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Ernie muscolari miofasciali

Ernie muscolari miofasciali 01Le ernie muscolari, in ambito medico chiamate anche con il nome di ernie miofasciali, sono delle protuberanze di fibre muscolari attraverso il tessuto fasciale di contenimento.

Il tessuto fasciale è una guaina, una lamina o qualsiasi altra aggregazione di tessuto connettivo dissezionabile, che si forma sotto la pelle, per unire, racchiudere e separare muscoli e altri organi interni.

Il sistema fasciale consiste nel continuum tridimensionale dei tessuti connettivi fibrosi, contenenti collagene, lassi e densi, fornendo un ambiente che consente a tutti i sistemi di funzionare in modo integrato.

Le ernie muscolari possono essere singole o multiple, con origine acquisita, nella maggior parte dei casi e, meno frequentemente, di tipo congenite.

Ernie muscolari miofasciali 02Si manifesta un assottigliamento e/o una lacerazione segmentale della fascia, con la protrusione di fibre muscolari dall’apertura fasciale, in maniera eccentrica.

Le lesioni acquisite possono essere causate da attività sportiva, traumi di tipo lesivo o contusivo, infortuni sul lavoro, o secondarie ad interventi chirurgici che prevedono l’incisione della fascia di contenimento di uno o più tessuti, come nelle fasciotomie per sindromi compartimentali.

Le lesioni fasciali acquisite possono essere favorite anche da una minor resistenza nei punti di passaggio di nervi e vasi perforanti, che generano un’apertura naturale del tessuto fasciale.

Le ernie muscolari possono coinvolgere con più frequenza i muscoli degli arti superiori ed inferiori.

Questa condizione erniaria è generalmente indolore, ma se non curata e mal gestita, può causare algia, soprattutto durante gli sforzi fisici segmentali prolungati, che aumentando il volume dell’erniazione muscolare, può causare un’intrappolamento delle fibre muscolari nel pertugio fasciale, causando un’ischemia transitoria delle fibre stesse.

Ernie muscolari miofasciali 03Nel caso di erniazione muscolare da evento traumatico, il dolore può manifestarsi in maniera acuta, con la presenza di un edema associato, ed una riduzione della forza e della resistenza segmentale.

Come accennato all’inizio dell’articolo le ernie muscolari possono essere acquisite o congenite.

Questa distinzione sta a significare che parlando di eventi acquisiti, nella maggior pare dei casi, il tessuto fasciale di contenimento è sano, ma per eventi associati, subisce una lesione diretta o indiretta, mentre nelle situazioni congenite, c’è un alterazione biologica del tessuto connettivo fasciale che lo rende maggiormente fragile, perdendo le capacità meccaniche.

Ernie muscolari miofasciali 04Tra gli eventi acquisiti troviamo:

-trauma diretto lacerativo

-trauma diretto contusivo

-microtraumi ripetuti

-sforzi fisici eccessivi e lungamente protratti

-postumi secondari da intervento chirurgico che prevedono l’incisione della fascia di contenimento di uno o più tessuti.

Tra le cause congenite troviamo:

-patologie autoimmunitarie che coinvolgono il tessuto connettivo come la sindrome di Sjogren, il lupus eritematoso, la sclerosi sistemica e similari.

Va ricordato che i punti di accesso nel tessuto fasciale dei tronchi nervosi periferici e dei vasi vascolari, possono favorite una minor resistenza nei punti di passaggio, che generano un’apertura naturale del tessuto fasciale.

Nella valutazione diagnostica, l’esame obiettivo ed un’anamnesi approfondita che raccolga i dati del paziente inerenti alla patologia, sono di fondamentale importanza.

L’ernia muscolare si evidenzia in maniera visiva, durante la contrazione muscolare concentrica a carico libero e in maniera maggiore in controresistenza.

Ernie muscolari miofasciali 05A livello palpatorio, nel punto dell’ernia muscolare, si apprezza una zona di minor resistenza del tessuto, con la sensazione di affondare oltremisura nel tessuto erniato.

Nel caso di trauma sarà evidente anche una zona di tumefazione più o meno estesa.

A livello strumentale, le indagini che maggiormente sono in grado di definire la condizione di ernia muscolare è l’ecografia, eseguita sia a riposo che in dinamica, capace di vedere come le fibre muscolari si protrudono nel pertugio fasciale.

Ernie muscolari miofasciali 06Anche la RM è un eccellente esame diagnostico, in grado di valutare lo stato anatomico dei tessuti molli muscolari e fasciali.

L’approccio alle ernie di piccole dimensioni generalmente non richiede cure specifiche, ma vengono gestite con l’ottimizzazione di un attività fisica che possa essere coerente con la patologia stessa.

Ernie muscolari miofasciali 07Nel caso in cui invece si trovi associata un’algia di tipo ischemico e/o una tumefazione associata, sarà di grande importanza drenare la zona edematosa e migliorare l’elasticità fasciale della zona erniata, per poi utilizzare dei manicotti elastici di contenimento della zona erniata.

Il trattamento chirurgico è necessario solo se i sintomi sono gravi o invalidanti.

Tra le strade chirurgiche utilizzate, c’è la chiusura diretta del pertugio fasciale sede dell’ernia muscolare, ma va detto che questa scelta non è priva di rischi, perché il paziente può andare incontro allo sviluppo di una sindrome compartimentale, che potrebbe richiedere a posteriori, una fasciotomia, invalidando il trattamento riparativo stesso.

Un’altra strada chirurgica utilizzabile è la fasciotomia segmentale, ma questa metodica produrrebbe ulteriori deformità muscolari e una alterazione del feedback dei meccanocettori nella contrazione e nel rilasciamento muscolare, sia a livello segmentale che nelle relazioni delle catene miofasciali.

Sembra ci siano dei buoni riscontri nell’utilizzo di tecniche riparative, per mezzo del tessuto sintetico chiamato FASCIA CTP, con un riscontro efficace sia nella gestione dell’intervento e sia nella ripresa funzionale.

Ernie muscolari miofasciali 08In ogni tipo di intervento chirurgico applicato, sarà necessario ottimizzare il recupero del paziente, tramite un percorso riabilitativo, mirato alla prevenzione delle possibili aderenze post intervento, nella gestione dell’eventuale comparsa di edemi locali e nel ristabilire il miglior equilibrio muscolare, integrato alle catene fasciali locali e a distanza e sia nel reclutamento delle fibre muscolari i fase di contrazione e in fase di allungamento.

In conclusione l’ernia muscolare è una condizione dalle molteplici varianti cliniche, può essere  facilmente gestibile, oppure andare in contro ad una strada terapeutica importante, ma in entrambi i casi le possibilità di recupero sono alte.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

Il menisco discoide

Il menisco discoide 01Il menisco discoide è una malformazione del menisco che presenta una forma ispessita e più chiusa del normale, in maniera parziale o subtotale, fino a poter assumere una forma a disco (motivo per il quale viene chiamato per l’appunto menisco “discoide”).

I menischi sono delle fibrocartilagini, hanno una forma di C e sono disposti sulle superfici dei due emipiatti tibiali, per aumentare la congruenza articolare e di contatto con i condili femorali, distribuendo in maniera ottimale i carichi dinamici e compressivi, ottimizzando gli accomodamenti e gli adattamenti biomeccanici del ginocchio.

Il menisco discoide 02Il menisco interno ha una forma di C aperta

Il menisco esterno ha una forma di C chiusa.

Il menisco discoide si presenta dalla nascita o meglio, dal momento in cui i menischi si sviluppano come fibrocartilagini, coinvolgendo maggiormente il menisco esterno.

La sintomatologia ha delle manifestazioni variabili, alcuni soggetti rimangono asintomatici, mentre in quelli che presentano il disagio, i segni patologici possono comparire già nell’età fanciullesca e in casi minori nell’età adulta.

Il menisco discoide 03Il paziente può accusare impaccio nella deambulazione e nell’attività fisica, associato spesso a crepitii, sensazione di scatto articolare, compressione nei movimenti massimi di flessione del ginocchio in fuoricarico e peggio ancora in carico, come ad esempio nella posizione accovacciata.

Si avverte spesso una condizione di simil blocco nel passaggio veloce dall’estensione alla flessione e dalla flessione all’estensione, associata ad un’incapacità di raddrizzamento completo della gamba rispetto alla coscia.

A tutte queste situazione generalmente si associa dolore e gonfiore articolare.

Nel tempo il menisco discoide va incontro a dano strutturale, con la formazione di una lesione parziale o di una rottura, inoltre non sono da sottovalutare le discinesie articolari che possono causare un sovraccarico sull’emirima articolare opposta, con la predisposizione alla comparsa di un’artrosi precoce.

La causa del menisco discoide ad oggi non è conosciuta, ma questa malformazione è di tipo congenita e per tanto presente dalla nascita, come precedentemente anticipato.

