastro esofageo, va sottolineato però che è una probabilità e non una costante causa effetto dell’ernia iatale stessa.

Ernia Iatale_02L’ ernia iatale è classificata principalmente in tre categorie:

  • ernia iatale da scivolamento
  • ernia iatale da rotolamento
  • ernia iatale mista.

Andiamo ad analizzarle insieme.

L’ ernia iatale da scivolamento e sicuramente la più diffusa, non è permanente, risultando in alcuni casi transitoria per posizione e volume.

C’è uno scivolamento della parte alta dello stomaco nel torace e spesso si sposta dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto a seconda del tipo di sforzo compiuto o di posizione che il paziente assume.

Ernia Iatale_03L’ ernia iatale da rotolamento vede la porzione superiore della grande curvatura dello stomaco fare una rotazione e un rotolamento portando la giunzione gastroesofagea, dalla zona addominale verso la cavità toracica, una porzione del fondo dello stomaco quindi passerà nel torace.

E’ un’ernia molto più stabile perché si incarcera passando il diaframma all’interno del torace stesso.

Nell’ernia iatale mista troviamo un’unione delle componenti delle due ernie viste prima, quindi avremo sia il fondo dello stomaco che rotola dalla parte addominale verso la cavità toracica e sia la giunzione gastro esofagea che migra all’interno del torace.

Fattori di rischio

Le cause primarie dell’ernia iatale sono alterazioni di pressione addominale, alterazione dell’equilibrio delle pressioni tra torace e addome, obesità, gravidanze, lassità del tessuto connettivo, scarsità del tessuto collagene , colpi di tosse, sforzi addominali intensi, prolungati o improvvisi, fumo di sigaretta, alterazione del rapporto idratativo, alimenti che aumentano i fattori ossidativi, cure farmacologiche e non che possono alterare la qualità dei tessuti.

Sintomi

L’ ernia iatale può essere asintomatica ma nel momento in cui non lo fosse, i sintomi possono includere vari campi di manifestazione.

Ernia Iatale_04Per un’ernia iatale sintomatica possiamo trovare un reflusso gastro esofageo come prima accennato, può manifestarsi una pirosi ovvero un dolore urente retrosternale, possiamo trovare delle manifestazioni di rigurgito ed eruttazione, delle forme di extrasistole quindi un un battito cardiaco prematuro e possiamo trovare una condizione di disfagia ovvero la sensazione sgradevole durante la deglutizione di passaggio difficoltoso del cibo dalla faringe, condizione definita di bolo faringeo.

Nei casi dove l’ernia iatale sia molto grande, si possono manifestare delle difficoltà respiratorie dovute al cambiamento del movimento diaframmatico nell’atto inspiratorio ed espiratorio.

In alcune casi può comparire l’asma dove la restrizione bronchiale è data dagli acidi gastrici che risalgono nella porzione alta del torace e della gola, venendo poi inalati nelle vie aeree e creando infiammazione bronchiale.

Ci può essere anche un’irritazione della gola e un’ irritazione delle corde vocali con un abbassamento e/o un cambiamento del tono della voce stessa.

Si può verificare una reazione infiammatoria della faringe e della laringe.

Si può presentare una modificazione delle cellule dell’esofago creando delle metaplasie ovvero dei cambiamenti cellulari reversibili denominati epitelio di Barret o esofago di Barret.

Ernia Iatale_05Abbiamo quindi capito che molti di questi sintomi sono causati dal passaggio di acido gastrico nell’esofago per la cattiva continenza dello iato esofageo stesso, per un rapporto anatomico alterato tra il diaframma e i suoi pilastri, lo stomaco, l’esofago e il cattivo rapporto del punto di inversione delle pressioni.

