Esercizi per la spalla

Esercizi_spalla_01Nell’articolo della scorsa settimana ho parlato della sindrome da conflitto subacromiale.

Ho introdotto la patologia inquadrandola dal punto di vista anatomico, sintomatologico, eziologico, diagnostico e come viene approcciato nei vari capitoli sanitari (farmacologico, riabilitativo e chirurgico).

Oggi andrò ad esporvi come poter affrontare in maniera autonoma il ricondizionamento di salute della spalla qualora si possa fare a meno dell’aiuto di un professionista sanitario o nel caso ci sia bisogno di mantenere quello che i protocolli di medicina hanno ottenuto con le loro cure.

Vi ricordo brevemente che la spalla è composta da 5 articolazioni, 3 propriamente dette (articolazioni vere) e 2 articolazioni funzionali (articolazioni false).

Le 3 articolazioni propriamente dette sono:

  • l’articolazione gleno omerale (tra la testa dell’omero e la scapola – porzione della glena)
  • l’articolazione acromion clavicolare (tra la clavicola e la scapola – porzione dell’acromion)
  • l’articolazione sterno clavicolare (tra lo sterno e la clavicola)

Le 2 articolazioni fisiologiche sono:

  • l’articolazione sottodeltoidea
  • l’articolazione scapolo toracica

Esercizi_spalla_02I movimenti che la spalla può compiere sono:

  • elevazione anteriore (flessione)
  • elevazione posteriore (estensione)
  • abduzione (elevazione laterale)
  • adduzione (depressione mediale)
  • rotazione esterna
  • rotazione interna
  • circonduzione

La scala dei movimenti elencati è complessa, soprattutto perché vede la necessità di armonizzare e rendere corali, la sincronizzazione delle 5 articolazioni che entrano in gioco e della colonna vertebrale, la quale deve coadiuvare i movimenti nei sui valori più elevati.

Gli esercizi che sto per mostrarvi sono divisi in:

  • esercizi di stretching e di recupero articolare
  • esercizi per il ripristino del trofismo e del tono muscolare.

Gi esercizi di stretching vengono messi in un capitolo unico perchè una spalla patologica vede spesso congiunti gli accorciamenti muscolari alla perdita di articolarità, pertanto è ottimale coniugarli per ottenere un risultato bivalente ed efficace.

Vediamoli insieme:

ESERCIZI DI STRETCHING E DI RECUPERO ARTICOLARE

Esercizi_spalla_031) dalla posizione eretta poggio la mano sinistra su di un tavolo inclinando il busto in avanti.

Il braccio destro è penzoloni perpendicolarmente al pavimento.

Faccio un movimento di circonduzione del braccio destro in moto rotatorio

  • 5 volte in senso orario per 30 secondi
  • 5 volte in senso antiorario per 30 secondi

Questo esercizio aiuta a decoaptare la testa dell’omero rispetto alla gleno omerale

Esercizi_spalla_04

2) con la mano sinistra prendo il mio gomito destro, portando il braccio ad 80° medializzandolo.

  • 3 volte, mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio permette l’apertura dello spazio gleno scapolare postero-laterale e la traslazione esterna della scapola sul torace

Esercizi_spalla_053) mi siedo su uno sgabello con rotelle di fianco ad un tavolino basso.

Posiziono la mano destra sul piano di appoggio e mantengo il braccio dritto

Scendo con il busto in avanti mentre con il sedere vado in dietro per mezzo dello sgabello, in maniera da aprire lo spazio tra i torace e la spalla.

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio mi consente di aumentare l’elevazione anteriore della spalla in maniera passiva, evitando di creare compensi e di aumentare le contratture muscolari.

Esercizi_spalla_064) apro il braccio a 90° e poggio la mano sulla parete per fare punto fisso, il gomito è esteso e il busto è in posizione perfettamente frontale.

Mantenendo la posizione invariata della mano e del braccio, faccio una torsione del busto dal lato opposto come mostrato dalla freccia.

  • 3 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio permette l’apertura dello spazio gleno omerale mediale e l’avvicinamento della scapola alla linea mediale della colonna vertebrale

Esercizi_spalla_075) posiziono i palmi delle mani su entrambi i fianchi, subito sopra i glutei, da questa posizione avvicino i miei gomiti tra di loro e apro le spalle portandole indietro.

  • 4 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 30 secondi

Questo esercizio permette di aprire lo spazio anteriore delle spalle e di aumentarne l’elasticità capsulare e legamentosa, creando una sinergia con l’estensione della colonna vertebrale.

Esercizi_spalla_086) dalla fase 1 dove mi posiziono lateralmente alla parete, con la mano in appoggio sul muro, passo alla fase 2 dove porto il braccio ad alzarsi lateralmente, mentre il mio fianco tende ad avvicinarsi al muro di appoggio (come indicato dalle frecce rosse)

  • 4 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 40 secondi

Questo esercizio permette di aprire lo spazio gleno omerale inferiore e di coadiuvare il movimento a bascula della scapola rispetto all’estensione vertebrale.

Esercizi_spalla_097) mi posiziono sdraiato sul fianco con il braccio sinistro in appoggio a 90° rispetto al busto.

Con la mano destra afferro il polso sinistro e facendo perno sul gomito, faccio ruotare il braccio sia in senso orario che antiorario.

  • 3 volte in senso orario mantenendo la posizione massima raggiunta per 40 secondi.
  • 3 volte in senso antiorario mantenendo la posizione massima raggiunta per 40 secondi.

Questo esercizio permette di mobilizzare la testa dell’omero sia in rotazione esterna, quanto in rotazione interna, stabilizzando la scapola.

Esercizi_spalla_108) dalla posizione supina, con la mano destra del braccio dolorante, impugno l’apice del bastone e faccio aderire il gomito al busto, mantenendo un angolo di 90° tra braccio ed avambraccio.

Con la mano sinistra impugno l’altra estremità del bastone

Spingo il bastone con l’arto sinistro verso destra, come indicato dalla freccia.

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio mi aiuta a migliorare il movimento di rotazione esterna dell’omero stabilizzando la scapola rispetto al torace.

Esercizi_spalla_119) afferro un bastone con entrambe i palmi delle mani rivolte in avanti.

Con il braccio destro sano, spingo il bastone lateralmente a me e verso l’alto, come descritto dalla direzione della freccia. trascinando il braccio sinistro dolente e poco mobile, anch’esso verso l’alto.

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio mi permette di ricondizionare il movimento di abduzione, in maniera assistita, per migliorarne l’articolarità con il minimo impegno muscolare.

Esercizi_spalla_1210) afferro l’apice del bastone con il palmo della mano destra, ovvero con la mano del braccio dolente, mentre con la mano sinistra prendo la parte inferiore del bastone.

Alzo il bastone frontalmente a me e verso l’alto, come indicato dalla freccia.

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi.

Questo esercizio mi permette di ricondizionare il movimento di elevazione anteriore, in maniera assistita, per migliorare l’articolarità con il minimo impegno muscolare.

Esercizi_spalla_1311) impugno con la mano destra del braccio dolente un asciugamano portando il braccio dietro la schiena sopra la zona glutea.

La mano sinistra afferra l’altro capo dell’asciugamano e lo solleva sopra la spalla come mostrato nella figura.

Con la mano sinistra estendo il braccio verso il soffitto trascinando il braccio destro nella stessa direzione come mostrato dalla freccia.

  • 4 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 30 secondi

Questo esercizio mi permette di migliorare il movimento di rotazione interna del braccio associandola alla migrazione della scapola verso la zona mediale vertebrale, su di un piano frontale.


Dopo aver lavorato sul recupero dell’elasticità muscolare e dell’articolarità, passiamo adesso ad analizzare gli esercizi per il ripristino del trofismo e del tono muscolare.

ESERCIZI PER IL RIPRISTINO DEL TROFISMO E DEL TONO MUSCOLARE

Esercizi_spalla_141) dalla posizione supina inizio con la posizione 1, le braccia sono aperte a 90° rispetto al busto e i gomiti ben appoggiati alla superficie di contatto.

Da qui faccio un movimento per passare in maniera sequenziale alla posizione 2 e poi alla 3.

  • 20 volte ripetendo la sequenza senza interruzioni.

Questo esercizio mi permette di riattivare la muscolatura rotatoria specifica per l’omero, facendo lavorare le sue fibre muscolari nei range maggiori.

Esercizi_spalla_152) parto dalla posizione 1, supino e con le braccia lungo i fianchi, per arrivare alla posizione 2 con le braccia estese al massimo delle loro possibilità e i palmi delle mani rivolti uno verso l’altro.

  • 20 volte ripetendo la sequenza senza interruzioni

Questo esercizio mi permette di attivare a muscolatura per l’elevazione anteriore, scaricando parzialmente la funzione vertebrale, ma recuperando una coordinazione motoria sinergica coinvolgendo tutte e 5 le articolazioni della spalla.

Esercizi_spalla_163) sono seduto con la schiena ben eretta e le braccia lungo i fianchi.

Nella fase 1 porto le braccia a 90° frontalmente per poi proseguire nella fase 2 ad una elevazione completa delle braccia fin sopra la testa, con i palmi delle mani che si guardano tra di loro.

  • 20 volte ripetendo la sequenza senza interruzioni.

Questo esercizio mi permette di attivare la muscolatura per l’elevazione anteriore delle braccia mettendo in relazione la muscolatura intrinseca con quella vertebrale, ma riducendo al minimo i compensi eventuali che potrebbero manifestarsi sulla cerniera lombo sacrale.

