Articoli

Cruralgia

La cruralgia è un dolore che si presenta nella zona cutanea anteriore / mediale della coscia e della gamba e nella zona cutanea dorsale / mediale del piede.

La cruralgia

Cruralgia 01Può causare dei deficit muscolari al compartimento anteriore della coscia, ai muscoli adduttori (m. adduttore lungo), e al muscolo ileopsoas.

La sintomatologia è dovuta all’irritazione del nervo crurale che innerva la zona cutanea e le strutture muscolari sopra indicate.

La sintomatologia può estendersi sull’intero territorio indicato, oppure in maniera tronca  su una zona specifica, a seconda della causa di irritazione e della gravità in essere della patologia.

Il nervo crurale fa parte del plesso nervoso del tratto lombare; si crea dalle unioni di più radici nervose L2-L3-L4 ed ha, come avete già capito, una funzione tanto sensitiva, quanto motoria.

Ma cosa può causare la cruralgia?

I fattori patologici sono molti, di natura diversa e possono incidere all’origine del nervo, all’uscita del nervo dalla vertebra, oppure nel tragitto lungo il suo decorso.

Cruralgia 02Esaminiamoli insieme:

  • ernia discale
  • edema
  • artrosi
  • osteofiti
  • esostosi
  • chiusura dei forami di coniugazione
  • fratture vertebrali (osteoporosi o trauma)
  • riduzione dello spazio intervertebrale
  • stenosi del canale midollare
  • infezioni batterico/virali
  • infiammazioni metaboliche
  • ipossia/anossia arteriosa del nervo
  • aderenze addominali
  • visceroptosi

I fattori citati, scatenanti la cruralgia, variano nel circolo vizioso patologico che turna tra la compressione, i punti di restrizione e irritazione nello scorrimento del nervo durante il movimento o nelle posture degli adattamenti in posizione eretta, seduta o sdraiata, nella riduzione di vascolarizzazione arteriosa, nella stasi locale della circolazione venosa.

Un discorso a parte meritano i fattori metabolici e infettivi, che scatenano un’infiammazione locale sul nervo per cause inerenti a situazioni che coinvolgono e minano la salute del paziente in maniera sistemica.

I sintomi della cruralgia sono diversi per intensità, per territorio di sviluppo, per caratteristiche motorie, sensitive o miste.

Cruralgia 03Come accennavo all’inizio dell’articolo, il dolore può manifestarsi nella zona cutanea anteriore / mediale della coscia e della gamba e nella zona cutanea dorsale / mediale del piede.

Può causare dei deficit muscolari al compartimento muscolare anteriore della coscia, ai muscoli adduttori (m.adduttore lungo), e al muscolo ileopsoas.

Il dolore

Nel caso in cui si associ anche un dolore lombare, generalmente localizzato nello stesso emilato della cruralgia e in maniera irradiata verso il decorso del nervo crurale, possiamo parlare di lombocruralgia.

Il dolore, l’intorpidimento, il formicolio, il bruciore, la debolezza o l’atrofia muscolare, la riduzione o la perdita dei riflessi osteotendinei,  possono comparire in maniera lenta e progressiva, oppure svilupparsi in maniera improvvisa, possono avere un andamento acuto oppure cronico, costante o incostante.

Le varianti sintomatiche saranno dovute alla causa che da vita alla cruralgia e possono presentarsi in maniera singola o multipla.

Cruralgia 04In basse alla gravità della sintomatologia, il paziente può associare un’alterazione della postura, che risulterà deviata per sfuggire al carico e all’accentuarsi dei sintomi sensitivi e/o motori.

Può risultare difficoltoso mantenere la posizione seduta per periodi prolungati.

Molti pazienti lamentano anche un disagio nel trovare una posizione sdraiata che permetta loro di riposare bene e senza disturbi.

Spesso l’impedimento motorio e l’esacerbazione parestetica, si acuisce nei cambi di posizione da sdraiato a seduto e da seduto a in piedi.

Possiamo quindi dire che la cruralgia, può manifestarsi tanto durante il movimento quanto in posizione statica o addirittura di riposo.

Come si diagnostica una cruralgia?

Nella diagnosi è fondamentale fare una buona anamnesi per capire la modalità di insorgenza della patologia e le possibili cause che l’abbiano sviluppata.

A seguire è necessario un esame obiettivo, dove le manovre adoperate sul paziente verificheranno la presenza delle condizioni patologiche alla stimolazione delle cause sospette.

TC ColonnaPotrà rendersi necessario accompagnare l’anamnesi e l’esame obiettivo con esami diagnostici strumentali quali:

  • rx
  • rm
  • tc
  • elettromiografia
  • ecodoppler

Queste indagini possono visualizzare e contestualizzare lo stato di salute del paziente in base allo stato anatomico vertebrale, dei propri tessuti molli, dei vasi arterio-venosi di competenza, delle strutture discali e radicolari del segmento in questione.

Fino ad analizzare lo stato di innervazione delle placche motrici del nero femorale, lungo il suo percorso di innervazione.

La terapia

La terapia può essere studiata e applicata a largo raggio.

Bisogna cercare di rimuovere la causa della patologia o di minimizzarne al massimo gli effetti patologici che ne conseguono, non perdendo di vista la riduzione in tempi brevi della sintomatologia, per evitare una reazione a catena di compensi multisistemici.

Pertanto la cruralgia potrà essere approcciata con via farmacologica, tramite antinfiammatori (fans o cortisonici), miorilassanti, antidolorifici o terapie infiltrative di ozono.

FisioterapiaA livello fisioterapico l’approccio varia da una ricorrezione posturale, ad un riequilibrio delle catene muscolari, ad un ripristino della normale fisiologia vertebro-discale, ad un disimbrigliamento del nervo sia sull’uscita della radice nervosa che lungo il suo percorso di appartenenza.

Sarà in grado anche di ridurre l’infiammazione, lo stato di contrattura muscolare e di ricondizionare la funzione neurologica di trasmissioni nocicettive e motorie.

In campo chirurgico ci sarà la necessità di intervenire nel caso sia presente un’ernia discale compressiva sulla radice nervosa, che non riesca ad essere affrontata in maniera efficace a livello farmacologico e fisioterapico.

Cosi come sarà necessario l’intervento chirurgico in caso di stenosi vertebrale, che mantenga uno stato di patologia stabilmente sintomatologico.

La cruraligia è una patologia che può inefficiare la qualità di vita e le attività quotidiane, ma fortunatamente abbiamo la possibilità di fare una diagnosi precisa e applicare una serie di terapie capaci di risolvere il problema in maniera fruttuosa e stabile.

E’ importante rivolgersi al professionista sanitario competente, che sappia capire i sintomi del paziente, che sappia fare una diagnosi precisa e accurata, per poter trovare la miglior strategia di cura nella risoluzione del problema.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Discinesia della spalla

La discinesia della spalla è un’alterazione del movimento che si manifesta tra l’omero, la scapola, la clavicola e la gabbia toracica.