Diagnosi

Per la diagnosi sono varie le strade:

  • Ernia Iatale_06RX con il mezzo di contrasto per lo studio del tratto superiore del tubo digerente.
    Il problema di questa tecnica diagnostica è che non sarà possibile analizzare il cambiamento di cellule ne il prelievo delle stesse, non sarà possibile valutare la tridimensionalità dell’ernia iatale e non ultimo, l’utilizzo del mezzo di contrasto.
  • Ernia Iatale_07Gastroscopia il cui vantaggio è quello di catalogare da subito
    il tipo di ernia iatale individuata.
    Permette di prelevare pezzetti di tessuto per analizzarli nel caso in cui si noti una conformazione atomo biologica modificata e potenzialmente patologica.
    Anche l’utilità di controllare lo stato dell’esofago ed un potenziale danno cellulare prodotto dall’ eventuale presenza di reflusso gastro esofageo.

Trattamento.

Il trattamento si svolge su più fronti:

  • Farmacologico, sono varie le categorie di farmaci che vengono utilizzati per ridurre l’effetto dell’ acidità gastrica.
    Si usano antiacidi di barriera che inibiscono la secrezione gastrica così come si possono utilizzare farmaci che favoriscono lo svuotamento gastrico quindi il passaggio dell’acido gastrico dallo stomaco verso il duodeno.
  • La cura dell’alimentazione mirerà a ridurre le calorie, i grassi, l’alcol e tutte quelle sostanze che aumentano e favoriscono l’acidità dello stomaco.
  • Ernia Iatale_08Postura. Sarà importante durante il riposo nelle ore notturne o più in generale nella posizione sdraiata, mettere un cuneo che vada a rialzare la parte della cervicale e del torace in modo da non favorire il ritorno degli acidi gastrici verso le vie toraciche superiori.
    Le posture, sia in posizione eretta che in quella seduta, devono evitare di volgere verso l’accentuazione della cifosi, perché la chiusura in avanti della colonna vertebrale, favorirà l’ernia iatale nella sua evoluzione.
  • Ernia Iatale_09Trattamenti manipolativi che mirano a migliorare e coordinare il movimento tra il diaframma, il torace e l’addome, aggiustandone tra di loro sia la cinetica che il rapporto di pressione.
    Va da sé che per fare questo bisognerà ottimizzare la postura tra le catene anteriori e le catene posteriori e il meccanismo di equilibrio delle meccaniche respiratorie.
  • Intervento chirurgico. Nei casi dove ci sia pericolo eccessivo e massivo del paziente, li dove nessun altro trattamento mostra un’efficacia nel tempo e nella cura, la chirurgia può essere l’unica alternativa.
    Gli interventi oggi utilizzati sono di vario genere:
    Riportare l’ernia nella cavità addominale, liberare il fondo dello stomaco nei rapporti di contiguità, eseguire una plastica dei pilastri diaframmatici, mettere in opera una plastica antireflusso con varie tecniche adattabili nel migliore dei modi alla conformazione dei pazienti.

 

Epicondilite e epitrocleite

La bella stagione e la ripresa dell’attività sportiva porta spesso con se il riaffacciarsi di fastidi e patologie legate al movimento. Tra queste, per tutti gli amanti del tennis, golf e sempre di più del padel, troviamo l’epicondilite e l’epitrocleite.

Definizione di epicondilite e epitrocleite

L’epicondilite e l’epitrocleite sono patologie ortopediche di tipo infiammatorio, a carico di due gruppi muscolari importanti dell’avambraccio impegnati nel triplice rapporto tra il segmento mano, avambraccio, braccio.

Epicondilite e epitrocleite06Le epicondiliti sono notoriamente conosciute come gomito del tennista e le epitrocleiti come gomito del golfista.

Le patologie infiammatorie sono a carico della struttura tendinea o in relazione alla giunzione muscolare o in relazione alla giunzione ossea, nei casi più gravi addirittura ad entrambe.

Il dolore si manifesta lateralmente al gomito nell’epicondilite e medialmente al gomito nell’ epitrocleite.

Epicondilite e epitrocleite 05Non di rado questi dolori si irradiano distalmente andando verso il polso, nei casi più seri si può associare l’ interessamento di una o più dita della mano ed alterazione della sensibilità e della dolorabilità.