Esercizi_spalla_174) parto seduto con le braccia posizionate lungo i fianchi e la schiena bene eretta.

Alzo le braccia per arrivare fin sopra la testa, facendo attenzione al movimento delle mani, le quali devono essere con i palmi rivolti verso il basso quando le braccia si trovano ad un’altezza di 90°, per poi essere con i palmi rivolti tra di loro nel momento della massima estensione delle braccia.

  • 20 volte ripetendo la sequenza senza interruzioni.

Questo esercizio mi permette di attivare la muscolatura per l’elevazione laterale delle braccia, mettendo in relazione la muscolatura intrinseca con quella vertebrale, ma riducendo al minimo i compensi eventuali che potrebbero manifestarsi sulla cerniera lombo sacrale.

Esercizi_spalla_185) utilizzo un elastico per esercizio fisico, che fisso su un punto di ancoraggio a scelta.

Nella posizione di partenza della fase 1, sto in posizione eretta, la mano afferra l’elastico e il gomito è flesso a 90° con il braccio aderente al busto.

Nella fase 2 porto il gomito posteriormente contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio mi aiuta a migliorare il trofismo e ad aumentare il tono muscolare per gli estensori posteriori della spalla, sfruttando il coordinamento della scapola nel medializzare verso la colonna vertebrale.

Esercizi_spalla_196) utilizzo un elastico per esercizio fisico che fisso su un punto di ancoraggio a scelta.

Nella posizione di partenza della fase 1, sto in posizione eretta, la mano afferra l’elastico e il gomito è flesso a 90° con il braccio aderente al busto.

Nella fase 2 porto il polso e l’avambraccio verso il gomito opposto, contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio mi aiuta a migliorare l’attività muscolare dei gruppi rotatori interni, con specificità maggiore per il segmento gleno omerale.

Esercizi_spalla_207) utilizzo un elastico per esercizio fisico che fisso su un punto di ancoraggio a scelta.

Nella posizione di partenza della fase 1, sto in posizione eretta, la mano afferra l’elastico e il gomito è flesso a 90° con il braccio aderente al busto.

Nella fase 2 porto il polso e l’avambraccio verso l’esterno, continuando a mantenere il gomito aderente al busto, con un angolo di 90°, contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio mi aiuta a migliorare l’attività muscolare dei gruppi rotatori esterni, con specificità maggiore per il segmento gleno omerale.

Esercizi_spalla_218) sono in posizione eretta con le braccia lungo i fianchi, impugnando un capo dell’elastico con la mano, mentre l’altro capo lo tengo bloccato dal piede omolaterale, come nella figura della fase 1.

Nella fase 2 piego il gomito portando la mano verso la spalla, contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio serve per attivare la muscolatura dei flessori del gomito, sincronizzandoli con i fissatori della scapola.

Esercizi_spalla_229) sono in posizione eretta, con una mano afferro il capo di un elastico per esercizio fisico, alzando il gomito fino all’orecchio e portando la stessa mano dietro la nuca.

Con l’altra mano afferro l’altro capo dell’elastico, accorciando la presa quanto basta per dare una giusta tensione di resistenza all’elastico, portando la mano dietro la schiena, come mostrato nella figura della fase 1.

Nella fase 2 mantengo la mano dietro la schiena ferma, creando un punto fisso, mentre l’altro braccio fa un estensione di gomito, contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio serve ad attivare i muscoli degli estensori del gomito, sincronizzandoli con i fissatori della spalla impegnati nella stabilizzazione in elevazione.

Esercizi_spalla_2310) sono in posizione eretta e con entrambe le mani afferro i due capi degli elettici da esercizio fisico.

Con i piedi blocco la porzione centrale dell’elastico e porto le braccia all’altezza delle spalle tenendo i gomiti flessi a 90° come mostrato nella figura della fase1.

Nella fase 2 estendo entrambe le braccia verso l’alto cecando di avvicinarle in maniera sincrona alla testa ed estendendo al massimo i gomiti.

  • 20 volte

Questo esercizio serve a migliorare la funzione muscolare degli elevatori delle spalle e nel contempo di aumentare la capacità di stabilità delle spalle stesse in armonia con le scapole.

Abbiamo esaminato più di venti esercizi per il recupero della funzionlità della spalla, sia a livello articolare, sia nel recupero muscolare.

L’articolazione della spalla ha un’importanza enorme per poter compiere i gesti usuali della quotidianità.

Non trascuriamola, abbiamo le possibilità di curarla per bene, con impegno, costanza e un po di spirito di sacrificio.

Diamoci da fare!

Il Modic cos’è?

Il Modic è una patologia vertebrale dall’alterazione dinamica del piatti discali vertebrali, ovvero è un’alterazione patologica delle limitanti somatiche vertebrali e del midollo osseo ad esse adiacenti, la cui causa ad oggi non è ancora ben definita.

Catalogazione del Modic

E’ catalogata su 3 livelli di differenti modificazioni e ognuno di di questi 3 stadi è l’evoluzione del precedente.

Parleremo pertanto di MODIC 1, MODIC 2, MODIC 3.

Modic 02Il MODIC 1, ovvero la base di partenza della patologia vertebrale in questione, viene catalogato come appartenente alle famiglia delle malattie infiammatorie non infettive della colonna vertebrale.

La sua vera eziologia, ovvero la natura della causa non è ancora definitivamente nota e le ipotesi ad oggi sono molte:

  • discopatie degenerative
  • discite occulta
  • reazioni autoimmunitarie
  • infezioni locali da germi anaerobici.

Queste condizioni, chiaramente diverse tra di loro, innescano un cascata infiammatoria che coinvolge la porzione perimetrale del piatto discale e quindi delle limitanti somatiche, con coinvolgimento per contiguità di una porzione del corpo vertebrale stesso.

C’è da dire che ci sono delle condizioni predisponenti nello sviluppo del MODIC primario, da ricercare nei fattori genetici, nell’età avanzata, nell’aumento del peso, nei dismorfismi vertebrali sia metamerici che delle curve vertebrali, nei sovraccarichi vertebrali, nelle patologie dismetaboliche, nel fumo.

Le alterazioni per Modic sono più spesso localizzate a livello L4-L5, L5-S1, ma non è assolutamente raro riscontarle anche in altri segmenti vertebrali, quali quelli delle dorsali basse e in maniera ridotta delle cervicali medio-inferiori.

Ma quali sono le differenze tra le classificazioni del MODIC?

Il tipo 1 (MODIC 1) è l’alterazione primaria ed è l’espressione di un processo infiammatorio acuto, associato alla co-presenza di tessuto fibrovascolare, insieme all’edema osseo della porzione intraspongiosa nella sede subcondrale.

Modic 03Il tipo 2 (MODIC 2) rappresenta la sostituzione adiposa del midollo rosso, ovvero la zona della spongia ossea, ormai libera dall’edema, viene riempita di grasso.

Nell’indagine di RM, si può riscontrare un’immagine intermedia tra la fase 1 e la fase 2, che sta ad indicare uno stadio di passaggio nella sua evoluzione.

Il tipo 3 (MODIC 3) è la fase di rimaneggiamento osseo con tessuto calcifico, ovvero il metabolismo cellulare, cerca di ricostituire la struttura ossea lesa, con una trama di tipo sclerotica e diversamente organizzata, rispetto alla spongiosa ossea subcondrale pre-modic.

Sintomatologia

Modic 04I sintomi che i pazienti affetti da MODIC raccontano durante l’anamnesi sono:

  • dolore localizzato a fascia
  • rigidità vertebrale, maggiormente acuita la mattina al risveglio e dopo lunghe pause di inattività
  • contrattura muscolare intensa e quasi permanente
  • dolore nello stendersi sdraiato soprattutto nelle prime decine di minuti dopo essersi messi nella posizione supina.

Il dolore è percepito ed elaborato per la grande innervazione di fibre sensitive e vasomotrici che l’osso ha, in una disposizione parallela al percorso arterioso che lo irrora.

C’è da dire che questa sintomatologia è attiva quasi esclusivamente nella fase 1 del MODIC, mentre già nella seconda e ancor più nella terza fase, i sintomi si affievoliscono notevolmente.

Ma se il MODIC 1 è caratterizzato dalla forte sintomatologia algica e da uno stato di impotenza funzionale anche nelle attività fisiche minori, il MODIC 2 e 3 cosa comportano?

Il MODIC 2 da uno stato di minor resistenza vertebrale, perché l’osso vive in quel momento, una sostituzione con tessuto adiposo a scapito del tessuto osseo dalle chiare componenti architettoniche, necessarie a recepire e dissipare le forze compressive dei carichi gravitazionali e della normale biomeccanica vertebrale.

Il MODIC 3 instaura una zona più o meno vasta di tessuto sclerotizzato e pertanto maggiormente rigido rispetto alla natura dell’osso, che invece necessita di un equilibrio tra la rigidità dell’astuccio periostale e l’elasticità delle porzione trabecolare.

Qual’è l’indagine diagnostica che meglio riesce a definire lo stato in essere del MODIC, nelle sue varie forme e quindi nelle sue 3 diverse fasi?

Modic 05La RM è l’indagine diagnostica che riesce a visualizzare nella maniera migliore i vari stadi patologici del MODIC, analizzando l’elaborazione delle immagine nelle sequenze T1 e T2, differenziandone il colore in maniera sufficientemente precisa e così rappresentandole:

Modic di tipo 1: Iperintenso in T2, ipointenso in T1

Modic di tipo 2: Iperintenso in T2 e in T1

Modic di tipo 3: Ipointenso in T2 e T1.