Anatomia nella discinesia della spalla

I rapporti che intercorrono tra queste strutture osteoarticolari, vanno immaginate in relazione al coordinamento del movimento muscolare e delle contenzioni capsulo-legamentose.

Discinesia della spalla 02La spalla biomeccanicamente è costituita da 5 articolazioni, di cui 3 articolazioni vere e 2 articolazioni di scorrimento.

Le 3 articolazioni vere sono:

art.gleno-omerale

art.acromion-claveare

art.sterno-claveare

Le 2 articolazioni false sono:

art.sotto-deltoidea

art.scapolo-toracica

La scapola è un punto di equilibrio tra il braccio e il torace, con la funzione di ottimizzare ed equilibrare il movimento, orientando l’arto superiore nei vari piani dello spazio, mantenendo un rapporto di optimum nei confronti del torace.

Questi movimenti vengono gestiti dal sistema neurologico periferico a seconda delle afferenze sensitive, delle afferenze propriocettive e dei comandi motori sia volontari che riflessi.

Discinesia della spalla 03Ma non basta, il movimento stesso viene memorizzato o meglio corticalizzato nelle aree motorie cerebrali, per automatizzare il gesto in maniera semplice ed efficace.

Pertanto possiamo dire che la discinesia della spalla, può manifestarsi sia per problemi patologici, come artrosi, sindrome da impingment della testa omerale, lesione della cuffia dei rotatori, boriste, instabilità gleno-omerale, lesione del cercine glenoideo, ma anche per un’alterazione di memorizzazione e corticalizzazione del gesto biomeccanico stesso.

Generalmente l’alterazione di memorizzazione del gesto biomeccanico, avviene dopo un ripetuto e continuato cattivo utilizzo dell’articolazione, per impedimento del normale gesto articolare.

Il funzionamento corretto della spalla si basa su un equilibrio che varia tra stabilità e mobilità delle articolazioni che la compongono, delle componenti muscolari che ne attivano il movimento e delle strutture capsulo-legamentose che ne garantiscono la congruità.

Discinesia della spalla 04Classificazione

Le discinesie vengono distinte in volontarie e involontarie.

Le discinesie volontarie sono causate da una iper attivazione delle componenti muscolari, per far fronte ad un movimento voluto, mentre le discinesie involontarie sono causate da compensi della muscolatura della spalla per far fronte a delle patologie, congenite o acquisite, dell’articolazione della spalla stessa.

Sintomatologia nella discinesia della spalla

I sintomi non sono necessariamente legati al dolore, ma spesso si manifestano come una limitazione articolare, un affaticamento nell’esecuzione di movimenti ripetuti, una riduzione della forza.

Discinesia della spalla 05Tra queste si associa anche uno stato di contrattura muscolare che si instaura per lo più tra il musco angolare della scapola, il sottoscapolare, il muscolo pettorale e il bicipite omerale, con una traslazione della testa omerale in una anteroposizione innaturale rispetto al corretto centraggio dell’articolazione gleno-omerale, insieme ad una traslazione latero-rotatoria della scapola.

Nelle condizioni di una cattivo rapporto articolare dei segmenti ossei, il dolore si può manifestare per una tensione eccessiva delle strutture capsulo-legamentose, che vengono elongate in maniera anomala, alla richiesta di movimento in quel momento non così naturale.

Le cause

Le cause, come già in parte accennate, sono perlopiù legate a patologie da danno anatomico che alterano il corretto funzionamento dell’articolazione nel suo insieme:

  • artrosi
  • artrite
  • sindrome da impingment della testa omerale
  • lesione parziale o totale di uno o più componenti della cuffia dei rotatori
  • boriste
  • instabilità gleno-omerale
  • lesione del cercine glenoideo
  • frattura di una componente ossea articolare o periarticolare
  • deficit neurologici periferici di una o più radici del plesso brachiale
  • deficit neurologici centrali di tipo spastico

Queste situazioni portano ad un danno di funzione più o meno grave, che costringono il paziente ad utilizzare delle strategie di compenso, per cercare di compiere un gesto articolare, utilizzando delle sinergie muscolari non congrue e spesso non soddisfacenti.

Il meccanismo di attivazione del movimento, ripetuto più volte nell’arco della giornata e per un periodo di tempo spesso protratto, creano una memorizzazione e corticalizzazione del gesto biomeccanico stesso, rinforzando la discinesia di spalla e sostituendola alla normale attivazione del gesto.

Discinesia della spalla 06La discinesia della spalla si può instaurare anche per la ripetizione di gesti obbligati, come in alcune attività lavorative ripetitive, o in alcune attività sportive; in entrambi i casi sia il gesto, sia la postura che l’accompagna nell’accomodamento articolare, portano ad una corticalizzazione di uno schema motorio sbagliato.

Diagnosi della discinesia della spalla

La diagnosi necessità di un esame clinico attento alla valutazione dell’eventuale presenza di patologie associate alla spalla.

È importante ricercare movimenti disfunzionali e zone di dolore, così come studiare la presenza di alterazioni delle catene muscolari, legate sia al movimento specifico, che ad un gesto corale di rapporto con le strutture osteo-articolari di supporto.

Le indagini diagnostiche di tipo radiografiche, ecografiche o di RM, saranno necessarie per escludere o evidenziare la presenza di alterazioni anatomiche patologiche, che possano rendere inefficace la meccanica articolare della spalla.

Discinesia della spalla 07Il trattamento

Il trattamento si basa sul recupero funzionale della spalla, valutandolo in concomitanza alla presenza di una patologia che ne vada ad inefficiare il suo funzionamento, oppure se è il refuso cerebrale motorio, di schemi compensatori che non hanno più motivo di esistere, ma che perdurano in uno processo di attivazione e riproduzione del movimento.

La fisioterapia e la riabilitazione giocano un ruolo di primo piano, per destrutturare gli schemi sbagliati di movimento del complesso articolare dl la spalla, ottimizzando nuovamente le catene muscolari congrue ad eseguire il movimento scomposto nei 3 piano dello spazio, per poi ricreare un’armonia nel loro insieme.

Va detto che il ripristino della funzione della spalla va integrato con la risoluzione o la gestione delle patologie che possono associarsi al quadro anamnestico, pertanto sarà importante fare un lavoro di equipe con le varie figure professionali sanitarie di riferimento, per ottimizzare il ricondizionamento del miglior stato di salute.

In questo articolo abbiamo imparato che la discinesia della spalla porta il paziente non solo ad utilizzare male il complesso articolare, ma anche a memorizzare uno schema motorio sbagliato; conoscendone però le cause e il meccanismo patologico, si può correre ai ripari, riportando il paziente a trovare un nuovo stato di salute e di funzionamento.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Protesi d’anca

La protesi d’anca è sicuramente l’intervento ricostruttivo che vanta la più alta efficacia nella risoluzione del dolore e dei problemi di movimento dei pazienti che vi si sottopongono.

Protesi d’anca

La protesizzazione articolare è uno dei passi avanti più importanti nella gestione e nel recupero della salute ortopedica, per patologie di tipo croniche, degenerative e in alcune situazioni acute.

