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Contratture, crampi, stiramenti e strappi muscolari

Ne sentiamo parlare molte volte quando si riferiscono ad atleti professionisti. Altre volte ne siamo coinvolti in prima persona ma non sappiamo distinguere tra contratture, crampi, stiramenti e strappi muscolari.

Partiamo dal capire le differenze.

Contrattura

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La muscolatura volontaria ha una struttura caratterizzata da varie sottoclassi di fibre che hanno la capacita di legarsi e di scorrere tra di loro mediante dei legami proteici e degli attivatori-inibitori.

E’ un equilibrio molto complesso che risente del contesto biologico nel quale è inserito, oltre che alle sollecitazioni esterne applicate nella quotidianità.

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La contrattura muscolare si presenta quando alcune fibre muscolari si contraggono ma non hanno la possibilità di ritornare ad uno stato di rilascio.

I protagonisti di questa disfunzione sono gli ioni calcio relazionati alla troponina (complesso proteico ad alto peso molecolare) e la migrazione degli ioni stessi nel reticolo sarcoplasmatico (sistema di tubuli che circondano le miofibrille delle fibra muscolare) dopo la contrazione.

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Le cause di base sono situazioni di ischemia (totale o parziale assenza di afflusso di sangue in un tessuto o in organo) locale e/o di ipossia (in questo caso una carenza di ossigeno localizzata) associata ad una acidificazione del tessuto.

La contrattura cambia di importanza a seconda del numero di fibre che sono coinvolte; il muscolo ha la possibilità di compensare per la restante sua lunghezza anatomica ma si ritrova a perdere una parte di funzione li dove la contrattura persiste, modificando parzialmente il suo asse di movimento e sovraccaricando le rimanenti unità.

Crampo

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Il muscolo si contrae in maniera involontaria e autonoma, con una intensità e una permanenza della contrazione molto variabile.

Possiamo immaginare l’innesco (motoneurone alfa) del muscolo che viene attivato da un potenziale di azione e dalla permeabilità della sua membrana cellulare, tale membrana diventa instabile e permette una permeabilità fuori contesto che fa scattare la contrazione del muscolo, in questo caso senza un controllo volontario.

Le condizioni sono multifattoriali: alimentazione, sforzo muscolare e quindi eccessivo affaticamento, alterazione del ph tessutale, il clima (variazioni di temperatura e di umidità), intossicazioni da sostanze chimiche e farmacologiche, patologie dismetaboloche, ipossia, ischemia, malattie neurodegenerative.

Il crampo può avvenire sia in condizioni di sforzo che di riposo e ed è ovviamente temporaneo.

Stiramento (elongazione muscolare)

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Fenomeno che si manifesta quando le fibre muscolari che compongono l’intera struttura del muscolo, unite tra di loro con proteine e capaci di accorciarsi e distendersi, si allungano oltremodo, ovvero oltre la loro normale fisiologia massima.

Normalmente lo stiramento del muscolo viene registrato da una centralina (fuso neuromuscolare)
che risponde all’allungamento con una contrazione muscolare adeguata, ma può capitare che questo feedback non sia ottimale e il muscolo venga sottoposto al pericolo di un allungamento eccessivo.

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Il dolore percepito è sicuramente acuto con una reazione di difesa del muscolo stesso, il movimento non è impedito del tutto, ma diventa deficitario in proporzione al numero delle fibre coinvolte, mantenendo una parziale funzionalità.

Questo stato si rivela pericoloso nel caso non vengano date le adeguate cure e il riposo, perchè se tralasciato, si può arrivare ad un ulteriore danno che si manifesterà con una lacerazione delle fibre e un danno organico di ben diversa entità.

 

Strappo Muscolare

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Lacerazione parziale o massivo delle fibre muscolari, l’entità cambia a seconda della quantità delle fibre coinvolte.

Il dolore è molto acuto e c’è la presenza di un edema voluminoso in base alla proporzione del danno organico.