Il menisco discoide 04La diagnosi si esegue tramite un esame obiettivo, che tiene in considerazione l’anamnesi con la raccolta dei segni e dei sintomi riportati dal paziente.

La visita è supportata da un esame obiettivo, dove i test specifici articolari e meniscali, mostrano una sofferenza del compartimento interessato, che spingerà lo specialista a richiedere una RM.

Il menisco discoide 05L’RM è in grado di fotografare lo stato anatomico del segmento, mostrando la conformazione e l’integrità dei menischi, sia nello specifico che nei rapporti con le strutture capsulo-legamentose.

La terapia per il menisco discoide non è necessaria nei soggetti asintomatici, mentre necessita d un approccio multidisciplinare su quei pazienti che riportano una parte, o la maggior parte dei sintomi precedentemente descritti.

Il menisco discoide 06E’ necessario mettere in campo tutte quelle terapie atte a ridurre il dolore e il gonfiore articolare, focalizzando a seguire l’attenzione nel migliorare il più possibile la corretta mobilità articolare, ottimizzandone la capacità propriocettiva e migliorando il tono trofismo muscolare con l’intento di stabilizzare l’articolazione stessa.

E’ opportuno creare dei compensi articolari soprattutto a carico dell’anca, per scaricare il più possibile il lavoro dell’arto inferiore sul ginocchio.

chirurgiaNei casi in cui la fisioterapia non sia più sufficiente, si potrà perseguire la strada chirurgica, con un intervento di rimodellamento meniscale per via artroscopica, verso un ricondizionamento il più possibile congruo alla sua funzione articolare, tenendo conto dello spazio e della conformazione che si deve sposare tra il piatto tibiale e il condilo femorale.

Il periodo post operatorio prevede un tempo dovuto di riduzione del carico, tramite l’utilizzo di bastoni canadesi o delle stampelle, per un massimo di 3 settimane, associato ad un lavoro mirato di riduzione dell’edema infiammatorio, ad un recupero ed un’elasticizzazione articolare, ad un ricondizionamento della muscolatura agonista-antagonista dell’arto inferiore e ad un incremento propriocettivo dell’articolazione, per arrivare alla miglior cinestetica dell’arto inferiore rispetto al rapporto dinamico e di carico.

Abbiamo appreso che il menisco discoide è una patologia congenita che può rimanere silente per un periodo, fino al punto che non si adatti più alla richiesta di movimento specifico del paziente.

Nel momento in cui si dovesse manifestare, abbiamo vari approcci terapeutici che sono in grado di  ottenere un recupero completo del compartimento articolare, ottimizzando lo stato di salute del paziente.

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Lussazione di spalla

Per lussazione di spalla si intende una perdita della normale congruità dei rapporti articolari tra la testa dell’omero e la glena.

L’anatomia della spalla

L’articolazione geno-omerale, conosciuta anche come articolazione scapolo-omerale, consiste in una congiunzione tra la testa omerale di tipo sferica che si adatta all’alloggiamento concavo della scapola.

Il rapporto tra le due superfici articolari non è stabile perché la testa dell’omero è in proporzione più grande rispetto alla glena scapolare di alloggiamento.

I cercini glenoidei, la capsula auricolare, le strutture legamentose di sostegno ed i tendini inserzionali di giunzione muscolare, servono ad aumentare la capacità di sostegno e di stabilità per questa articolazione, che vede la necessità di avere dei gradi di mobilità molto ampi, per poter eseguire dei movimenti singoli e congiunti nei 3 piani dello spazio.

E’ quindi la caratteristica anatomica di questa articolazione che ne conferisce una certa suscettibilità all’instabilità articolare, a favore di una mobilità maggiore.

Nella lussazione di spalla la testa dell’omero perde il normale rapporto anatomia rispetto alla glena, creando una disgiunzione articolare.

Generalmente la lussazione avviene in percentuale maggiore per traumi diretti, ma non solo.

E’ necessario ricondizionare i rapporti articolari per merito di manovre di riduzione, che possono essere effettuate con varie tecniche.

Classificazione della lussazione di spalla

La lussazione di spalla vede una classificazione ben specifica:

  • anteriore, la più comune (oltre il 90% dei casi);
  • posteriore (2-5% dei casi)
  • inferiore, la meno comune.

Anteriore, se la testa dell’omero fuoriesce in avanti.

Posteriore se la testa dell’omero fuoriesce all’indietro.

Inferiore (se la testa dell’omero scivola verso il basso).

La lussazione di spalla oltre alla perdita della congruità articolare può causare delle lesioni secondarie alle strutture contigue:

  • lesioni del cercine glenoideo della porzione superiore (lesione SLAP)
  • lesioni del cercine glenoideo della porzione infero-anteriore (lesione BANKART)
  • lesioni del cercine glenoideo della porzione infero-posteriore (lesione BANKART INVERSA)
  • lesione della capsula articolare
  • lesione dei legamenti gleno-omerali
  • lesione della cuffia dei rotatori
  • lesione del tendine del capo lungo dl bicipite brachiale
  • stupor del plesso brachiale nella zona contigua all’articolazione
  • danni vascolari al pacchetto arterio-venoso nel segmento ascellare
  • fratture ossee a carico del terzo prossimale dell’omero, della testa dell’omero e della glena.

Caratteristica della lussazione di spalla è la possibilità che si instauri a seguire una instabilità cronica di spalla, che genera una predisposizione secondaria al ripetersi della lussazione (lussazione recidivante), oppure al manifestarsi di eventi sublussativi con una perdita parziale della congruità articolare e un rialloggiamento immediato del tutto autonomo.

L’instabilità di spalla post traumatica è chiaramente dovuta al conseguente danneggiamento delle strutture contenitive dell’articolazione primaria.

Sintomatologia

Lussazione di spalla 04I sintomi che si manifestano nella lussazione di spalla sono:

  • deformità anatomica articolare, dove risalta l’acromion, mentre la testa dell’omero non è palpabile nella sua normale posizione
  • forte dolore
  • gonfiore
  • limitazione articolare subtotale, con atteggiamento antalgico di difesa
  • scrosci articolari anomali
  • intorpidimento e parestesie dell’arto superiore che si estende spesso fino alla mano.

Le cause della lussazione di spalla, come precedentemente accennato, sono quasi sempre di natura traumatica diretta, caduta sulla spalla, oppure indiretta per caduta sul gomito o sulla mano.

Sarà la dinamica del trauma a causare la differenziazione tra una lussazione anteriore, posteriore, oppure inferiore, e l’eventuale associazione o meno di una frattura segmentale.

spalla infortunioIl trauma è sempre del tutto accidentale, ma va detto che alcune attività sono predisponenti all’evento, come ad esempio gli sport da contatto o pesistici, oppure attività lavorative che prevedono l’utilizzo di carichi ripetuti, con elevazione articolare multiplanare sopra il piano delle spalle e della testa.

Non va dimenticato che la lussazione di spalla può avere anche dei fattori predisponenti all’evento quali:

  • lassità capsulo-legamentose
  • patologie autoimmunitarie e/o infiammatorie del tessuto connettivo
  • traumi pregressi del  cercine glenoideo
  • traumi pregressi di tipo distrattivo legamentoso
  • miopatie
  • patologie neurologiche centrali o periferiche di tipo flaccido.

Diagnosi della lussazione di spalla

diagnosi lussazioneLa diagnosi di lussazione vede in prima battuta un’anamnesi con la quale si cerca di stabilire la dinamica dell’evento lesivo.

Ad essa sarà associata un’esame obiettivo, dove la palpazione articolare e la valutazione della congruità articolare, i test di mobilità e l’evocazione del dolore, saranno in grado di stabilire, quasi con esattezza, la diagnosi di lussazione gleno-omerale.

spalla rxOvviamente l’anamnesi e l’esame obiettivo non sono sufficienti a stabilire la gravità della lussazione, ne se ci sono dei danni associati, pertanto può rendersi assolutamente necessario, integrare la visita con esami radiografici, capaci di stabilire il tipo di lussazione posizionale e se ci sono dei danni fratturativi associati, esami di RM in grado di valutare i danni ai tessuti molli capsulo-legamentosi e muscolo-tendine.

Nel caso il paziente riferisca sintomi neurologici e vascolari associati all’evento traumatico, sarà opportuno richiedere uno esame elettromiografco per valutare la conduzione nervosa periferica rispetto alla placca motrice di competenza e un ecocolordoppler dei vasi profondi arterio-venosi del segmento succlavio ed ascellare, per studiarne la funzione.

Il trattamento della lussazione di spalla

spalla tutoreIl trattamento prevede in prima battuta una riduzione della lussazione tramite manovre specifiche, spesso esercitata in anestesia locale, per far rientrare la testa dell’omero nel proprio alloggiamento articolare.

A questa farà seguito un periodo di immobilizzazione, adoperando un tutore apposito che verrà utilizzato per circa 30 giorni, mantenendo la spalla bloccata in posizione neutra, riducendo a zero ogni tipo di movimento volontario ed involontario e permettendo ai tessuti molli di riparare dal danno subito nella lussazione della testa omerale.