Protesi_anca_02Non tutte le articolazioni possono essere sostituite e non tutte le articolazioni sostituibili vantano lo stesso risultato, ma le strutture che maggiormente subiscono un impianto protesico, anche, ginocchia, spalle, come soluzione estrema ad un percorso di cura che non ha portato sufficienti risultati, hanno un guadagno buono tanto da far recuperare al paziente una qualità di vita migliore e un’autosufficienza nella quotidianità.

Andiamo adesso nello specifico parlando della protesi d’anca.

Le protesi d’anca non sono tutte uguali ne per materiali, ne per forma, ne per grandezza.

Non sono neanche tutte uguali per tipologia di impianto all’interno del femore ne per alloggio nell’acetabolo del bacino.

Protesi d'ancaLa scelta di protesizzazione può essere parziale o completa decidendo di sostituire tutta l’articolazione o solamente una parte di essa.

Le condizioni che le rendono differenti sono dovute al soggetto che la riceverà, giovane, meno giovane e anziano, per tipo di patologia e per evoluzione della tecnologia di progettazione e confezionamento.

Anche le zone di accesso chirurgico possono differenziarsi, garantendo lo stesso risultato per quanto riguarda il posizionamento della protesi, ma diversi per tempi di recupero biologico del paziente rispetto al danno chirurgico che inevitabilmente si crea con l’intervento.

Le protesi d’anca non durano in eterno ma sono soggette ad usura dei materiali che la costituiscono, generalmente durano circa 25 anni se utilizzate correttamente.

La ricerca spinge per renderle sempre più longeve, stabili e di minor impatto rispetto al tessuto organico dove le si impiantano.

A chi si propone?

Come accennavamo l’orientamento nella scelta della protesi si baserà su chi deve riceverla.

Le protesi che si metteranno in età giovanile e che con tutta probabilità, saranno soggette a revisioni (sostituzione), avranno un alloggiamento che non prevederà la cementazione della protesi nello spazio di riempimento, ne l’utilizzo di una protesi con uno stelo lungo, in modo tale da facilitarne la rimozione e causare il minor danno biologico nel momento dell’estrazione per sostituzione.

Nel caso di una persona anziana si tende ad utilizzare la cementazione degli spazi periprotesici di riempimento e l’utilizzo di steli un po’ più lunghi in modo da rendere la protesi stabile il prima possibile e rimettere il paziente subito in piedi per evitare le pericolosissime complicanze dell’allettamento prolungato.

Protesi d'anca rxLe protesi vengono utilizzate nei soggetti con forte artrosi, patologie autoimmunitarie come l’artrite reumatoide e simili, in casi di patologie malformative alla nascita e nel periodo dell’accrescimento (displasia congenita dell’anca, morbo di Perthes e altre), in situazioni di frattura articolare dove l’articolazione risulti irrimediabilmente danneggiata, ai casi di collasso vascolare per patologie dismetaboliche che portano alla necrosi dei capi articolari, nelle patologie tumorali ossee (in quest’ ultima situazione verranno utilizzate delle protesi tumorali che però meritano un articolo a se).

Il post intervento

Adesso parliamo delle situazione di recupero post intervento di protesizzazione.

Le ripresa sia dagli esiti del post intervento che nell’attività di vita quotidiana, cambia molto rispetto all’età del paziente e alla causa per cui il paziente è stato operato.

In percentuale il recupero più lineare lo abbiamo sui soggetti giovani che incorrono in una frattura non stabilizzazbile della testa o del colo del femore, oppure nei soggetti giovani che dopo frattura e intervento chirurgico di stabilizzazione con mezzi di sintesi, vanno incontro a necrosi della testa del femore e quindi a protesizzazione dell’articolazione.

Protesi_anca_05In percentuale i recuperi più tortuosi sono i soggetti anziani che protesizzano per un problema di grave artrosi, con perdita di asse meccanico e di tono muscolare.

Una considerazione a se meritano le patologie autoimmunitarie perché generalmente colpiscono soggetti giovani ma con quadri di degenerazione e infiammazione cronicizzati per lungo tempo, il tutto porterà ad un recupero cauto per evitare che l’infiammazione autoimmunitaria possa creare disagi ai tessuti che ospitano la neo articolazione.

Quello di cui bisogna tenere sempre conto nel recupero post intervento è:

  • la stabilizzazione della protesi rispetto alla parte ossea di innesto
  • il drenaggio e l’eliminazione delle raccolte di liquidi vascolari e linfatici che si addensano nelle zone anatomica in essere
  • recuperare ed elasticizzare la cicatrice
  • recuperare il tono muscolare
  • riprendere la normale articolarità, non tanto della protesi in se è per se ma della protesi rispetto alle strutture articolari direttamente inerenti come il ginocchio, la sinfisi pubica, l’articolazione sacro iliaca, la zona lombare
  • recuperare gli accorciamenti muscolari e le fibrotizzazioni che in maniera maggiore o minore ogni patologia sopra citata creano per compenso.

Protesi_anca_06Va pensato che la protesi deve rimettere il paziente nella condizione di poter ristabilire il miglior rapporto rispetto al resto della struttura ortopedica, tanto in statica quanto in dinamica, perciò andrà reintegrata nello schema ottimale che meglio la fa funzionare.

Il lavoro della fisioterapia e dell’osteopatia possono migliorare in fretta il processo di recupero e guarigione perché sono in grado di lavorare sul recupero e sul reintegro delle funzioni precedentemente perse.

La farmacologia potrà invece aiutare a gestire nelle prime fasi il dolore e l’ infiammazione tipica delle giornate post intervento chirurgico.

Protesi_anca_07La protesi d’anca è un aiuto qualitativamente valido per la gestione della salute ma non dimentichiamo che meglio la utilizziamo e la integriamo con il resto della struttura ortopedica e più sarà affidabile e duratura.

 

 

Protesi di spalla, cosa c’è da sapere

Per protesi di spalla si intende la rimozione e la sostituzione dei capi articolari danneggiati della spalla, nelle componenti della testa dell’omero e nella maggior parte dei casi della glena omerale, utilizzando delle componenti artificiali.

Quando prenderla in considerazione?

Si prende in considerazione la protesizzazione chirurgica, quando la spalla risulta fortemente limitata nei movimenti, associandosi ad una forte componente dolorosa e quando qualunque trattamento conservativo, abbia fallito nell’intento di regressione della patologia.

L’articolazione della spalla è composta dalla gleno-omerale ovvero dalla testa dell’omero e dalla glena, situata nella porzione esterno-laterale della scapola, dall’articolazione acromion-clavicolare composta dalla clavicola che si articola con l’acromion nella porzione supero-laterale della scapola e dall’articolazione sterno-clavicolare, tra clavicola e sterno.

Protesi di spalla 02   Queste 3 articolazioni vere convivono con due articolazioni finte di scorrimento, chiamate sottodeltoidea e scapolotoracica, che hanno il compito di ottimizzare, in maniera sinergica, i movimenti della spalla nei 3 piani dello spazio.