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Si presenta una zona di depressione, segno caratteristico delle fibre muscolari lacerate, oppure un rigonfiamento nel momento in cui l’edema sia particolarmente copioso.

Lo strappo muscolare ha 3 classificazioni che si stabiliscono a seconda della percentuale di fibre coinvolte, passando da una percentuale minima ad una media per arrivare alla subtotalità e/o alla rottura totale del muscolo.

Concludendo.

Ognuna delle 4 situazioni descritte manifesta dolore, riduzione di forza e alterazioni delle normali funzioni motorie, con intensità nettamente diverse tra loro.

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Il dolore si manifesta localmente in maniera specifica irradiandosi nei tessuti strettamente vicini, ed è causa diretta del cambiamento funzionale delle catene muscolari parallele o contrapposte che si squilibrano per compensare lo stato di inefficienza del muscolo deficitario.

La contrattura lo stiramento e lo strappo muscolare necessitano di cure specifiche per poter guarire al meglio e non lasciare conseguenze dirette e indirette.

Il crampo vivendo una contestualizzazione multifattoriale va indagato su più fronti: neurologico, vascolare, metabolico (questi i principali).

Lo stato di salute muscolare è fondamentale per il movimento, per la stabilità articolare e per la postura.

Lo stato di salute muscolare è importante per il drenaggio venoso e linfatico.

Lo stato di salute muscolare è un campanello di allerta per la presenza di altre patologie concomitanti nella persona.

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L’ allenamento costante e coerente, rispetto alle nostre capacità e alla nostra età, è capace di dare una longevità alla nostra muscolatura abbassando il rischio di infortuni muscolari.

Troppo spesso sottovalutiamo i nostri muscoli cosi come li sovraccarichiamo senza la giusta attenzione.

La muscolatura va tenuta in perfetta simbiosi con l’apparato osteo-articolare, con l’equilibrio del nostro baricentro, con il sistema neurologico che lo attiva e lo controlla, con il circolo arterio-venoso che veicola al tessuto tutto ciò che gli è necessario per vivere, portando via le sostanze di scarto prodotte e in rapporto al metabolismo che lo nutre e lo fa vivere.

 

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Non dimentichiamolo!!!

Vitamina D

La vitamina D, conosciuta anche con il nome di calciferolo, svolge un ruolo essenziale per le funzioni vitali come cofattore delle vie metaboliche, con proprietà primarie antirachitiche.

Vitamina D, D2 e D3

Ha una sotto divisione in vitamina D2 (ergocalciferolo) e in vitamina D3 (colecalciferolo).

La vitamina D3 viene prodotta in per via endogena, tramite la trasformazione del colesterolo attraverso i raggi ultravioletti assorbiti a livello cutaneo ed in parte è acquisita per via esogena con un’alimentazione di prodotti animali.

La vitamina D2 viene introdotta per via esogena attraverso l’alimentazione di prodotti vegetali.

Assunzione della Vitamina D

Vitamina D 02C’è da dire che la quantità di vitamina D che si riesce ad incamerare attraverso l’alimentazione è bassa e che la maggior parte del calciferolo ottenuto, segue il percorso di sintetizzazione a livello cutaneo per azione dei raggi ultravioletti.

È una vitamina liposolubile, ovvero che può sciogliersi nei solventi grassi ed è necessaria per l’assorbimento del calcio attraverso l’intestino, ottimizzando la salute delle ossa, con un processo omeostatico di metabolizzazione del calcio stesso e del fosfato.

È pertanto primario per la crescita dello scheletro, per il rimodellamento osseo e per il trofismo cartilagineo.

Ha altri importanti compiti che sono quelli di favorire il riassorbimento di calcio, fosfati e magnesio attraverso l’intestino, di promuovere il riassorbimento di fosforo e calcio attraverso i reni, di supportare la funzione immunitaria, di coadiuvare la crescita cellulare e di interagire con i processi infiammatori riducendone l’attività.