E’ da dire che non tutti i tessuti sono in grado di riparare un danno anatomico, pertanto potrebbe risultare necessario ripetere delle indagini diagnostiche di RM dopo circa 3 mesi, per valutare i danni permanenti e quelli che invece hanno portato avanti un processo di guarigione.

Lussazione di spalla rieducazioneNelle prime 2-3 settimane dall’evento traumatico è importante ridurre l’infiammazione, pertanto sarà utile fare un uso locale di ghiaccio e di antinfiammatori all’occorrenza, coadiuvati da miorilassanti e antidolorifici nei primissimi giorni post trauma.

Una volta tolto il tutore sarà necessario introdurre un periodo riabilitativo fisioterapico, volto a recuperare l’articolarità della spalla, da principio sul piano primario di elevazione, per poi procedere con il movimento laterale di abduzione, fino ad integrare in ultima battuta le rotazioni esterne ed interne.

Necessario sarà far recuperare un ottimo tono-trofismo della muscolatura della spalla, senza mai arrivare allo sforzo massimo, ne ad un’affaticabilità limite, in maniera da irrobustire la tenuta muscolare dell’articolazione stessa.

Da non sottovalutare sarà l’allenamento propriocettivo, capace di ottimizzare gli schemi di movimento, corticalizzandoli nella maniera corretta.

Appare da subito chiaro che i tempi di recupero di una lussazione di spalla sono variabili a seconda della gravità del danno subito, dell’età biologica del paziente e dell’attitudine personale a svolgere lavori di recupero funzionali.

Pertanto i tempi minimi di 3 mesi per il ritorno alla normalità, possono allungarsi anche del doppio se non oltre.

Queste tempistiche variano di molto nel caso si renda necessario effettuare un’intervento chirurgico per riparare un danno anatomico importante quale una frattura ossea, una lassità o una lacerazione della capsula articolare, una lesione della cuffia dei rotatori, o una lesione del cercine glenoideo.

Lussazione di spalla chirurgiaL’intervento chirurgico può essere effettuato nei giorni subito a seguire l’evento traumatico, o dopo terminato il periodo riabilitativo d recupero nel momento in cui i risultati ottenuti non siano stabili e/o sufficienti.

La lussazione di spalla è un infortunio grave, ma se applicati da subito i giusti interventi di assistenza, si possono ottenere degli ottimi risultati di recupero.

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Cisti artrogene del polso e della mano

Le cisti artrogene del polso, definite anche “cisti gangliari o gangli”, sono delle tumefazioni tondeggianti contenenti liquido, che si manifestano nella zona dorsale del polso, più raramente nelle aree interfalangee e/o sul palmo della mano.

Le cisti artrogene si formano nella rima articolare, tra due capi ossei, dov’è presente la capsula articolare, la quale, per merito del liquido sinoviale secreto, protegge, nutre l’articolazione e la preserva dagli attriti che si formano durante il movimento.

Il tessuto della capsula articolare può cedere e creare una lassità tessutale, formando un’erniazione su un’area più o meno estesa.

cisti artrogene 02Nel punto di erniazione, il liquido sinoviale può trovare una strada dove infiltrarsi, tanto da creare la cisti artogena nel momento in cui venga prodotto una quantità maggiore di liquido.

Il volume delle cisti può cambiare nel tempo, a seconda delle condizioni di utilizzo articolare del paziente e dell’eventuale stato infiammatorio associato, pertanto la tumefazione può rimanere stabile, così come può aumentare o diminuire.

C’è da dire che difficilmente le cisti artogene diminuiranno nel tempo, perchè  il loro volume aumentato e mantenuto tale, crea una lassità della capsula articolare sempre maggiore, predisponendole sempre di più ad un aumento di volume.

Le donne sono maggiormente colpite, e l’insorgere della patologia può presentarsi sin dall’età adolescenziale, cosi come non ne è esclusa l’età adulta.

I fattori predisponenti sono simili nelle diverse fasce di età anche se da anziani, l’artrosi può essere una causa aggiunta.

Le cisti artrogene, non sono sempre sintomatiche.

Il paziente può notare un rigonfiamento nella zona del polso, o della mano, ma senza avvertire ne dolore, ne limitazione funzionale durante il movimento, ne una riduzione di forza nella muscolatura della mano e dell’avambraccio.

cisti artrogene 03Nei casi sintomatici, la persona interessata alla patologia, riferirà dolore sia alla palpazione, sia al movimento libero della mano, soprattutto durante la flessione e l’estensione massima, per esacerbarsi nei movimenti di forza, di presa e di controresistenza.

Il dolore per effetto riflesso, può ridurre la forza del segmento, creando un disequilibrio delle catene muscolari e una discinesia compensatoria del poso, dell’avambraccio, fino ad arrivare alla spalla nei casi più gravi.

Nei casi dove la cisti abbia un volume particolarmente importante e a seconda della zona dove si sviluppa, si potranno manifestare delle tendiniti da sfregamento e delle neuropatie da compressione.

Le cause che sviluppano i gangli, sono corrisposte maggiorente in una predisposizione di lassità capsulare, ma non solo, perché alcuni tipi di traumi, soprattutto distrattivi, possono portare ad un’alterazione della capsula articolare, che causano un’elongazione delle sue fibre fino a manifestare un’erniazione, nel momento in cui si associ ad un’infiammazione ed un aumento consistente di produzione del liquido sinoviale.

tennisI microtraumi ripetuti, gli sforzi prolungati, sempre nei soggetti predisposti, o già affetti dalla patologia, portano alla manifestazione della tumefazione o ad un aumento di volume della cisti.

Le patologie artritiche maggiormente e in minor misura quelle artrosiche, sono compartecipanti allo sviluppo dei gangli articolari.

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della malattia.

palpazioneNel proseguo della denominazione della patologia, l’esame visivo ci permette di rilevare delle tumefazioni tondeggianti che aumentano durante il movimento articolare massimo.

La palpazione ci permetterà di valutarne la consistenza, l’aumento di temperatura e la mobilità del tessuto.

L’esame obiettivo darà la possibilità di testare la mobilità articolare, la forza muscolare segmentale e distrettuale, la resistenza allo sforzo e soprattutto la comparsa del dolore durante le prove a cui il paziente viene sottoposto.

ecografiaQuasi sempre si rende necessario eseguire un esame ecografico, per avere un’immagine precisa della cisti e del suo contenuto, per capirne l’effettiva dimensione e il coinvolgimento articolare.

Nei casi in cui l’ecografia non sia sufficiente, per dissipare i dubbi diagnostici, si ricorrerà ad una risonanza magnetica, che stabilirà con maggior precisone lo stato in essere del ganglio.

Il trattamento prevede la gestione nella fase acuta e nella fase cronica.


cisti artrogene 07Nella fase acuta, quando si evidenzia per la prima volta la presenza della cisti artrogena, dovuta ad un trauma distrattivo o da sforzo, bisogna intervenire il prima possibile, applicando un bendaggio elastico compressivo, che riesca a mantenere l’articolazione limitata nei movimenti e in posizione neutra di riposo, per dare la possibilità di recuperare biologicamente al danno capsulare subito, limitando un aggravamento lassivo dei tessuti.

Nei primi giorni sarà necessario anche l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei, per limitare l’infiammazione accesa durante il trauma.

L’utilizzo del ghiaccio sarà molto utile come supporto naturale alla riduzione dell’infiammazione.

cisti artrogene 08Nella fase cronica invece, è necessario prevenire il rigonfiamento della ciste in seguito a sforzi massimali o ripetuti di breve intensità, utilizzando un tutore che stabilizzi l’articolazione e ne riesca a limitare gli sforzi durante le attività richieste.

E’ utile applicare del ghiaccio alla fine dello sforzo massimale richiesto al polso o alla mano, soprattutto nei casi in cui si faccia attività fisica sportiva, o lavori manuali, che ne prevedano un uso intenso e ripetuto.

Sempre per i casi cronici si rende necessario fare della buona fisioterapia per ottenere il massimo dell’articolarità consentita nella mano, nel polso e nel gomito, guadagnando la miglior funzionalità delle catene muscolari sia flessorie che estensorie, cosi come di quelle pronatorie e supinatorie.

Dare degli esercizi specifici al paziente per mantenere al meglio l’elasticità dei tessuti articolari, legamentosi, tendinei e muscolari, sarà molto utile nella gestione della patologia e del dolore.

chirurgiaNei casi in cui non si riesca a far fronte in nessun modo alla ciste artrogena, e li dove il paziente riferisca dolore intenso e limitazione nelle attività di vita quotidiana, si può intervenire chirurgicamente, asportando il ganglio in maniera radicale.

Nei pazienti che subiscono l’intervento chirurgico di rimozione della cisti, va sempre suggerito un periodo di riabilitazione mirata, per recuperare l’articolarità e ricondizionare i tessuti molli nell’esecuzione sia dei gesti quotidiani, che dei movimenti estremi richiesti durante gli sforzi.