Le cause

Le cause che sviluppano epicondiliti ed epitrocleiti sono molte ma le più frequenti sono dovute ad alterazione della postura dell’arto superiore.

Per postura dell’arto superiore si intende la relazione tra la spalla il gomito il polso e la mano nei tre pani dello spazio, spesso con conflitto dorso-cervicale associato.

La spalla e la scapola devono orientare l’arto superiore, il gomito deve adattare il movimento e il polso e la mano sono effettrici del movimento fine e calibrato.

Il braccio e l’avambraccio devono essere in equilibrio rispetto a un piano di rotazione interno ed esterno.

La postura diventa importante per poter far si che l’equilibrio dei muscoli intrarotatori ed extrarotatori del braccio e pronatori e supinatori dell’avambraccio possano fare un lavoro in sincrono.

Epicondilite e epitrocleite 04Anche la flessione e l’estensione del polso diventa fondamentale per poter utilizzare al meglio la muscolatura e l’articolarità dell’avambraccio e quindi del gomito, senza dimenticare che anche la mano gioca su un equilibrio di archi come fosse il piede con la volta plantare, per poter creare un accomodamento nella presa degli oggetti e nell’adattare la mano e le dita alla presa.

Epicondilite e epitrocleite 03Se solo pensiamo e notiamo la postura mantenuta nel stare seduti ad una scrivania, lavorando con il mouse e la tastiera del computer, noteremo che la posizione del soggetto sarà squilibrata verso la rotazione interna e la flessione.

I muscoli ad inserzione epitrocleidea sono flessori e pronatori, i muscoli ad inserzione epicondiloidea sono estensori e supinatori.

È altresì vero che insieme agli squilibri muscolari statici e dinamici, queste patologie infiammatorie possono essere innescate anche da traumi e microtraumi ripetuti manifesti anche sotto forma di vibrazioni profonde e continue, errori di impugnatura (per grandezza e peso) con associata prensione prolungata.

Non è raro trovare associati segni neurologici periferici sia di tipo parestetico, con alterazione della sensibilità, sia di tipo motorio con riduzione della forza e della resistenza muscolare.

Questo può avvenire dopo tempo dall’insorgenza della patologia ortopedica a causa del condizionamento del tessuto neurologico implicato per rapporto di vicinanza.

La diagnosi dell’ epicondilite e epitrocleite

La diagnosi principale viene fatta con esame ecografico, ma non di rado vengono effettuate radiografie per esaminare eventuali calcificazioni insorte o di risonanze magnetiche per lo studio dei tessuti molli, capsule articolari, legamenti, tendini e muscoli nel dettaglio.

Epicondilite e epitrocleite 02È fondamentale condurre un buon test biomeccanico-clinico per capire dove le strutture siamo squilibrate nel trasferimento del movimento tridimensionale tra la spalla il gomito e la mano.

Il trattamento

La terapia deve mirare a ridurre in tempi rapidi l’infiammazione utilizzando le varianti possibili a disposizione, ghiaccio, riposo, farmaci, infiltrazioni, terapie fisiche.

Epicondilite e epitrocleite 01Passata la fase acuta è importante rimuovere la causa, posture errate, sollecitazioni meccaniche, effetti vibratori esterni, sovraccarichi, costrizioni, cattive impugnature etc.

Nei casi più estremi si può arrivare alla chirurgia con intenti diversi a seconda del tipo di intervento pensato e attuato sul paziente.

Sarà cura dello specialista poi ristabilire il giusto equilibrio delle aree articolari e dei tessuti muscolo-tendinei nella loro corretto rapporto di movimento, elasticità e tonicita.

Non ultimo va indicata la giusta strada per poter prevenire il ripetersi di situazioni simili, mediante esercizi e attenzioni mirate alla giusta gestione del proprio fisico rispetto all’ ambiente di vita quotidiano.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Osteoporosi

L’osteoporosi è una perdita di massa ossea e una rarefazione della struttura architettonica interna dell’osso stesso.