Le cause della riduzione della Vitamina D

Le cause che possono dare una riduzione della vitamina D sono da ricercare in una:

  • diminuita esposizione cutanea ai raggi ultravioletti (quindi alla luce del sole)
  • un ridotto apporto alimentare
  • un malassorbimento digestivo cronico
  • un’insufficienza renale cronica
  • un’ insufficienza epatica
  • per interazioni farmacologiche.

Ma cosa comporta una carenza di vitamina D nella persona?

Vitamina D 03Nei bambini provoca rachitismo, mentre negli adulti osteomalacia (difetto di mineralizzazione della matrice ossea), causando in entrambi deformazioni osee e fragilità, tra cui l’osteoporosi.

Inoltre a livello ematico, si riscontrano livelli alterati quali:

  • aumento del paratormone
  • aumento della fosfatasi alcalina
  • riduzione di fosforo
  • riduzione del calcio.

E allora la domanda che viene spontanea porsi è: quali sono i valori di vitamina D che normalmente dovrebbero essere assunti come fabisogno giornaliero?

Vi propongo una tabella riassuntiva di facile interpretazione.

Vitamina D 04

I valori riportati sono quelli stilati per una popolazione europea, ma ogni continente ha dei valori propri, che tengono presente le condizioni ambientali e il tipo di cibo più facilmente reperibile nella dieta alimentare di contesto.

farmaciFortunatamente i casi di rachitismo oggi sono alquanto rari, mentre si assiste con frequenza a problemi di metabolismo osseo di tipo malacico negli adulti e ancor più negli anziani.

Se non si riescono a correggere i fattori precedentemente annoverati nella giustificazione della carenza di vitamina D, si può ricorrere ai numerosi integratori e farmaci, ma facendo attenzione a non sorpassare i valori di soglia tollerabili, perché un eccesso di vitamina D, può causare degli effetti collaterali anche gravi:

  • dolori articolari
  • crampi
  • cefalea
  • nausea
  • calcificazioni segmentali tissutali e di organi, per aumento di calcio nel circolo ematico
  • malformazioni fetali nelle donne incinta.

La giusta dose

Pertanto la vitamina D deve essere assolutamente presente nel nostro corpo in un arco di valori minimi e di valori massimi di tolleranza, perché come per ogni cosa, gli eccessi in negativo e in positivo causano delle disfunzioni metaboliche e organiche che minano lo stato di salute della persona.

È facile poter tenere sotto controllo il livello di vitamina D nel corpo per mezzo di semplici analisi del sangue, così com’è facile integrarla attraverso una corretta ed adeguata alimentazione, ma soprattutto grazie all’esposizione dei raggi ultravioletti e quindi alla luce del sole…..non facciamoci cogliere impreparati.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Sindrome compartimentale

La sindrome compartimentale è un aumento della pressione nel compartimento muscolare, chiuso all’interno del suo involucro fasciale.

L’involucro fasciale di contenimento, è costituito da tessuto connettivo di tipo fibroso, caratterizzate dall’insieme di strie di collagene ravvicinate tra di loro.

Il rapporto che la fascia ha con il muscolo è di contenere il muscolo stesso, di dargli una forma, di metterlo in collegamento e relazione con le altre strutture muscolari contigue, creando quella che si chiama catena miofasciale.

Sindrome compartimentale 01Il compartimento fasciale non ospita solamente il muscolo, ma anche i vasi sanguigni arterio-venosi e linfatici segmentali, insieme alle strutture neurologiche di passaggio.

Generalmente la pressione nel compartimento fasciale, si innalza per edemi o per emorragie e dato che il tessuto fasciale di contenimento muscolare non ha una grande capacità elastica, anzi tende ad essere rigida, per garantire sostegno e protezione alle strutture che ospita, non ha una capacità di adattarsi e di dissipare gli aumenti di contenuto e quindi di pressione.