La stabilità e il sostegno dell’articolazione è garantita nella sua interezza dai muscoli, dai tendini e dai legamenti che circondano la spalla stessa.

Nella protesizzazione di spalla viene sostituita solamente una delle articolazioni sopra elencate ovvero l’articolazione gleno-omerale.

Il primo intervento di protesi di spalla fu eseguito negli anni ’50 negli stati uniti, in quei casi dove il paziente aveva riportato delle gravi fratture articolari superiori omerali.

Nel tempo i materiali delle protesi sono nettamente migliorati e i casi in cui l’intervento viene effettuato, sono aumentati per specie e condizioni.

Protesi di spalla 03Si è notato con l’esperienza dei molti anni di protesizzazione, che il paziente trova un netto beneficio nella riduzione del dolore e riesce a recuperare un movimento autonomo nell’affrontare le normali esigenze di vita quotidiana, ma va detto che la neo articolazione non crea una super spalla, pertanto va gestita con la consapevolezza che va incontro ad usura e che la media della sua durata si aggira tra i 15 e i 20 anni.

Pertanto l’eccessiva attività può accelerare questa usura e può portare il paziente troppo presto all’intervento di revisione della protesi, nel caso in cui l’impianto si mobilizzi all’interno dell’osso stesso o diventi dolorosa.

Proprio per questo la maggior parte dei chirurghi sconsiglia di sollevare pesi superiori a 5-10 Kg, o di effettuare sport ed attività fisiche ad alto impatto articolare per il resto della vita dopo l’intervento chirurgico.

Quando viene presa in considerazione la possibilità di sostituzione protesica dell’articolazione gleno-omerale?

Protesi di spalla 04Quando il paziente mostra una forte limitazione articolare che incide nei gesti di vita quotidiana come pettinarsi, lavarsi il viso, mettersi una giacca o una maglietta, raggiungere degli oggetti posizionati in alto al di sopra della testa.

Questa forte limitazione articolare deve associarsi ad un dolore da moderato o grave, che si presenta non solamente nel movimento della spalla, ma anche a riposo e durante le ore di sonno.

Immancabilmente il paziente lamenterà una notevole perdita di fora e uno stato di contrattura periarticolare.

Protesi di spalla 05In ultimo, per arrivare a prendere in considerazione la possibilità di sostituzione protesica della spalla, bisogna accertarsi del fallimento di ogni tipo di cura conservativa che passi attraverso la farmacologia, le infiltrazioni e la fisioterapia, lasciando il paziente e il medico sguarniti di ulteriori possibilità terapeutiche.

Quali possono essere le patologie che predispongono alla protesi di spalla?

  • gravi fratture articolari
  • artrosi
  • condizioni artritiche autoimmunitarie, metaboliche o batterico/virali
  • necrosi vascolare
  • infezioni articolari

Protesi di spalla 06Tutte queste patologie possono causare dei danni articolari irreversibili, che rovinano irrimediabilmente l’articolazione nella sua forma e nella sua funzione.

Nella diagnosi, la raccolta dei dati anamnestici e l’esame obiettivo sono importanti, consentono di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quale sia lo stato di funzione della spalla, l’attivazione del dolore al movimento, alla palpazione e alla pressione, per avere un’idea della patologia in essere e dello stato della sua gravità.

Protesi di spalla 07Importantissimo sarà il supporto della diagnostica per immagini quali:

  • RX
  • RM
  • TC

per valutare sia lo stato anatomico dell’articolazione geno-omerale e sia dei tessuti muscolo-tendinei e capsulo-legamentosi inerenti.

Ma le protesi di spalla sono tutte uguali?

Esistono varie tipologie di protesi, ognuna delle quali viene pensata per adattarsi nel migliore dei modi al paziente, cercando di garantire un buon risultato nel lungo periodo.

Vediamo quali sono.

Protesi di spalla 08Protesi totale di spalla.

Comporta la sostituzione di entrambe le superfici articolari.

Se l’osso si presenta di buona qualità, il chirurgo può scegliere di utilizzare una componente omerale non cementata, mentre se l’osso si presenta degenerato e poco robusto, la componente omerale può essere impiantata con cemento.

Protesi di spalla 09Endoprotesi di spalla.

Viene sostituita solamente la testa dell’omero, pertanto questo intervento prende il nome  di emiartroplastica.

La testa omerale viene sostituita da una componente protesica metallica, costituita da uno stelo sul quale viene inserita una sfera.

L’emiartroplastica viene consigliata quando la testa omerale è gravemente degenerata ma le restanti componenti articolari sono normali.

Protesi di spalla 10Protesi di spalla di rivestimento o emicefalica.

Si procede alla sostituzione della superficie articolare della testa omerale con una protesi a cappuccio senza stelo.

Questo tipo di intervento viene preso in considerazione quando la superficie articolare glenoidea è intatta, quando il collo o la testa omerale non presentano fratture o dismorfismi, nei soggetti  giovani o molto attivi.

Questo tipo di impianto evita i rischi di usura e allentamento delle componenti convenzionali protesiche.

Da non sottovalutare il fatto che la protesi emicefalica può essere facilmente convertita in una protesi totale di spalla, nel momento in cui, per usura ulteriore della restante porzione articolare e del rivestimento metallico stesso, se ne presenti la necessità.

Protesi di spalla 11

Protesi inversa di spalla.

E’ una protesi particolare dove le convessità e le concavità articolari vengono invertite.

E’ indicata nei pazienti che presentano:

  • un grave danno anatomico della cuffia dei rotatori
  • in quei soggetti che mostrano un grave danno anatomico dell’articolazione gleno-omerale, con un cambiamento di forma non solo delle superfici articolari, ma che dell’osso nella sua qualità biologica e nelle linee di forza
  • nei pazienti che hanno subito un precedente fallimento di protesizzazione classica.

In questo tipo di intervento, il paziente può continuare ad avvertire dolore, anche se in maniera ridotta e non riacquistare un soddisfacente movimento soprattutto in abduzione.

Come procede il periodo post operatorio di recupero della funzione della neo-articolazione?

Protesi di spalla 12Il periodo di recupero post impianto, prevede una serie di attenzioni che coinvolgono varie condizioni:

  • la gestione della ferita chirurgica, sia nel periodo della permanenza dei punti, sia nel momento di chiusura totale e rimarginazione della ferita, per evitare che si formino aderenze e che sia il più elastica possibile, in maniera da poter scorrere correttamente in relazione ai tessuti sottostanti
  • la gestione del dolore che deve essere ridotto al minimo, utilizzando antinfiammatori naturali come il ghiacciaio e farmaci antinfiammatori e/o antidolorifici, in maniera da non creare circoli viziosi di contratture antalgiche muscolari
  • Protesi di spalla 13l’utilizzo di mezzi di scarico e protezione, quali tutori appositi di posizionamento della spallail drenaggio dell’arto superiore per eliminare i gonfiori e gli edemi conseguenti all’atto chirurgico per l’impianto della protesi
  • il recupero dell’articolarità della spalla in maniera progressiva e cauta, riprestinando in contemporanea le sinergie biomeccaniche rispetto alla scapola, al gomito, al polso e alla mano
  • il recupero del tono trofismo muscolare dei muscoli inerenti la spalla, per l’attivazione in autonomia delle neo articolazione nei 3 piani dello spazio
  • il recupero delle corrette posture e attivazioni vertebrali, che possono risultare alterate nei compensi, per il prolungarsi della patologia articolare e del dolore associato
  • l’allenamento nella gestione delle attività di vita quotidiane nella maniera più vantaggiosa del paziente, rispetto alla nuova condizione articolare

l’indottrinamento nella gestione della protesi, per evitare un’usura eccessivamente precoce o il danneggiamento delle componenti protesiche impiantate.