Rientra in una condizione fisiologica che si predispone e si evolve in natura con l’invecchiamento della persona, è vero però che la perdita di massa ossea, oltre certi limiti, diventa pericolosamente patologica perché riduce di molto la resistenza e l’elasticità dell’osso, a vantaggio del rischio di fratture (nei casa più gravi fratture spontanee per collasso dell’osso stesso).

Lo stato di salute della struttura ossea dipende dell’equilibrio tra osteoblasti (cellule che producono e rigenerano il tessuto osseo) e osteoclasti (cellule deputate al riassorbimento di tessuto osseo).

Alle volte questo equilibrio viene meno per l’ invecchiamento stesso della persona e in altri casi, alterazioni ormonali, assunzioni farmacologiche o patologie di varia natura, alterano la convivenza dei 2 fattori prima citati.

Si manifesta con una netta prevalenza femminile a rapporto di 4-1 rispetto all’uomo e con una incidenza maggiore tra i 50 e i 75 anni, valori che subiscono variazioni in base alle concause di innesco.

L’osteoporosi viene catalogata in due grossi capitoli: osteoporosi primaria e osteoporosi secondaria.

L’ inquadramento cambia a seconda di quale sia la causa della perdita di massa ossea fuori dai canoni di tolleranza.

Nelle osteoporosi primarie (95%), sottocatalogate in IDIOPATICHE, di TIPO 1, di TIPO 2, l’eziologia si ha nella riduzione dei fattori ormonali principali, nella cattiva alimentazione con una carenza sia dei macro che dei micro nutrimenti, nella riduzione dell’attività fisica e della massa muscolare, nella diminuzione all’esposizione dei raggi solari.

Nelle osteoporosi secondarie (5%), la causa si ricerca in una iperproduzione di alcuni fattori ormonali (ipertiroidismo, ipersurrenalismo), patologie che portano ad un cattivo assorbimento intestinale, celiachia, alcuni farmaci molto comuni come ad esempio cortisone, eparina, anticoagulanti, alcune categorie di diuretici, antiepilettici, per poi proseguire con alcune patologie polmonari come la BPCO, alcune malattie autoimmunitarie, immobilità protratta per un lungo periodo, perdita di peso importante (circa oltre l’80%), patologie tumorali.

L’osteoporosi non da sintomi ed è per questo che può diventare molto pericolosa; i sintomi sono un campanello di allarme che ci permettono di correre ai ripari ma in questo caso bisogna giocare di anticipo prevenendo, usando metodiche diagnostiche come MOC, RM, RX,TC, analisi di laboratorio e ovviamente un buon esame obiettivo associato ad una attenta anamnesi.

L’osteoporosi diventa sintomatica nel momento in cui la sua fragilità porta ad una frattura che può essere spontanea (l’osso si rompe da solo), o traumatica (basta un incidente di minima entità).

Le fratture spontanee si manifestano maggiormente nelle vertebre, in particolar modo nella zona dorso lombare, nella zona alta del femore, in prossimità dell’articolazione dell’anca e nei quadranti costolari medio inferiori.

In ottica preventiva e di supporto alle cure farmacologiche eventualmente somministrate, diventa fondamentale associare una correzione della postura e un riequilibrio articolare per evitare una o più zone di sovraccarico delle strutture ossee stesse, creare ed alimentare una buon tonotrofismo muscolare che possa dare supporto e resistenza alla struttura scheletrica e che stimoli la rigenerazione ossea, la quale in molti casi è stata monitorata con un incremento fino all’1% annuo.

Non ultimo è raccomandata una buona ma attenta esposizione al sole, in grado di favorire, insieme ad una corretta alimentazione, una buon approvvigionamento di vitamina D, necessaria per fissare il calcio nelle ossa.

 

Meniscopatie

Con il termine di meniscopatia si indicano le lesioni nel loro insieme, che interessano i menischi all’interno dell’articolazione del ginocchio.

Meniscopatie_01Ne sono coinvolti sia soggetti maschili che femminili, sia sportivi che sedentari.

I menischi sono delle fibrocartilagini del ginocchio poste tra la tibia e i condili femorali, sono a forma di C nella porzione mediale e a forma di O nella porzione laterale.