Modic 06Qualora si riscontri il MODIC nella sua prima fase, può essere utile richiedere delle indagini di laboratorio per escludere reazioni di tipo autoimmunitario, oppure la presenza di infezioni, o di dismetabolismi di vario genere, nella ricerca di un’eziologia, plausibile tra tutte le varie cause possibili.

Sarà anche utile richiedere un’rx di colonna in toto per poter valutare lo stato anatomico delle curve di cifosi e lordosi, nel tentativo di individuare un eventuale sovraccarico vertebrale, nei suoi fulcri strutturali cruciali.

Il trattamento

Una protocollo di cura specifico per il MODIC ad oggi non c’è; generalmente l’approccio mira a ridurre la sintomatologia, ad arginare le cause qualora fossero state isolate e definite, per poi accompagnare il paziente ad un recupero funzionale vertebrale sia nel movimento, sia nel recupero della miglior postura, che nell’elasticità muscolare, stimolando in concomitanza il metabolismo osseo a riparare il danno da edema infiammatorio.

Il MODIC è una patologia poco nota ma facilmente riscontrabile, purtroppo fortemente limitante e con un tempo di guarigione abbastanza lungo; proprio per questo va diagnosticato il prima possibile attivando da subito le cure del caso, limitandone i danni.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 01 Ho parlato molte volte del mal di schiena lombare, diverso per eziologia: artrosi, discopatie degenerative, sciatalgie, cruralgie, spondilolistesi, blocchi articolari acuti, instabilità vertebrale.

Ho più volte analizzato come queste diverse condizioni scatenano un percorso patologico con dolori di intensità variabili e in alcuni casi gravemente invalidanti anche nelle più banali attività di vita quotidiana, come camminare, stare in piedi, allacciarsi le scarpe, piegarsi in avanti, fare una torsione.

Non è raro che il dolore sulla zona lombare possa irradiarsi sul gluteo, sulla coscia, alle volte scendendo fino al piede.

Non ho mai argomentato però sull’utilizzo del busto per aiutare la risoluzione di una lombalgia e visto che molti dei miei pazienti ne hanno fatto uso, o me ne chiedono indicazioni, ho deciso di parlarvene cercando di dare dei consigli di massima sulle indicazioni di utilizzo nelle varie circostanze, a seconda delle caratteristiche dei vari modelli.

Affrontiamo l’argomento per ogni singola eziopatogenesi.

artrosiARTROSI

L’artrosi è una patologia degenerativa che riduce la mobilità e la funzionalità di uno o più segmenti vertebrali lombari.

Il dolore peggiora dopo una lunga pausa di riposo e migliora con la ripresa del movimento già dopo alcune decine di minuti.

Questa condizione non riesce ad essere aiutata dall’utilizzo di un busto lombare, perché ne ridurrebbe ulteriormente il movimento, ma ha bisogno di trattamenti fisioterapici mirati ad ottimizzare i metameri vertebrali, in una sinergia di movimento rispetto all’intero compartimento vertebrale e a quello sacro-iliaco.

DISCOPATIE DEGENERATIVE

Le discopatie degenerative si manifestano in varie misure.

Nei casi dove il disco si disidrati, facendo perdere la normale altezza di distanziamento tra una vertebra e l’altra, l’utilizzo di un busto di scarico può essere molto utile.

Il busto in questione dovrà estendersi su tutta la colonna con un doppio scarico che vedrà nelle sue estremità un appoggio sulle creste iliache del bacino e uno sulle spalle a livello del cingolo scapolare, con un supporto semirigido dato dalla presenza di stecche metalliche, per rendere il busto capace di non perdere la forma di scarico ed essere allo stesso sufficientemente malleabile per non bloccare del tutto i movimenti.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 05Questo tipo di busto avrà degli ancoraggi elastici e regolabili, con un stretch capace di aumentarne la rigidità.

Il busto non andrà assolutamente portato tutto il giorno, ma verrà indossato per un’ora sul finire della mattinata e per un’ora e mezza a fine pomeriggio, in maniera da supportare le vertebre, senza far perdere il tono muscolare al paziente.

Devo ricordare che la muscolatura oltre che avere il compito di guidare i movimenti, ha la funzione di sostenere la colonna vertebrale, evitando che collassi su se stessa contrastando la forza di gravità, pertanto è importantissimo non perdere il tono muscolare.


SCIALTALGIE E CRURALGIE DA ERNIE DISCALI

Che si parli di sciatalgia o di cruralgia da ernia discale, il paziente manifesta un dolore irradiato lungo il dermatomero corrispondente alla radice compressa, con un’irritazione associata del nervo.

In questo caso ci troviamo di fronte ad un’infiammazione tanto acuta quanto dolorosa con sintomi parestetici (formicolio, bruciore, etc.) e nei casi più gravi ci sarà un’associazione di segni motori quali la perdita di forza, di tono muscolare o la comparsa di crampi.

In questo caso è importantissimo ridurre l’infiammazione nel minor tempo possibile e mettere a riposo la parte, riducendo la mobilità del segmento lombare.

L’utilizzo del busto è un ottimo ausilio per aiutare la recessione del processo flogistico.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 06Il busto che verrà utilizzato sarà in stecche e stoffa, con un’estensione di area pari all’intero tratto lombare e alla zona alta del bacino, preferendolo con la presenza di cinghie regolabili nella compressione.

In questo caso il busto ha il merito di ridurre la mobilità nei 3 piani dello spazio, con una limitazione che sarà direttamente proporzionale alla compressione voluta dall’azione degli stretch.

Il busto verrà indossato per la metà delle ore mattutine, per la metà delle ore pomeridiane e per le ore serali antecedenti al riposo notturno.

Nelle ore in cui il busto non verrà indossato, il paziente è invitato a non compiere sforzi e movimenti esagerati, mentre le attività maggiormente faticose, potranno essere in parte concesse quando il busto verrà indossato.


BLOCCO ARTICOLARE ACUTO (“IL COLPO DELLA STREGA”)

Il blocco articolare acuto, che molti conoscono con il nome di colpo della strega, è un blocco di uno o più segmenti vertebrali in una posizione squilibrata e assolutamente non neutra, che viene mantenuta dallo stato di forte contrattura muscolare, alimentata dal riflesso del dolore stesso.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 07In questo caso è fondamentale ridurre la tensione muscolare e rimettere in equilibrio statico e dinamico le vertebre in blocco.

L’utilizzo del busto può essere un aiuto efficace, se utilizzato con un criterio ben specifico di supporto alla terapia.

E’ consigliato un busto in stecche e stoffa, con un’estensione di area pari all’intero tratto lombare fino alla zona alta del bacino, che non sia necessariamente dotato di stretch per la compressione graduale.

Lo scopo è di mettere a riposo la muscolatura vertebrale dallo stato di tensione eccessiva, in maniera tale che riducendo l’effetto sulla contrattura, il terapeuta possa mobilizzare con più facilità le vertebre in disfunzione.

Il busto se utilizzato per circa un’ora prima dell’intervento manipolativo e un’ora dopo l’intervento, aiuta a svincolare il paziente dallo stato di eccessivo squilibrio muscolare, tipico del blocco articolare acuto.

Al di la del capitolo manipolativo, il busto descritto può essere usato per massimo un’ora la mattina al risveglio, per poi indossarlo nuovamente a fine mattinata e nuovamente nel finale delle ore pomeridiane, sempre in un slot temporaneo di circa 1 ora, in maniera da alternare il riposo muscolare e la riduzione del dolore, con una ripresa graduale della funzionalità vertebrale.


INSTABILITA’ VERTEBRALE

L’instabilità vertebrale è una condizione articolare-legametosa che non consente una stabilità di posizione e di movimento per una perdita di solidità articolare.

Il paziente può manifestare lombalgie e/o radicoliti irritative che si vanno ad acuire proprio con l’aumento dell’attività fisica.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 08Il busto in questa situazione può essere molto utile se utilizzato durante le attività fisiche e nelle situazioni in cui il paziente sia costretto a mantenere la posizione eretta per lungo tempo.

Il busto che verrà utilizzato sarà in stecche e stoffa, con un’estensione di area pari all’intero tratto lombare fino alla zona medio-alta del bacino e sarà da preferire se con la regolazione della compressione per merito dello stretch sulle doppie cinghie.

Lo scopo è quello di stabilizzare il segmento lombare e sacro-iliaco, aumentando la compressione esterna tramite il busto, sostenendo in parte l’articolazione da quello che è il deficit osteo-legamentoso, evitando di creare dei movimenti eccessivi per la loro natura biomeccanica.

Abbiamo visto come e in quali casi l’utilizzo di un busto può essere di aiuto nella risoluzione di un problema vertebrale.

Non dobbiamo dimenticare che la diagnosi precisa è fondamentale e sarà proprio lei a guidare il percorso terapeutico più appropriato in ogni dettaglio.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Il dito a martello nel piede

il dito a martello nel piede feat 01Il dito a martello nel piede è un disturbo a carico dell’articolazione interfalangea distale, la quale si deforma assumendo un atteggiamento di flessione che, rispetto all’insieme dei segmenti falangei, crea una forma a z, radiograficamente apprezzabile.

