Articoli

Coccigodinia

La coccigodinia è una manifestazione dolorosa della zona coccigea, localizzata nella porzione infero-mediana del bacino.


Anatomia

coccigeIl coccige è la parte terminale della colonna vertebrale, composta da un numero di segmenti variabili da 3 a 5 unità, fusi tra di loro, ad eccezione del primo metamero che si articola con l’osso sacro.

Il tratto coccigeo ha una convessità rivolta posteriormente e una faccia anteriore concava, pertanto possiamo dire che la punta è rivolta in avanti verso la zona pubica.

Al coccige si ancora una parte della muscolatura glutea, così come una parte della muscolatura pelvica e i loro tessuti connettivi inerenti di giunzione.

coccigodinia 02Possiamo pertanto affermare che il coccige sia un equilibratore del pavimento pelvico, entrando attivamente nella gestione dei carichi di linee pressorie, nel gioco della dissipazione delle forze di compressione e di trazione del piccolo bacino.

Vanno anche considerati i rapporti viscerali che il coccige ha in maniera semidiretta con il retto.


La manifestazione del dolore nella coccigodinia

Il dolore può essere dovuto sia ad un’infiammazione della zona inerente, sia ad uno stato di tensione anomala dei tessuti molli di competenza.

La coccigodinia si può presentare indipendentemente dal sesso e dall’età, anche se ci sono dei fattori predisponenti maggiori, come la gravidanza, il parto, la lassità dei tessuti molli, che mettono la donna in una condizione di maggior interesse.

Il dolore si manifesta nella parte terminale della colonna vertebrale, internamente alla zona bassa interglutea, identificato dal paziente in maniera puntiforme, posizionando il dito proprio nella zona apicale del coccige.

Il dolore può avere un’intensità mutevole, che varia da un fastidio ad un’incapacità di sedersi, di chinarsi in avanti, di mantenere la posizione eretta, di adoperarsi nei cambi di postura o addirittura di camminare per lunghi tratti.


I sintomi

I sintomi possono esser persistenti o intermittenti a seconda della gravità della situazione.

Il dolore può irradiarsi alla zona interglutea, ai fianchi, fino a scendere sulla zona prossimale-mediale posteriore delle cosce.

Durante i rapporti sessuali il sintomo può esacerbarsi, così come può essere presente nella costipazione o prima dell’evacuazione, per poi ridursi dopo la defecazione.

Anche il periodo del ciclo mestruale può aumentarne la sensibilità.


Le cause della coccigodinia

La causa diretta spesso è ricondotta ad una caduta sul sedere, dove l’effetto traumatico può addirittura causare una lesione fratturativa o una lussazione del segmento.

Molte altre cause sono associabili alla patologia, alcune delle quali sono legate alla cattiva mobilità del coccige e delle strutture muscolo-tendine, fibrose e viscerali ad esso legate.

Le lesioni da sforzo ripetitivo, possono essere un’altra causa della coccigodinia, dove in questo caso difficilmente si svilupperà un’ infiammazione, ma bensì si manifesterà un aumento della fibrosità e una tensione anomala dei tessuti molli connessi.

Alcuni sport, come il ciclismo, possono creare uno sfregamento ripetuto della zona, capace di innescare un’infiammazione della zona, alle volte con edema superficiale o profondo associato.

sedutaNon è da sottovalutare la cattiva postura che il paziente mantiene nelle posizioni sedute, dove lo scarico del peso corporeo si sposta dalla zona ischiatica, scivolando nella parte posteriore coccigea.

La gravidanza e il parto stesso, possono causare una tensione e una deviazione del coccige, per l’aumento del volume e della pressione nella zona infero posteriore del bacino.

Tra le cause possiamo anche includere le patologie infettive, soprattutto nel momento in cui sfoghino in ascessi, particolarmente debilitanti, per la loro persistenza e per la difficile risoluzione in maniera veloce.


La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione dell’affezione, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la postura del paziente, sia sul piano sagittale che sul piano frontale, per analizzare le capacità di movimento del bacino, lo stato di tensione muscolare, dei tessuti connettivi di collegamento e la reazione del paziente all’evocazione del dolore durante la palpazione.

coccigodinia 05L’esame radiografico si rende assolutamente necessario per esaminare lo stato anatomico del segmento coccigeo e rilevarne eventuali fratture, lussazioni, o modificazioni anatomiche quali esostosi o calcificazioni.

Può ritenersi necessario integrare l’Rx, come esami di risonanza magnetica o Tc, che hanno la capacitò di analizzare con maggior scrupolo tanto la struttura ossea, quanto i tessuti molli associati.

Nel caso sia presente un ascesso di tipo infettivo, può essere utile, se non addirittura necessario, richiedere degli esami di laboratorio per valutare lo stato biologico dei fattori patologici nel contesto della persona.


Il trattamento della coccigodinia

L’utilizzo di farmaci antinfiammatori vede un’ampia gamma di possibilità terapeutiche quali:

  • antinfiammatori non steroidi
  • cortisonici
  • miorilassanti
  • antidolorifici.

Possono rivelarsi utili le applicazioni infiltrative locali, per aumentare l’efficacia della somministrazione farmacologica.

In molti casi si rende necessario l’utilizzo di un cuscino vuoto nella sua porzione centrale, comunemente chiamato ciambella, per scaricare il peso corporeo e la frizione nella zona coccigea nelle posture sedute del paziente.

fisioterapiaLa fisioterapia, così come le tecniche manipolative osteopatiche, si rivelano ottime per il riequilibrio del coccige all’interno del sistema del piccolo bacino, per la correzione dell’articolazione sacro-coccigea, per la diminuzione della tensione muscolare associata e per ridare elasticità ai tessuti connettivi-legamentosi di relazione.

La chirurgia può ritenersi una strada valutabile solo ed esclusivamente nei casi in cui abbiano fallito tutte le terapie sopra indicate e il paziente non riesca a risolvere il dolore, dovendo affrontare una diminuzione drastica della qualità di vita nelle attività quotidiane minime.

La coccigodinia è una patologia fastidiosa, ma ha talmente tante variabili evolutive che ci permette di approcciarla con varie soluzioni terapeutiche, risolvendo il problema in maniera efficace e definitiva.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Tenosinovite

Con tenosinovite si descrive un’infiammazione della guaina sinoviale che riveste il tendine.

La sinovia tendinea

La guaina sinoviale tendinea serve a ridurre gli attriti che si sviluppano durante il movimento del tendine, rispetto alle strutture ossee e non, con le quali si trova in rapporto.

Nella tenosinovite la sinovia tendinea aumenta il suo volume e la viscosità del liquidito sinoviale.

Non è affatto raro veder sviluppare, al persistere della patologia e con il passare del tempo, dei noduli tendinei, associati ad un aumento della fibrosità del tendine stesso.

La formazione di tessuto fibroso, peggio se associato a formazioni cistiche, possono causare una stenosi e quindi una compressione del tendine stesso.

Anche la conformazione del tendine tende a cambiare assumendo un aspetto frastagliato e irregolare.

GUAINA SINOVIALESpesso durante l’attivazione al movimento del tendine interessato dalla patologia, si avverte un rumore simile ad un crepitio.

Generalmente alla tenosinovite si associa una tendinite del nervo di riferimento, manifestando un’infiammazione del tessuto.

Le zone più colpite da tenosinovite sono i tendini delle articolazioni dell’arto superiore e inferiore (spalla, polso, mano, anca, caviglie etc.)

I sintomi della tenosinovite

Ma quali sono i sintomi che il paziente lamenta nella tenosinovite?

  • gonfiore
  • arrossamento
  • sensazione pulsante
  • dolore localizzato a livello tendineo
  • dolore periarticolare diffuso
  • difficoltà nei movimenti
  • blocco algico dell’articolazione
  • contrattura muscolare riflessa
  • retrazione muscolare

Tutti questi sintomi possono presentarsi associati tra di loro o in maniera singola; la differenza sarà influenzata dal tempo con cui il paziente convive con la patologia, senza bloccarne la sua evoluzione e senza trovare una strategia di regressione del meccanismo patologico.

tenosinovite 03Quali le cause?

Le cause che portano alla tenosinovite sono molteplici e si differenziano tra fattori di vita quotidiana, eventi traumatici ed infezioni.

  • traumi
  • microtraumi ripetuti
  • sollecitazioni eccessive e/o ripetute

In questo primo gruppo, le cause possono essere ricondotte ad attività lavorative, sportive, oppure ad eventi occasionali.

  • patologie autoimmunitarie di tipo infiammatorie
  • infezioni sistemiche
  • infezioni locali

In questi secondo gruppo, le cause possono essere ricondotte ad un neo adattativo del sistema immunitario.

La diagnosi della tenosinovite

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare lo stato di funzione del tendine, la condizione di mobilità articolare, l’evocazione del dolore, lo stato di tensione muscolare, il gonfiore, la presenza di tumefazione, l’inefficienza segmentale, per concludere con la ricerca palpatoria di noduli o di zone fibrose.

tenosinovite 04Di grande aiuto, come supporto alla ricerca della diagnosi di tenosinovite, sarà l’utilizzo dell’esame ecografico, permettendo di vedere lo stato anatomico della guaina tendinea, di rilevare la presenza di edema, di valutare lo stato infiammatorio e di constatare lo stato di salute del tendine associato.

Nel caso in cui l’ecografia non fosse sufficientemente chiarificatrice, possiamo fare ricorso alla RM, che ci permetterà di studiare l’intero stato in essere del segmento da analizzare, nel complesso dei suoi tessuti molli.