Meniscopatie_02Sono ancorati in maniera strutturale al piatto tibiale e poi hanno collegamenti dinamici con la capsula articolare, i legamenti, la rotula, il muscolo semimembranoso e il muscolo popliteo.

Hanno il compito di stabilizzare l’articolazione del ginocchio e di distribuire i carichi assorbendone gli urti e ammortizzando il peso del corpo, favoriscono i micromovimenti di traslazione e di rotazione durante il macromovimento di flesso estensione.

Le meniscopatie si dividono in due grandi capitoli:

  • meniscopatie di origine traumatica
  • meniscopatie di origine degenerativa.

Le meniscopatie traumatiche sono causate da traumi e ovviamente i soggetti sportivi sono maggiormente coinvolti.

Sono dovute a eccessive sollecitazioni articolari per le quali i menischi subiscono un tilt coordinativo della funzione rotatoria – traslatoria nella flesso estensione e un tilt coordinativo dei richiami capsulari, legamentosi e muscolari.

Meniscopatie_03Questo mancato coordinamento delle funzioni biomeccaniche integrate meniscali, porta le fibrocartilagini a subire una sollecitazione estrema che ne supera la naturale resistenza.

Le meniscopatie di origine degenerative sono dovute a una degenerazione del tessuto meniscale che perde le caratteristiche biologiche naturali diventando fragile.

I menischi non sono più in grado di rispondere ai requisiti programmati e vanno incontro a fissurazioni e deformazioni anche con movimenti banali e apparentemente innocui.

Non riescono più a dissipare i carichi di forza femoro-tibiali e non rispondono in maniera efficace alle dinamiche di trazione e di richiamo delle componenti muscolari, capsulari e legamentose.

Meniscopatie_04Classificando i vari tipi di lesioni meniscali abbiamo un quadro completo e dettagliato:

  • lesioni longitudinali
  • lesioni a manico di secchio
  • lesioni radiali
  • lesioni a becco di pappagallo
  • lesioni orizzontali
  • lesioni tipo flap
  • lesioni di tipo complesse relative alla rottura delle strutture di aggancio del menisco rispetto ai corni di ancoraggio, rispetto alla capsula articolare, rispetto alle strutture legamentose (solitamente sono conseguenti ad eventi traumatici distorsivi o fratturativi).

La classificazione delle lesioni meniscali si basa secondariamente alla localizzazione della lesione in essere:

  • corno posteriore
  • corpo meniscale
  • corno anteriore.

In entrambe le situazioni traumatiche o degenerative, il menisco più colpito generalmente è il mediale, perché maggiormente sottoposto ai delicati movimenti di traslazione.

Meniscopatie_05Per diagnosticare una meniscopatia i sintomi e i testi clinici sono sufficientemente capaci di individuare il problema specifico, ma l’esame di risonanza magnetica ci mostrerà con efficacia e chiarezza il tipo di danno e l’estensione anatomica della porzione meniscale coinvolta.

Utilizzata a scopo diagnostico è anche l’artroscopia stessa che permette di indagare in maniera diretta lo stato anatomico intrarticolare.

I sintomi di una meniscopatia sono vari e si manifestano in condizioni diverse:

  • gonfiore del ginocchio
  • perdita di forza muscolare 
  • instabilità del ginocchio
  • scrosci articolari
  • sensazione di blocco articolare all’escursione massima
  • blocco articolare in alcune di gradi di flesso-estensione del ginocchio
  • cedimento articolare nel salire o scendere le scale.

Meniscopatie_06La terapia verrà suddivisa in due grandi capitoli:

  • conservativa
  • chirurgica

Nella terapia conservativa si cercherà di:

  • ridurre l’infiammazione utilizzando antinfiammatori non steroidei e applicazioni di ghiaccio
  • aumento della viscosità per mezzo di infiltrazioni di acido ialuronico
  • recuperare il tono muscolare che inevitabilmente a causa del dolore tenderà a diminuire
  • lavoro propriocettivo per recuperare la stabilità dinamica articolare
  • drenaggio vascolo-linfatico
  • riequilibrio delle catene muscolari
  • riequilibrio dell trofismo capsulo-legamentoso
  • riequilibrio delle strutture biomeccaniche e della loro funzione rispetto alla superficie articolare e ai movimenti coordinati muscolari, legamentosi e capsulari.