E’ da dire che le cisti asportate chirurgicamente, nel tempo possono ripresentarsi, manifestando sintomi simili se non addirittura uguali.

Le cisti artrogene sono patologie sicuramente non gravi, ma se trascurate possono condizionare la nostra quotidianità, per questo vanno affrontate prima che il loro sviluppo diventi eccessivo e mal tollerato.

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Coccigodinia

La coccigodinia è una manifestazione dolorosa della zona coccigea, localizzata nella porzione infero-mediana del bacino.


Anatomia

coccigeIl coccige è la parte terminale della colonna vertebrale, composta da un numero di segmenti variabili da 3 a 5 unità, fusi tra di loro, ad eccezione del primo metamero che si articola con l’osso sacro.

Il tratto coccigeo ha una convessità rivolta posteriormente e una faccia anteriore concava, pertanto possiamo dire che la punta è rivolta in avanti verso la zona pubica.

Al coccige si ancora una parte della muscolatura glutea, così come una parte della muscolatura pelvica e i loro tessuti connettivi inerenti di giunzione.

coccigodinia 02Possiamo pertanto affermare che il coccige sia un equilibratore del pavimento pelvico, entrando attivamente nella gestione dei carichi di linee pressorie, nel gioco della dissipazione delle forze di compressione e di trazione del piccolo bacino.

Vanno anche considerati i rapporti viscerali che il coccige ha in maniera semidiretta con il retto.


La manifestazione del dolore nella coccigodinia

Il dolore può essere dovuto sia ad un’infiammazione della zona inerente, sia ad uno stato di tensione anomala dei tessuti molli di competenza.

La coccigodinia si può presentare indipendentemente dal sesso e dall’età, anche se ci sono dei fattori predisponenti maggiori, come la gravidanza, il parto, la lassità dei tessuti molli, che mettono la donna in una condizione di maggior interesse.

Il dolore si manifesta nella parte terminale della colonna vertebrale, internamente alla zona bassa interglutea, identificato dal paziente in maniera puntiforme, posizionando il dito proprio nella zona apicale del coccige.

Il dolore può avere un’intensità mutevole, che varia da un fastidio ad un’incapacità di sedersi, di chinarsi in avanti, di mantenere la posizione eretta, di adoperarsi nei cambi di postura o addirittura di camminare per lunghi tratti.


I sintomi

I sintomi possono esser persistenti o intermittenti a seconda della gravità della situazione.

Il dolore può irradiarsi alla zona interglutea, ai fianchi, fino a scendere sulla zona prossimale-mediale posteriore delle cosce.

Durante i rapporti sessuali il sintomo può esacerbarsi, così come può essere presente nella costipazione o prima dell’evacuazione, per poi ridursi dopo la defecazione.

Anche il periodo del ciclo mestruale può aumentarne la sensibilità.


Le cause della coccigodinia

La causa diretta spesso è ricondotta ad una caduta sul sedere, dove l’effetto traumatico può addirittura causare una lesione fratturativa o una lussazione del segmento.

Molte altre cause sono associabili alla patologia, alcune delle quali sono legate alla cattiva mobilità del coccige e delle strutture muscolo-tendine, fibrose e viscerali ad esso legate.

Le lesioni da sforzo ripetitivo, possono essere un’altra causa della coccigodinia, dove in questo caso difficilmente si svilupperà un’ infiammazione, ma bensì si manifesterà un aumento della fibrosità e una tensione anomala dei tessuti molli connessi.

Alcuni sport, come il ciclismo, possono creare uno sfregamento ripetuto della zona, capace di innescare un’infiammazione della zona, alle volte con edema superficiale o profondo associato.

sedutaNon è da sottovalutare la cattiva postura che il paziente mantiene nelle posizioni sedute, dove lo scarico del peso corporeo si sposta dalla zona ischiatica, scivolando nella parte posteriore coccigea.

La gravidanza e il parto stesso, possono causare una tensione e una deviazione del coccige, per l’aumento del volume e della pressione nella zona infero posteriore del bacino.

Tra le cause possiamo anche includere le patologie infettive, soprattutto nel momento in cui sfoghino in ascessi, particolarmente debilitanti, per la loro persistenza e per la difficile risoluzione in maniera veloce.


La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione dell’affezione, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la postura del paziente, sia sul piano sagittale che sul piano frontale, per analizzare le capacità di movimento del bacino, lo stato di tensione muscolare, dei tessuti connettivi di collegamento e la reazione del paziente all’evocazione del dolore durante la palpazione.

coccigodinia 05L’esame radiografico si rende assolutamente necessario per esaminare lo stato anatomico del segmento coccigeo e rilevarne eventuali fratture, lussazioni, o modificazioni anatomiche quali esostosi o calcificazioni.

Può ritenersi necessario integrare l’Rx, come esami di risonanza magnetica o Tc, che hanno la capacitò di analizzare con maggior scrupolo tanto la struttura ossea, quanto i tessuti molli associati.

Nel caso sia presente un ascesso di tipo infettivo, può essere utile, se non addirittura necessario, richiedere degli esami di laboratorio per valutare lo stato biologico dei fattori patologici nel contesto della persona.


Il trattamento della coccigodinia

L’utilizzo di farmaci antinfiammatori vede un’ampia gamma di possibilità terapeutiche quali:

  • antinfiammatori non steroidi
  • cortisonici
  • miorilassanti
  • antidolorifici.

Possono rivelarsi utili le applicazioni infiltrative locali, per aumentare l’efficacia della somministrazione farmacologica.

In molti casi si rende necessario l’utilizzo di un cuscino vuoto nella sua porzione centrale, comunemente chiamato ciambella, per scaricare il peso corporeo e la frizione nella zona coccigea nelle posture sedute del paziente.

fisioterapiaLa fisioterapia, così come le tecniche manipolative osteopatiche, si rivelano ottime per il riequilibrio del coccige all’interno del sistema del piccolo bacino, per la correzione dell’articolazione sacro-coccigea, per la diminuzione della tensione muscolare associata e per ridare elasticità ai tessuti connettivi-legamentosi di relazione.

La chirurgia può ritenersi una strada valutabile solo ed esclusivamente nei casi in cui abbiano fallito tutte le terapie sopra indicate e il paziente non riesca a risolvere il dolore, dovendo affrontare una diminuzione drastica della qualità di vita nelle attività quotidiane minime.

La coccigodinia è una patologia fastidiosa, ma ha talmente tante variabili evolutive che ci permette di approcciarla con varie soluzioni terapeutiche, risolvendo il problema in maniera efficace e definitiva.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Displasia congenita dell’anca

Cos’è la displasia congenita dell’anca?

Displasia congenita anca 01La displasia congenita dell’anca (DCA) conosciuta in alternativa  come “lussazione congenita dell’anca (LCA)”, è una patologia che riguarda l’articolazione coxo-femorale sia nella conformazione e sia nel posizionamento della testa del femore rispetto all’acetabolo.

Le classificazioni

La lussazione congenita dell’anca, ha diverse classificazioni a seconda di come evolve la dislocazione della testa del femore e dei rapporti anatomici che si vengono ad instaurare:

  1. displasia dove si evince un acetabolo ovalizzato
  2. sublussazione della testa del femore dove si ha una perdita parziale dei normali rapporti anatomici tra i due capi articolari
  3. lussazione dove si ha una perdita totale dei normali rapporti anatomici tra i due capi articolari
  4. lussazione e formazione di un neo-acetatolo, ovvero l’osso esterno del bacino (iliaco), al di sopra dell’articolazione, si modifica creando una nicchia che ospita la testa del femore in maniera impropria.

Displasia congenita anca 02

Quando si manifesta?

La patologia displasica si attiva già nel periodo fetale e può manifestarsi su una singola anca oppure, in percentuale ridotta mediamente al 30-35%, su entrambe le anche.

La popolazione femminile è maggiormente colpita rispetto ai maschietti e si riscontra una familiarità patologica.

Displasia congenita anca 03Nella displasia congenita dell’anca troviamo una serie di alterazione che riguardano varie strutture anatomiche:

  • cartilagini
  • osso
  • capsule articolari
  • legamenti
  • muscoli
  • tendini
  • tessuti fasciali
  • tessuto adiposo.

Le alterazioni strutturali sono sicuramente le più importanti, perché da lì avremo gli adattamenti di tutte le restanti strutture anatomiche, che compenseranno nel miglior modo possibile, senza però arrivare mai ad una stabilità ottimale dello stato di salute dell’articolazione.

Per alterazioni strutturali intendo:

  • ipoplasia dell’acetabolo
  • un solco migratorio della testa del femore sull’ala iliaca esterna del bacino
  • la formazione atipica di un neo-acetabolo alla fine del solco migratorio iliaco, dove si stabilizzerà la testa del femore, creando una falsa articolazione adattativa
  • alterazione della testa, del collo e dell’angolo femorale.