Ricorreremo all’uso della radiografia, qualora ci sia da scongiurare la presenza di lesioni fratturative o di calcificazioni.

Il trattamento della tenosinovite

La cura della tenosinovite, viene studiata per ridurre lo stato infiammatorio riducendone l’edema associato, alleviare il dolore, recuperare la funzione tendinea e articolare, ridurre lo stato di tensione muscolare.

Per fare questo sarà necessario mettere a riposo il paziente, minimizzando tutte quelle attività che possano sovraccaricare la guaina tendinea.

Verranno utilizzati farmaci antinfiammatori non steroidei, analgesici, cortisone nel caso in cui ci sia la necessità di ridurre un’importante componente edematosa infiammatoria.

In un contesto di infezione come causa della tenosinovite, resistente alle remissione con le normali cure antinfiammatorie, si potrà rendere necessario intervenire con antibiotici.

FISIOTERAPIALa fisioterapia assume un ruolo fondamentale per la riduzione del dolore e dell’infiammazione, per il drenaggio dell’accumulo edematoso, per la riduzione delle fibrosità, per ritrovare l’equilibrio muscolare e per il recupero funzionale sia del tendine che delle articolazioni annesse al funzionamento.

La chirurgia non si rende quasi mai necessaria nelle condizioni di tenosinovite, a meno che non ci si trovi costretti ad asportare calcificazioni importanti, oppure fibrosità conclamate ed ormai irreversibili, procedendo con la sineviectomia.

La tenosinovite è una patologia molto fastidiosa, invalidante nella svolgimento delle funzioni quotidiane, può arrivare ad attivare dei compensi locali e a distanza che provocano una disarmonia dell’apparato locomotore, ma fortunatamente si hanno numerose ed efficaci strategie di risoluzione della patologia, portando il paziente al totale recupero, ricondizionando i tessuti e le articolazioni in maniera più che soddisfacente.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Nevrite

La nevrite è un infiammazione dei nervi che causa un alterazione della sensibilità e/o della capacità motoria.

nevrite_01I nervi possono avere dei compiti specifici per una singola funzione oppure avere delle funzioni promiscue, ad esempio i nervi del sistema nervoso periferico possono essere solo sensitivi, solo motori o misti, ovvero che sono capaci in maniera bivalente, di portare informazioni sensoriali dalla periferia al cervello e di trasmettere informazioni motorie dal cervello alla periferia.

A livello sintomatologico si può manifestare dolore che varia per intensità, frequenza e costanza, passando da un’algia continua a una intermittente, da una acuta a una profonda.

Si può avere un’ alterazione della sensibilità tipo scossa elettrica, formicolii, bruciori, sensazioni vibratorie.

Nevrite_02Nel caso il nervo abbia anche un compito motorio oltre che sensitivo, si può manifestare una perdita di forza e di resistenza della muscolatura da esso innervata.

Le cause

Abbiamo compreso che le nevriti (infiammazioni dei nervi) possono scatenare delle nevralgie (dolore dei nervi) ma su un quadro simile nel suo modo di manifestarsi, si nascondono varie cause che le possono innescare e favorire.

Cerchiamo di capirle insieme.

Un nervo può subire un’ irritazione, un attacco e un’ alterazione della sua anatomia e funzione per i motivi più diversi tra di loro:

  • Nevrite_03irritazione da contatto o da compressione per riduzione dello spazio dove il nervo alloggia e scorre. Ad esempio una discopatia vertebrale che porta ad una diminuzione di altezza tra un corpo vertebrale e l’altro, può ridurre il lume del forame di coniugazione da dove esce il nervo. La fibrotizzazione del tunnel carpale può irritare il nervo mediamo facendo perdere forza e sensibilità. La formazione di tessuto fibroso attorno ad un nervo come nel neuroma di Morton ecc. ecc.
  • traumi diretti sul nervo solitamente nei passaggi meno protetti dalle masse corporee
  • fratture, dove i monconi ossei possono danneggiare per compressione, stiramento o lacerazione il nervo con rapporto anatomico diretto
  • alterazioni vascolari arterio-venose, per diminuzione del nutrimento del nervo e per l’ intossicazione che si potrebbe verificare in un caso di cattivo drenaggio e permanenza delle sostanze di scarto
  • Nevrite_05diabete, dove l’eccesso di glicemia porta ad un danno del rivestimento del nervo, ovvero alla guaina mielinica, che protegge e favorisce la conduzione di segnale del nervo stesso
  • infezioni per lo più virali (herpes zoster), che rimangono annidiate nel corpo umano e si ripresentano nel momento di forte stanchezza-stress e di calo delle difese immunitarie
  • carenze alimentari ed in particolar modo carenze vitaminiche del gruppo B, (es. sindrome di BERI BERI)
  • aumento delle tossine, per via esterna (nel caso siano ingerite o inalate) o interna nel caso di catabolismi ad impatto sistemico
  • intossicazioni dai farmaci stessi se utilizzati in maniera impropria per quantità, nelle dosi e nel tempo di somministrazione
  • alterazioni epatiche, che comportano sia la riduzione di metabolizzazione di alcuni alimenti innescando una carenza di tipo alimentare e sia per l’aumento delle tossine circolanti
  • alcolismo
  • malattie autoimmunitarie (es. sindrome di GUILLAN BARRE’)
  • alcune condizioni specifiche oncologiche.

Tutte queste cause scatenanti ci dimostrano che le nevriti possono essere si una condizione di sofferenza ma anche una condizione di allarme per indagare sulle eziologie di partenza più disparate.

La diagnosi

Per diagnosticare la causa precisa della nevrite si ricorre ad una buona raccolta di dati anamnestici che ci aiuteranno ad avvicinarci alla diagnosi esatta.

Gli esami clinici saranno opportuni per escludere le varie possibili concause inerenti la patologia effettiva.
Nevrite_06Le indagini strumentali associate sono di vario tipo:

  • elettromiografia ed elettroneurografia che studiano la funzionalità della conduzione nervosa, ovvero la qualità con la quale il nervo trasmette il suo segnale elettrico, sia rispetto al muscolo innervato e sia rispetto al nervo stesso
  • rx, radiografie per vedere lo stato anatomico della struttura interessata e valutare se sia libera da calcificazioni, processi di riparazione, escrescenze ossee (esostosi), ovvero tutte quelle alterazioni di forma che potrebbero perturbare il passaggio e lo scorrimento del nervo infiammato
  • rm, risonanza magnetica e tc, tomografia computerizzata per poter analizzare il segmento di interesse rispetto anche ai tessuti molli, muscoli, legamenti capsule articolari, ossa, calcificazioni e neoformazioni di interesse per lo studio e la focalizzazione della causa scatenate la nevrite
  • ecografia nel qual caso si sia sufficientemente e ragionevolmente certi che la causa sia scatenata da un’alterazione dei tessuti molli negli spazi di presenza e di scorrimento del nervo coinvolto nella patologia
  • analisi del sangue che attestino lo stato di intossicazione o la carenza di alcuni elementi necessari al corretto mantenimento vitale delle strutture nervose

La cura

La terapia varia in base alla ricerca riscontrata sulla causa di attivazione della nevrite in atto.

Nevrite_07La cura per essere efficace deve eliminare o minimizzare il fattore di innesco della patologia, pertanto si potrà agire in maniera meccanica li dove la causa sia dovuta a un mal posizionamento di strutture osteoarticolari, oppure dove i tessuti molli (muscoli, tendini, legamenti, capsule articolari) per un loro mutamento morfologico, siano restringenti e costringenti il passaggio e la sede del nervo interessato.

Nevrite_08Dove invece l’alterazione anatomica non sia manipolabile con terapie conservative, si può intervenire con la chirurgia ricreando un ambiente favorevole all’alloggiamento del nervo stesso.

Possono essere usate cure farmacologiche che mirano a ridurre l’infiammazione e a regolare la soglia del dolore per via di antinfiammatori e antidolorifici.
Nelle patologie ad innesco virale, nello stadio precoce, possono essere utilizzati farmaci antivirali con buoni risultati, consentendo il decorso decrescente della sintomatologia in maniera più efficace.

Quando la nevrite è data da un tilt del sistema immunitario, il cortisone e in alcuni casi eclatanti, gli immunosoppressori, possono essere considerati efficaci per tenere a bada la patologia.

Nel caso di alcolismo e di intossicazione sistemico dell’organismo, la causa va rimossa in maniera diretta eliminando i fattori di intossicazione, liberando il fisico dalle tossine dannose per caratteristiche e quantità.

Nevrite_09Per carenze alimentari con sottolivellamento vitaminico del gruppo B è buona norma controllare lo stato di attività epatica e integrare con l’alimentazione i fattori mancanti, dove ne sia necessario si può intervenire con integratori ad assunzione diretta.

Nel caso in cui le varie cure siano inefficaci, si può ricorrere all’uso della terapia del dolore utilizzando cocktail farmacologici sotto stretto controllo medico, in grado da minimizzare la sintomatologia di cui il paziente soffre, ma tenendo conto che in questo modo il corpo umano riduce la capacità di allerta attivata proprio dal messaggio nocicettivo.

In conclusione la nevrite è una patologia delicata e invalidante ma che fortunatamente ha talmente tante variabili di causa-effetto, che vede varie soluzioni nella cassetta degli attrezzi dello specialista, tanto da poter permettere, con buona percentuale, una cura efficace e stabile.