Meniscopatie_07Nella terapia chirurgica si procederà a:

  • una meniscectomia parziale ovvero all’asportazione della sola porzione lesionata del menisco (non si eseguono più gli interventi di asportazione totale per evitare la formazione di un’artrosi articolare precoce),
  • sutura del menisco lì dove si sia creato una lacerazione,
  • pulizia chirurgica articolare che comprenderà i menischi.

A seconda del tipo di intervento chirurgico eseguito, si procederà alla riabilitazione per il recupero articolare, per il recupero del tono e del trofismo muscolare, per il recupero della deambulazione e della propriocezione articolare.

I menischi sono un vanto dell’architettura umana, purtroppo vanno facilmente incontro ad usura, degenerazione e traumi, ma con delle nozioni chiare e semplici siamo in grado di prevenire e curare al meglio le patologie che li riguardano.

Ozonoterapia

L’ozonoterapia è una miscela di ossigeno e ozono utilizzata per scopi terapeutici.

L’obiettivo è quella di introdurre maggiore quantità di ossigeno nel corpo tramite l’ozono.

È una terapia che può essere utilizzata per molte patologie ma al momento l’evidenza scientifica ne certifica efficacia reale solo per l’ernia del disco.

Il concetto è quello di utilizzare la molecola reattiva di ozono.

ozonoterapia_1La molecola di ozono è formata da tre atomi di ossigeno, di cui due atomi creano la molecola base e il terzo atomo di ossigeno può staccarsi per interagire con le molecole di altre sostanze.

Nel corpo umano l’ozono viene prodotto direttamente dei globuli bianchi ed è utilizzato per attaccare i corpi estranei neutralizzando l’agente invasore, per interagire con i processi infiammatori diminuendone gli effetti e come disinfettante naturale.

Ricapitolando i potenziali benefici dell’ozonoterapia possiamo così elencarli:

  • azione antinfiammatoria
  • azione analgesica
  • rilascio e utilizzo dell’ossigeno corporeo
  • rilascio dei fattori di crescita con particolare beneficio del compartimento osteoarticolare
  • inattivazione virale
  • azione funghicida
  • azione sbiancante

ozonoterapia_2Di tutte queste interazioni benefiche scientificamente si è arrivati alla sola conclusione che l’applicazione di ozonoterapia manifesta benefici per l’ernia discale.

Viene iniettata una miscela gassosa di ossigeno e azoto direttamente nel’ernia del disco e nella zona vertebrale circostante, dopo alcune sedute e con il passare dei giorni, il tessuto del disco erniato tenderà a ridurre il proprio volume diminuendo la compressione sulle radici nervose e facendone regredire i sintomi periferici sensitivi e motori.

Ritornando ad argomentare l’ozonoterapia nel nei suoi molteplici aspetti, dobbiamo dire che l’applicazione vede varie modalità:

  • intra arterioso
  • intra venoso
  • intra articolare
  • sottocutaneo
  • applicazioni locali con creme ed oli
  • autoemotrasfusione, ovvero viene prelevato del sangue venoso, sottoposto a ozono e reimmesso nella circolazione sanguigna
  • insufflazione intestinale

L’ ozono non può essere somministrato per via inalatoria perché è dannoso per le membrane polmonari rovinandone il tessuto biologico.

ozonoterapia_3L’ ozono infuso nella circolazione sanguigna può decomporsi formando radicali liberi reattivi, che possono portare ad uno stress ossidativo, danneggiando strutture organiche e favorendo l’ insorgenza di malattie degenerative come l’aterosclerosi.

Pertanto le dosi di ozono somministrate non devono eccedere rispetto alle capacità degli enzimi antiossidanti di tenere a bada i radicali liberi formati dal processo ossidativo.

