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Aderenze

Oggi parleremo di aderenze che, pur non essendo delle patologie propriamente dette, possono comunque rappresentare una alterazione dello stato di benessere e di equilibrio.

Cosa sono le aderenze?

Le aderenze cicatriziali sono dei processi di rimaneggiamento del tessuto biologico cellulare, a seguito di eventi lesivi.

Sono formate da un complesso fibroso cicatriziale, come conseguenza di processi riparativi, per danni subiti da eventi esterni (traumi lesivi, interventi chirurgici, cure radianti) o interni (infiammazioni, infezioni).

Si formano nella stessa modalità delle cicatrici e con un’ organizzazione cellulare del tutto simile.

Le aderenze uniscono una struttura lesionata ad altri tessuti e/o ad organi ben distinti, ma strettamente contigui tra di loro.

Possono svilupparsi in ogni parte del corpo, ma alcune zone sono maggiormente predisposte, come ad esempio: il mediastino, l’addome, la pelvi e le capsule articolari, alterando tessuti come il peritoneo, i legamenti, gli epiplon, le guaine e la fascia, ovvero le strutture connettive di rivestimento e giunzione.

La sintomatologia

I sintomi che le aderenze possono innescare sono di vario genere, a seconda degli apparati coinvolti.

Il paziente può avvertire dolore, spasmi e senso di compressione in maniera frequente o persistente.

Il dolore può causare una contrattura antalgica riflessa, rispetto al dermatomero che viene coinvolto nel fare da ponte all’afferenza del messaggio nocicettivo.

Se l’aderenza interferisce con un organo, il paziente può andare incontro a delle disfunzioni, con manifestazioni di vere e proprie patologie collaterali.

Le conseguenze delle aderenze

aderenze 02Vediamo quali potrebbero essere le conseguenze nei distretti più importanti.

Nelle aderenze addominali:

  • difficoltà nella digestione
  • crampi addominali
  • gonfiori addominali
  • colite
  • stitichezza
  • occlusione intestinale.

Nelle aderenze pelviche:

  • ciclo doloroso
  • dispareunia
  • aumento delle probabilità di infertilità
  • aumento delle probabilità di gravidanza extrauterina.

Nelle aderenze mediastiniche (torace):

  • alterazione del ritmo cardiaco
  • alterazione della contrattilità cardiaca
  • alterazione del funzionamento delle valvole cardiache
  • dolore retrosternale
  • senso di affaticabilità precoce
  • debolezza.

Nei tessuti dell’apparato locomotore:

  • contratture
  • riduzione della funzionalità contrattile muscolare
  • riduzione della resistenza allo sforzo
  • parestesie
  • rigidità articolare
  • perdita di mobilità
  • alterazione delle catene muscolari sinergiche
  • alterazione delle posture
  • gonfiori ed edemi vascolo/linfatici.

Dal quadro sintomatologico che si rispecchia nei sistemi maggiori toraco-adomino-pelvici e dell’apparato locomotore, si evince che le aderenze possono coinvolgere aspetti anatomici di relazione, la capacità funzionale, l’innervazione di competenza, il sistema fluidico e il sistema muscolo scheletrico tanto nella dinamica, quanto nel suo adattamento posturale.

Quali sono le cause?

causeLe cause come abbiamo precedentemente detto sono attivate da esiti di insulti lesivi di varia origine:

  • traumi lesivi
  • traumi contusivi
  • interventi chirurgici
  • infiammazioni
  • patologie autoimmunitarie
  • ischemie tessutali
  • infezioni
  • terapie radianti.

Queste situazioni creano un danno al tessuto colpito, attivandone un processo di riparazione.

L’aderenza si genera non tanto per il processo di riparazione in se, ma per un’indiscriminata rigenerazione cellulare sostitutiva, che non si adopera in maniera specifica solamente sulla struttura danneggiata, ma si estende anche ai tessuti e agli organi contigui.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione.