Sindrome compartimentale 02La pericolosità della sindrome compartimentale, sta nel fatto che l’innalzamento pressorio all’interno di uno spazio chiuso e poco espandibile, genera una compressione importante principalmente sui vasi, sia venosi che arteriosi, dove nel primo caso ne riduce il drenaggio del sangue arricchito di cataboliti, aumentando l’acidità del ph nel tessuto e accendendo un processo infiammatorio, nel caso invece di una compressione arteriosa si genera un principio di ipossia e anossia, dovuta alla minor irrorazione del sangue arricchito di ossigeno nei tessuti, con la complicanza di poter causare una necrosi cellulare dei tessuti coinvolti.

Infine sempre la compressione, caratteristica della sindrome compartimentale, applicata e protratta sui nervi periferici segmentali, rischia di creare una sofferenza del nervo stesso, sino ad arrivare ad una denervazione locale ed eccentrica.

La sindrome compartimentale può svilupparsi in ogni parte dl corpo, ma statisticamente le parti più colpite sono i segmenti periferici, pertanto gli arti superiori e inferiori.

La sindrome compartimentale viene divisa in due classificazioni:

  • forma acuta che insorge improvvisamente ed è molto pericolosa per lo stato di salute segmentale in primis e sistemica a seguire
  • forma cronica che insorge in maniera progressiva, è meno pericolosa ed è più facilmente gestibile.

Sindrome compartimentale 03I sintomi che si manifestano hanno degli aspetti comuni nonostante le due diverse forme.

Il dolore, il senso di intorpidimento, la tensione muscolare, la rigidità muscolare, i crampi muscolari, la riduzione di forza, il formicolio, le alterazioni di sensibilità parestetiche, sono condizioni variabili a seconda della gravità con cui si presenta la sindrome compartimentale.

La differenza tra la forma acuta e la forma cronica, è che nella forma acuta i sintomi si presentano anche a riposo, con una difficoltà riscontrata già nelle attività minime di vita quotidiana, fino a risultare addirittura impossibili in quelle attività che richiedono uno sforzo o un resistenza protratta, mentre nelle forme croniche i sintomi si esacerbano nelle attività prolungate, abbinate al massimo sforzo, alla massima resistenza o alla massima escursione di allungamento delle fibre muscolari tendinee .

Sindrome compartimentale 04Per la differente manifestazione clinica e sintomatica, va detto che la condizione acuta rappresenta un quadro di urgenza, dove il protrarsi della situazione può causare dei danni irreparabili, mentre la condizione cronica può essere gestita, anche se va monitorata con attenzione, per evitare che la sua evoluzione possa causare dei danni importanti con un’alterazione cellulare irreversibile.

Come accennavamo all’inizio dell’articolo le cause della sindrome compartimentale sono da imputarsi ad edema di importanti dimensioni o peggio ancora ad emorragia, che aumentano il volume compressivo all’interno della sacca fasciale di contenimento del segmento muscolare interessato, senza la possibilità di compensare in maniera elastica l’espansione del volume stesso.

Sindrome compartimentale 05Le cause della sindrome compartimentale acuta sono da imputarsi a:

  • lesioni muscolari importanti associate a strappo o lacerazione delle fibre stesse
  • traumi da schiacciamento del segmento
  • fratture ossee del segmento inerente
  • bendaggi compressivi eccessivamente stretti
  • applicazioni di apparecchi gessati eccessivamente stretti
  • interventi chirurgici che abbiano la complicanza di stravasi vascolari
  • ustioni gravi che portino ad un copioso stravaso edematoso
  • abuso di alcol o di farmaci che possano causare un edema importante

Nella sindrome compartimentale acuta l’evoluzione patologica evolve nel giro di poche ore e proprio per la sua irruenza nella manifestazione, richiede un intervento medico tempestivo.

Le cause della sindrome compartimentale cronica sono da imputarsi a:

  • gesti fisici ripetuti, che prevedono un massimo effetto di allungamento ed elongazione delle fibre muscolo-tendinee e capsulo-legamentose.
  • attività fisiche protratte nel tempo e dall’importante impegno dell’apparato muscolo-scheletrico

Nella sindrome compartimentale cronica è spesso il paziente stesso a riuscire a gestire la sua patologia, ottimizzando i tempi di riposo e di recupero in base allo stato di salute e all’impegno fisico programmato.