In conclusione l’ozonoterapia può essere un valido aiuto nel campo delle patologie vertebrali, supportando il percorso terapeutico, senza però perdere di vista la globalità del terreno di sviluppo patologico e le interazioni multifattoriali che riportano ad uno stato di buona salute.

Scoliosi

La scoliosi è un’alterazione della colonna vertebrale che si manifesta su vari piani dello spazio, stabilendo la sua gravità proprio in rapporto ai numeri dei piani impegnati e all’angolazione sviluppata.

La visione frontale è quella che primariamente viene coinvolta dando uno spostamento, verso destra o sinistra della curva vertebrale primaria, rispetto ad un ipotetico filo a piombo che si proietta dalla base del cranio fino a terra, con l’osso sacro come punto intermedio.

Oltre al piano frontale anche quello orizzontale e in alcuni casi il sagittale, vengono a modificarsi con l’aumento della patologia.

Abbiamo tre grosse distinzioni di causa:

  • atteggiamenti scoliotici
  • le scoliosi idiopatiche (ovvero senza motivo apparente)
  • le scoliosi secondarie

Nell’esame bisogna accertarsi se sia una deviazione patologica vera oppure solamente un atteggiamento, se sia idiopatica, oppure secondaria a delle condizioni malformative o patologiche pre esistenti, quali siano le caratteristiche delle malformazioni e che potenziale evolutivo abbiano.

L’atteggiamento scoliotico si differenzia dalla scoliosi vera per la presenza della deviazione di una porzione vertebrale solo sul piano frontale, senza la formazione di gibbi, mentre la scoliosi, alla flessione anteriore, denota un rilievo monolaterale;

le due differenti situazioni prevedono un’attenzione ed una cura ben diversa ed un piano terapeutico adeguato.

 

Le scoliosi vengono denominate in base alla curva primaria vertebrale che da il via alla patologia.

Hanno tutte una loro evoluzione, maggiormente pericolosa nell’età dello sviluppo e quindi della crescita ossea, è però altrettanto vero che il loro cambiamento può continuare anche nell’età adulta quando lo stato di salute generale crea situazioni afisiologiche che diventano condizioni di causa secondaria, alimentando la scoliosi stessa.

Altra condizione di evoluzione è il mancato compenso nel contesto posturale, quindi va cercato, oltre alla miglior correzione possibile, il mantenimento di un ottimale equilibrio posturale per evitare che la scoliosi possa irrigidirsi nel tempo, spostando le curve adattative su altri segmenti.

La gravità della scoliosi diventa maggiore quanto più i suoi gradi angolari salgono di valore; per valori alti la condizione ortopedica si sposta anche ad un contesto viscerale, dove una curva eccessivamente accentuata può generare dei disturbi di funzionamento a quegli organi che vengano compressi dalla deviazione vertebrale.

L’individuare un atteggiamento scoliotico o una scoliosi in fase iniziale, diventa fondamentale per attuare un piano terapeutico efficace ed ottenere il massimo recupero possibile.

 

Lombalgia

Quante volte abbiamo avuto a che fare con la lombalgia? Conosciamola mglio

È un dolore della zona lombare che genera un cattivo funzionamento della persona nelle attività quotidiane e nel riposo stesso.

image2Si manifesta per l’ alterazioni della normale anatomia vertebrale, per un cambiamento posturale, per la
modificazione del corretto funzionamento della zona interessata, per una degenerazione naturale o patologica dei tessuti inerenti, per traumi minimi ma ripetuti o singoli ma importanti.

Il funzionamento del movimento articolare vertebrale è così importante che alle volte la sua semplice modificazione, anche senza traumi o degenerazioni associate ed apparenti, possono dare vita a un dolore lombare e quindi ad una lombalgia.

image1La sintomatologia si presenta in maniera puntiforme o a fascia nel territorio lombare ma può anche irradiarsi sul gluteo, sulla coscia, sulla regione addominale bassa.

La mappa del dolore è dovuta a una o più strutture neurologiche periferiche che vivono a stretto contatto con le vertebre e con il canale midollare.