L’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la comparsa di sintomi, le relazioni dirette e indirette con la zona dove si presenta l’aderenza e la comparsa di adattamenti posturali nei tre piani dello spazio.

ecografiaGli esami che danno la certezza della presenza e della consistenza dell’aderenza nella regione addomino-pelvica è la laparoscopia esplorativa, mentre nel segmento toracico, risulterà utile avere un supporto di diagnostica per immagini tramite esame TC o RM.

Nell’apparato locomotore, a livello delle articolazioni, sarà possibile fare ricorso ad un’artroscopia esplorativa, mentre per i tessuti molli, muscolari, legamentosi, fasciali, sarà utile avvalersi di un’esame ecografico o di una RM, consentendo di acquisire un quadro anatomico sufficientemente chiaro.

Il trattamento delle aderenze

Il trattamento delle aderenze viene indicato nei casi in cui siano sintomatiche e dove siano la causa dello sviluppo di patologie correlate, come precedente abbiamo visto.

L’approccio terapeutico prevede, ove sia possibile, la rimozione chirurgica (adesiolisi), cercando di limitare il più possibile l’area lesiva chirurgica, per evitare il ripetersi dell’iperfibrotizzazione riparativa, che riproporrebbe la formazione di nuove aderenze.

Per questo motivo nelle cavità addobbino-pelviche si farà un accesso in via laparoscopica e nella cavità toracica per via toracoscopica.

artroscopia ginocchioLe aderenze dell’apparato locomotore, avranno un approccio diverso; le articolazioni saranno trattate in atroscopia, mentre i tessuti molli periarticolari, tendinei, fasciali di giunzione, saranno affrontati per mezzo di fisioterapia, che mirerà l’intervento ad elasticizzare il più possibile sia le aderenza stesse, che i tessuti influenzati in maniera diretta dalle aderenza.

La terapia farmacologica ha effetto solamente per tamponare il dolore del momento, o per distendere le pareti dei visceri nella situazione di spasmo, ma è chiaro che la condizione ottimale per il recupero dello stato di salute è la rimozione dell’aderenza e la liberazione delle strutture.

Le aderenze non sono delle patologie in quanto tali, ma delle alterazioni del processo di riparazione che possono complicare lo stato di benessere e di equilibrio tra tessuti e tessuti, tra tessuti ed organi e tra organi ed organi, pertanto vanno individuate ed affrontate per evitare che creino la base di patologie secondarie.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Instabilità vertebrale

Parliamo oggi dell’instabilità vertebrale. Leggiamo insieme cos’è e come si può trattare.

Cos’è l’ instabilità vertebrale?

Dolore schienaL’instabilità vertebrale è una perdita di congruenza articolare tra la vertebra interessata e quella di appoggio sottostante, causata da molteplici fattori, ognuno dei quali crea un’ ipermobilità rispetto a quanto le sarebbe richiesto nei movimenti anche minimi, su uno o più piani dello spazio.

L’eccesso patologico di movimento può presentarsi sia con un corretto assetto vertebrale, oppure associarsi ad un male allineamento, alle volte tanto nella posizione statica (posturale) che dinamica.

Uno degli esempi più noti di instabilità vertebrale è la spondilolistesi, argomento da me già trattato in precedenza ( https://ambrogioperetti.it/spondilolisi-spondilolistesi/ ).

L’ipermobilità può esse distinta in due macro sistemi:

  • micro instabilità vertebrale, dove la vertebra è correttamente allineata nella posizione statica, ma sviluppa dei micromovimenti che si sommano al normale range articolare di cui è capace.
  • macro instabilità vertebrale, la vertebra non è più correttamente allineata, ma risulta slittata rispetto alla sottostante di appoggio.

Lo scivolamento generalmente avviene anteriormente e in percentuale ridotta posteriormente.