Dorsalgia

Dorsalgia-01La dorsalgia è un dolore nella zona centrale della colonna vertebrale, ovvero del segmento che va dai trapezi medi fino alla fine della gabbia toracica.

Viene comunemente distinta come il dolore della zona interscapolare, perché di tutto il segmento dorsale, è quello maggiormente posto sotto stress, ma sarebbe riduttivo associarlo solamente a quel tratto.

Il segmento dorsale o toracico, è una porzione della colonna vertebrale, che unisce la zona cervicale e quella lombare.

È composta da 12 vertebre, inframezzate dai dischi intervertebrali e alle quali si agganciano le 12 paia di costole, creando insieme allo sterno, la gabbia toracica.

Dorsalgia-02La gabbia toracica ha rapporti con lo stretto toracico superiore, con il muscolo diaframma, con il cuore, con i polmoni, con l’esofago, con l’aorta toracica, con una porzione del fegato e dello stomaco, con gli angoli colici, con la milza e vede affacciarsi i poli superiori dei reni e le ghiandole surrenali.

Non va dimenticato che le articolazioni costo-vertebrali anteriori hanno una rapporto diretto con la catena gangliare neurologica autonoma ortosimpatica, mentre il canale vertebrale contiene il midollo con i nuclei inerenti.

Pertanto possiamo dire che il tratto vertebrale di cui parliamo oggi ha un’enorme rapporto con la vita neurologica autonoma delle relazioni vascolari, respiratorie, viscerali, muscolari.

La postura della persona vede il segmento toracico come un punto di equilibrio e di coordinamento delle lordosi cervicali e lombari.

La zona dorsale ha il compito di sostenere i movimenti dei segmenti a monte e a valle, distribuendo i carichi di linee di forze nei 3 piani dello spazio, ovvero in flessione ed estensione, in rotazione ed in inclinazione laterale.

Ciò sta a significare che il dorso deve essere sufficientemente mobile, ma allo stesso tempo garantire una stabilità di sostegno alla gabbia toracica, agli organi in esso contenuti e alle lordosi cervicali e lombari.

Queste considerazioni sono valide sia nella posizione eretta e sia nel posture da seduto.

Le cause

Alla domanda su quali fattori possano manifestare il dolore della zona dorsale, vien da se capire che le cause possono essere tante e inquadratili su molteplici aspetti.

Cerchiamo di capirli insieme:

  • artrosi delle faccette articolari
  • discopatia degenerativa
  • ernia discale
  • chiusura dei forami di coniugazione
  • ernia intraspongiosa
  • compressione vertebrale
  • ipercifosi
  • scoliosi
  • disequilibrio respiratorio diaframmatico e dei muscoli accessori respiratori intercostali
  • osteoporosi con esiti lesionali vertebrali
  • fratture da compressione
  • nevrite segmentaria
  • innervazione riflessa viscerale

Dorsalgia-03Come notiamo le cause che innescano il dolore dorsale sono svariate e per semplificarle  le possiamo racchiudere in un capitolo osseo, un capitolo discale, un capitolo neurologico, un capitolo posturale, un capitolo respiratorio e uno viscerale.

I sintomi

I sintomi della dorsalgia si manifestano nella zona di mezzo della colonna vertebrale, ovvero dalle spalle fino alla fine del costato, generalmente si concentrano nella zona tra le scapole e possono essere centrali oppure decentrati nella parte destra o sinistra, con un dolore puntiforme o irradiato.

Quando il sintomo è scaturito da un problema di postura, generalmente la posizione di anteriorizzazione acuisce il dolore, mentre l’estensione dorsale da una sensazione  paragonabile al bruciore che genera un sollievo nell’immediatezza, per poi trasformarsi in una riduzione della forza nel mantenere le spalle aperte fino a dare una percezione di contrattura muscolare e di dolore latente.

Dorsalgia-04Spesso si può associare un’ acutizzazione durante un atto inspiratorio profondo se il problema è puramente a carico della zona vertebrale, oppure ad un atto inspiratorio minimo se il problema è causato dall’aggancio della costola rispetto alla vertebra inerente.

La sintomatologia nocicettiva si può acuire da fermo, durante il movimento, o può essere presente in entrambi i casi.

Se il dolore è causato da un collegamento viscerale (fegato, stomaco, milza, pancreas, polmone, cuore, esofago, angolo colico), si manifesta un malessere generale di organo a cui si associa un dolore di riferimento, su precise mappe dermatomeriche della zona dorsale, quasi sempre decentrate, come un cono d’ombra del viscere di rappresentanza.

Nel caso di una dorsalgia di provenienza neurovegetativa, la zona di interesse midollare vertebrale viene attivata anche da movimenti o compressioni, con origine lontano dalla zona del dolore dorsale.

La diagnosi

Nella diagnosi è importante fare un’ analisi postulare, per accertarsi se il carico vertebrale sia corretto, o esagerato nel caso sia presente un’ ipercifosi o una scoliosi rigida e strutturata.

L’esame clinico permette di valutare la mobilità e l’esacerbazione del dolore durante la richiesta di movimento attivo e passivo nei 3 piani dello spazio.

Dorsalgia-05Fondamentale è il supporto di indagini diagnostiche come sostegno alla diagnosi:

  • RX colonna nelle proiezioni sagittali e frontali che possono essere richieste sia in carico che in fuori carico
  • RM dorsale per valutare lo stato anatomico delle strutture discali e radicolari del segmento e quindi indagare la presenza di un’ eventuale ernia discale e la compromissione delle radici nervose
  • TC dorsale per valutare la presenza di lesioni della struttura vertebrale o per studiare la grandezza del canale midollare e la conformazione delle faccette articolari.
  • MOC per apprezzare lo stato di salute dell’osso, rispetto alla massa cellulare che lo compone e l’eventuale rischio di frattura nel caso sia presente l’osteoporosi.Dorsalgia-06
  • RX MORFOLOGICA per analizzare il rapporto volumetrico vertebrale rispetto all’intero segmento nella percentuale destinata alla singola vertebra.

Il trattamento

Il trattamento vede la possibilità di agire su più fronti.

A livello farmacologico saranno usati antinfiammatori, ai quali si possono associare dei miorilassanti, in maniera da ridurre il tono muscolare, limitare le contratture e lo stato di tensione locale.

Gli analgesici possono essere molto utili per ridurre il circolo del dolore e le sue conseguenze sul movimento, sulla postura, sulla forza e sulla resistenza.

Sarà importante affrontare una cura farmacologica e delle indicazioni di gestione, nel caso sia presente un quadro osteoporotico.

Dorsalgia-07 La fisioterapia e l’osteopatia sono di fondamentale importanza per ristabilire i giusti assetti vertebrali sia a livello locale, sia nell’inquadramento generale della postura , combattendo eventualmente la presenza di ipercifosi, cosi come la presenza di un dorso piatto, contrastando una scoliosi, la quale nel caso non fosse più corregibile, bisognerà almeno evitare che si irrigidisca.

Dorsalgia-08Di grandissima utilità sarà riequilibrare il meccanismo respiratorio, migliorando le sinergie tra il diaframma, i muscoli accessori della respirazione, l’elasticità della gabbia toracica e dell’addome.

E’ importante analizzare e correggere le malposizioni locali vertebrali e il loro cattivo funzionamento, rilanciando il movimento e migliorandone l’ articolarità.

Sarà necessario decomprimere la zona dorsale, ove richiesto, per migliorare lo scorrimento e il contenimento stesso delle strutture neurologiche, sia midollari che radicolari.

Dorsalgia-09Nel caso di un coinvolgimento viscerale, ove fossimo di fronte ad una riduzione della sua mobilità o di aderenze, sarà possibile utilizzare delle manovre manuali, tali da migliore il movimento sia passivo che autonomo.

Dorsalgia-10Non è da sottovalutare la possibilità di adoperare un busto di supporto, variandone l’utilizzo sia per numero di ore da indossare nella giornata, sia per la rigidità di sostegno e di scarico che si vuole conferire alla colonna vertebrale.

La chirurgia alle volte si rende necessaria, nel momento in cui ci siano patologie anatomiche non più gestibili e pericolose, a carico del canale midollare, dei forami di coniugazione e del disco intervertebrale.

Nel caso la colonna ceda sotto il suo stesso peso, impossibilitata a mantenere una postura accettatile, prendendo degli angoli di curva eccessivamente esagerati e quindi patologici a livello locale e globale, si potrà pensare di ricorrere ad una stabilizzazione vertebrale con staffe e viti, bloccate sulla colonna dei corpi vertebrali stessi.

Nella prevenzione delle patologie a carico del tratto dorsale, è fondamentale porre attenzione all’assetto vertebrale della postura, è importante evitare che ci sia una riduzione di mobilità e di funzione, cosi  com’è importante mantenere un tono muscolare capace di sostenere e di guidare la colonna vertebrale, pertanto fare un’attività fisica mirata e costante sarebbe di buon auspicio.

Nell’adoperarsi con i lavori da sforzo è utile saper gestire le attività mi maniera da alternare fatiche massime con lavori di minor impegno fisico, in maniera da evitare sovraccarichi e sforzi prolungati.

Anche l’alimentazione e le attività all’aria aperta possono esser un tassello della prevenzione, soprattutto in ottica osteoporosi e fragilità ossea.

Abbiamo analizzato gli aspetti più comuni della dorsalgia e come sempre, il saperne di più e acquistarne coscienza, ci permette di essere più vicini alla buona salute.