Protesi di spalla 14Spesso il paziente pone una domanda precisa su quanto tempo sarà necessario per completare l’iter di recupero post operatorio.

Questa domanda non può avere una risposta unica; l’esito del percorso sarà totalmente personale, in base al tipo di protesi impiantata, alla patologia con cui il paziente si presenta all’intervento, all’età biologica del paziente e alla condizione fisica generale della persona.

La protesi di spalla è un intervento importante e complesso, va affrontato con pazienza e determinazione nell’impegno necessario per il recupero dell’articolazione, cercando di non forzare la guarigione, ma rispettando i tempi biologici per stabilizzare l’impianto e ricreare un rapporto di lavoro congruo con i tessuti muscolari, tendinei e capsulari.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Artroplastica di rivestimento dell’anca

Oggi parleremo dell’artroplastica di rivestimento dell’anca.

Cosa si intende per artroplastica

artroplastica anca 01Per artroplastica si intende un intervento chirurgico che abbia l’obiettivo di ricondizionare un’articolazione lesa e/o degenerata, rispetto alla sua normale struttura, causandone un deficit articolare, associato ad una perdita di funzione e ad una manifestazione dolorosa invalidante nelle normali attività di vita quotidiana.

L’artroplastica prevede varie strategie di applicazione, dalla pulizia articolare degli osteofiti interni, al rimodellamento dei capi articolari, al rivestimento delle superfici articolari di scorrimento, fino all’asportazione dei capi articolari con la conseguente sostituzione mediante l’inserimento di protesi.

Entriamo nello specifico: l’ artroplastica dell’anca

Questo tipo di intervento consiste nel ricoprire i due capi articolari coxo-femorali, ovvero la testa del femore e l’acetabolo, mediante l’applicazione di lamine di rivestimento, generalmente metalliche, capaci di avvolgere le superfici articolari di scorrimento, sostituendosi allo strato cartilagineo usurato.

A differenza della protesizzazione articolare, il chirurgo risparmia al paziente l’amputazione dei capi ossei, conservandone quindi l’integrità di giunzione.

L’ artroplastica di rivestimento sembra garantire una minore usura nel tempo delle superfici impiantate, una riduzione dei tempi riabilitativi e un recupero funzionale più veloce.

Con questo tipo di intervento, viene abolita la possibilità di lussazione articolare da impianto chirurgico, consentendo il ritorno alle attività fisiche sportive anche ad alto livello.

artroplastica anca 02L’artroplastica di rivestimento dell’anca può esser applicata in quei soggetti che si presentano con una testa del femore sufficientemente buona nella forma e uno stato di salute dell’osso tale da consentire l’applicazione dei film di rivestimento.

Proprio per i requisiti richiesti, solitamente le persone arruolate in questa campagna terapeutica, sono i soggetti giovani, ma non sono da escludere le fasce di età più alte, se rispondono alle caratteristiche indicate.

Quando bisogna indagare l’articolazione coxo-femorale?

Il campanello di allarme che porta il paziente a rivolgersi ad uno specialista sanitario è la comparsa del dolore, sia durante le attività dinamiche come il semplice camminare, salire o scendere le scale, rimanere in appoggio monopodalico, come anche la comparsa di sintomi algici nelle posizioni sedute e durante i passaggi posturali da seduto a in piedi e viceversa.

E’ una costante riscontrare una limitazione articolare nei gradi maggiori di flessione, estensione, rotazione interna, esterna, abduzione e adduzione, come movimenti singoli o associati tra di loro.

Il paziente riferisce una diminuzione della capacità di resistere allo sforzo e uno stato di tensione o contrattura dei muscoli della coscia.

Spesso lo stato di tensione risale anche sulla zona glutea e lombare.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la localizzazione del dolore, la funzionalità e la qualità dell’escursione articolare, associandola alla comparsa o meno del dolore.

artroplastica anca 03E’ di fondamentale aiuto l’utilizzo di indagini diagnostiche per immagini quali RX, RM, TC per valutare lo stato in essere dell’articolazione, inquadrata nella forma, nello spazio articolare, nella qualità delle cartilagini e dei tessuti molli.

Il trattamento post artroplastica dell’anca

La terapia post chirurgica prevede un periodo di riabilitazione mirata al ricondizionamento del tessuto cicatriziale, all’eliminazione di eventuali infiammazioni ed edemi, al ripristino dell’articolarità, del tono muscolare, delle sinergie tra le catene muscolari, al recupero del migliore schema del passo e dell’appoggio coerente, sia mono che bipodalico.

L’artroplastica di rivestimento dell’anca, può essere una valida alternativa alla protesizzazione, lì dove ci siano le condizioni tali per poterla eseguire, ristabilendo le condizioni fisiologiche che l’artrosi ha minato.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Protesi di ginocchio

Vediamo oggi la protesi di ginocchio. Come sempre cerchiamo di capire insieme dove e come può trovare applicazione e come può aiutare a migliorare sensibilmente la qualità della vita.

Cos’è la protesi di ginocchio?

Protesi di ginocchio 01La protesizzazione di ginocchio è un approccio terapeutico sostitutivo applicato all’articolazione del ginocchio affetto da artrosi, che non risponde più a nessun tipo di terapia farmacologica, ne tantomeno alle cure fisioterapiche.

L’articolazione che necessita di protesizzazione ha perso funzionalità articolare specifica e funzionalità di mobilità sinergica poliarticolare, manifesta rigidità nel movimento, ha perso un aspetto anatomico congruo

Inoltre ha danni cartilaginei importanti, manifesta dolori al movimento e nei casi più gravi anche a riposo, sviluppa infiammazioni e gonfiori sia articolari che periarticolari.

Si perde dunque la possibilità di assecondare le necessità minime della vita quotidiana come camminare, sedersi, salire e scendere le scale, piegarsi sulle gambe.

Quando viene proposta la protesi di ginocchio?

Pertanto la protesi al ginocchio viene proposta al paziente quando l’articolazione specifica,  è danneggiata in maniera irrimediabile.

La sostituzione chirurgica dell’articolazione ha lo scopo di ripristinare un’articolarità appropriata, capace di migliorare la funzionalità del ginocchio, di ridurre il dolore e di aumentare la qualità della vita del paziente.