La traslazione vertebrale viene catalogata in gradi, a seconda della percentuale di spostamento con cui si mostra

  1. Grado 1: da 0 a 25%
  2. Grado 2: dal 25 al 50%
  3. Grado 3: dal 50 al 75%
  4. Grado 4: oltre il 75%

Il dolore

DoloreL’instabilità vertebrale provoca mal di schiena generalizzato nell’area dove l’ipermobilità è presente, associata o meno ad una nevralgia periferica, nel qual caso la radice nervosa venga irritata dal cambiamento di posizione e dall’eccessiva trazione della vertebra e dei suoi tessuti molli inerenti.

Può manifestarsi sia durante il movimento che nella postura eretta, semplicemente per resistere al carico del peso del paziente in concomitanza con la forza di gravità.

Si riscontra una rigidità muscolare dovuta alla presenza di contratture riflesse, una limitazione articolare nei fulcri vertebrali limitrofi, ed una riduzione delle capacità funzionali nelle attività di vita quotidiana.

I sintomi dell’ instabilità vertebrale

Nelle fasi iniziali i sintomi sono lievi, ma di natura poco chiara, ovvero il paziente si ritrova ad affrontare il mal di schiena o addirittura blocchi articolari acuti, senza cause apparenti, vale a dire senza sforzi eccessivi o senza assumere posture errate, ma per semplici e banali movimenti, il più delle volte di tipo abitudinario.

La sintomatologia algica tende ad aumentare nel tempo in maniera progressiva, con manifestazioni dolorose sempre più intense ed a intervalli via via più frequenti, fino a rendere complicato eseguire anche i movimenti più banali, come piegarsi in avanti, estendersi, ruotare il busto, inclinarsi lateralmente, mantenere le posizioni erette e/o sedute per più tempo consecutivamente.

Le cause

Instabilità vertebrale 03Le cause variano su 3 fronti principali:

  • degenerativo, per alterazioni di consistenza, idratazione, volume ed altezza del disco intervertebrale e/o per degenerazione artrosica o artritica delle faccette articolari
  • congenito per dimorfismo delle cartilagini di accrescimento come nel caso della spondilolisi  e spondilolistesi e/o per alterazione del tessuto connettivo delle capsule articolari e dei legamenti intervertebrali e/o per modificazioni anatomo-funzionali della muscolatura vertebrale.
  • traumatico per danno lesivo fratturativo vertebrale, nelle aree di ancoraggio alle zone articolari.

Instabilità vertebrale 04

Queste 3 cause possono presentarsi singolarmente o associarsi tra di loro, amplificando la gravità dell’instabilità vertebrale.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la comparsa di sintomi algici nel mantenere le diverse posture, sul piano sagittale e frontale, in stazione eretta, seduta e semiflessa, associandola alla contrazione-rilasciamento della muscolatura inerente.

E’ importante analizzare la meccanica vertebrale, cercando di cogliere la presenza o meno di ipermobilità anomala, valutando lo stato del tono e del trofismo muscolare e la presenza o meno di radicoliti irritative periferiche.

Di grandissimo aiuto saranno le indagini diagnostiche per immagini:

  • RX
  • RM
  • TC

le quali consentiranno di valutare lo stato in essere delle strutture vertebrali nel loro insieme discale, osteoarticolare, capsulare, legamentoso, muscolare.

Negli studi da imaging, dove sia necessario valutare ogni minimo dettaglio, si possono utilizzare RX ed RM in carico e/o dinamiche, che scandiranno la presenza o meno di ipermobilità vertebrali nelle varie condizioni.

Il trattamento dell’ instabilità vertebrale

Instabilità vertebrale 06Negli stadi iniziali il trattamento è di tipo conservativo, adoperando farmaci che riducano il dolore, l’infiammazione, la tensione muscolare riflessa e l’ eventuale comparsa di radicoliti irritative.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno il compito di ristabilire, il corretto funzionamento vertebrale, migrando la meccanica articolare verso i fulcri associati che coadiuvano i movimenti nei tre piani dello spazio, ridistribuendo in maniera corretta, tanto i carichi statici quanto quelli dinamici e ottimizzando le sinergie muscolari che danno equilibrio e stabilità alla colonna vertebrale.