Cause e sintomi della displasia congenita dell’anca

Cause

Displasia congenita anca 04Le cause che possono innescare la displasia congenita dell’anca sono diverse:

  • ereditarietà che si manifesta con percentuali diverse a seconda del diretto corrispettivo con genitori o fratelli
  • riduzione della resistenza della cavità acetabolare, ovviamente a maggior impronta cartilaginea nei primissimi periodi di vita e sviluppo
  • lassità capsulo-legamentosa, che permette il dislocamento della testa del femore fuori dall’asse articolare
  • la posizione del feto nel periodo di sviluppo e il rapporto di volume-spazio occupato soprattutto negli ultimissimi mesi, che potrebbe portare il nascituro ad assumere degli atteggiamenti sbagliati e innaturali con l’anca.

Sintomi

I sintomi che si manifestano nella lussazione congenita dell’anca sono diversi a seconda del grado di displasia e in relazione all’età della comparsa manifesta nel soggetto affetto.

Nella fase neonatale si individua uno scatto ed un’anomalo movimento, che viene riscontrato e riprodotto tramite due test specifici:

  • manovra di Ortolani
  • manovra di Barlow.

La coscia tende ad essere maggiormente in extrarotazione nella posizione di riposo e l’arto displasico è risalito, risultando erroneamente più corto.

I movimenti di apertura della coscia possono risultare ridotti.

Displasia congenita anca bambiniNello sviluppo dei bambini, in particolare modo nella conquista della posizione bipodalica e nello sviluppo della deambulazione, si può manifestare un ritardo di entrambe le fasi.

Non è raro notare uno stato anomalo di tensione muscolare, se non addirittura di contrattura di alcuni e uno stato di ipotonicità di altri.

Nel corso degli anni si instaureranno compensi di postura sia a livello della colonna vertebrale, sia nel ginocchio, com’anche nell’appoggio del piede a terra in fase statica e dinamica.

Sarà inevitabile veder sviluppare un’artrosi precoce della testa del femore e della zona articolare che la contiene.

Come si diagnostica una displasia congenita dell’anca?

Manovre Ortolani BarlowCome prima frase, nei giorni di degenza ospedaliera del bambino dopo il parto, durante i controlli pediatrici, vengono eseguite le manovre di Ortolani e/o di Barlow, che metteranno in allerta i sanitari, nel qual caso risultino positive.

Gli esami ecografici sono fondamentali e vanno effettuati tra la 6° e la 12° settimana di vita del bambino.

L’ecografia permetterà di vedere lo stato di salute della zona articolare, le strutture cartilaginee pre-sviluppo osseo, lo stato in essere dei legamenti e delle capsule articolari.

Displasia congenita anca RXLe indagini radiografiche permettono di capire l’anatomia delle articolazioni coxo-femorali displasiche, non nel periodo post nascita e ne prima dello stadio di inizio deambulazione, perché la formazione ossea sarebbe minima e quindi troppo poco valutabile.

L’RX diventa un ottimo esame diagnostico nel momento in cui l’osso è sufficientemente o totalmente formato, permettendo di valutare sia la posizione dei capi articolari, sia la deformazione articolare, sia la presenza della neo-articolazione.

La terapia della displasia congenita dell’anca

La terapia varia in maniera significativa a seconda di quanto si sia stati tempestivi nel diagnosticare e nell’affrontare la patologia displasica.

La fase neonatale

Displasia congenita anca tutore

Displasia congenita anca tutore

Nella fase neonatale si utilizza un tutore per centrare e mantenere nella posizione ottimale la testa del femore nell’acetabolo.

Fintanto che le strutture anatomiche, scaricate dalle trazioni muscolari e dalle forze di compressione, si sviluppino maggiormente e siano tra loro meglio contenenti.

Nel caso la terapia inizi in una fase di lussazione dell’anca, sarà necessario applicare una trazione prolungata in scarico che riporti la testa del femore in allineamento con l’acetabolo articolare.

Si andrà, poi, fare una manovra di riposizionamento e fissarla in correzione con apparecchio gessato o tutore.

I tempi saranno variabili in ogni sua fase a seconda della gravità della lussazione e in relazione allo stato di tensione e fibrosità dei tessuti molli.

Accrescimento e età adulta

Nel caso la patologia sia ormai conclamata e stabilizzata in un’età di accrescimento e sviluppo importante, non abbiamo modi efficaci per ristabilire la congruità dei capi articolari, se non sostituire l’articolazione con un’artroprotesi, impiantando quindi una nuova testa del femore e un nuovo acetabolo.

Visto che le protesi articolari hanno un tempo di durata abbastanza predefinito, generalmente si aspetta un’età adulta per impiantare la neo-articolazione.

Nel frattempo si utilizza la fisioterapia per diminuire al massimo i compensi articolari vertebrali e di carico degli arti inferiori, ristabilendo la miglior capacità funzionale delle catene muscolari, evitando contratture oppure ipotonicità.

Sarà necessario mantenere la miglior articolarità possibile concessa, per lasciare attivi i movimenti nei piani congrui biomeccanici.

artroprotesi ancaSpesso ci troveremo costretti a recuperare la dismetria tra i due arti, causata dalla dislocazione articolare, per mezzo di un rialzo, permettendo di mantenere almeno il miglior assetto vertebrale posturale possibile.

L’artroprotesi

Quando il paziente arriverà ad un’eta congrua per affrontare l’intervento di sostituzione articolare, una volta impiantata l’artroprotesi, si procederà ad un periodo di recupero riabilitativo.

In questa fase, sarà compito del fisioterapista andare a ristabilire l’articolarità della protesi, eliminare gli esiti chirurgici, quali edemi, cicatrici, ipotonie muscolari, scompensi posturali e biomeccanici.

A questo punto il paziente comincerà a vivere un nuovo periodo, libero dalle difficoltà articolari e dai dolori muscolari.

Deve tener presente che generalmente il complesso protesico messo prematuramente, deve portarlo a prestare attenzione per evitare un’usura precoce della neo-articolazione.

E’ indispensabile evitare di sottoporla a gesti che ne possano aumentare il carico oltremodo ed il rischio di lussazione.

La displasia congenita dell’anca non ci deve preoccupare soprattutto se presa nelle primissime fasi neonatali.

La diagnosi precoce diventa la miglior alleata a nostra disposizione, in caso contrario il percorso di cura sarà più lungo e tortuoso ma comunque possibile.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

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Ginocchio valgo, ginocchio varo

Ginocchio_valgo_varo_01Il valgismo ed il verismo del ginocchio sono due alterazioni di posizione dei capi di giunzione articolare, ovvero femore e tibia, che perdono la loro ottimale angolazione di incontro, andando a portare il ginocchio più vicino alla linea centrale del corpo nel caso del valgismo, oppure più lontano alla linea centrale del corpo nel caso del varismo.

Il ginocchio é un’articolazione dove i capi articolari sono appoggiati tra di loro, contenuti da capsule e legamenti, pertanto godono di un equilibrio sempre condizionato da fattori contigui, diverso invece sarebbe se fosse stata un’articolazione ad incastro come ad esempio quella dell’articolazione dell’anca dove la stabilità è molto maggiore.

Ginocchio_valgo_varo_02Il valgismo e il varismo possono essere anche notati per l’allontanamento delle caviglie tra di loro nel valgismo, mentre nel varismo avremo l’ allontanamento delle ginocchia tra di loro.

Il valgismo e il varismo generalmente si manifestano bilateralmente, ma non sono pochi i casi dove la deformazione sia a carico di un solo emilato.

Il ginocchio ha un asse leggermente diverso tra il maschio e la femmina e ciò è la risultante della diversa conformazione del bacino, più stretto nell’uomo e più largo nella donna.

La forma del ginocchio stesso é data dalla dalla risultante delle conformazioni del bacino, della testa del femore, della dialisi femorale, della tibia, della pinza malleolare rispetto all’astragalo e del calcagno.

Ginocchio_valgo_varo_03Adesso diventa chiaro quanto sia delicato l’equilibrio tra le strutture anatomiche della persona e le linee di gravità che comandano la nostra quotidianità biomeccanica statica e dinamica.

Insieme al valgismo e al varismo va considerato che ci sono modificazioni di accomodamento dell’articolazione nei 3 piani delle spazio, quindi insieme alla deviazione sul piano frontale, avremmo degli accomodamenti anche in rotazione (piano orizzontale) e in flesso-estensione (piano sagittale).

Questi compensi verranno mediati in primo luogo dalle strutture articolari mobili quali il perone, la pinza malleolare e la sottoastagalica, il calcagno, ovvero quelle strutture osteo-articolari che hanno una grossa capacità di accomodamento nella distribuzione dei carichi per favorire la mobilità e l’appoggio.

Fatto un quadro generale sul valgismo e sul varismo cerchiamo di capire quali possono essere le cause di queste alterazioni articolari.