Nella diagnosi della sindrome compartimentale, l’anamnesi è il primo approccio, dove il racconto del paziente inerente agli eventi antecedenti all’insorgere della patologia e l’esposizione dei sintomi riferiti, sono da associare all’esame obiettivo, che lo specialista sanitario deve condurre per indagare lo stato di salute e di funzione, associabile alla patologia presunta.

Sindrome compartimentale 06L’esame radiografico viene utilizzato nel caso ci siano sospetti di traumi osteo-articolari, con la presenza di fratture o lussazioni.

La risonanza magnetica può risultare molto utile nel caso sia necessario indagare lo stravaso di liquido edematoso o emorragico, nel compartimento segmentale sofferente.

Con lo stesso intento si può ricorrere all’esame ecografico, che in maniera sufficientemente soddisfacente, è in grado di fornirci le stesse informazioni sulla presenza di edemi, emorragie e danni dei tessuti molli.

L’ecocolordoppler ha lo scopo di studiare il flusso ematico e la pervietà delle vie vascolari.

L’esame elettromiografico potrà rendersi necessario nel caso si sospetti un danno neurologico periferico, per effetto compressivo o anossico.

Sindrome compartimentale 07Non ultimo può essere utilizzato un misuratore di pressione compartimentale, che per mezzo di un ago, monitorizza lo stato pressorio, sia nella statica, che nella dinamica del movimento passivo e attivo.

Il tarattamento della sindrome compartimentale è diverso nel caso sia una forma acuta o conica, ma  in entrambi l’obiettivo comune è ridurre la compressione causata dall’aumento della pressione nel compartimento singolo o multiplo, eliminando, dove sia possibile, le cause che hanno condotto alla sindrome.

Sindrome compartimentale 08Nella forma acuta il trattamento è quasi sempre chirurgico e nella maggior parte dei casi, eseguito in urgenza, facendo una fasciotomia, che prevede l’incisione della fascia di contenimento, per far drenare il contenuto liquido decomprimendo la zona.

Il drenaggio può durare anche 3 giorni, per evitare che alla chiusura dell’accesso chirurgico, si possa ripresentare la patologia come in origine.

Nella forma cronica invece il trattamento è di tipo conservativo optando per associare periodi di riposo, alla gestione dello sforzo fisico in relazione agli impegni lavorativi o sportivi, in maniera da non arrivare ad episodi di overstress dell’apparato muscolo-scheletrico.

Sindrome compartimentale 09È importante riuscire a fare esercizi di allungamento e di articolarità, per ottimizzare le funzioni locomotorie ed essere pronti e predisposti allo sforzo richiesto nel gesto atletico, ludico o lavorativo.

La fisioterapia ha la sua importanza per la gestione dell’edema, della retrazione muscolo-tendinea, dell’infiammazione, del disimbrigliamento del nervo nei suoi canali di passaggio.

Può risultare molto utile anche l’utilizzo di calze o bracciali drenanti a compressione graduale, per il drenaggio dei liquidi in eccesso verso i punti circolatori di affluenza primari.

A livello farmacologico sono di grande aiuto l’utilizzo di antinfiammatori, che possono variare dai FANS ai cortisonici, nel caso ci sia la necessità di affrontare un processo infiammatorio, oppure di gestire un’infiammazione associata ad un’edema di recente manifestazione.

Anche gli antiedemigeni possono essere utili nel caso in cui sia necessario utilizzare un supporto a fronte di protocolli fisioterapici in atto.

Non ultimo sarà opportuno fare delle applicazioni di ghiaccio, più volte al giorno, che possano fungere sia da antinfiammatorio naturale e sia da vasocostrittore, per il contenimento dello stravaso edematoso o emorragico.

Alla fine della gestione della sindrome compartimentale, (acuta o cronica che sia) il riaffacciarsi alla ripresa delle attività fisiche lavorative o sportive, deve avvenire in maniera graduale, allenando la struttura sia allo sforzo, sia alla ripetitività del gesto, che alla resistenza.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.