Anatomia del dito a martello nel piede

il dito a martello nel piede feat 02Generalmente tale deformazione interessa maggiormente il 2°, il 3°, il 4° dito e può manifestarsi come dimorfismo singolo o associato ad una valgizzazione dell’alluce e/o ad un piattiamo dell’arco interno del piede, che porta alla predisposizione dell’ accavallamento del dito a martello sulle falangi contigue.

Le cause

La causa che sviluppa un dito a martello è da ricercare nella perdita di funzione del tendine estensore, il quale per un evento traumatico, per una lesione, per uno stiramento o per un disallineamento rispetto all’asse articolare, smette di funzionare correttamente, favorendo il comparto dei muscoli flessori falangei nel piegare il dito e mantenendo questa posizione in maniera stabile.

il dito a martello nel piede feat 03L’eccessiva lunghezza del dito può essere un’ulteriore causa di dimorfismo, nel momento in cui il piede è costretto, per causa di forza maggiore, a vivere buona parte della giornata nella scarpa.

In questo caso la calzatura stretta porta le articolazioni interfalangee a recuperare spazio attraverso la triplice flessione, con partenza dalla metatarso-falangea.

L’artrite reumatoide è una delle patologie associate, che può creare deformità a martello, secondariamente alla degenerazione articolare e alla sua conseguente deformazione.

Il piede cavo è una condizione frequente di predisposizione allo sviluppo del dito a martello, mentre il piattiamo della volta plantare interna, può portare ad un possibile accavallamento del dito rispetto alle falangi contigue.

il dito a martello nel piede feat 04L’utilizzo di calzature dalla punta stretta, rigide e con un tacco pronunciato oltre il dovuto, non sono assolutamente comode per la corretta postura del piede e possono favorire la predisposizione alla deformità del piede.

Sono presenti anche dei pazienti dove lo sviluppo del dito a martello si manifesta senza causa apparente (forma idiopatica), ma generalmente associata ad una predisposizione alla lassista capsulo-legamentosa, che non collabora nel mantenimento dell’asse articolare, rispetto alle leve tendinee.

Nella condizione ortopedica che stiamo oggi descrivendo, l’estensione del dito risulterà impossibile in maniera attiva e con il passare del tempo si mostrerà sempre più rigido anche nel tentativo di un’estensione passiva.

Una problematica frequentemente comune nel dito a martello del piede, è lo sviluppo di dolore, callosità e nei casi più esasperati, di ulcerazione, per il conflitto e l’attrito dell’articolazione interfalangea distale con la scarpa chiusa.

Non è raro che il paziente lamenti una metatarsalgia sul segmento del dito a martello, per il cambio di angolazione che inevitabilmente si presenta nell’asse osteo-articolare del dito in questione.

il dito a martello nel piede feat 05La diagnosi del dito a martello nel piede

La diagnosi del dito a martello e semplice perché evidente nella sua manifestazione, pertanto sarà sufficiente una visita specialistica con un attento esame obiettivo, supportato da una radiografia che dia l’immagine dello stato di salute articolare interfalangea e lo stato anatomico in essere del piede nella sua globalità.

Può essere molto utile richiedere uno studio baropodometrico statico e dinamico, per valutare l’appoggio del piede nelle diverse condizioni e capire se ci possano essere delle alterazioni sugli archi plantari, che predispongano ad un’evoluzione del cattivo posizionamento del dito.

Il trattamento

Il trattamento del dito a martello parte dalla gestione del piede nella quotidianità, utilizzando delle scarpe comode, morbide nella loro struttura e dalla pianta larga.

Nei casi in cui le volte plantari siano alterate, sarà proficuo utilizzare dei plantari che possano compensarle, rialzandole o scaricandole, in maniera da non sovraccaricare le teste metatarsali e le falangi, sia nella loro porzione articolare, che nelle sinergie muscolo-tendinee.

il dito a martello nel piede feat 06La fisioterapia incentrata al riequilibrio del piede rispetto all’intero arto inferiore, rispetto al bacino e a alla relazione vertebrale, associata ad una mobilizzazione automa, sarà utile e necessaria, per evitare lo sviluppo di rigidità articolari e deformazioni articolari maggiori.

Nei casi in cui nessuna terapia sia in grado di alleviare il dolore del paziente e di recuperare una sufficiente autonomia deambulatoria e di appoggio, si potrà procedere con la strada dell’intervento chirurgico, volto a raddrizzare il dito a martello.

il dito a martello nel piede feat 07Ovviamente nel periodo a seguire l’intervento chirurgico, sarà necessario procedere ad un recupero riabilitativo delle funzioni, evitando che si possano sviluppare delle rigidità post operatorie.

Non ultimo nella gestione del dito a martello, sarà necessario curare e guarire eventuali lesioni cutanee, qualora si dovessero manifestare.

Il dito a martello non può essere considerato una patologia, ma il suo dimorfismo articolare e tendineo, può risultare fastidioso, se non addirittura invalidante, nelle più banali attività deambulatorie e nell’equilibrio dell’appoggio bipodalico del paziente.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Neuroma di Morton

Il neuroma di Morton è una patologia dolorosa della parte anteriore del piede, a carico della zona di giunzione tra i nervi plantari e i nervi interdigitali.

Conosciamo meglio il Neuroma di Morton a partire dall’anatomia

I primi passano in prossimità dei metatarsi, i secondi si diramano dall’altezza delle teste metatarsali, ramificandosi verso le due dita contigue.

neuroma di morton 02Il nervo, ma più precisamente la guaina del nervo, tende a fibrotizzare, ispessendosi e sviluppando una protuberanza tondeggiante, all’altezza delle teste metatarsali, alle volte sensibile anche al tatto e alla mobilizzazione.

Il nervo più colpito è quello posizionato tra il 3° e 4° dito (3° spazio intermetatarsale), dove il volume delle teste metatarsali è maggiore.

Proprio per la biforcazione che il nervo interdigitale subisce, il dolore si irradierà sulla faccia laterale del 3°dito e quella mediale del 4°dito.

Non è assolutamente da escludere che il neuroma di Morton si possa sviluppare anche nel 2° e nel 4° spazio intermetatarsale.

Quali sono i sintomi del Neuroma di Morton?

I sintomi che il paziente lamenta possono essere:

  • dolore
  • bruciore
  • intorpidimento
  • formicolio

I 4 segni sopra citati si estendono dal punto dove si sviluppa il neuroma, andando ad irradiarsi anteriormente, lungo il decorso dei nervi interdigitali; difficilmente si ripercuotono a ritroso, ovvero verso la pianta dl piede.

neuroma di morton 03Alle volte viene riferita la sensazione di avere un corpo estraneo nella scarpa.

I sintomi inizialmente vengono lamentati durante la deambulazione, durante lo svolgimento di un’attività fisica, quando il paziente sta molto in piedi, quando mette le scarpe con il tacco, oppure scarpe strette in punta, mentre nella cronicizzazione patologica i disturbi si manifestano anche a riposo.

La comparsa dei sintomi è graduale, così come la loro intensificazione, il tutto dovuto all’aumento progressivo della fibrotizzazione della guaina del nervo in questione.

Le teste dei metatarsi sono la parte più voluminosa delle ossa metatarsali e pertanto occupano spazio a scapito dei tessuti limitrofi con cui convivono.

I fattori scatenanti

Il processo di fibrotizzazione può essere causato da molteplici fattori che agiscono singolarmente o si associano tra di loro.

neuroma di morton 04Vediamo quali possono essere:

  • sfregamento del nervo sulle teste metatarsali
  • compressione del nervo tra i tessuti molli e le teste metatarsali
  • aumento del tessuto fibroso limitrofo
  • piede piatto
  • dita a martello
  • appiattimento della volta plantare trasversa
  • microtraumi ripetuti
  • sollecitazioni ripetute
  • utilizzo eccessivo delle scarpe con il tacco
  • utilizzo eccessivo delle scarpe strette in punta
  • presenza di callosità importanti nell’area metatarsale.

Come si diagnostica il neuroma di Morton?

Come sempre è fondamentale un’anamnesi attenta, che raccolga i dati sia sintomatologici, sia della modalità della manifestazione del dolore, sia dei fattori possibili scatenanti nel tempo a lungo termine che nella giornata.

Validi sono i test utilizzati per scatenare in maniera specifica i sintomi patologici, oppure esami palpatori che possano valutare la presenza di masse anomale nello spazio intermetatarsale o la presenza di uno scatto alla mobilizzazione.

Sempre di fondamentale aiuto sono le indagini strumentali, capaci di farci vedere le alterazioni anatomiche e la presenza della fibrotizzazione della guaina del nervo.

neuroma di morton 05Gli esami comunemente utilizzati sono:

  • l’ecografia
  • la risonanza magnetica.

Va detto che l’ecografia e le radiografie sono utilizzate anche nei casi dove la patologia in questione sia dubbia e sia necessario valutare delle diagnosi differenziali che possano manifestare sintomi simili.

neuroma di morton 06Queste patologie differenti ma simili per sintomatologia possono essere:

  • borsiti
  • capsuliti
  • fratture da stress
  • microfratture
  • osteocondrosi metatarsali
  • forme artrosiche o artritiche.

La terapia del neuroma di Morton ha molte possibili alternative da utilizzare.

Può essere trattato in maniera conservativa, oppure con intervento chirurgico.