Le cause

Le cause sono molte e di natura diversa, legate all’età in cui si manifestano ed evolvono.

  • Ginocchio_valgo_varo_04L’allineamento della testa del femore, della dialisi femorale e della tibia, crea il passaggio dei carichi delle linee di forza fino allo scarico a terra. Un alterazione di questi allineamenti creerà la predisposizione allo sviluppo e al consolidamento del ginocchio in valgismo o in varismo, a seconda se le deviazioni siano spostate verso l’interno o verso l’esterno della linea mediana.
  • Infezioni o traumi che possano aver pregiudicato la normale biologia delle cartilagini di accrescimento (zone ossee predisposte a dare lo starter di crescita all’osso in tutto l’arco di sviluppo), arrecandone un danno che porti ad una calcificazione o ad un’ossificazione prematura sconvolgendone l’equilibrio di sviluppo locale osseo.
  • Debolezza muscolare di una o più muscoli che portino a favorire la deviazione per trazione dei capi articolari rispetto ad un asse di equilibrio naturale. Può essere causato non solo dai gruppi muscolari mediali o laterali, tipici del valgismo o del varismo, ma anche di quei gruppi che, come avevo accennato precedentemente, portano a dei compensi in uno dei tre piani dello spazio e che contribuiscono a favorire il valgismo o il varismo stesso.
  • Traumi fratturativi che si risolvano con un cattivo allineamento dei monconi ossei, tanto da creare una deviazione e un cambiamento di asse permanente con ripercussioni inevitabili sulla normale posizione del ginocchio
  • Traumi distorsivi del ginocchio che comportino un danno parziale o totale delle strutture capsulolegamentose, tanto da non riuscire più a Ginocchio_valgo_varo_05contenere in maniera congrua l’articolazione e da sostenerla e guidarla negli appoggi e/o nella dinamica del movimento, con la conseguenza di una deviazione assiale del ginocchio.
  • Artrosi del ginocchio che porti ad una riduzione delle cartilagini articolari, un assottigliamento dei menischi per meniscosi, con una conseguente riduzione degli spazi articolari che raramente si manifestano in maniera uguale ed equilibrata tra il compartimento articolare esterno ed interno, creando così una deviazione del ginocchio, in diretta relazioni rispetto al compartimento del ginocchio che abbia perso altezza.
  • Non sono da sottovalutare le disfunzioni metaboliche che possano portare a rachitismo o comunque ad un cambiamento, per insufficiente nutrizione delle cellule predisposte all’accrescimento e al mantenimento della salute delle strutture ossee, cartilaginee, muscolari, connettivali.
  • L’ obesità è una delle cause che portano con facilità ad una deviazione del ginocchio, che costretto a sopportare un aumento di peso eccessivo, non oppone sufficiente resistenza alle forze che si concentrano sull’articolazione.

Ma cosa comporta aver un ginocchio valgo o un ginocchio varo?

I problemi si posizionano su livelli posturali, biomeccanici, sintomatologici e patologici.

La postura si altera cercando un adattamento sia sullo scarico a terra e quindi tramite il piede, modificando l’adattamento degli archi plantari e delle testa metatarsali, portando ad alterazioni sulla spinta durante il passo e al trasferimento del movimento dalla zona del retropiede alla zona dell’avampiede.

Il calcagno soffrirà nel cercare un equilibrio posticcio per scaricare il peso del corpo a terra (ricordo che il calcagno scarica da solo l’ 80% del peso corporeo che si presenta al piede).

Ginocchio_valgo_varo_06Le ginocchia stesse e le anche troveranno un adattamento in flesso estensione e in rotazione, tanto da ricreare una sinergia compensatoria tra le catene muscolari.

La postura dell’arto inferiore cercherà di scaricare il più possibile il ruolo adattativo anche sulla cerniera lombo sacrale e sul bacino.

Il movimento che si creerà sarà quindi funzionale ma non armonico portando in stress sia la muscolatura, che andrà incontro a contratture o a predisposizioni allo stiramento e agli strappi, sia le porzioni legamentose contenitive, che saranno soggette a tensione aumentata e quindi predisposte ad eventi distorsivi e ad elongazioni con perdita di stabilità della struttura.

I menischi del ginocchio subiranno un cambiamento di appoggio, di sostegno e di movimento che li porterà a subire una degenerazione precoce, fino alla rottura parziale o totale della zona meniscale che risentirà maggiormente dei cambiamenti descritti fin qui.

Ginocchio_valgo_varo_07Si potrà sviluppare con maggior precocità un’artrosi femoro tibiale e femoro rotulea con un consumo cartilagineo che minerà lo stato di salute articolare e la sua funzione, con un’ instaurarsi di dolori e impotenza muscolare.

La diagnosi

La diagnosi sarà basta su un esame clinico visivo in posizione eretta o supina, dove si valuterà la posizione delle ginocchia e delle caviglie rispetto alla linea mediana.

Nei casi particolarmente evidenti è consigliabile anche un esame radiografico degli arti inferiori e del bacino, per poter valutare la rima articolare delle ginocchia, rispetto all’ angolo coxo-femorale e alla conformazione del bacino, in maniera da avere un quadro sufficientemente preciso sullo stato in essere dei punti chiavi da indagare.

L’esame clinico sarà necessario per indagare se il ginocchio abbia perso di stabilità capsulo legamentosa e per capire se ci sono dei sintomi nascosti, muscolari, tendinei, meniscali, posturali che possano creare delle condizioni di predisposizione patologica immediata o futura.

La terapia

La terapia sarà differente se considerata in età evolutiva o in età adulta.

In età evolutiva sarà mirata a ricondizionare l’assetto del ginocchio in modo da recuperare il giusto posizionamento dei capi articolari.

Sarà fatto monitorizzando le cartilagini di accrescimento e il loro stato di salute, riducendo il peso, nel caso in cui ci sia una tendenza all’obesità oppure un’ obesità conclamata.

Sarà importante studiare anche l’alimentazione e lo stato ormonale in caso ci sia una forma di rachitismo o di riduzione dello sviluppo evolutivo.

Sempre rimanendo sui bambini si cercherà di corregge la postura del ginocchio rispetto al bacino alla zona di passaggio vertebrale tra le curve di cifosi e lordosi, rispetto al l’appoggio dei piedi e agli archi plantari.

Sarà necessario correggere il bilanciamento muscolare tra i gruppi antagonisti ed agonisti in modo da portare in sinergia le forze agenti sull’assetto dell’articolazione del ginocchio.

Ginocchio_valgo_varo_08Negli adulti la situazione diventa più preventiva nei riguardi dello sviluppo di patologie secondarie future, piuttosto che correttiva come nei bambini; gli adulti avendo ormai strutturato la loro deformazione in valgismo o varismo che sia, vanno indirizzati nell’evitare che questa condizione possa creare alterazioni anatomiche di tipo artrosico, meniscali, legamentose e capsulari, con la comparsa di dolori di tipo infiammatori o compressivi-distrattivi, tipici di queste situazioni.

Gli interventi saranno guidati dalla fisioterapia o dal l’osteopatia che correggeranno le disfunzioni articolari, muscolari, dei tessuti connettivi di giunzione e di rinforzo, la postura vertebrale, in maniera da bilanciare l’organismo e di tenero in equilibrio il più possibile.

Non è da sottovalutare l’utilizzo di plantari di sostegno e di tutori articolati contenitivi del ginocchio, per evitare lo stress nei lunghi periodi di attività fisica delle articolazioni protagoniste.

Nei casi dove sarà evidente un’ infiammazione o una sofferenza cartilaginea sarà possibile intervenire farmacologicamente con l’utilizzo di antinfiammatori e acido ialuronico.

Ginocchio_valgo_varo_09La chirurgia ha un suo peso specifico con l’osteotomia devalgizzante o devarizzante, capace di recuperare i gradi necessari a riportare in equilibrio l’articolazione del ginocchio.

È un intervento complesso che può dare dei grandi risultati, ma va effettuato solo nei casi eclatanti di gravi cambiamenti angolari e di forti ripercussioni sullo stato di salute ortopedico del paziente.

Il ginocchio valgo/varo, può esse affrontato, curato o gestito nel trascorrere del tempo, i mezzi ci sono e sono validi, ascoltiamo il nostro corpo, guardiamolo e ne trarremo grandi benefici.

Onde d’urto

Iniziamo l’articolo dando una definizione fisica di cosa siano le onde d’urto.

Le onde d’urto sono delle onde acustiche ad alta energia, che generano impulsi pressori (circa 500 bar, numero con un discreto margine di variabilità), con valori tra loro diversi per picco di salita e per tempo di durata nel rimanere al loro massimo valore.

ONDE_D_URTO_02La salita e la discesa avvengono in 10 miliardiesimi di secondo.

La durata di permanenza è mediamente di 3,5 milionesimi di secondo.

I tempi di durata complessivi del ciclo d’onda sono meno di 10 millesimi di secondo.