Può essere di aiuto l’utilizzo di busti elastici con supporti in stecche, da utilizzare per poche ore al giorno e in quelle attività che mettono in crisi il paziente .

Instabilità vertebrale 07Qualora i trattamenti sopra indicati siano di poca efficacia e il paziente non riesca a trovare un giovamento duraturo nel tempo, sarà necessario ricorrere alla chirurgia vertebrale, stabilizzando la parte ipermobile, tramite l’applicazione di barre e viti, per fissare la vertebra interessata ai segmenti superiori ed inferiori, riportando una solidità articolare per ancoraggio limitrofo.

Nei casi in cui sia presente anche una radicolite irritativa resistente, la stabilizzazione vertebrale viene integrata dall’applicazione di uno spaziatore (cage) e nei casi più violenti con segni di danno neurologico, anche da una laminectomia decompressiva.

Questi tipi di interventi chirurgici permettono al paziente un recupero dello stato di salute e una remissione della sintomatologia abbastanza veloce, ma prevedono un percorso riabilitativo per integrare al meglio l’impianto, recuperando l’abilità funzionale, il corretto assetto posturale statico e dinamico, in sinergia con l’equilibrio delle catene muscolari.

L’instabilità vertebrale porta il paziente ad uno stato di malessere che può essere progressivo ed invalidante, ma la corretta diagnosi, meglio ancora se precoce, permette di adoperare varie soluzioni di cura, per affrontare la patologia e avere una remissione dei sintomi, recuperando uno stato ottimale di funzione e resistenza alle attività di vita quotidiana.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Coccigodinia

La coccigodinia è una manifestazione dolorosa della zona coccigea, localizzata nella porzione infero-mediana del bacino.


Anatomia

coccigeIl coccige è la parte terminale della colonna vertebrale, composta da un numero di segmenti variabili da 3 a 5 unità, fusi tra di loro, ad eccezione del primo metamero che si articola con l’osso sacro.

Il tratto coccigeo ha una convessità rivolta posteriormente e una faccia anteriore concava, pertanto possiamo dire che la punta è rivolta in avanti verso la zona pubica.

Al coccige si ancora una parte della muscolatura glutea, così come una parte della muscolatura pelvica e i loro tessuti connettivi inerenti di giunzione.

coccigodinia 02Possiamo pertanto affermare che il coccige sia un equilibratore del pavimento pelvico, entrando attivamente nella gestione dei carichi di linee pressorie, nel gioco della dissipazione delle forze di compressione e di trazione del piccolo bacino.

Vanno anche considerati i rapporti viscerali che il coccige ha in maniera semidiretta con il retto.


La manifestazione del dolore nella coccigodinia

Il dolore può essere dovuto sia ad un’infiammazione della zona inerente, sia ad uno stato di tensione anomala dei tessuti molli di competenza.

La coccigodinia si può presentare indipendentemente dal sesso e dall’età, anche se ci sono dei fattori predisponenti maggiori, come la gravidanza, il parto, la lassità dei tessuti molli, che mettono la donna in una condizione di maggior interesse.

Il dolore si manifesta nella parte terminale della colonna vertebrale, internamente alla zona bassa interglutea, identificato dal paziente in maniera puntiforme, posizionando il dito proprio nella zona apicale del coccige.

Il dolore può avere un’intensità mutevole, che varia da un fastidio ad un’incapacità di sedersi, di chinarsi in avanti, di mantenere la posizione eretta, di adoperarsi nei cambi di postura o addirittura di camminare per lunghi tratti.


I sintomi

I sintomi possono esser persistenti o intermittenti a seconda della gravità della situazione.