Impingement della spalla subacromiale

Cos’è la sindrome da impingement subacromiale?

Impingement_spalla_01E’ un’affezione dolorosa della spalla molto comune, che si manifesta per una riduzione dello spazio tra due capi articolari, la testa dell’omero e l’acromion.

Questo spazio è fondamentale per il passaggio del muscolo sovraspinoso, nella porzione di giunzione miotendinea e per la presenza della borsa sottodeltoidea.

Entrambe le strutture sono molto ben innervate dalle fibre nocicettive e possono subire compressione e irritazione nel caso lo spazio di scorrimento diminuisca come vedremo più avanti.

Come è composta l’articolazione della spalla?

La spalla è composta da 5 articolazioni, 3 propriamente dette e 2 fisiologiche (o di scorrimento).

Nel campo delle professioni sanitarie vengono in gergo rinominate come 3 articolazioni vere e 2 articolazioni false.

Impingement_spalla_02Le 3 articolazioni propriamente dette sono:

  • l’articolazione gleno omerale (tra la testa dell’omero e la scapola – porzione della glena)
  • l’articolazione acromion clavicolare (tra la clavicola e la scapola – porzione dell’acromion)
  • l’articolazione sterno clavicolare (tra lo sterno e la clavicola)

Le 2 articolazioni fisiologiche sono:

  • l’articolazione sottodeltoidea
  • l’articolazione scapolo toracica.

L’insieme delle 5 articolazioni che compongono la spalla, permettono di relazionare il braccio rispetto al torace, di compiere i movimenti in ogni piano dello spazio e di sommare gli stessi movimenti tra di loro.

Le 3 articolazioni vere sono la congiunzione fra 2 porzioni ossee diverse tra di loro, con lo scopo di creare un movimento specifico a seconda delle diverse conformazioni articolari.

Le 2 articolazioni false servono a creare una superficie di scorrimento tra tessuti molli, per migliorare l’efficacia del movimento stesso, diminuendone gli attriti.

Quali movimenti può fare la spalla?

Impingement_spalla_03Nello specifico, i movimenti che la spalla può compiere sono:

  • elevazione anteriore (flessione)
  • elevazione posteriore (estensione)
  • abduzione (elevazione laterale)
  • adduzione (depressione mediale)
  • rotazione esterna
  • rotazione interna
  • circonduzione

La scala dei movimenti elencati è complessa, soprattutto perché vede la necessità di armonizzare e rendere corale la sincronizzazione delle 5 articolazioni che entrano in gioco e della colonna vertebrale, la quale deve coadiuvare i movimenti nei sui valori più elevati.

La complessità biomeccanica della spalla, risiede negli accomodamenti e nel gioco muscolare che deve fare, in modo che l’ articolazione venga comunque sostenuta e ancorata, associandone la mobilità legamentosa e capsulare.

Chi ne guida i movimenti?

Impingement_spalla_04I movimenti sono guidati da serie muscolari che agiscono quasi mai in maniera isolata, ma sempre in modo corale per creare nel movimento maggiore, una serie di accomodamenti minori capaci di stabilizzare la spalla e di adattarla sia ai gradi di movimento, che ai piani di sviluppo articolare interagenti.

La testa dell’omero deve essere richiamata ad una coaptazione rispetto alla glena della scapola, ma sufficientemente distanziata nei rapporti con il tetto acromiale, sotto il quale ci passa la porzione miotendinea e il tendine stesso del m.sovraspinso.

La cuffia dei rotatori, formata dall’unione di relazione rotatoria minore ma equilibratrice della testa dell’omero, è di ben 4 muscoli:

  • m.sovraspinoso
  • m.sottospinoso (m.infraspinato)
  • m.picco rotondo
  • m.sottoscapolare

Questi 4 muscoli adattano le rotazioni e la coaptazione della testa dell’omero nei confronti della glena, mantenendola sufficientemente distante dall’acromion e permettendo l’adattamento dell’articolazione gleno omerale per proseguire nell’aumento dei gradi articolari, soprattutto in abduzione e in elevazione anteriore.

Da non dimenticare che fondamentali sono le articolazioni di scorrimento, sottodeltoidea e scapolo-toracica, per far si che il movimento subisca meno attriti possibili.

Quali sono i sintomi di una sindrome da impingment della spalla?

I sintomi si manifestano con un dolore alla spalla che può variare di posizione, manifestandosi sulla zona sopra acromiale, nella zona deltoidea, anteriormente al capo lungo del bicipite.

Queste zone di dolore non devono per forza essere isolate, ma possono anche sommarsi tra di loro.

Impingement_spalla_05Il dolore si associa frequentemente ad una riduzione di mobilità articolare, ad una diminuzione della forza e della resistenza, dando un senso di astenia al braccio.

Il riposo non sempre porta un giovamento, anzi il dormire sulla spalla, o il poggiarcisi su di una poltrona o sul divano, possono notevolmente peggiorare la sintomatologia in maniera repentina.

La necessità di scaricare il peso del braccio e quindi di dargli sostegno, diventa quasi un automatismo nelle attività di vita quotidiane.

I movimenti articolari maggiormente limitati sono la flessione e quindi l’incapacità o lo sforzo eccessivo per alzare il braccio sopra la testa su di un piano sagittale; l’abduzione e quindi la resistenza ad alzare il braccio sopra la testa su di un piano frontale; i movimenti di rotazione esterna ed interna, tanto ti tipo grossolano, quanto nei movimenti fini, quindi la difficoltà nel pettinarsi (movimento mano testa) o nell’allacciarsi il reggiseno (movimento mano schiena).

Il dolore di spalla porta spesso anche un compenso della zona cervicale e dorsale, instaurando dolori spesso di origine muscolare per contrattura, nell’area del trapezio e della parte interna della scapola.

Non è raro ritrovare una zona di dolenzia sul gomito, qualora la problematica della spalla dovesse perdurare nel tempo.

Quali sono i fattori scatenanti?

Impingement_spalla_06La sindrome da impingement viene attivata dalla risalita della testa dell’omero che si avvicina alla parte inferiore dell’acromion, creando un problema sia per quanto riguarda il movimento filologico articolare, sia per lo schiacciamento e l’irritazione della borsa sottodeltoidea nella sua porzione acromiale, sia per la compressione del tendine del m.sovraspinoso.

La condizione di riduzione dello spazio periarticolare e quella della compressione dei tessuti molli, portano a sfuggire dal movimento fisiologico perché risulterebbe dolente all’esecuzione, causando l’instaurarsi di attività compensatorie, come ad esempio l’ abduzione della spalla con il braccio in atteggiamento di intrarotazione, attivando dei muscoli non predisposti a compiere quel tipo di gesto, causandone uno stato di tensione spesso dolente.

Impingement_spalla_07 Impingement_spalla_08La causa si può ritrovare anche in una perdita di idratazione della borsa deltoidea, che perde il suo trofismo e volume, diminuendo nettamente la capacità si attutire le compressioni del movimento articolare.

Le posture in cifosi con una chiusura delle spalle in avanti, possono dare la predisposizione ad una sindrome da impingement per il cambiamento di angolazione tra la clavicola e la scapola, cosi come il basculamento anomalo della scapola sul torace stesso.

 

Quest’anomalia posturale porterà a far attivare maggiormente la catena muscolare intrarotatoria della spalla, diminuendo l’efficacia delle componenti extrarotatorie, costrette a lavorare in maniera eccentrica.

Il tutto si tradurrà in una perdita di efficacia nella sinergia della cuffia dei rotatori, che lascerà spazio al muscolo deltoide e al capo lungo del bicipite di lavorare con maggior vigore, traslando la testa dell’omero verso l’alto.

Impingement_spalla_09La lesione parziale, o molto peggio totale, di una o più porzioni dei tendini della cuffia dei rotatori, causerà una perdita di funzione, creando uno squilibrio a favore del deltoide e del capo lungo del bicipite, che favoriranno la risalita della testa dell’omero verso l’alto.

Ovviamente non mancano le nozioni di trauma che possono danneggiare l’anatomia di una delle strutture fino ad esso discusse, o limitarne il funzionamento, per creare l’instaurarsi della sindrome da impingement subacromiale.

Come si fa diagnosi?

La diagnosi si basa su un’anamnesi accurata raccogliendo informazioni tali per capire quando il problema si sia manifestato, come abbia avuto inizio e quali possano essere state le cause esterne valutabili (lavori fisici, attività sportiva, traumi, posture alterate e prolungate nel tempo).

Seguirà un’esame valutativo clinico che si farà forte di una serie di test, in grado di studiare:

  • le escursioni articolari nella loro completezza o nella loro limitazione
  • le capacità di attivazione muscolare, valutabili nella forza e nella resistenza
  • l’individuazione dello stato di salute di legamenti e capsule articolari
  • il dolore evocato valutandolo in riferimento ai punti critici della patologia.

Impingement_spalla_10Diventa fondamentale l’aiuto della RM di spalla per poter studiare lo stato anatomico dei tessuti muscolo tendinei, capsulo legamentosi e sierosi.

Può risultare utile lo studio radiografico della spalla per individuare la posizione della testa dell’omero rispetto al tetto acetabolare e l’eventuale presenza di segni artrosici articolari; sarebbe ancora più utile se la radiografa fosse accompagnata da una ecografia dei tessuti molli, in maniera da avere un quadro esaustivo, anche se non preciso nella sua espressione massima.