Vediamo quali sono le varie alternative:

  • neuroma di morton 07antinfiammatori e/o antidolorifici
  • infiltrazioni locali ecoguidate di vario genere e varia natura come collagenasi, cortisone, antinfiammatori non steroidei, terapie queste che hanno funzioni differenti, ma con l’obiettivo comune di ridurre il volume e la fibrosità del neuroma
  • radiofrequenza ablativa che tramite il riscaldamento, con corrente alternata, della punta metallica introdotta, provoca una piccola bruciatura che distrugge il tessuto ove applicato
  • fisioterapia per mobilizzare il nervo, ridurre le fibrosità, eliminare l’infiammazione, recuperare il trofismo dei tessuti molli, supportare l’appoggio del piede a terra, migliorando la funzione degli archi plantari trasverso e mediano.

La chirurgia dà il suo grosso contributo nel momento in cui le terapie conservative falliscano o non diano il beneficio preventivato.

L’intervento chirurgico percorre due direzioni differenti tra di loro, valide entrambe a seconda di quale sia la causa scatenante del neuroma di Morton.

La neurectomia prevede l’asportazione di tessuto fibroso dal nervo interdigitale sofferente.

La decompressione chirurgica, ha l’obiettivo di aumentare lo spazio circostante al nervo in questione, per ridurre gli effetti irritativi infiammatori.

Come prevenire?

Abbiamo capito quali possono essere le cure utilizzate per affrontare la patologia di oggi, ma cerchiamo anche di capire come prevenire la manifestazione del neuroma di Morton.

E’ importante utilizzare scarpe dalla pianta comoda che non stringano in punta, cosi come è importante che non si utilizzino le scarpe con il tacco per tante ore consecutive e per lunghi periodi, in maniera da non sottoporre a eccessivo stress di carico, la zona dell’avampiede e dei metatarsi.

neuroma di morton 08Bisogna assolutamente evitare che il piede si irrigidisca nelle sue porzioni articolari.

Si deve stare attenti alla corretta funzione degli archi plantari sia nella statica che nella dinamica del paziente, suonando un campanello di allarme nelle condizioni di piede piatto, di piede cavo e nelle malformazioni delle dita a martello.

L’attività fisica è sempre consigliata, cosi com’è consigliata l’attenzione nell’utilizzo di scarpe adatte a dissipare i carichi ripetuti e potenzialmente lesivi nelle zone del piede più a rischio.

La percentuale di guarigione è molto alta e le alternative di cura sono molte, questo però non deve dare motivo di farci cogliere impreparati.

Abbiamo tutte le possibilità di vivere al meglio la nostra quotidianità e l’attività fisica, godiamoci la nostra salute.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Caldo e freddo nelle patologie ortopediche

Ovvero tutto quello che avreste voluto sapere ma non avete mai osato chiedere su come usare il caldo e il freddo nelle patologie ortopediche.

caldo e freddo nelle patologie ortopediche

Terapia del caldo e del freddo

Spesso si sente parlare di terapia del caldo e del freddo, ovvero la tipica borsa dell’acqua calda o del ghiaccio, utilizzate come termoterapie esogene, ma non sempre si conoscono bene quali siano le condizioni che portano alla scelta di una o dell’altra, in base alla problematica che il paziente ha e i sintomi che se ne associano.

La scelta tra la terapia del caldo e del freddo può non essere così scontata.

Cerchiamo allora di fare chiarezza e dare dei consigli semplici ed utili.

CuteLa prima cosa che dobbiamo imparare è che queste due terapie, agiscono sui vasi sanguigni, vasocostringendoli nel caso del freddo e vasodilatandoli nel caso del caldo.

In entrambi i casi il microcircolo subisce un cambiamento.

Il freddo ha anche il merito di ridurre la sensibilità locale e quindi di desensibilizzare la zona dove viene applicato.

Già questa prima indicazione ci porta a fare dei ragionamenti sulla scelta applicativa.

Come dicevamo le patologie a carattere ortopedico/traumatologico, sono differenti tra di loro e alcune di esse beneficiano del caldo e altre del freddo.

Quando usare il caldo

caldo e freddo nelle patologie ortopedicheIl caldo con la sua reazione vasodilatatrice, ha un effetto metabolico, migliorando l’afflusso di sangue e con esso di ossigeno e di nutrimenti, rendendosi utile nelle patologie di origine artrosica, dove la rigidità articolare soprattutto dopo le ore notturne, ovvero al risveglio mattutino, o dopo molte ore passate ferme nella stessa posizione, come ad esempio nello stare seduti in auto per un lungo viaggio, riscontra una rigidità articolare associata ad un dolore localizzato, per la riduzione della produzione di liquido sinoviale all’interno dell’articolazione.

La terapia del caldo ha moti vantaggi anche nel ridurre lo stato di tensione muscolare ed attenuare le contratture muscolari o le retrazioni.

Anche per quello che riguarda i tessuti molli capsulo-legamentosi, il calore aiuta a ridurre lo stato di fibrosità e di retrazione.

Un esempio tipico è la rigidità articolare, dove le capsule articolari ed i legamenti, che spesso hanno rapporto di contiguità con la membrana articolare, fibrotizzano, riducendo la capacità biologica tessutale e creando retrazioni che limitano il movimento articolare.

Il calore aumentando la capacità vascolare, può essere di supporto anche alle lesioni dei tessuti, dov’è necessario un apporto di sostanze nutritive ematiche e di ossigeno, per avviare e consolidare il processo di guarigione.

Quando usare il freddo.

freddo nelle patologie ortopedicheIl freddo ha un effetto di vasocostrizione ed è fortemente indicato nelle infiammazioni attive, dove vanno limitate il prima possibile le tumefazioni e gli stravasi edematosi per un’iperemia locale, che comporta l’aumento di calore locale e un arrossamento della parte.

Il ghiaccio ha anche la capacità di ridurre il dolore, desensibilizzando la zona di applicazione del freddo, diminuendo l’effetto del circolo vizioso che si crea tra dolore ed effetto vascolare neurovegetativo.

Sempre per effetto vasocostrittivo, il freddo diventa un terapia di attacco fondamentale nelle situazioni di edema per lesione dei vasi venosi periferici.

La terapia del freddo è pertanto indicata negli eventi traumatici da impatto o distorsivi, dove il paziente riporta gonfiore, edema, comparsa di ematomi, dolore acuto al movimento e alla palpazione.

Per cercare di essere semplici nelle indicazioni sull’utilizzo del caldo e del freddo, andrò a fare un elenco delle indicazioni e controindicazioni di entrambe le applicazioni.

Indicazioni e controindicazioni

Utilizzo del caldo indicazioni:

  • contrattura muscolare
  • retrazione muscolare
  • strappo muscolare in fase riparativa
  • artrosi
  • artrite in fase silente
  • rigidità articolare
  • fibrosità dei tessuti molli capsulo-legamentosi
  • dolore di tipo muscolare.

Utilizzo del caldo controindicazioni:

  • strappo muscolare in fase acuta
  • infiammazioni
  • edema
  • ematoma
  • artrite in fase attiva.

Utilizzo del freddo indicazioni:

  • strappo muscolare in fase acuta
  • infiammazioni
  • edema
  • ematoma
  • artrite in fase attiva
  • dolore di tipo infiammatorio

Utilizzo del freddo controindicazioni:

  • contrattura muscolare
  • retrazione muscolare
  • strappo muscolare in fase riparativa
  • artrosi
  • artrite in fase silente
  • rigidità articolare
  • fibrosità dei tessuti molli capsulo-legamentosi.

Caldo e freddo nelle patologie ortopediche si possono usare insieme?

caldo e freddo nelle patologie ortopedicheNon è assolutamente raro trovarsi nella condizione di alternare le due applicazioni di termoterapia esogena, nel qual caso il paziente passi da una situazione acuta ad una cronica, dove da una situazione di infiammazione e dolore, si passa ad una necessità di migliorare il trofismo biologico tessutale, per riparare o migliorare lo stato di salute di uno o più tessuti.

Dalla lettura di questo articolo risulta facilmente intuibile che l’utilizzo del caldo o del freddo, come valida terapia di supporto, è fruibile solo dopo una diagnosi certa, perché uno sbaglio sulla valutazione del problema riportato e del suo stato in essere, può modificare completamente la scelta sull’utilizzo di applicazioni del calore o del freddo.

E’ doveroso specificare quali siano gli errori più frequenti da parte dei pazienti nell’utilizzo del freddo e del caldo.

ghiaccio ustioniIl freddo va applicato sulla parte interessata con lo scopo di rifreddare la parte e va assolutamente evitato “l’effetto congelamento”, perché il corpo come reazione di difesa a tale evento, attiverebbe una reazione contraria alla vasocostrizione, aumentando il flusso del microcircolo con effetto vasodilatatorio.

Altro errore frequente è quello di applicare il ghiaccio direttamente sulla cute, provocando geloni, ustioni da congelamento, o lacerazioni da rimozione.

Anche nell’applicazione del caldo si può cadere in alcuni errori banali, come le ustioni da eccesso di calore e lo sviluppo di edemi per il troppo perdurare delle applicazioni con calore eccessivo sulla parte.

Il caldo e il freddo sono delle ottime termoterapie esogene, ma vanno utilizzate con attenzione per renderle efficaci ed evitare effetti collaterali indesiderati.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Protesi d’anca

La protesi d’anca è sicuramente l’intervento ricostruttivo che vanta la più alta efficacia nella risoluzione del dolore e dei problemi di movimento dei pazienti che vi si sottopongono.