La scelta della strada protesica, viene affrontata o ritardata il più possibile a seconda dell’età del paziente, perché le protesi di ginocchio hanno una durata temporale di circa 15-20 anni per le protesi totali e di 10-15 anni per le protesi parziali.

Pertanto nei soggetti giovani sarebbe prevedibile almeno una sostituzione (revisione di protesi) nell’arco dell’aspettativa di vita del soggetto e c’è da dire che la rimozione e il reimpianto protesico, non ha la stessa semplicità chirurgica di esercizio, ne la stessa facilità di recupero da parte del paziente.

E’ chiaro che la durata della protesi sarà legata, oltre che al suo naturale deperimento materiale, anche alla riuscita dell’intervento, all’efficacia riabilitativa e al tipo di utilizzo che ne farà il paziente.

Altri motivi per cui l’utilizzo delle protesi di ginocchio possono essere accantonate sono le condizioni cliniche internistiche sfavorevoli del paziente e il sovrappeso eccessivo (grave obesità).

L’articolazione

Protesi di ginocchio 02L’articolazione del ginocchio è complessa per forma architettonica e per funzione delle varie parti anatomiche che la compongono.

Migliora la sua stabilità grazie alle strutture meniscali e ai legamenti.

Utilizza la rotula per ottimizzare le linee di carico del muscolo quadricipite.

Necessità delle cartilagini per ottimizzare lo scorrimento articolare limitandone gli attriti.

Ha bisogno di essere protetta dalla membrana sinoviale e di essere imbibita dal liquido da essa prodotto.

Deve essere guidata e stabilizzata dai vari gruppi muscolari che abbiano interazione sia mono che poliarticolare.

I motivi della scelta

Protesi di ginocchio 03I motivi per cui si può arrivare ad una protesizzazione di ginocchio sono molti e multifattoriali:

  • artrosi
  • artrite
  • conseguenze di traumi fratturativi (fratture del piatto tibiale, fratture dei condili femorali, fratture di rotula)
  • conseguenze di traumi ripetuti al comparto capsulo-legamentoso
  • conseguenze di disassiamenti articolari in valgismo o varismo protratti nel tempo
  • patologie vascolari
  • alterazioni metaboliche di tipo infiammatorie

Tutti questi quadri patologici causano dei danni progressivi alle cartilagini, tanto da comprometterne lo scorrimento e la fluidità articolare durante il movimento.

Le cartilagini danneggiate possono includere uno o più quadranti articolari:

  • un’emipiatto tibiale e il suo corrispettivo condilo femorale
  • l’intero piatto tibiale ed entrambi i condili femorali
  • l’intero piatto tibiale, entrambi i condili femorali, la rotula e la gola intercondiloidea.

Come si può intuire, il danneggiamento articolare è progressivo e si estende all’articolazione con maggior effetto, nelle condizioni di mancata prevenzione e di incuria nella gestione della patologia.

Le protesi di ginocchio parziali o totali

Protesi di ginocchio 04Le protesi di ginocchio sono progettate per far fronte alla sostituzione di una parte dell’articolazione (PROTESI PARZIALI O MONOCOMPARTIMENTALI), oppure per sostituire l’intera articolazione (PROTESI TOTALI).

Le protesi parziali sostituiscono un emipiatto tibiale e il suo corrispettivo condilo femorale.

Le protesi totali sostituiscono l’intero piatto tibiale ed entrambi i condili femorali.

Nel caso delle protesi totali, si ha anche la maniera di poter sopperire al deficit artrosico della rotula, la dove ci sia un’usura che ne coinvolga la faccia cartilaginea.

Pertanto la scelta del tipo di protesi da impiantare sarà dettata dal danno anatomico e dal residuo di funzione articolare del paziente, dall’età del soggetto e dal tipo di attività quotidiana a cui si deve far fronte.

La riabilitazione

Protesi di ginocchio 05E’ importante che alla protesizzazione del paziente, segua dal giorno successivo, un periodo di riabilitazione che elimini gli effetti negativi del post operatorio, vale a dire edema, infiammazione, aderenze cicatriziali.

Per poter procedere al recupero dell’articolarità massima consentita, al ripristino del tono muscolare, alla riacquisizione della propriocettività dell’intero arto inferiore, al recupero dello schema del passo e a ritrovare il miglior assetto posturale sia statico che dinamico.

Nel periodo post operatorio è fondamentale scongiurare in ogni modo le infezioni della ferita chirurgica, le manifestazioni flebitiche di uno o di entrambi gli arti inferiori, gli edemi locali, le aderenze cicatriziali e articolari, le infiammazioni dei tessuti molli.

Protesi di ginocchio 06Tutte le precauzioni sopra citate, saranno necessarie per ottenere il miglior risultato dall’intervento di impianto della neo-articolazione.

I tempi di recupero

Il periodo che intercorre dall’intervento chirurgico alla completa guarigione del paziente è variabile da soggetto a soggetto e multi fattoriale.

Possiamo dire che mediamente occorrono tre mesi per tornare alla ripresa delle normali attività e circa 1 anno o poco più per una guarigione e integrazione completa dei tessuti biologici.

La protesi di ginocchio ci permette di recuperare un’articolazione compromessa oltre modo, di eliminare i dolori cronici articolari, di recuperare un assetto posturale congruo e di riacquistare una funzione ottimale nella flessione e nell’estensione per ottimizzarle a seguire nelle attività quotidiane più banali come il camminare o il fare le scale.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Rizoartrosi

La rizoartrosi è una artrosi che si sviluppa alla base del pollice.

Rizoartrosi_01La cartilagine che ricopre le articolazioni si assottiglia, per poi sfaldarsi, lasciando delle fissurazioni che non proteggono e non isolano più perfettamente i capi ossei articolari, aumentandone l’attrito e riducendo la qualità dello scorrimento articolare.

L’ articolazione coinvolta è tra l’osso trapezio e il primo metacarpo (articolazione trapezio-metacarpale).

Il carpo è la porzione del polso composta da otto piccole ossa disposte in due filiere, il trapezio è un osso facente parte della seconda filiera, disposto sulla linea del primo dito.

Il 1º metacarpo è un osso interposto tra il trapezio e la falange prossimale del pollice, è quindi un osso di collegamento tra il polso e il 1º dito.

Viene coinvolto il raggio del primo dito dove il pollice é l’unico opponente nella chiusura della mano.

Rizoartrosi_02Nella rizoartrosi si manifesta con dolore, rigidità articolare, infiammazione, riduzione della funzionalità.

Spesso insieme al dolore che si manifesta alla base del pollice, troviamo anche un gonfiore associato.

L’ indolenzimento che si manifesta si può evocare sia durante la pressione e la palpazione profonda dell’articolazione, come anche nei movimenti semplici della vita quotidiana, per esempio stringere la mano, aprire un barattolo, fare dei movimenti rotatori, aprire e chiudere la mano stessa.

L’articolazione diventa rigida, il tono muscolare dell’eminenza tenar diminuisce sensibilmente, si sovraccaricano i tendini estensori e abduttori del pollice che vanno incontro prima a tendiniti e poi a tendinosi.