Gli esami clinici e quelli diagnostici per immagini, ci rendono certi della presenza della patologia e capaci a questo punto di indirizzare il paziente verso la cura appropriata, dando una prognosi coerente con lo stato di salute.

Quali sono le cure?

La cura per la sindrome da impingement subacromiale, vede varie strade percorribili, concepite a seconda dell’integrità anatomica in cui si presenta la spalla.

Possono essere usati antinfiammatori non steroidei, spesso associati a miorilassanti e in alcune occasioni, si può fare ricorso ai cortisonici e agli antidolorifici.

Non sono pochi i casi in cui vengano utilizzate terapie farmacologiche infiltrative con un mix di farmaci ai quali non di rado viene aggiunto anche un anestetico locale.

Impingement_spalla_11La fisioterapia e l’osteopatia sono fondamentali per recuperare la funzione persa della spalla, migliorandone il posizionamento anatomico dei capi articolari, riequilibrando le catene muscolari per forza e capacità di attivazione.

Sono entrambe molto utili per abbassare la soglia del dolore, mitigandone gli effetti a cascata su tutte le strutture di relazione.

La chirurgia è la soluzione ultima a cui si arriva nel caso di un danno anatomico importante e non compensabile dal resto delle terapie sopracitate.

Impingement_spalla_12I tipi di intervento sono molti e saranno scelti in base al quadro di danno anatomico presente e in base alle abitudini di preferenza del chirurgo.

La maggior parte degli interventi vengono fatti in artroscopia e sono di tipo ricostruttivo-riparativo.

Certo è che dopo un intervento chirurgico ci sia bisogno di un periodo di riposo e di recupero riabilitativo, per poter ritrovare la miglior condizione fisica possibile.

 

Abbiamo esaminato a fondo la sindrome da impingement subacromiale, ci è ormai chiaro quali sono le problematiche che manifestano e il tipo di inabilità riscontrata nella quotidianità, non facciamoci sorprendere, abbiamo tutte le possibilità per affrontarla nel migliore dei modi, salvaguardando la qualità della nostra vita quotidiana.

Stenosi cervicale

La stenosi cervicale è una riduzione del volume del canale midollare, zona intima della colonna vertebrale che ospita l’alloggiamento del midollo spinale, la porzione di emergenza delle radici nervose anteriori e posteriori (per il trasporto delle informazioni motorie e sensitive), il pacchetto vascolare arterioso e venoso di relazione.

Stenosi_cervicale_01La stenosi cervicale si può manifestare in un segmento specifico della cervicale o su più segmenti vertebrali.

Può presentarsi per una modificazione congenita, per un trauma importante, per forme benigne o meno di neoformazioni, per patologie artritiche, per una degenerazione della porzione ossea, per discopatie, per alterazioni legamentose, per cambiamenti posturali.

Tralasciando la parte di malformazione congenita, traumatica, tumorale, le quali meritano un articolo a se, parliamo adesso dell’eziopatogenesi degenerativa.

Stenosi_cervicale_02Il canale midollare ha una sua ampiezza predefinita che deve mantenere il suo volume interno al variare della posizione e del movimento del segmento vertebrale.

Il canale vertebrale viene circoscritto dalle lamine vertebrali, dalle porzioni interne articolari, dai peduncoli, dalla porzione posteriore del corpo vertebrale, dal legamento longitudinale posteriore, dai legamenti gialli e dalla porzione posteriore del disco intervertebrale.

Quali sono le cause del restringimento?

  • Artrosi cervicale
  • Ernia cervicale
  • Fibrosi dei legamenti gialli
  • Osteofitosi interna
  • Verticalizzazione del segmento cervicale

Molte di queste eziopatogenesi sono la naturale conseguenza dell’usura che il tempo ci riserva con l’andare avanti dell’età, va però specificato che possono essere più importanti e rischiose se l’evoluzione è aumentata da fattori predisponenti di vita quotidiana e di attività lavorative.

Una nota di interesse è rispetto all’ernia discale.

Il danno del disco ha molteplici variabili e il suo affacciarsi nel canale midollare sarà più o meno grave a seconda del volume dell’ernia, alla sua posizione e se sia un’ernia molle perché ancora idratata o un ernia dura perché disidratata e fibrotizzata.

Che sintomi si possono manifestare?

Stenosi_cervicale_03La sintomatologia varia per tipo di dolore e per zona di manifestazione:

  • Dolori neurologici periferici che possano associarsi ad alterazione della sensibilità, della forza e del trofismo muscolare stesso, con distretti di manifestazione che variano a seconda del metamero coinvolto, andando dalla zona nucale alle braccia, alle scapole
  • Alterazione della vitalità neurologica per compressione diretta del midollo con estensione della manifestazione mielopatica dalla porzione cervicale a scendere verso i tratti della colonna più bassi all’aumentare della gravità della pressione, causando riduzione della forza e diminuzione della massa muscolare, alterazione della sensibilità, bruciore, intorpidimento, difficoltà nella coordinazione del movimento
  • Dolore cervicale locale e irradiato a seconda dello stato di tensione e contrattura antalgica muscolare. Il dolore aumenterà al movimento e diminuirà velocemente a riposo
  • Rigidità al movimento, non di rado si può associare una tensione sottonucale, giramenti di testa e nausee
  • Si può riscontrare il segno di Lhermitte, ovvero una sensazione di scarica elettrica che si irradia dal collo lungo la colonna vertebrale durante la flessione in avanti del capo e della cervicale. Questo segno indica la presenza di una sofferenza midollare dove vengono coinvolte le radici posteriori dei nervi spinali.

Stenosi_cervicale_04Come si definisce la gravità di questa patologia?

La gravità si stabilisce rispetto ai tipi di sintomi manifesti, più la patologia coinvolgerà la porzione neurologica, più sarà importante lo stato di avanzamento della stenosi cervicale.

Anche qui va sottolineato che i sintomi neurologici periferici a carico delle radici nervose locali, sono ad uno step di tolleranza, rispetto ai sintomi midollari ben più gravi, che possono coinvolgere anche il tronco e gli arti inferiori.

Quali sono gli esami diagnostici utilizzati?

La diagnosi della stenosi del canale midollare vede come esame principe la RM del segmento cervicale, capace di analizzare i tessuti molli discali, legamentosi, midollari e radicolari nel loro stato di salute anatomico rispetto alla dimensione del canale midollare nelle sue varie porzioni descritte all’inizio dell’articolo.

Stenosi_cervicale_05Anche l’esame TC ha un’ottima valenza per studiare lo stato in essere soprattutto della struttura ossea che compone il canale midollare e lo stato di sviluppo di osteofiti articolari.

Può risultare utile anche un esame elettromiografico per vedere la capacità di attivazione e di risposta delle placche motrici periferiche.

Sarà necessario fare un’attenta analisi dei riflessi osteotendinei e della loro risposta, sia se inibiti tanto se iperattivati.

Quale tipo di terapia può essere applicata?

La stenosi del canale cervicale può essere approcciata in molti modi e può combinare contemporaneamente una o più terapie tra di loro. A livello farmacologico vengono spesso utilizzati antinfiammatori, preferibilmente fans, quando si ha la necessità di combattere l’infiammazione locale sviluppatasi, ma in alcune situazioni non è da escludere l’utilizzo di cortisonici quando sia utile ridurre la componente edematosa che l’infiammazione stessa può esacerbare.

Possono essere usati i miorilassanti quando si sviluppano contratture e tensioni muscolari, per via del dolore e del cattivo compenso muscolare.

Non sono pochi i casi dove si ricorre agli antidolorifici per ridurre la soglia percepita e la soglia di attivazione del dolore.

La fisioterapia e l’osteopatia sono molto utili quando la stenosi è causata dalla presenza compressiva di tessuti molli, discopatie o artrosi delle faccette articolari.

Riescono ad applicare terapie manuali capaci di mantenere attivo il trofismo biologico dei nervi periferici interessati e mantenere uno stato di efficienza della muscolatura, la quale andrebbe incontro a ipotrofia da riduzione dell’attività fisica e dalla deficitaria innervazione motoria.

La fisioterapia così come l’osteopatia sono necessarie per mantenere efficienti le funzioni vertebrali e creare i giusti compensi necessari per deviare le linee dinamiche e di carico della zona stenotica.

Nei casi più gravi non è da escludere l’intervento chirurgico per decomprimere la zona midollare, in tutte quelle situazioni dove la stenosi sia di tipo duro e quindi irriducibile, con manifestazioni cliniche importanti e rischi di denervazione o di mielopatie.

La stenosi del canale cervicale è una patologia molto seria ma può essere diagnosticata in tempo, tanto da gestirla nel migliore dei modi e rallentare o bloccare il suo percorso patologico. Il nostro corpo ci invia messaggi di disagio cercando di comunicarci qualcosa, diamo ascolto ai nostri sintomi e non trascuriamoli, è il modo più efficace per prevenire e curare le affezioni che nel corso della vita si affacciano.

Postura

La postura è la posizione che il corpo assume nei 3 piani dello spazio, sia in posizione statica sia in movimento.

Postura_01Il piano sagittale rispetto al quale ci possiamo piegare in avanti e in dietro, il piano frontale rispetto a al quale ci possiamo inclinare lateralmente e il piano orizzontale rispetto al quale possiamo ruotare.

La postura è la risposta che noi diamo alla costante relazione che viviamo con la forza di gravità, la quale tende a richiamare verso il basso ogni tipo di oggetto, noi compresi.