Sviluppa una forza meccanica che viene sfruttata per trasferire energia di movimento ai tessuti corporei con l’intento di migliorare o addirittura guarire condizioni patologie ortopediche e non, soprattutto di tipo cronico.

Le onde d’urto possono trasmettere energia a lunga distanza e per questo sono in grado di penetrare in profondità.

La propagazione nei tessuti deve tener conto della trasmissione, della riflessione e dell’assorbimento, che risentono delle differenze di densità e di impedenza acustica della cute, del grasso, dei muscoli, delle ossa.

Per impedenza acustica si intende la misura dell’opposizione che un materiale presenta al flusso acustico risultante da una pressione acustica applicata al sistema.

ONDE_D_URTO_03In fisica la riflessione è il fenomeno per cui un’onda che si propaga lungo l’interfaccia tra differenti mezzi, cambia direzione a causa di un impatto con un materiale riflettente.

Assorbimento, riflessione, trasmissione, sono i fenomeni che avvengono quando l’energia radiante incide su un corpo; una parte viene assorbita, una parte viene riflessa, una parte viene trasmessa.

Va ricordato che la somma della quantità di energia assorbita, riflessa e trasmessa è uguale alla quantità di energia incidente.

ONDE_D_URTO_04Gli apparecchi che generano onde d’urto sono diversi tra di loro, ma devono avere tutte le stesse caratteristiche minime di emissione dell’onda.

Come agiscano le onde d’urto sullo stato di salute del corpo umano non è del tutto chiaro, si sfrutta la loro potenza per colpire e bersagliare un tessuto, riducendo le fibrosità, le calcificazioni e interferendo anche con i segnali nocicettivi trasmessi dal corpo.

Si ritiene che sia in grado di avere effetti biologici riparativi e rigenerativi, probabilmente per lo stimolo che il tessuto riceve, subendo queste forti pressioni sonore dirette e mirate.

ONDE_D_URTO_05E’ chiaro che le onde d’urto agiscono in maniera diversa a seconda del tessuto bersaglio con cui devono interagire (ossa, muscoli, tendini, legamenti etc etc), a seconda di come vengono emesse, ovvero se a bassa, media ed alta energia e a seconda se il fascio dell’onda d’urto sia focalizzata su una piccola area, o se sia radiale, diffondendosi in modo sferico su una porzione di tessuto più ampia.

Proprio perché non ci sono linee guida ben precise, ci possono essere delle variazioni da terapeuta a terapeuta, nell’approcciare la stessa patologia e queste differenze si basano sostanzialmente sulle caratteristiche del macchinario (elettroidrauliche, piezoelettriche, elettromagnetiche), variando il numero di onde d’urto emesse nella seduta terapeutica e sul numero di trattamenti da eseguire.

ONDE_D_URTO_06Le onde d’urto trovano applicazione in ortopedia nelle tendiniti, nelle fasciti, nelle rigidità articolari con perdita macroscopica di movimento sui piani articolari, calcificazioni, miositi ossificanti, ossificazioni, edemi organizzati, calcificazione di legamenti e capsule articolari, fratture da stress, neuroalgodistrofia, ritardi ci consolidamento delle fratture e pseudoartrosi.

Il campo applicativo si estende dall’ortopedia anche ad altre branche come l’urologia, per l’eliminazione tramite disgregazione dei calcoli, cosi come in campo chirurgico per i calcoli biliari e in altre branche dove ci sia la necessità di avere uno stimolo sul metabolismo tessutale.

Vanno anche indicate le situazioni e i tessuti anatomici dov’è controindicato applicare le onde d’urto, per la presenza di patologie refrattarie al trattamento e per la delicatezza dei tessuti anatomici esistenti.

Le onde d’urto vanno evitate nelle infezioni acute dei tessuti ossei e di quelli molli, patologie a carico della coagulazione sanguigna, epifisiolisi, portatori di pacemaker.

I tessuti biologici che vanno evitati di essere bersagliati in un trattamento diretto sono:

  • strutture neurologiche centrali e periferiche
  • cranio
  • midollo spinale
  • plessi e tronchi nervosi

Vanno evitate le costole per la loro delicatezza strutturale, va evitato il tessuto polmonare.

Le onde d’urto possono essere un’arma in più nella cura delle patologie, risultano altamente integranti con terapie associate di tipo farmacologico, con protocolli fisioterapici per il recupero delle patologie ortopediche di cui sopra abbiamo accennato, o con tecniche osteopatiche mirate.

La differenza nel curare una paziente e la sua patologia è nel mettere insieme tutte le conoscenze e le metodiche per ottenere il miglio risultato in maniera veloce e stabile nel tempo.

Cervicobrachialgia

La cervicobrachialgia é una patologia di tipo neurologico/ortopedico che comporta uno stress del plesso nervoso periferico brachiale.

La patologia può portare ad un’infiammazione, un’irritazione, una compressione (spesso si associano tra di loro) delle vie neurologiche, caricando la radice sensitiva, motoria od entrambe.

Il plesso brachiale è una porzione del sistema nervoso periferico che riunisce varie radici nervose, provenienti dal canale vertebrale nella porzione della cervicale medio bassa.

Cervicobrachialgia_02Le radici che formano il plesso brachiale sono C5-6-7-8-T1 e parzialmente C4 e T2, che anastomizzano con le radici di C5 e T1.

Solamente per ricordare: la lettera C sta per indicare cervicale e la T per toracica, il segmento cervicale è formato da 7 vertebre con dischi intervertebrali di interposizione che partono dall’unità vertebrale C2-3 a scendere.

Il plesso brachiale quindi parte dalla cervicale per distendersi sul territorio della spalla, braccio, avambraccio e mano, facendosi carico di trasmettere un messaggio motorio dal centro di comando cerebrale alla periferia e di riportare al comando centrale tutti gli stimoli sensitivi periferici.

Il plesso brachiale si riunisce in tronchi e fasci da cui poi si diramano i vari nervi specifici per territorio e competenza.

Il plesso nervoso di cui stiamo parlando ha delle zone critiche anatomiche di passaggio dove rischia di subire compressione o trazioni irritative che ne minano lo stato di salute.

La cervicobrachialgia può essere a estensione parziale o completa, ovvero si può manifestare in una porzione del territorio che va dalla cervicale, passando per la spalla, fino alla mano oppure, o su tutto il distretto innervato.

Cervicobrachialgia_03Si può presentare una cervicalgia, dolore sulla zona cervicale e limitazione articolare nei movimenti di rotazione, inclinazione laterale e di flessioneestensione.

Si manifestano stati di contrattura muscolare, alle volte anche diffusa e non è raro che il paziente associ sensi di nausea e sbandamenti.

Nel percorso del plesso brachiale che va dalla cervicale, passando per la spalla, per il gomito, fino ad arrivare alla mano, si possono manifestare alterazioni della sensibilità, come formicolii, bruciori, alterazioni della temperatura percepita, e alterazioni della sensibiltà propria, ovvero una diminuzione o un aumento di cosa viene percepito a contatto della nostra pelle.

Si possono presentare alterazioni muscolari, con una perdita di forza, una diminuzione della resistenza, la comparsa di crampi e contratture.

La cervicobrachialgia ha molteplici cause, diverse tra di loro ma con risultatati simili nella sintomatologia e spesso diversi nell’evoluzione.

Cervicobrachialgia_04Vediamole insieme:

  • ernia discale
  • riduzione dei forami di coniugazione
  • riduzione degli spazi intervertebrali
  • artrosi
  • artrite
  • osteofitosi intracanalare
  • stenosi del canale vertebrale
  • alterazioni vascolari arteriose e/o venose
  • restrizione dei punti di passaggio del decorso del plesso brachiale (es. stretto toracico superiore)
  • degenerazione o denervazione del nervo interessato.

Ognuna di queste cause può avere come conseguenze la manifestazione di una neuropatia compressiva, irritativa, congestizia, anossica, su una o più radici del plesso brachiale, tale da far manifestare i sintomi a carico dello porzione motoria, sensitiva o di entrambe, della cervicale e dell’arto superiore.

La ricerca della cura e la prognosi sarà diversa per tempi e per modi a seconda delle cause sopra citate e per questo diventa fondamentale fare una diagnosi accurata e dettagliata sulla patologia e sulla causa che l’ha portata ad esistere.

Cervicobrachialgia_05La diagnosi viene fatta in molteplici sequenze che partono dalla raccolta dati estrapolata dal racconto del paziente, sul manifestarsi della sintomatologia nelle modalità e nei tempi della giornata, sulla nascita della sintomatologia, su tutto quello che può interferire con lo stato di salute e che possa alimentare il malessere in atto.

A questo seguiranno una batteria di test che metteranno in evidenza la condizione della cervicale e del plesso brachiale sia all’uscita del forame di coniugazione che durante il suo tragitto.

Importantissimo è anche lo studio dei riflessi osteotendinei e la valutazione neurologica dello stato di funzionamento muscolare per forza, resistenza, coordinamento e precisione nell’esecuzione.