Rizoartrosi_03Nei casi più avanzati il dolore si manifesta anche a riposo, con dei picchi sintomatologici improvvisi, che possono essere percepiti anche durante il sonno.

Si perde l’uso della mano nella componente oppositoria sulle restanti dita e nel rapporto di adattamento rispetto al polso.

Questa patologia si manifesta con più facilità nell’avanzare dell’età, ma può essere anticipata nella sua manifestazione a causa di attività quotidiane e lavorative, da traumi pregressi, da fattori di predisposizione nell’insorgenza dell’artrosi che la possano favorire.

Rizoartrosi_04Il cambiamento del piano biomeccanico del polso e degli archi trasversi e longitudinali della mano, portano ad un uso eccessivo dell’articolazione trapezio-metacarpale, la quale vedrà un’usura anticipata.

Gli archi trasversi e longitudinali della mano, sono delle linee dinamiche formate da più ossa e più articolazioni, che consentono alla mano stessa di adattarsi e di cambiare la propria forma, per passare dalla chiusura a pugno, alla presa di un oggetto, all’apertura completa della mano con o senza l’estensione delle dita.

La rizoartrosi può essere una conseguenza di attacchi artritici diffusi che portano al danneggiamento del compartimento capsulare, membranoso e cartilagineo, con la diffusione di un danno articolare generalizzato.

L’artrosi che si manifesta, può portare a deformazione dell’articolazione, aumentandone il volume e modificandone i profili.

Rizoartrosi_05Per diagnosticare la rizoartrosi si parte da sempre con una anamnesi che raccoglie tutti i dati indicati e richiesti al paziente.

Fondamentale è l’esame clinico che si accerterà della sintomatologia evocata e di quella spontanea, della capacità articolare e della sua stabilità, dello stato tonico trofico muscolare dell’eminenza tenar, della presenza o meno di infiammazione dei tendini articolari associati.

Fondamentale per la diagnosi corretta è una radiografia per lo studio dell’articolazione, la quale può associare un’ecografia per lo studio dei tessuti molli.

Rizoartrosi_07 Rizoartrosi_06La terapia per la rizoartrosi vede l’ utilizzo di antinfiammatori non steroidei (fans) o di cortisonici, in grado di diminuire l’infiammazione, l’edema e di conseguenza il dolore.

Possono essere utilizzati anche farmaci dello stesso genere per via topica locale, con un’attenzione nelle applicazioni quotidiane e una frequenza cadenzata stabilita di utilizzo.

Fondamentale è il riposo così come l’utilizzo di tutori specifici che consentano l’uso parziale del dito del pollice, facendo anche osservare il riposo posizionale e articolare della giunzione trapezio metacarpale.

Molto utile risulta anche l’applicazione del ghiaccio nel momento in cui l’infiammazione sia più attiva e il dolore più intenso.

Rizoartrosi_08Sono vari i casi dove si procede chirurgicamente, utilizzando metodiche interventistiche di vario genere: protesi articolari riallineamento articolare blocco dell’articolazione rimozione parziale del trapezio con o senza ricostruzione legamentosa.

Rizoartrosi_09La fisioterapia e l’osteopatia mirano a ridurre lo stato infiammatorio articolare, al recupero del movimento, al miglioramento del trofismo muscolare, al ricondizionamento tendineo.

Punteranno ad ottimizzare la biomeccanica e il suo equilibrio nella cooperazione tra gomito, polso e mano, riducendone l’affaticamento e migliorandone l’efficacia.

La rizoartrosi non può essere fermata, ma dobbiamo puntare a rallentarla il più possibile e a mantenere un buono stato di funzione che possa giovare allo svolgimento delle normali attività di vita quotidiana.

Cervicobrachialgia

La cervicobrachialgia é una patologia di tipo neurologico/ortopedico che comporta uno stress del plesso nervoso periferico brachiale.

La patologia può portare ad un’infiammazione, un’irritazione, una compressione (spesso si associano tra di loro) delle vie neurologiche, caricando la radice sensitiva, motoria od entrambe.

Il plesso brachiale è una porzione del sistema nervoso periferico che riunisce varie radici nervose, provenienti dal canale vertebrale nella porzione della cervicale medio bassa.

Cervicobrachialgia_02Le radici che formano il plesso brachiale sono C5-6-7-8-T1 e parzialmente C4 e T2, che anastomizzano con le radici di C5 e T1.

Solamente per ricordare: la lettera C sta per indicare cervicale e la T per toracica, il segmento cervicale è formato da 7 vertebre con dischi intervertebrali di interposizione che partono dall’unità vertebrale C2-3 a scendere.

Il plesso brachiale quindi parte dalla cervicale per distendersi sul territorio della spalla, braccio, avambraccio e mano, facendosi carico di trasmettere un messaggio motorio dal centro di comando cerebrale alla periferia e di riportare al comando centrale tutti gli stimoli sensitivi periferici.

Il plesso brachiale si riunisce in tronchi e fasci da cui poi si diramano i vari nervi specifici per territorio e competenza.

Il plesso nervoso di cui stiamo parlando ha delle zone critiche anatomiche di passaggio dove rischia di subire compressione o trazioni irritative che ne minano lo stato di salute.

La cervicobrachialgia può essere a estensione parziale o completa, ovvero si può manifestare in una porzione del territorio che va dalla cervicale, passando per la spalla, fino alla mano oppure, o su tutto il distretto innervato.

Cervicobrachialgia_03Si può presentare una cervicalgia, dolore sulla zona cervicale e limitazione articolare nei movimenti di rotazione, inclinazione laterale e di flessioneestensione.

Si manifestano stati di contrattura muscolare, alle volte anche diffusa e non è raro che il paziente associ sensi di nausea e sbandamenti.

Nel percorso del plesso brachiale che va dalla cervicale, passando per la spalla, per il gomito, fino ad arrivare alla mano, si possono manifestare alterazioni della sensibilità, come formicolii, bruciori, alterazioni della temperatura percepita, e alterazioni della sensibiltà propria, ovvero una diminuzione o un aumento di cosa viene percepito a contatto della nostra pelle.

Si possono presentare alterazioni muscolari, con una perdita di forza, una diminuzione della resistenza, la comparsa di crampi e contratture.

La cervicobrachialgia ha molteplici cause, diverse tra di loro ma con risultatati simili nella sintomatologia e spesso diversi nell’evoluzione.

Cervicobrachialgia_04Vediamole insieme:

  • ernia discale
  • riduzione dei forami di coniugazione
  • riduzione degli spazi intervertebrali
  • artrosi
  • artrite
  • osteofitosi intracanalare
  • stenosi del canale vertebrale
  • alterazioni vascolari arteriose e/o venose
  • restrizione dei punti di passaggio del decorso del plesso brachiale (es. stretto toracico superiore)
  • degenerazione o denervazione del nervo interessato.