Il dolore può irradiarsi alla zona interglutea, ai fianchi, fino a scendere sulla zona prossimale-mediale posteriore delle cosce.

Durante i rapporti sessuali il sintomo può esacerbarsi, così come può essere presente nella costipazione o prima dell’evacuazione, per poi ridursi dopo la defecazione.

Anche il periodo del ciclo mestruale può aumentarne la sensibilità.


Le cause della coccigodinia

La causa diretta spesso è ricondotta ad una caduta sul sedere, dove l’effetto traumatico può addirittura causare una lesione fratturativa o una lussazione del segmento.

Molte altre cause sono associabili alla patologia, alcune delle quali sono legate alla cattiva mobilità del coccige e delle strutture muscolo-tendine, fibrose e viscerali ad esso legate.

Le lesioni da sforzo ripetitivo, possono essere un’altra causa della coccigodinia, dove in questo caso difficilmente si svilupperà un’ infiammazione, ma bensì si manifesterà un aumento della fibrosità e una tensione anomala dei tessuti molli connessi.

Alcuni sport, come il ciclismo, possono creare uno sfregamento ripetuto della zona, capace di innescare un’infiammazione della zona, alle volte con edema superficiale o profondo associato.

sedutaNon è da sottovalutare la cattiva postura che il paziente mantiene nelle posizioni sedute, dove lo scarico del peso corporeo si sposta dalla zona ischiatica, scivolando nella parte posteriore coccigea.

La gravidanza e il parto stesso, possono causare una tensione e una deviazione del coccige, per l’aumento del volume e della pressione nella zona infero posteriore del bacino.

Tra le cause possiamo anche includere le patologie infettive, soprattutto nel momento in cui sfoghino in ascessi, particolarmente debilitanti, per la loro persistenza e per la difficile risoluzione in maniera veloce.


La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione dell’affezione, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la postura del paziente, sia sul piano sagittale che sul piano frontale, per analizzare le capacità di movimento del bacino, lo stato di tensione muscolare, dei tessuti connettivi di collegamento e la reazione del paziente all’evocazione del dolore durante la palpazione.

coccigodinia 05L’esame radiografico si rende assolutamente necessario per esaminare lo stato anatomico del segmento coccigeo e rilevarne eventuali fratture, lussazioni, o modificazioni anatomiche quali esostosi o calcificazioni.

Può ritenersi necessario integrare l’Rx, come esami di risonanza magnetica o Tc, che hanno la capacitò di analizzare con maggior scrupolo tanto la struttura ossea, quanto i tessuti molli associati.

Nel caso sia presente un ascesso di tipo infettivo, può essere utile, se non addirittura necessario, richiedere degli esami di laboratorio per valutare lo stato biologico dei fattori patologici nel contesto della persona.


Il trattamento della coccigodinia

L’utilizzo di farmaci antinfiammatori vede un’ampia gamma di possibilità terapeutiche quali:

  • antinfiammatori non steroidi
  • cortisonici
  • miorilassanti
  • antidolorifici.

Possono rivelarsi utili le applicazioni infiltrative locali, per aumentare l’efficacia della somministrazione farmacologica.

In molti casi si rende necessario l’utilizzo di un cuscino vuoto nella sua porzione centrale, comunemente chiamato ciambella, per scaricare il peso corporeo e la frizione nella zona coccigea nelle posture sedute del paziente.

fisioterapiaLa fisioterapia, così come le tecniche manipolative osteopatiche, si rivelano ottime per il riequilibrio del coccige all’interno del sistema del piccolo bacino, per la correzione dell’articolazione sacro-coccigea, per la diminuzione della tensione muscolare associata e per ridare elasticità ai tessuti connettivi-legamentosi di relazione.

La chirurgia può ritenersi una strada valutabile solo ed esclusivamente nei casi in cui abbiano fallito tutte le terapie sopra indicate e il paziente non riesca a risolvere il dolore, dovendo affrontare una diminuzione drastica della qualità di vita nelle attività quotidiane minime.