La forza di gravità è per noi un’ alleata ma di contro tende a schiacciarci verso la sua fonte di attrazione, proprio per questo siamo alla costante ricerca di un compromesso per poterla sfruttare e non per diventarne vittime.

Postura_02La posizione che assumiamo va immaginata come un gioco di equilibrio tra le varie articolazioni, testa, colonna vertebrale, bacino, anche, ginocchia, piedi (elencate in ordine discendente), ma va anche ricordata la relazione tra il cingolo pelvico e quello scapolare.

Ovvero tra il segmento bacino e quello spalle, che permette di avere un accomodamento di relazione tra gli arti superiori e inferiori, utilizzando la colonna vertebrale come giunzione e la testa come timone.

Il punto dove noi scarichiamo il nostro peso è il punto di appoggio ultimo, ovvero il pavimento quando siamo in piedi fermi o camminiamo, la sedia con o senza schienale quando siamo seduti, il letto o peggio il divano quando siamo sdraiati.

Lo scarico del nostro peso rispetto ad una superficie ci da un impulso diretto all’aggiustamento posturale, sarà quindi sempre diverso a seconda di dove scarichiamo i nostri appoggi.

Sono gli stimoli esterni che danno la partenza di accomodamento della nostra posizione nello spazio che occupiamo, ma è anche vero che la postura risponde alla capacità motoria del soggetto stesso.

Ma la capacità motoria è standard per ogni individuo?

Ovviamente no ed è influenzata da moltissimi fattori, i traumi fisici come anche quelli emotivi, il corretto funzionamento dei recettori articolari, muscolari, tendinei e capsulari, la vista, l’udito, l’equilibrio, le medesime posizioni protratte nel tempo, la riduzione del tono muscolare, lo stress, il vissuto (concetto a cui mi allaccerò tra poco), un’ alterata occlusione dentale, la respirazione, l’alimentazione e non ultimo patologie intrinseche sistemiche o non, che possano influenzare la capacità adattativa del corpo.

Postura_03Possiamo dire che l’individuo è in costante adattamento e modificazione, questi cambiamenti vengono registrati ed elaborati dal cervello umano che li registra e in alcuni casi li instaura in maniera permanente, quindi ripetendo in maniera coscia o inconscia dei movimenti e delle posizioni, possono entrare a far parte di un corredo cerebrale automatizzandoli e riproponendoli in maniera automatica ed inconscia, alcuni di essi saranno corretti e fisiologici mentre altri saranno sbagliati (errori posturali) e potenzialmente patologici se prolungati e mantenuti nel tempo.

Postura_04Le patologie che possono instaurasi sono varie per entità e per importanza, segmentali o generalizzate:

  • accorciamenti muscolari con retroazioni delle catene muscolari e disequilibrio tra gruppi agonisti e antagonisti, predisposizione a contratture, stiramenti, strappi muscolari
  • alterazioni articolari con compressione delle stesse e stress cartilagineo, predisposizione alla danno e alla degenerazione delle cartilagini e quindi a seguire, la manifestazione di artrosi, alterazioni degli assi articolari (ginoccchio varo-valgo, iperesteso o in flexum, piede piatto, piede valgo etc)
  • relazioni vertebrali disfunzionali, ipercifosi, iperlordosi, scoliosi, cuneizzazioni vertebrali e queste alterazioni delle curve vertebrali possono arrivare a sviluppare patologie discali, neurologiche periferiche, interfaccettali.

Postura_05La postura va curata sia nelle varie fasi di crescita e sviluppo dell’individuo e sia nel trascorrere della vita della persona stessa, in modo tale da utilizzarla e mantenerla nella sua massima efficienza, prevenendo patologie indesiderate e inaspettate.

Uno specialista del settore sanitario deve controllare la postura del paziente e richiedere se necessario un’ indagine radiografica, coadiuvata da esami di coronamento qualora se ne presentasse la necessità, per fare la miglior diagnosi sulla causa del problema posturale in essere e programmare la miglior cura per il miglioramento e la risoluzione del problema.

Postura_06La fisioterapia è fondamentale per curare la postura, così com’è di grande aiuto l’osteopatia.

Non sono pochi i casi dove sia necessario l’utilizzo di tutori esterni di vario genere e natura, che possano mantenere la postura corretta per alcune ore, o in maniera fissa nei casi più gravi.

Nelle situazione di deviazione vertebrale importante si può arrivare addirittura all’intervento chirurgico di correzione e stabilizzazione vertebrale.

Sarà fondamentale l’impegno del paziente per migliorare e gestire in maniera autonoma la propria postura, con esercizio fisico e mirato al miglioramento delle postazioni di lavoro nell’attività quotidiana.

La postura è importante, è parte attiva della nostra salute, curiamola, dedichiamogli attenzione e i benefici che ne otterremo saranno evidenti.

Protrusioni ed ernie discali…quali sono le differenze e cosa comportano

La protrusione e l’ernia discale sono entrambe delle patologie che colpiscono la struttura del disco intervertebrale, alterandone la forma, le caratteristiche biologiche e le funzioni.

ernia_discale_01La protusione è l’anticamera dell’ernia discale ed entrambe sono l’evoluzione patologica di un disco intervertebrale che subisce forze di compressione, di trazione, di torsione e di sovraccarico, tanto da rovinarne la struttura, portandola oltre la normale degenerazione e quindi ad un danno patologico.

È vero che possono insorgere anche per eventi traumatici, ma la percentuale di danno da cattivo utilizzo rispetto ad eventi violenti, gioca nettamente in favore del primo.

Entriamo adesso nello specifico.

ernia_discale_02Il disco intervertebrale è una struttura fibrocartilaginea con una porzione centrale chiamata nucleo polposo e una porzione di contenimento chiamata anulus fibroso.

Il nucleo polposo trattiene una altissima concentrazione di liquido acquoso, più dell’80%, ed è una massa di tipo gelatinosa costituita da mucopolissacaridi.

L’ anulus fibroso deve contenere il nucleo polposo, fungere da punto di unione tra la vertebra soprastante e quella sottostante, mitigare le forze di trazione e torsione nei tre piani dello spazio ed è costituita da fibre proteiche con alta percentuale di collagene 1 / 2 e di condrociti.

Il disco intervertebrale, oltre ad avere il compito di ammortizzare i carichi della colonna vertebrale, assolve anche alla funzione di movimento, formando degli assi attorno ai quali potersi muovere in sinergia con la biomeccanica delle articolazioni vertebrali.

Ma il danno al disco intervertebrale come avviene al di fuori di un violento evento traumatico?

ernia_discale_03Il cambiamento delle normali curve vertebrali di cifosi e lordosi, l’aumento dell’effetto compressivo, l’aumento esagerato di peso corporeo e il sovraccarico di movimenti che si spostano per percentuale dalle strutture articolari al disco intervertebrale, porta questa struttura a fissurarsi, ovvero a rompere le fibre dell’ anulus fibroso, favorendo una strada di migrazione del nucleo dal centro verso la periferia.

La protusione è la condizione in cui il nucleo migra dalla porzione centrale del disco intervertebrale, verso l’ esterno, utilizzando la strada aperta dalla fissurazione delle fibre dell’ anulus stesso, ma rimane ancora frenata dalla periferia estrema del disco intervertebrale.

L’ernia discale è l’ evoluzione della protusione del disco e si affaccia fuori dalla linea di limitazione discale.

L’ernia del disco è catalogata in molti modi a seconda del suo stato e della sua posizione, pertanto può essere:

  • mediana
  • paramediana
  • laterale (intraforaminale)
  • contenuta
  • migrata
  • idratata
  • disidratata
  • sovra radicolare
  • sotto radicolare.

Tutte queste differenze di forma, di posizione e di consistenza vanno prese in considerazione per poter applicare la cura al meglio.

I dischi intersomatici protrusi o erniati hanno la stessa sintomatologia?

Assolutamente no.

Le protusioni discali generalmente sono asintomatiche perché per la loro condizione di alterazione anatomica, non sono in grado di attivare il sistema nocicettivo, né sul piano radicolare né strutturale, ma le condizioni che portano il disco a protrudere, possono essere esse stesse la causa di dolore con impingement e compressione delle faccette articolari, sfaldamento delle cartilagini articolari, formazione di stravaso di liquidi nel piatto vertebrale di appoggio, riduzione del lume di passaggio dei forami di coniugazione e delle loro radici nervose di competenza.

ernia_discale_04

L’ernia discale invece è tutta un’altra storia.

La fuoriuscita del nucleo dal limite periferico massimo discale, fa sì che essa si possa andare a posizionare nell’aria interna del canale midollare o nel forame di coniugazione, appoggiandosi e comprimendo la radice nervosa.

Nei casi più fortunati l’ernia è mediana, ovvero centrale rispetto a canale midollare e non tocca nessuna delle due radici, ma può creare un danno da stiramento del legamento longitudinale posteriore che passa tra le vertebre e i dischi, nella porzione posteriore dei corpi vertebrali.

La sintomatologia

ernia_discale_05La sintomatologia più comune è quella della radicolite compressiva irritativa, che siamo comunemente portati a conoscere nella sua forma di lombo-sciatalgia, lombo-cruralgia e cervicobrachialgia.