Ognuna di queste cause può avere come conseguenze la manifestazione di una neuropatia compressiva, irritativa, congestizia, anossica, su una o più radici del plesso brachiale, tale da far manifestare i sintomi a carico dello porzione motoria, sensitiva o di entrambe, della cervicale e dell’arto superiore.

La ricerca della cura e la prognosi sarà diversa per tempi e per modi a seconda delle cause sopra citate e per questo diventa fondamentale fare una diagnosi accurata e dettagliata sulla patologia e sulla causa che l’ha portata ad esistere.

Cervicobrachialgia_05La diagnosi viene fatta in molteplici sequenze che partono dalla raccolta dati estrapolata dal racconto del paziente, sul manifestarsi della sintomatologia nelle modalità e nei tempi della giornata, sulla nascita della sintomatologia, su tutto quello che può interferire con lo stato di salute e che possa alimentare il malessere in atto.

A questo seguiranno una batteria di test che metteranno in evidenza la condizione della cervicale e del plesso brachiale sia all’uscita del forame di coniugazione che durante il suo tragitto.

Importantissimo è anche lo studio dei riflessi osteotendinei e la valutazione neurologica dello stato di funzionamento muscolare per forza, resistenza, coordinamento e precisione nell’esecuzione.

Cervicobrachialgia_06Alla prima fase di diagnosi é consigliato proseguire con la diagnostica per immagini, che varierà tra una RX cervicale, ad una RM per valutare lo stato anatomico delle strutture discali, radicolari e in generale di tutti i tessuti molli che che vivono nello spazio esaminato dalla RM, oppure ad una TC nel caso si voglia studiare nel dettaglio lo stato osteoarticolare della regione.

Nel caso ci siano delle condizioni particolarmente sfavorevoli all’esame clinico e al diagnostico per immagini, si può rendere necessario proseguire con l’ elettromiografia, capace di valutare lo stato di salute del nervo nell’interazione con la placca motrice e la sua capacità di trasportare il messaggio neurologico.

Spesso il primo approccio a cui si ricorre è quello farmacologico dove sono molte le strade da percorrere.

Cervicobrachialgia_07Si andrà dall’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei a quelli steroidei, all’utilizzo associato e non, di farmaci miorilassanti per detendere la muscolatura, all’uso di analgesici e antidolorifici di varie categorie.

Ovviamente l’utilizzo dei farmaci sarà scelto in base alla diagnosi fatta e alla causa individuata nello sviluppo e nel mantenimento della cervicobrachialgia.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno un ruolo fondamentale nella cura e nella prevenzione di questa patologia, perché sono in grado di lavorare sull’apertura degli spazi articolari, sulla mobilizzazione delle strutture discali e del sistema nervoso periferico, sulla riduzione di tensione dei punti critici nel passaggio del plesso brachiale, nella capacità di drenare le zone di edema venose e linfatiche che possono aumentare in maniera patologica lo stato di tensione tessutale e articolare, sulla ricerca di mobilità dei fulcri sinergici con il segmento cervicale nel movimento combinato dei 3 piani dello spazio, nella ricerca del miglior assetto posturale statico e dinamico della persona.

Cervicobrachialgia_08Inoltre la fisioterapia e l’osteopatia sono in grado di gestire la salute del paziente con la prevenzione e la gestione dell’anatomia e della fisiologia prima che sviluppi la patologia cervicobrachialgica e l’esplosione della sua sintomatologia.

Nei casi severi dove il danno anatomico e la sua alterazione è talmente grave da non rispondere a cure farmacologiche, a interventi fisioterapici o/e osteopatici, nel momento in cui anche l’esame elettromiografico metta in risalto un danno neurologico rilevante, in quel caso si può ricorrere alla chirurgia, andando a rimuovere la causa e tutelando il segmento vertebrale dall’evoluzione della patologia.

Ovviamente un intervento chirurgico non si fa mai a cuor leggero, ma in alcuni casi è l’unica strada percorribile per ritrovare una buona salute.

La cervicobrachialgia è subdola nella sua evoluzione e aggressiva nella manifestazione della sintomatologia, ha un tempo di guarigione non sempre immediato e può condizionare la vita sociale, lavorativa, affettiva del paziente, ma con la dovuta attenzione nel fare diagnosi, con la precisione nella ricerca della causa, con il giusto programma terapeutico, si riesce a recuperare un’ottima condizione di salute e a prevenirne le ricadute.

Artrosi e artite

Sono patologie spesso confuse, in realtà molto differenti tra di loro. Analizziamo le differenze

Artrosi

E’ una patologia degenerativa che coinvolge l’intera struttura articolare, ha varie fasi che evolvono in maniera progressiva.

Inizialmente le cartilagini si assottigliano, si fissurano e degenerano, in seguito l’osso pericartilagineo si modifica creando sclerosi
(ispessimento) e osteofiti (spuntoni), entrambe situazioni di sofferenza e di cambiamento della corretta architettura ossea.

Altro step è il coinvolgimento delle capsule articolari e delle membrane sinoviali (strutture che avvolgono le articolazioni con funzioni trofiche e di protezione delle stesse), le quali smettono di nutrire, di dare viscosità e di proteggere le cellule articolari rendendo inefficace il movimento stesso.

Il protrarsi di questa situazione può portare a una deformazione progressiva dell’articolazione e nei casi più gravi un cambio di asse dei capi articolari.

Un’artrosi che evolve porterà nel tempo ad avere un dolore locale e un’impotenza funzionale, i muscoli andranno in difesa accorciandosi e favorendo contratture, le catene muscolari perderanno il loro equilibrio.

Chi causa un artrosi?

Eventi traumatici articolari, eccesso di lavoro in condizioni avverse, un cattivo movimento, una riduzione o un eccesso dell’attività fisica, una predisposizione, un’alterazione dei carichi articolari innescati dalla perdita del corretto baricentro, la conseguenza nel tempo di danni articolari di tipo artritico.

Artrite

E’ una patologia infiammatoria a carico delle articolazioni e può colpirne una o più contemporaneamente.

L’infiammazione può essere multifattoriale e catalogabile in più famiglie.

Il quadro infiammatorio risponde alle 5 note caratteristiche: dolore, rossore, calore, tumefazione e inefficienza funzionale.

Le cause che innescano una patologia artritica sono molte: fattori metabolici, autoimmunitari, idiopatici (senza causa apparente), infezioni, traumi.

Le articolazioni dopo una attacco artritico vanno incontro ad un danno anatomico, la struttura cartilaginea viene danneggiata, l’osso subisce un rimaneggiamento, le capsule articolari e le membrane sinoviali vengono gravemente alterate.

L’artrite vive un momento di grande attività infiammatoria, alternata a momenti di silenzio, dove la struttura articolare tenta una guarigione riparatoria al danno subito, ma capita che l’attacco sia stato talmente importante o ripetuto, da lasciare le articolazioni particolarmente offese e deformate.

L’artrite porta un dolore e un impotenza funzionale tanto nella fase acuta, per la forte infiammazione in essere, quanto nel post per le conseguenze riportate.

Accade che un’articolazione danneggiata da artrite a seguire vada incontro ad un’artrosi degenerativa.