Protesi d’anca

La protesizzazione articolare è uno dei passi avanti più importanti nella gestione e nel recupero della salute ortopedica, per patologie di tipo croniche, degenerative e in alcune situazioni acute.

Protesi_anca_02Non tutte le articolazioni possono essere sostituite e non tutte le articolazioni sostituibili vantano lo stesso risultato, ma le strutture che maggiormente subiscono un impianto protesico, anche, ginocchia, spalle, come soluzione estrema ad un percorso di cura che non ha portato sufficienti risultati, hanno un guadagno buono tanto da far recuperare al paziente una qualità di vita migliore e un’autosufficienza nella quotidianità.

Andiamo adesso nello specifico parlando della protesi d’anca.

Le protesi d’anca non sono tutte uguali ne per materiali, ne per forma, ne per grandezza.

Non sono neanche tutte uguali per tipologia di impianto all’interno del femore ne per alloggio nell’acetabolo del bacino.

Protesi d'ancaLa scelta di protesizzazione può essere parziale o completa decidendo di sostituire tutta l’articolazione o solamente una parte di essa.

Le condizioni che le rendono differenti sono dovute al soggetto che la riceverà, giovane, meno giovane e anziano, per tipo di patologia e per evoluzione della tecnologia di progettazione e confezionamento.

Anche le zone di accesso chirurgico possono differenziarsi, garantendo lo stesso risultato per quanto riguarda il posizionamento della protesi, ma diversi per tempi di recupero biologico del paziente rispetto al danno chirurgico che inevitabilmente si crea con l’intervento.

Le protesi d’anca non durano in eterno ma sono soggette ad usura dei materiali che la costituiscono, generalmente durano circa 25 anni se utilizzate correttamente.

La ricerca spinge per renderle sempre più longeve, stabili e di minor impatto rispetto al tessuto organico dove le si impiantano.

A chi si propone?

Come accennavamo l’orientamento nella scelta della protesi si baserà su chi deve riceverla.

Le protesi che si metteranno in età giovanile e che con tutta probabilità, saranno soggette a revisioni (sostituzione), avranno un alloggiamento che non prevederà la cementazione della protesi nello spazio di riempimento, ne l’utilizzo di una protesi con uno stelo lungo, in modo tale da facilitarne la rimozione e causare il minor danno biologico nel momento dell’estrazione per sostituzione.

Nel caso di una persona anziana si tende ad utilizzare la cementazione degli spazi periprotesici di riempimento e l’utilizzo di steli un po’ più lunghi in modo da rendere la protesi stabile il prima possibile e rimettere il paziente subito in piedi per evitare le pericolosissime complicanze dell’allettamento prolungato.

Protesi d'anca rxLe protesi vengono utilizzate nei soggetti con forte artrosi, patologie autoimmunitarie come l’artrite reumatoide e simili, in casi di patologie malformative alla nascita e nel periodo dell’accrescimento (displasia congenita dell’anca, morbo di Perthes e altre), in situazioni di frattura articolare dove l’articolazione risulti irrimediabilmente danneggiata, ai casi di collasso vascolare per patologie dismetaboliche che portano alla necrosi dei capi articolari, nelle patologie tumorali ossee (in quest’ ultima situazione verranno utilizzate delle protesi tumorali che però meritano un articolo a se).

Il post intervento

Adesso parliamo delle situazione di recupero post intervento di protesizzazione.

Le ripresa sia dagli esiti del post intervento che nell’attività di vita quotidiana, cambia molto rispetto all’età del paziente e alla causa per cui il paziente è stato operato.

In percentuale il recupero più lineare lo abbiamo sui soggetti giovani che incorrono in una frattura non stabilizzazbile della testa o del colo del femore, oppure nei soggetti giovani che dopo frattura e intervento chirurgico di stabilizzazione con mezzi di sintesi, vanno incontro a necrosi della testa del femore e quindi a protesizzazione dell’articolazione.

Protesi_anca_05In percentuale i recuperi più tortuosi sono i soggetti anziani che protesizzano per un problema di grave artrosi, con perdita di asse meccanico e di tono muscolare.

Una considerazione a se meritano le patologie autoimmunitarie perché generalmente colpiscono soggetti giovani ma con quadri di degenerazione e infiammazione cronicizzati per lungo tempo, il tutto porterà ad un recupero cauto per evitare che l’infiammazione autoimmunitaria possa creare disagi ai tessuti che ospitano la neo articolazione.

Quello di cui bisogna tenere sempre conto nel recupero post intervento è:

  • la stabilizzazione della protesi rispetto alla parte ossea di innesto
  • il drenaggio e l’eliminazione delle raccolte di liquidi vascolari e linfatici che si addensano nelle zone anatomica in essere
  • recuperare ed elasticizzare la cicatrice
  • recuperare il tono muscolare
  • riprendere la normale articolarità, non tanto della protesi in se è per se ma della protesi rispetto alle strutture articolari direttamente inerenti come il ginocchio, la sinfisi pubica, l’articolazione sacro iliaca, la zona lombare
  • recuperare gli accorciamenti muscolari e le fibrotizzazioni che in maniera maggiore o minore ogni patologia sopra citata creano per compenso.

Protesi_anca_06Va pensato che la protesi deve rimettere il paziente nella condizione di poter ristabilire il miglior rapporto rispetto al resto della struttura ortopedica, tanto in statica quanto in dinamica, perciò andrà reintegrata nello schema ottimale che meglio la fa funzionare.

Il lavoro della fisioterapia e dell’osteopatia possono migliorare in fretta il processo di recupero e guarigione perché sono in grado di lavorare sul recupero e sul reintegro delle funzioni precedentemente perse.

La farmacologia potrà invece aiutare a gestire nelle prime fasi il dolore e l’ infiammazione tipica delle giornate post intervento chirurgico.

Protesi_anca_07La protesi d’anca è un aiuto qualitativamente valido per la gestione della salute ma non dimentichiamo che meglio la utilizziamo e la integriamo con il resto della struttura ortopedica e più sarà affidabile e duratura.

 

 

Le influenze adattative della postura

postura 01Ho parlato della postura già in più occasioni e in un articolo specifico precedentemente redatto, avevo descritto gli aspetti generali inerenti ( https://ambrogioperetti.it/postura/ ).

Oggi voglio riprendere l’argomento per fare un upgrade sulle influenze adattative che modificano la postura.

Come sappiamo la postura è la capacità dell’essere umano di adattarsi alla forza di gravità.

L’individuo si adatta utilizzando relazioni causa-effetto di vario genere e natura, siano esse di tipo endogeno (biomeccanici, neurofisiologici, patologici,etc.), che di tipo esogeno (adattamento agli ambienti esterni fisici, di relazione, emotivi, psicologici etc.).

postura 02Queste relazioni si sviluppano, si evolvono, si modificano, in maniera continua nell’arco della vita.

L’evoluzione della postura inizia da subito, ovvero già dalla nascita del bambino.

Nelle fasi iniziali, c’è una lotta contro la gravità, vinta con lo sviluppo di un’architettura vertebrale organizzata in due lordosi e una cifosi dorsale.

postura 03 postura 04La linea di gravità legata all’assetto vertebrale risulta stabile e posturalmente funzionale, se rispetta dei punti di passaggio ben definiti e se termina su una base di appoggio plantare neutro:

  • forame magno occipitale
  • L3
  • base di appoggio.

postura 05Lo sviluppo vertebrale deve anche tenere conto delle relazioni anatomo-funzionali, con 3 grossi contenitori e con il loro contenuto:

  • il cranio
  • il torace
  • il bacino.

postura 06

Insieme ad esse non vanno tralasciate le loro strutture di collegamento:

  • muscoli
  • tendini
  • legamenti
  • midollo spinale
  • fascia
  • visceri
  • vasi.

postura 07Ma insieme a tutto questo ci sono dei fattori condizionanti, che possono mutare la postura della persona in maniera disequilibrata, vediamo insieme quali sono.

La posizione della testa e il suo adattamento cervicale è il timone della postura.

Per avere un buon allineamento vertebrale, il mento deve essere in linea con la sinfisi pubica e le orecchie devono cadere sulle spalle.

Anche l’adattamento del piede al suolo, determina un cambiamento della postura, per una serie di compensi nei 3 piani dello spazio delle articolazioni di caviglia, ginocchio ed anca, influenzando il bacino e conseguentemente il sacro, i quali a loro volta determinano una modificazione posturale con un adattamento primario lombare.

Pertanto possiamo dire che le due estremità dell’assetto posturale, ovvero la testa e i piedi, possono ragionevolmente modificare la posizione del corpo nello spazio.

Ma tra queste due porte posturali, abbiamo un insieme di sistemi primari di enorme influenza.

postura 08La vista può determinare un cambiamento di assetto della testa per:

  • difficoltà di messa a fuoco dell’immagine tra la rifrazione del cristallino e l’impressione sulla retina (es: miopia, astigmatismo, ipermetropia)
  • alterazioni anatomo-patologiche della retina stessa (es: maculopatia)
  • danno anatomico del nervo ottico [2° n.c.] (es: glaucoma, diabete, nevriti etc.)
  • difetto di conversione degli occhi causati da un deficit muscolare o del nervo oculomotore [3° n.c.], nervo trocleare [4° n.c.], nervo abducente [6° n.c.]

postura 09Il cambiamento della qualità visiva, porta ad un compenso della posizione della testa.

Il compenso può manifestarsi nei 3 piani dello spazio, ovvero sagittale, frontale, orizzontale e può verificarsi su un piano unico o su più piani, in maniera combinata.