L’ernia discale è particolarmente acuta nella sintomatologia radicolare se si posiziona nel forame di coniugazione (intraforaminale), perché la sua posizione riduce di molto la possibilità di movimento della radice nervosa, arrecandone un’ irritazione importante.

ernia_discale_06Da una problematica radicolare ci si può spostare ad una stenosi molle del canale, nel momento in cui un’ernia voluminosa riduca il lume del canale midollare stesso creando una patologia compressiva sul midollo o sulla cauda equina, a seconda del livello vertebrale di cui stiamo parlando. In quel caso spesso la ritroviamo migrata rispetto all’ area discale di appartenenza.

Ultima classificazione che può dare valore alla sintomatologia è l’idratazione o la disidratazione della porzione del nucleo erniato, perché questo determina la rigidità dell’ernia stessa e la possibilità di spostarsi ulteriormente aumentando il suo volume.

La diagnosi

Importante sarà fare una diagnosi clinica scrupolosa, utilizzando testi clinici per lo studio delle articolazioni e dei dischi intervertebrali, in parallelo con la valutazione neurologica dei segmenti coinvolti nelle ernie e nelle problematiche associate delle protusioni discali.

ernia_discale_07Fondamentale è l’esame di risonanza magnetica che fotografa lo stato dei tessuti discali nei confronti dei piatti vertebrali, del canale midollare, dei forami di coniugazione e ovviamente delle radici nervose.

La radiografia può solo dare un’idea dello spazio tra una vertebra e l’altra facendo immaginare la condizione discale di intermezzo, ma non è un esame diagnostico specifico per il disco intervertebrale.

La tc può essere richiesta al posto della risonanza magnetica nel caso in cui il paziente abbia delle controindicazioni ad eseguirla (pacemaker, mezzi di sintesi incompatibili, schegge metalliche, etc.), o nel caso si voglia vedere con minuziosità il rapporto del disco rispetto alle strutture osteo/articolari, piuttosto che rispetto alle strutture neurologiche perimetriche.

La cura

ernia_discale_08L’approccio terapeutico per la protusione si basa sulla fisioterapia, sull’osteopatia e sulla ginnastica, per mantenere un buon equilibrio delle curve posturali tra lordosi e cifosi con un tono muscolare capace di sostenere le articolazioni tanto nella statica quanto nella dinamica.

Bisogna ripristinare e mantenere gli equilibri tra le catene muscolari anteriori, posteriori e rotatorie.

E’ importante mantenere elastici i legamenti che stabilizzano le vertebre tra di loro e in generale le articolazioni cardine dei cingoli pelvici e scapolari.

Nell’ernia discale la terapia sì basa sulla gravità dell’ernia nei rapporti con le radici nervose o con il midollo / cauda equina.

Si passa dalle terapie mirate a ricreare spazio tra le articolazioni e i forami di coniugazione vertebrali, a quelle di mobilizzazione del nervo interessato nel suo percorso, al drenaggio dei tessuti peri locali, al cambiamento di assetto vertebrale per scaricare la zona colpita, all’utilizzo di busti di scarico per la zona lombare o collari morbidi o semi rigidi cervicali.

ernia_discale_09Nei casi più gravi si può arrivare all’intervento chirurgico per asportare il nucleo erniato non più gestibile nella fisiologia del paziente.

In ogni situazione diventa fondamentale stare attenti allo stile di vita e alle norme di buon utilizzo della propria colonna nei movimenti quotidiani e durante il riposo.

La terapia farmacologica è sempre di supporto a stati acuti e vede l’utilizzo di antinfiammatori, miorilassanti e o antidolorifici.

Può essere molto efficace, se utilizzata insieme alle altre terapia precedentemente descritte, l’ozonoterapia per migliorare il trofismo biologico e ridurre lo stato infiammatorio basale locale.

ernia_discale_10Adesso che abbiamo capito le differenze tra protusione ed ernia discale, dobbiamo solamente stare attenti a prevenirle e nel caso siano comparse, a gestirle al meglio per mantenere uno stato di efficienza nella vita di tutti i giorni.

Cervicobrachialgia

La cervicobrachialgia é una patologia di tipo neurologico/ortopedico che comporta uno stress del plesso nervoso periferico brachiale.

La patologia può portare ad un’infiammazione, un’irritazione, una compressione (spesso si associano tra di loro) delle vie neurologiche, caricando la radice sensitiva, motoria od entrambe.

Il plesso brachiale è una porzione del sistema nervoso periferico che riunisce varie radici nervose, provenienti dal canale vertebrale nella porzione della cervicale medio bassa.

Cervicobrachialgia_02Le radici che formano il plesso brachiale sono C5-6-7-8-T1 e parzialmente C4 e T2, che anastomizzano con le radici di C5 e T1.

Solamente per ricordare: la lettera C sta per indicare cervicale e la T per toracica, il segmento cervicale è formato da 7 vertebre con dischi intervertebrali di interposizione che partono dall’unità vertebrale C2-3 a scendere.

Il plesso brachiale quindi parte dalla cervicale per distendersi sul territorio della spalla, braccio, avambraccio e mano, facendosi carico di trasmettere un messaggio motorio dal centro di comando cerebrale alla periferia e di riportare al comando centrale tutti gli stimoli sensitivi periferici.

Il plesso brachiale si riunisce in tronchi e fasci da cui poi si diramano i vari nervi specifici per territorio e competenza.

Il plesso nervoso di cui stiamo parlando ha delle zone critiche anatomiche di passaggio dove rischia di subire compressione o trazioni irritative che ne minano lo stato di salute.

La cervicobrachialgia può essere a estensione parziale o completa, ovvero si può manifestare in una porzione del territorio che va dalla cervicale, passando per la spalla, fino alla mano oppure, o su tutto il distretto innervato.

Cervicobrachialgia_03Si può presentare una cervicalgia, dolore sulla zona cervicale e limitazione articolare nei movimenti di rotazione, inclinazione laterale e di flessioneestensione.

Si manifestano stati di contrattura muscolare, alle volte anche diffusa e non è raro che il paziente associ sensi di nausea e sbandamenti.

Nel percorso del plesso brachiale che va dalla cervicale, passando per la spalla, per il gomito, fino ad arrivare alla mano, si possono manifestare alterazioni della sensibilità, come formicolii, bruciori, alterazioni della temperatura percepita, e alterazioni della sensibiltà propria, ovvero una diminuzione o un aumento di cosa viene percepito a contatto della nostra pelle.

Si possono presentare alterazioni muscolari, con una perdita di forza, una diminuzione della resistenza, la comparsa di crampi e contratture.

La cervicobrachialgia ha molteplici cause, diverse tra di loro ma con risultatati simili nella sintomatologia e spesso diversi nell’evoluzione.

Cervicobrachialgia_04Vediamole insieme:

  • ernia discale
  • riduzione dei forami di coniugazione
  • riduzione degli spazi intervertebrali
  • artrosi
  • artrite
  • osteofitosi intracanalare
  • stenosi del canale vertebrale
  • alterazioni vascolari arteriose e/o venose
  • restrizione dei punti di passaggio del decorso del plesso brachiale (es. stretto toracico superiore)
  • degenerazione o denervazione del nervo interessato.

Ognuna di queste cause può avere come conseguenze la manifestazione di una neuropatia compressiva, irritativa, congestizia, anossica, su una o più radici del plesso brachiale, tale da far manifestare i sintomi a carico dello porzione motoria, sensitiva o di entrambe, della cervicale e dell’arto superiore.

La ricerca della cura e la prognosi sarà diversa per tempi e per modi a seconda delle cause sopra citate e per questo diventa fondamentale fare una diagnosi accurata e dettagliata sulla patologia e sulla causa che l’ha portata ad esistere.

Cervicobrachialgia_05La diagnosi viene fatta in molteplici sequenze che partono dalla raccolta dati estrapolata dal racconto del paziente, sul manifestarsi della sintomatologia nelle modalità e nei tempi della giornata, sulla nascita della sintomatologia, su tutto quello che può interferire con lo stato di salute e che possa alimentare il malessere in atto.

A questo seguiranno una batteria di test che metteranno in evidenza la condizione della cervicale e del plesso brachiale sia all’uscita del forame di coniugazione che durante il suo tragitto.

Importantissimo è anche lo studio dei riflessi osteotendinei e la valutazione neurologica dello stato di funzionamento muscolare per forza, resistenza, coordinamento e precisione nell’esecuzione.

Cervicobrachialgia_06Alla prima fase di diagnosi é consigliato proseguire con la diagnostica per immagini, che varierà tra una RX cervicale, ad una RM per valutare lo stato anatomico delle strutture discali, radicolari e in generale di tutti i tessuti molli che che vivono nello spazio esaminato dalla RM, oppure ad una TC nel caso si voglia studiare nel dettaglio lo stato osteoarticolare della regione.

Nel caso ci siano delle condizioni particolarmente sfavorevoli all’esame clinico e al diagnostico per immagini, si può rendere necessario proseguire con l’ elettromiografia, capace di valutare lo stato di salute del nervo nell’interazione con la placca motrice e la sua capacità di trasportare il messaggio neurologico.

Spesso il primo approccio a cui si ricorre è quello farmacologico dove sono molte le strade da percorrere.

Cervicobrachialgia_07Si andrà dall’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei a quelli steroidei, all’utilizzo associato e non, di farmaci miorilassanti per detendere la muscolatura, all’uso di analgesici e antidolorifici di varie categorie.