Cervicobrachialgia_06Alla prima fase di diagnosi é consigliato proseguire con la diagnostica per immagini, che varierà tra una RX cervicale, ad una RM per valutare lo stato anatomico delle strutture discali, radicolari e in generale di tutti i tessuti molli che che vivono nello spazio esaminato dalla RM, oppure ad una TC nel caso si voglia studiare nel dettaglio lo stato osteoarticolare della regione.

Nel caso ci siano delle condizioni particolarmente sfavorevoli all’esame clinico e al diagnostico per immagini, si può rendere necessario proseguire con l’ elettromiografia, capace di valutare lo stato di salute del nervo nell’interazione con la placca motrice e la sua capacità di trasportare il messaggio neurologico.

Spesso il primo approccio a cui si ricorre è quello farmacologico dove sono molte le strade da percorrere.

Cervicobrachialgia_07Si andrà dall’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei a quelli steroidei, all’utilizzo associato e non, di farmaci miorilassanti per detendere la muscolatura, all’uso di analgesici e antidolorifici di varie categorie.

Ovviamente l’utilizzo dei farmaci sarà scelto in base alla diagnosi fatta e alla causa individuata nello sviluppo e nel mantenimento della cervicobrachialgia.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno un ruolo fondamentale nella cura e nella prevenzione di questa patologia, perché sono in grado di lavorare sull’apertura degli spazi articolari, sulla mobilizzazione delle strutture discali e del sistema nervoso periferico, sulla riduzione di tensione dei punti critici nel passaggio del plesso brachiale, nella capacità di drenare le zone di edema venose e linfatiche che possono aumentare in maniera patologica lo stato di tensione tessutale e articolare, sulla ricerca di mobilità dei fulcri sinergici con il segmento cervicale nel movimento combinato dei 3 piani dello spazio, nella ricerca del miglior assetto posturale statico e dinamico della persona.

Cervicobrachialgia_08Inoltre la fisioterapia e l’osteopatia sono in grado di gestire la salute del paziente con la prevenzione e la gestione dell’anatomia e della fisiologia prima che sviluppi la patologia cervicobrachialgica e l’esplosione della sua sintomatologia.

Nei casi severi dove il danno anatomico e la sua alterazione è talmente grave da non rispondere a cure farmacologiche, a interventi fisioterapici o/e osteopatici, nel momento in cui anche l’esame elettromiografico metta in risalto un danno neurologico rilevante, in quel caso si può ricorrere alla chirurgia, andando a rimuovere la causa e tutelando il segmento vertebrale dall’evoluzione della patologia.

Ovviamente un intervento chirurgico non si fa mai a cuor leggero, ma in alcuni casi è l’unica strada percorribile per ritrovare una buona salute.

La cervicobrachialgia è subdola nella sua evoluzione e aggressiva nella manifestazione della sintomatologia, ha un tempo di guarigione non sempre immediato e può condizionare la vita sociale, lavorativa, affettiva del paziente, ma con la dovuta attenzione nel fare diagnosi, con la precisione nella ricerca della causa, con il giusto programma terapeutico, si riesce a recuperare un’ottima condizione di salute e a prevenirne le ricadute.

Sindrome di De Quervain

Questa patologia comporta la formazione di una tenonsinovite stenosante, ovvero un’infiammazione della guaina sinoviale dei tendini con un restringimento della stessa.

Sindrome di De Quervain_01La guaina sinoviale tendinea è un tessuto di protezione e scorrimento che avvolge il tendine, con funzioni trofiche e meccaniche.

I tendini in questione sono l’abduttore lungo del pollice, l’estensore breve del pollice e le loro relative guaine tendinee.

Sindrome di De Quervain_02Questi due tendini vivono il loro passaggio critico nel punto anatomico sopraosseo all’altezza dello stiloide del radio.

Lo stiloide del radio si trova tra la fine dell’avambraccio e il polso, sulla stessa linea del pollice.

In questo spazio i tendini e la guaina che li ricopre possono andare incontro a un’irritazione nello spazio di scorrimento che si crea tra la porzione ossea e la porzione legamentosa che li ricopre.

Sindrome di De Quervain_03La sindrome di DE QUERVAIN Si può manifestare per sforzi ripetuti di tipo concentrico ed eccentrico a carico dei tendini sopra citati.

Il pollice essendo l’unico dito opponente della mano, ha un ruolo importante e ripetitivo nelle azioni di vita quotidiana, tanto per quello che riguarda la chiusura della mano e la presa, tanto per l’apertura della stessa.

È facilmente intuibile che lo stress a carico del pollice e delle sue strutture tendine sono una costanza che si ripete nel tempo.

E quindi da dire che alcuni tipi di lavoro portano ad una predisposizione dello sviluppo di questa tendinosi.

Tra le cause però troviamo anche traumi acuti in stiramento, in compressione e di taglio, oltre a questo dobbiamo ricordare che ci sono patologie reumatologiche tali da poter sviluppare la patologia infiammatoria di cui stiamo parlando.

Il dolore si sviluppa sul bordo esterno della zona compresa tra l’avambraccio e il polso, approssimativamente sulla linea di continuazione del pollice.

Il dolore aumenta con il movimento e nella presa di oggetti utilizzando il pollice come dito di serraggio della presa.

Sindrome di De Quervain_04Si ha un’ impennata sintomatologia anche nel movimento di lateralità del polso in direzione del mignolo, con il pollice flesso verso il centro del palmo della mano.

Se il dolore si dovesse manifestare anche da fermo è segno della presenza di una tumefazione infiammatoria importante e acuta.

La zona anatomica precedentemente indicata come punto di sviluppo del dolore, sviluppa un’ ipersensibilità alla pressione e alla compressione, inoltre alle volte si può palpare una sporgenza per l’ispessimento nel tempo del canale di scorrimento e del suo legamento a ponte.

Nella cronicizzazione della patologia il dolore può irradiarsi anche al pollice e all’ avambraccio.

Per diagnosticare la sindrome di DE QUERVAIN si procede da subito con un esame clinico dove un test specifico (TEST DI FINKELSTEIN), ci mostra la presenza della patologia.
Il test si fa chiudendo la mano a pugno con le dita serrate attorno il pollice, mentre il polso compie un movimento di inclinazione latrale in direzione del mignolo.

Il test sarà positivo nel momento in cui comparirà il dolore durante la sua esecuzione .

Sempre in tema diagnosi è importante rilevare se ci sia la comparsa di sintomi alla palpazione e alla compressione nel punto di passaggio sulla zona dei tendini dell’abduttore lungo del pollice e dell’estensore breve del pollice.

Sindrome di De Quervain_05La presenza di edema, calore e tumefazione sono tutti segni che sottolineano l’importanza della patologia e del suo stato di infiammazione.

Nel pacchetto di esami diagnostici risulta fondamentale eseguire un’ecografia dei tessuti molli ed una radiografia di polso e mano per visualizzare la presenza di eventuali alterazioni strutturali articolari.

Sindrome di De Quervain_06Il trattamento della sindrome di DE QUERVAIN prevede come prima battuta il riposo dell’articolazione del primo dito, con l’aggiunta di ghiaccio come antinfiammatorio naturale, applicato all’altezza del punto di passaggio dei tendini, ormai a noi noti, nella zona dello stiloide radiale.

Vengono usate terapie farmacologiche antinfiammatorie in modalità e scelta diversa, che possono andare da un uso topico, ad un’assunzione orale o iniettiva fino ad arrivare a terapie infiltrative o a trattamenti di ozonoterapia.

E’ possibile utilizzare dei tutori che tengano bloccato in posizione di riposo il pollice rispetto al polso.

Sindrome di De Quervain_07Nella sindrome di DE QUERVAIN non sono pochi i casi dove si ricorre alla chirurgia, aprendo il canale formato dalla guaina del retinacolo che sovrasta i tendini in questione, ricreando immediatamente una libertà di scorrimento che leva la causa primaria della patologia stessa.

Come terapia per affrontare questa sindrome infiammatoria, ha un ruolo importantissimo la fisioterapia e l’osteopatia, applicate separatamente o in contemporanea, volte a ridurre l’infiammazione e le fibrosità sviluppatesi con la presenza prolungata della patologia.

Sindrome di De Quervain_08Si ha necessità di recuperare il trofismo dei tendini, scaricare con il drenaggio le tossine infiammatorie, recuperare l’asse articolare e di scorrimento dei tessuti molli secondo le meccaniche più appropriate e le sinergie tra mano, polso, gomito, spalla.

Diventa necessario recuperare gli assi trasversi e longitudinali degli archi funzionali del polso e della mano, in maniera da far lavorare al meglio il pollice nella chiusura e nel serraggio della mano e nei suoi movimenti di apertura senza così forzare i tendini che vi passano a ponte.

Sindrome di De Quervain_09Se come dicono l’unica cosa che ci distingue dagli animali è il pollice opponente, allora trattiamolo bene!