I condili occipitali della testa, coinvolgeranno il segmento cervicale, come curva primaria adattativa.

Altro condizionamento posturale molto rilevante è l’occlusione dentale con tutte le sue possibili disfunzioni adattative e meccaniche:

  • 2°classe
  • 3° classe
  • cross bite
  • blocco della mandibola in apertura
  • blocco della mandibola in chiusura.

La retropulsione della mandibola causa una flessione dell’occipite e quindi del capo.

L’antepulsione della mandibola causa un’estensione dell’occipite e quindi del capo.

La deviazione laterale della mandibola (cross bite), porta ad un compenso traslativo della testa.

Il blocco della mandibola in chiusura o in apertura, porta ad un compenso dell’occipite in flessione o in estensione.

Come possiamo facilmente comprendere, la bocca e l’articolazione temporo-mandibolare, influenzano enormemente la posizione della testa e con essa il timone superiore della postura.

Il sistema dell’equilibrio è un’altra componente che ha grande rilevanza nella postura; nel momento in cui dovesse andare in tilt, metterebbe il paziente in una ricerca continua della stabilità posturale, rispetto al piano di appoggio.

postura 12Le cause della disfunzione vestibolare sono da ricercare:

  • nelle cervicali con coinvolgimento dell’arteria vertebrale e del ganglio stellato ortosimpatico
  • nel nervo vestibolo-cocleare [8° n.c.], come nervo deputato alla trasmissione dei dati
  • nel vestibolo per il contenuto dell’endolinfa e degli otoliti
  • nell’encefalo cerebellare, come sistema di elaborazione dati e risposta riflessa.

postura 13Anche la corticalizzazione delle posture, ovvero la memorizzazione del posizionamento del corpo nello spazio e del feedback propriocettivo-motorio, è importante, in quanto le posture scorrette possono essere memorizzate e corticalizzate, tanto nella statica quanto nella dinamica.

Il movimento respiratorio è un’altra chiave di forte influenza posturale, perché il cattivo equilibrio tra il motore primario diaframmatico e i muscoli accessori della respirazione, possono innescare un lavoro scompensato giustificato nella migliore ricerca ventilatoria polmonare.

Non è mai da sottovalutare lo stato di salute del tessuto fasciale di giunzione, soprattutto nel caso ci siano aderenze cicatriziali interne, attorno alle quali il corpo si organizza in maniera adattativa, per limitare gli effetti di trazione e dell’ eventuale attivazione del dolore locale.

I fattori emotivi e psicologici inquadrati nella crescita adolescenziale, nello stress, nel mobbing, nell’insicurezza, nella depressione, etc., fanno esprimere al soggetto il proprio disagio attraverso il linguaggio corporeo di chiusura e di anteriorità, tipici di un malessere personale.

Abbiamo visto che la postura nasce come un conflitto evolutivo contro la forza di gravità, il quale ci permette di stimolare la formazione di curve vertebrali capaci di mantenere un buon baricentro, sviluppando delle tonicità muscolari dedicate e sviluppando un sistema di controllo sempre attivo e pronto alla risposta, ma è anche vero che i sistemi di integrazione sono molti e se mal funzionanti possono causare delle alterazioni al sistema tonico-posturale.

Prendersi cura della postura è molto complesso, pertanto la necessità di integrare le informazioni anamnestiche e le valutazioni cliniche, ci metterà nella condizione di essere performanti con i nostri pazienti.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Lussazione di spalla

Per lussazione di spalla si intende una perdita della normale congruità dei rapporti articolari tra la testa dell’omero e la glena.

L’anatomia della spalla

L’articolazione geno-omerale, conosciuta anche come articolazione scapolo-omerale, consiste in una congiunzione tra la testa omerale di tipo sferica che si adatta all’alloggiamento concavo della scapola.

Il rapporto tra le due superfici articolari non è stabile perché la testa dell’omero è in proporzione più grande rispetto alla glena scapolare di alloggiamento.

I cercini glenoidei, la capsula auricolare, le strutture legamentose di sostegno ed i tendini inserzionali di giunzione muscolare, servono ad aumentare la capacità di sostegno e di stabilità per questa articolazione, che vede la necessità di avere dei gradi di mobilità molto ampi, per poter eseguire dei movimenti singoli e congiunti nei 3 piani dello spazio.

E’ quindi la caratteristica anatomica di questa articolazione che ne conferisce una certa suscettibilità all’instabilità articolare, a favore di una mobilità maggiore.

Nella lussazione di spalla la testa dell’omero perde il normale rapporto anatomia rispetto alla glena, creando una disgiunzione articolare.

Generalmente la lussazione avviene in percentuale maggiore per traumi diretti, ma non solo.

E’ necessario ricondizionare i rapporti articolari per merito di manovre di riduzione, che possono essere effettuate con varie tecniche.

Classificazione della lussazione di spalla

La lussazione di spalla vede una classificazione ben specifica:

  • anteriore, la più comune (oltre il 90% dei casi);
  • posteriore (2-5% dei casi)
  • inferiore, la meno comune.

Anteriore, se la testa dell’omero fuoriesce in avanti.

Posteriore se la testa dell’omero fuoriesce all’indietro.

Inferiore (se la testa dell’omero scivola verso il basso).

La lussazione di spalla oltre alla perdita della congruità articolare può causare delle lesioni secondarie alle strutture contigue:

  • lesioni del cercine glenoideo della porzione superiore (lesione SLAP)
  • lesioni del cercine glenoideo della porzione infero-anteriore (lesione BANKART)
  • lesioni del cercine glenoideo della porzione infero-posteriore (lesione BANKART INVERSA)
  • lesione della capsula articolare
  • lesione dei legamenti gleno-omerali
  • lesione della cuffia dei rotatori
  • lesione del tendine del capo lungo dl bicipite brachiale
  • stupor del plesso brachiale nella zona contigua all’articolazione
  • danni vascolari al pacchetto arterio-venoso nel segmento ascellare
  • fratture ossee a carico del terzo prossimale dell’omero, della testa dell’omero e della glena.

Caratteristica della lussazione di spalla è la possibilità che si instauri a seguire una instabilità cronica di spalla, che genera una predisposizione secondaria al ripetersi della lussazione (lussazione recidivante), oppure al manifestarsi di eventi sublussativi con una perdita parziale della congruità articolare e un rialloggiamento immediato del tutto autonomo.

L’instabilità di spalla post traumatica è chiaramente dovuta al conseguente danneggiamento delle strutture contenitive dell’articolazione primaria.

Sintomatologia

Lussazione di spalla 04I sintomi che si manifestano nella lussazione di spalla sono:

  • deformità anatomica articolare, dove risalta l’acromion, mentre la testa dell’omero non è palpabile nella sua normale posizione
  • forte dolore
  • gonfiore
  • limitazione articolare subtotale, con atteggiamento antalgico di difesa
  • scrosci articolari anomali
  • intorpidimento e parestesie dell’arto superiore che si estende spesso fino alla mano.

Le cause della lussazione di spalla, come precedentemente accennato, sono quasi sempre di natura traumatica diretta, caduta sulla spalla, oppure indiretta per caduta sul gomito o sulla mano.

Sarà la dinamica del trauma a causare la differenziazione tra una lussazione anteriore, posteriore, oppure inferiore, e l’eventuale associazione o meno di una frattura segmentale.

spalla infortunioIl trauma è sempre del tutto accidentale, ma va detto che alcune attività sono predisponenti all’evento, come ad esempio gli sport da contatto o pesistici, oppure attività lavorative che prevedono l’utilizzo di carichi ripetuti, con elevazione articolare multiplanare sopra il piano delle spalle e della testa.

Non va dimenticato che la lussazione di spalla può avere anche dei fattori predisponenti all’evento quali:

  • lassità capsulo-legamentose
  • patologie autoimmunitarie e/o infiammatorie del tessuto connettivo
  • traumi pregressi del  cercine glenoideo
  • traumi pregressi di tipo distrattivo legamentoso
  • miopatie
  • patologie neurologiche centrali o periferiche di tipo flaccido.

Diagnosi della lussazione di spalla

diagnosi lussazioneLa diagnosi di lussazione vede in prima battuta un’anamnesi con la quale si cerca di stabilire la dinamica dell’evento lesivo.

Ad essa sarà associata un’esame obiettivo, dove la palpazione articolare e la valutazione della congruità articolare, i test di mobilità e l’evocazione del dolore, saranno in grado di stabilire, quasi con esattezza, la diagnosi di lussazione gleno-omerale.

spalla rxOvviamente l’anamnesi e l’esame obiettivo non sono sufficienti a stabilire la gravità della lussazione, ne se ci sono dei danni associati, pertanto può rendersi assolutamente necessario, integrare la visita con esami radiografici, capaci di stabilire il tipo di lussazione posizionale e se ci sono dei danni fratturativi associati, esami di RM in grado di valutare i danni ai tessuti molli capsulo-legamentosi e muscolo-tendine.

Nel caso il paziente riferisca sintomi neurologici e vascolari associati all’evento traumatico, sarà opportuno richiedere uno esame elettromiografco per valutare la conduzione nervosa periferica rispetto alla placca motrice di competenza e un ecocolordoppler dei vasi profondi arterio-venosi del segmento succlavio ed ascellare, per studiarne la funzione.

Il trattamento della lussazione di spalla

spalla tutoreIl trattamento prevede in prima battuta una riduzione della lussazione tramite manovre specifiche, spesso esercitata in anestesia locale, per far rientrare la testa dell’omero nel proprio alloggiamento articolare.