Ovviamente l’utilizzo dei farmaci sarà scelto in base alla diagnosi fatta e alla causa individuata nello sviluppo e nel mantenimento della cervicobrachialgia.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno un ruolo fondamentale nella cura e nella prevenzione di questa patologia, perché sono in grado di lavorare sull’apertura degli spazi articolari, sulla mobilizzazione delle strutture discali e del sistema nervoso periferico, sulla riduzione di tensione dei punti critici nel passaggio del plesso brachiale, nella capacità di drenare le zone di edema venose e linfatiche che possono aumentare in maniera patologica lo stato di tensione tessutale e articolare, sulla ricerca di mobilità dei fulcri sinergici con il segmento cervicale nel movimento combinato dei 3 piani dello spazio, nella ricerca del miglior assetto posturale statico e dinamico della persona.

Cervicobrachialgia_08Inoltre la fisioterapia e l’osteopatia sono in grado di gestire la salute del paziente con la prevenzione e la gestione dell’anatomia e della fisiologia prima che sviluppi la patologia cervicobrachialgica e l’esplosione della sua sintomatologia.

Nei casi severi dove il danno anatomico e la sua alterazione è talmente grave da non rispondere a cure farmacologiche, a interventi fisioterapici o/e osteopatici, nel momento in cui anche l’esame elettromiografico metta in risalto un danno neurologico rilevante, in quel caso si può ricorrere alla chirurgia, andando a rimuovere la causa e tutelando il segmento vertebrale dall’evoluzione della patologia.

Ovviamente un intervento chirurgico non si fa mai a cuor leggero, ma in alcuni casi è l’unica strada percorribile per ritrovare una buona salute.

La cervicobrachialgia è subdola nella sua evoluzione e aggressiva nella manifestazione della sintomatologia, ha un tempo di guarigione non sempre immediato e può condizionare la vita sociale, lavorativa, affettiva del paziente, ma con la dovuta attenzione nel fare diagnosi, con la precisione nella ricerca della causa, con il giusto programma terapeutico, si riesce a recuperare un’ottima condizione di salute e a prevenirne le ricadute.

Fratture da stress

La frattura da stress è una lesione parziale o totale della struttura ossea, che subisce la perdita di contiguità prima dell’astuccio periostale esterno per poi avanzare nello stato profondo.

Fratture_stress_01Come potrete intuire le fratture non sono tutte uguali, si distinguono per essere parziali o totali, per il tipo di andamento della rima fratturativa e per le posizioni dei loro monconi.

Riassumendo, possiamo avere fratture di tipo:

  • compressivo
  • obliquo
  • a spirale
  • trasversale
  • longitudinale
  • ingranate
  • composte
  • scomposte

Esistono anche le fratture da scoppio ma sono solamente di origine traumatico.

La frattura da stress non si manifesta per traumi diretti violenti, ma compare in maniera subdola nel tempo, dando avvisaglie che inizialmente potrebbero essere ignorate o poco considerate.

Fratture_stress_02Nonostante la causa scatenante sia ben diversa da quello di un evento traumatico diretto, alla comparsa della frattura si avrà un andamento patologico parallelo alla frattura classica.

Cause

Le cause sono dovute a sollecitazioni ripetute sulla stessa area di tessuto osseo, che vedrà da prima la modificazione della consistenza della porzione periostale, la quale si addenserà creando un orletto sclerotico, per poi degenerare e perdere di resistenza ed elasticità fino all’evoluzione fratturativa.

La sclerotizzazione ossea è una reazione del tessuto che vede l’aumento di densità della porzione esterna, la possiamo considerare come un tentativo naturale del corpo di resistere alle maggiori sollecitazioni, ma all’aumentare della densità si manifesta una conseguente diminuzione di elasticità.

L’elasticità dell’osso è fondamentale per poter resistere alle forze di trazione, compressione e torsione, per cui la sua riduzione, predispone alla frattura dell’osso stesso.

Fratture_stress_03Altra causa da non sottovalutare è l’osteoporosi, che al contrario della modificazione dell’astuccio esterno, vede la diradazione delle strutture architettoniche ossee interne per la perdita di materiale cellulare.

I microtraumi sono un’altro capitolo eziologico delle fratture da stress, per cui una ripetizione di shock sulla stessa porzione ossea, causate da vibrazioni, compressioni, torsioni, trazioni, subite in maniera costante o esponenziale, arrivano a danneggiare la struttura fino a causarne la frattura.

Quindi la patologia che vi sto illustrando può essere causata da attività sportive, lavorative, attività di vita quotidiane, indumenti obbligati come ad esempio calzature, imbraghi e quant’altro di costrittivo che solleciti il tessuto osseo e osteo-articolare in maniera continuata e ripetuta nel tempo e nell’intensità.

Fratture_stress_04Sintomi

La sintomatologia ha varie fasi evolutive, cambiano a seconda dello stato di coinvolgimento dell’osso; inizialmente il dolore compare come un grido di disagio quando le sollecitazioni a cui è sottoposto arrivano a stimolare la nocicezione, la quale però sparisce nei momenti seguenti allo stop degli impulsi.

Nell’evolvere della patologia, il dolore si manifesta sia prima che dopo le attività sollecitative, si esacerba nel subire gli imput patologici, ma ancora beneficia del riposo e dello scarico del peso e delle forze compressive, con una diminuzione della sintomatologia.

Nella fase più avanzata il dolore compare sempre, si esaspera nel momento dell’attivazione sollecitativa, a riposo diminuisce ma non sparisce mai del tutto, qualunque cosa entri in contatto o in contrasto con la struttura ossea è causa di un acuto nocicettivo.

Nel momento in cui l’osso arriva alla frattura, abbiamo un dolore persistente sempre, un’impotenza funzionale anche nei movimenti banali e minimi, un gonfiore associato ma senza edema, il riposo non genera benefici se non minimi e momentanei.

Diagnosi

La diagnosi preventiva si fa con l’esame clinico dove già la raccolta dei dati sull’instaurasi della patologia e sulla sua evoluzione, ci può indirizzare verso la condizione di predisposizione alla frattura da stress.

Chiaramente andrà valutata la storia di traumi diretti contusivi mal curati.

Fratture_stress_05L’esame palpatorio è fondamentale perchè la pressione sulla zona interessata può attivare un dolore acuto che si ripropone ai test clinici biomeccanici o alle sollecitazione richieste al paziente in situazione di carico a catena cinetica chiusa.

L’esame radiografico mostra un rimaneggiamento osseo e una sclerotizzazione periostale.

Nel diagnosticare un’effettiva frattura da stress il dolore alla palpazione sarà acuto e più facile da ricercare, ci sarà la presenza di un gonfiore perilocale ma senza segni di edema vascolare associato, si potranno avvertire dei crepitii e una deformazione del profilo osseo, i movimenti saranno limitati e dolenti anche con l’arto in scarico e decompresso.

Fratture_stress_06L’ RX la fa da padrona e individua un’interruzione parziale del periostio quando è presente una frattura subtotale, mentre si vedrà un’ interruzione a tutto spessore nel caso la sezione ossea sia coinvolta nella sua interezza.

L’esame TC, capace di studiare minuziosamente l’osso, può essere richiesto nel momento ci sia una diagnosi dubbia e il paziente abbia un’impotenza funzionale importante per dolore e movimento.

Cura e prevenzione

La cura della frattura da stress è relativamente semplice, bisogna immobilizzare il segmento osseo fratturato in relazione ai monconi liberi e alle strutture articolari che potrebbero farli muovere.

L’immobilità va mantenuta in base al tipo di osso, alla sua vascolarizzazione, all’età del paziente, e allo stato biologico del tessuto.

In alcuni casi il paziente potrà necessitare di intervento chirurgico per tenere uniti i segmenti fratturati che subiscono una deviazione di asse per le interazioni con le masse muscolari o per i carichi di linee di forza.

La guarigione verrà stabilità dal controllo radiografico che deve mostrare un processo di riparazione e di unione delle linee di frattura; quando sarà avvenuta si procederà a recuperare il movimento articolare e a togliere i compensi formatisi antecedentemente per sfuggire al dolore.

Fratture_stress_07Ovviamente il trattamento è previsto e consigliato anche negli step pre-frattura dove è possibile far regredire la patologia:

  • riducendo al minimo gli imput patologici locali
  • aumentando il tono-trofismo muscolare
  • creando delle dinamiche meccaniche di compenso e fuga dalle sollecitazioni quotidiane quasi obbligate
  • migliorando il metabolismo cellulare
  • gestendo il riposo e l’attività
  • diversificando nella giornata i carichi e le sollecitazioni a cui siamo obbligati.

Prevenire le fratture da stress si può se si individuano e si eliminano, o almeno riducono, le cause estrinseche delle sollecitazioni e delle tensioni che possono scaricarsi sulle porzioni ossee.

Ci si può aiutare con ausili che attenuano i sovraccarichi come plantari, tutori, protesi esterne in silicone.

Fratture_stress_08Vanno contrastate le forze di tensione e di carico, rinforzando parametri preventivi come:

  • l’allungamento delle masse muscolari e delle loro inserzioni tendinee
  • la decompressioni delle zone articolari e quindi delle porzioni ossee prearticolari ed articolari
  • la ricerca delle ottimali linee posturali per migliorare lo scarico delle linee di forza.

Può essere utile integrare nell’alimentazioni minerali e vitamine capaci di rinforzare il metabolismo osseo.

Lo studio radiografico diventa fondamentale per valutare la formazione di orletti sclerotici periostali e la rarefazione ossea trabecolare, tutti segni che predispongono ad un step fratturativo seguente.

Le fratture da stress possono essere previste e prevenute, basta solo ascoltare il nostro corpo, prestargli attenzione e farsi aiutare da uno specialista.