Oltre allo stimolo doloroso, che il nostro cervello recepisce ed elabora, si possono manifestare anche alterazione della sensibilità, della forza e della resistenza muscolare.

La centralina che gestisce l’equilibrio tra dolore, motricità e tono muscolare si trova nei recettori muscolari, tendinei e capsulo-articolari, capaci di influenzarsi tra di loro, per poi scambiarsi informazioni e relazioni con una parte del nostro cervello.

image3Si ha difficoltà a fare i movimenti più semplici, c’è sensazione di rigidità, di impotenza funzionale e di perdita dell’asse corporeo.

Fortunatamente nella maggior parte dei casi, le alterazioni anatomiche che si creano per il trascorrere del tempo, per attitudini lavorative, per microtraumi ripetuti o per predisposizione, concedono ancora un recupero, almeno parziale, di funzione capace di spegnere il problema della lombalgia.

Il recupero della corretta movimento ci permetterà lo svolgimento di una vita normale con l’accortezza di prestare attenzione a come utilizzare le nostra colonna e come mantenerla sempre perfettamente funzionante sia nelle posture statiche che in quelle dinamiche.

 

Artrosi e artite

Sono patologie spesso confuse, in realtà molto differenti tra di loro. Analizziamo le differenze

Artrosi

E’ una patologia degenerativa che coinvolge l’intera struttura articolare, ha varie fasi che evolvono in maniera progressiva.

Inizialmente le cartilagini si assottigliano, si fissurano e degenerano, in seguito l’osso pericartilagineo si modifica creando sclerosi
(ispessimento) e osteofiti (spuntoni), entrambe situazioni di sofferenza e di cambiamento della corretta architettura ossea.

Altro step è il coinvolgimento delle capsule articolari e delle membrane sinoviali (strutture che avvolgono le articolazioni con funzioni trofiche e di protezione delle stesse), le quali smettono di nutrire, di dare viscosità e di proteggere le cellule articolari rendendo inefficace il movimento stesso.

Il protrarsi di questa situazione può portare a una deformazione progressiva dell’articolazione e nei casi più gravi un cambio di asse dei capi articolari.

Un’artrosi che evolve porterà nel tempo ad avere un dolore locale e un’impotenza funzionale, i muscoli andranno in difesa accorciandosi e favorendo contratture, le catene muscolari perderanno il loro equilibrio.

Chi causa un artrosi?

Eventi traumatici articolari, eccesso di lavoro in condizioni avverse, un cattivo movimento, una riduzione o un eccesso dell’attività fisica, una predisposizione, un’alterazione dei carichi articolari innescati dalla perdita del corretto baricentro, la conseguenza nel tempo di danni articolari di tipo artritico.

Artrite

E’ una patologia infiammatoria a carico delle articolazioni e può colpirne una o più contemporaneamente.

L’infiammazione può essere multifattoriale e catalogabile in più famiglie.

Il quadro infiammatorio risponde alle 5 note caratteristiche: dolore, rossore, calore, tumefazione e inefficienza funzionale.

Le cause che innescano una patologia artritica sono molte: fattori metabolici, autoimmunitari, idiopatici (senza causa apparente), infezioni, traumi.

Le articolazioni dopo una attacco artritico vanno incontro ad un danno anatomico, la struttura cartilaginea viene danneggiata, l’osso subisce un rimaneggiamento, le capsule articolari e le membrane sinoviali vengono gravemente alterate.

L’artrite vive un momento di grande attività infiammatoria, alternata a momenti di silenzio, dove la struttura articolare tenta una guarigione riparatoria al danno subito, ma capita che l’attacco sia stato talmente importante o ripetuto, da lasciare le articolazioni particolarmente offese e deformate.

L’artrite porta un dolore e un impotenza funzionale tanto nella fase acuta, per la forte infiammazione in essere, quanto nel post per le conseguenze riportate.

Accade che un’articolazione danneggiata da artrite a seguire vada incontro ad un’artrosi degenerativa.