A questa farà seguito un periodo di immobilizzazione, adoperando un tutore apposito che verrà utilizzato per circa 30 giorni, mantenendo la spalla bloccata in posizione neutra, riducendo a zero ogni tipo di movimento volontario ed involontario e permettendo ai tessuti molli di riparare dal danno subito nella lussazione della testa omerale.

E’ da dire che non tutti i tessuti sono in grado di riparare un danno anatomico, pertanto potrebbe risultare necessario ripetere delle indagini diagnostiche di RM dopo circa 3 mesi, per valutare i danni permanenti e quelli che invece hanno portato avanti un processo di guarigione.

Lussazione di spalla rieducazioneNelle prime 2-3 settimane dall’evento traumatico è importante ridurre l’infiammazione, pertanto sarà utile fare un uso locale di ghiaccio e di antinfiammatori all’occorrenza, coadiuvati da miorilassanti e antidolorifici nei primissimi giorni post trauma.

Una volta tolto il tutore sarà necessario introdurre un periodo riabilitativo fisioterapico, volto a recuperare l’articolarità della spalla, da principio sul piano primario di elevazione, per poi procedere con il movimento laterale di abduzione, fino ad integrare in ultima battuta le rotazioni esterne ed interne.

Necessario sarà far recuperare un ottimo tono-trofismo della muscolatura della spalla, senza mai arrivare allo sforzo massimo, ne ad un’affaticabilità limite, in maniera da irrobustire la tenuta muscolare dell’articolazione stessa.

Da non sottovalutare sarà l’allenamento propriocettivo, capace di ottimizzare gli schemi di movimento, corticalizzandoli nella maniera corretta.

Appare da subito chiaro che i tempi di recupero di una lussazione di spalla sono variabili a seconda della gravità del danno subito, dell’età biologica del paziente e dell’attitudine personale a svolgere lavori di recupero funzionali.

Pertanto i tempi minimi di 3 mesi per il ritorno alla normalità, possono allungarsi anche del doppio se non oltre.

Queste tempistiche variano di molto nel caso si renda necessario effettuare un’intervento chirurgico per riparare un danno anatomico importante quale una frattura ossea, una lassità o una lacerazione della capsula articolare, una lesione della cuffia dei rotatori, o una lesione del cercine glenoideo.

Lussazione di spalla chirurgiaL’intervento chirurgico può essere effettuato nei giorni subito a seguire l’evento traumatico, o dopo terminato il periodo riabilitativo d recupero nel momento in cui i risultati ottenuti non siano stabili e/o sufficienti.

La lussazione di spalla è un infortunio grave, ma se applicati da subito i giusti interventi di assistenza, si possono ottenere degli ottimi risultati di recupero.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Cervicalgia

Per cervicalgia si definisce un dolore nella zona cervicale, segmento anatomico che si estende da sotto la porzione nucale alla base delle spalle.

La definizione è molto generica e per questo, dietro un quadro di algia cervicale si possono nascondere molteplice cause e altrettante patologie.

Andiamo a capire insieme di cosa stiamo parlando.

Il tratto cervicale

Il tratto cervicale è la porzione vertebrale più alta della colonna vertebrale, è formata da 7 vertebre caratterizzate da una diversità di forma per alcune di esse.

Cervicalgia 02Le prime due vertebre cervicali non hanno un corpo vertebrale di sostegno ma hanno delle strutture articolari di movimento e un perno centrale che funge da asse contenitivo e di bilanciamento.

Dalla 3ª alla 7ª vertebra cervicale troviamo la presenza di un corpo vertebrale che tiene il carico della colonna cervicale e allo stesso tempo aiuta a guidare il movimento per merito di porzioni anatomiche chiamate UNCUS, coadiuvando il lavoro delle faccette articolari posteriori.

L’ultima vertebra cervicale, contrariamente alle altre dello stesso segmento, non ha il foro vertebrale per il passaggio intrinseco dell’arteria vertebrale.

Tutte queste diversità caratterizzano le vertebre cervicali per complessità di forma, di funzionamento e di movimento, rendendo necessario una neutralità ed un equilibrio almeno sui piani di flesso estensione e di lateralità nella mobilità quotidiana.

Cervicalgia 03Le cause della cervicalgia

Le cause che portano alla cervicalgia possono essere:

  • deviazione dell’asse posturale segmentale chiamata verticalizzazione e nei casi più estremi, inversione della curva cervicale
  • deviazione dell’assetto posturale generale con la perdita dell’equilibrio tra le curve di lordosi, cifosi e l’appoggio sul bacino e sulle anche
  • contratture muscolari
  • tensione eccessiva muscolare o muscolo-tendinea
  • blocco articolare acuto
  • problematiche di origine discale
  • riduzione degli spazi articolari e interdiscali
  • diminuzione del lume del forame di coniugazione
  • artrosi
  • problematiche derivanti dalla masticazione e dall’articolazione temporo-mandibolare
  • alterazione della vista o dell’udito che possono squilibrare l’assetto, portando ad una rotazione ed inclinazione del capo e del collo
  • difficoltà nella deglutizione
  • problematiche viscerali soprattutto a carico del sistema gastro/esofageo
  • asma e riduzioni delle capacità ventilatoria polmonare

Ovviamente molte cause possono intrecciarsi nello sviluppo della sintomatologia e del disagio cervicale, altre invece saranno individuate come primarie e dirette nella patologia vertebrale.

I sintomi

I sintomi più riscontrabili sono:

  • indolenzimento, tensione, dolore muscolare
  • accorciamento di una porzione di fibre muscolari individuate in un punto preciso, dove spesso si avverte un rigonfiamento dolente che indica in molti casi una contrattura muscolare
  • riduzione del movimento cervicale in rotazione, flesso/estensione, inclinazione laterale, con dolore manifesto nel forzare il movimento
  • alle volte è associato male di testa, per lo più nella zona sottonucale e in alcuni casi anche nausea
  • si possono manifestare leggeri gonfiori della mano la mattina al risveglio, alle volte accompagnati da formicolio del palmo e delle dita.

La diagnosi della cervicalgia

Una buona diagnosi è fondamentale non tanto per dare un nome alla patologia che affligge il paziente, che come abbiamo visto è molto generico, ma è necessaria per capirne la causa scatenante.

Una volta accertato il motivo sarà molto più semplice impostare una cura che sia efficace e stabile nel tempo.

Per la diagnosi come sempre va fatta una raccolta dati, anamnesi, per capire quando si è sviluppata la patologia, con quali modalità, se ci sono state delle cause dirette riconducibili e se possa essere confusa o sovrapponibile in alcuni tratti a patologie dai profili simili.

L’esame clinico è fondamentale per indagare le capacità residue del paziente, per capire come e cosa possa evocare il dolore e cosa aumenta o diminuisce il disagio.Cervicalgia 04

L’esame diagnostico più utilizzato è l’RX cervicale nella proiezione antero/poseriore e latero/laterale, per vedere la struttura anatomica strutturale vertebrale e l’asse della curva fisiologica di lordosi.

Nel caso ci sia il dubbio di un impegno discale, foraminale o inerente ai tessuti intrinseci del canale midollare, si richiederà una RM.

Saranno poche le occasioni che richiederanno un esame TC per poter chiarire l’idea di diagnosi sul caso.

A seconda delle concause che si sviluppano la patologia potrà rendersi necessario richiedere una visita specialistica con un otorinolaringoiatra, un gastroenterologo, un pneumologo, dentista o un’oculista, in modo tale da analizzare quei casi di co-interazione precedentemente citati nell’argomentare la sintomatologia.

Cervicalgia 05

Il trattamento

La cura vedrà la possibilità di utilizzo di varie strategie molte delle quali sovrapponibili tra di loro.

A livello farmacologico potranno essere utilizzati antinfiammatori, miorilassanti, antidolorifici, a seconda se sarà necessario ridurre l’infiammazione, modificare il tono basale muscolare o diminuire la soglia del dolore.

Anche la fisioterapia ha un ruolo determinante nella gestione della cervicalgia perché potrà curare gli aspetti posturali, ridurre lo stato delle contratture, allungare le fibre muscolari, ridurre il dolore.

Cervicalgia 06L’osteopatia ha il ruolo di ripristinare una mobilità articolare ottimale, recuperando i fulcri vertebrali per riportarli ad una sinergia congrua rispetto al miglior assetto vertebrale.

Importantissimo sarà il ruolo della prevenzione cercando di lasciare la cervicale e le spalle sempre ben allineate con il busto mantenendo un asse coerente che può essere visualizzando mantenendo le orecchie all’ altezza delle spalle come se fossero su un’unica linea.

Il collo deve essere sempre libero di poter fare movimenti di flesso estensione, rotazione e lateralità, pertanto sarà necessario fare degli esercizi autonomi di allungamento e mobilizzazione, forzando il movimento nelle loro escursioni massime ma senza mai arrivare al dolore.

Sarà importante mantenere un buon equilibrio respiratorio, per non mandare in affaticamento i muscoli accessori della respirazione.

Per chi passa molte ore della propria giornata seduto è fondamentale fare delle pause ripetute alzandosi e camminando in modo da riattivare i muscoli della postura ridando un start dinamico equilibrato.Cervicalgia 07

La cervicale è il timone della nostra postura ed è il crocevia di molte importantissime finzioni, cerchiamo di prendercene cura in maniera costante e coerente