La coccigodinia è una patologia fastidiosa, ma ha talmente tante variabili evolutive che ci permette di approcciarla con varie soluzioni terapeutiche, risolvendo il problema in maniera efficace e definitiva.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Sindrome del canale di Guyon

Prima di entrare nel merito della sindrome del canale di Guyon, permettetemi una piccola introduzione.

Cos’è il canale di Guyon?

Il canale di GUYON è uno spazio anatomico del carpo, compreso tra l’osso pisiforme, l’apofisi unciniforme dell’uncinato e il legamento piso-uncinato.

In questo segmento ben delimitato, c’è il passaggio del nervo ulnare e del suo pacchetto vascolare.

Cosa fa il nervo ulnare?

Il nervo ulnare è un nervo misto sensitivo/motorio, che origina dalle radici inferiori del segmento cervicale.

Sindrome del canale di Guyon 01La componente sensitiva innerva la cute palmare mediale della mano, la faccia palmare del 5° dito, la parte mediale del 4° dito e manda dei rami destinati all’innervazione del gomito.

La componente motoria della mano innerva tutti i muscoli dell’eminenza ipotenar (ad eccezione del muscolo palmare breve), i muscoli interossei, il 3° e 4° muscolo lombricale, l’adduttore del pollice e il capo profondo del flessore breve del pollice dell’eminenza tenar.

Nell’avambraccio, sempre a livello motorio, innerva il flessore ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle dita.


La sintomatologia

Sindrome del canale di Guyon 02I sintomi possono essere prevalentemente sensitivi, prevalentemente motori, oppure misti.

La differenza di queste 3 situazioni è data dalla compressione-irritazione del ramo motorio, sensitivo, o di entrambi, del nervo ulnare.

Nella compromissione del ramo motorio, il paziente lamenta perdita di forza, di resistenza, di mobilità fine articolare, comparsa di crampi, presenza di ipotonia muscolare con riduzione del volume associato, di tutta o di una parte della muscolatura intrinseca della mano, precedentemente descritta.

Nella compromissione sensitiva, l’area dell’eminenza ipotenar e del 4°-5° dito, come descritto precedentemente nella presentazione del nervo ulnare, soffrirà di parestesie o di ipoestesie, a cui si potranno associare dolori che avranno un andamento acuto o cronico a seconda dell’evoluzione della patologia per gravità e tempo di evoluzione.

Sindrome del canale di Guyon 03Le cause che possono portare alla sindrome del canale di Guyon, sono da ricercare su molteplici fattori:

  • alterazioni ossee (osteotifi ed esostosi)
  • artrosi
  • ispessimento del legamento piso-uncinato
  • traumi distorsivi del polso
  • fratture del polso
  • formazioni cistiche
  • alterazioni vascolari dell’arteria ulnare
  • compressione da parte dei tessuti muscolo-tendino-legamentosi limitrofi
  • artrite reumatoide
  • patologie dismetaboliche del tessuto connettivo.

Sindrome del canale di Guyon 04 Sindrome del canale di Guyon 05

Tutte le condizioni eziologiche sopra citate, arrecano uno stato di compressione, di irritazione, di ipossia, del nervo ulnare, provocandone una reazione patologica dalla sintomatologia precedentemente descritta.


La diagnosi della sindrome del canale di Guyon

La diagnosi vede la necessità di fare una raccolta dati indirizzata a capire se ci siano stati dei traumi, il tipo di attività lavorativa o sportiva condotta dal paziente, se ci siano dei disordini dismetabolici o se siano presenti in famiglia casi di patologie autoimmunitarie che possano riportare ad una connettivite o ad una condizione di artrite reumatoide.

Va sempre fatta attenzione a non confondere una sindrome del canale di Guyon, con una cervicobrachialgia C8-T1 (cervicali inferiori), scaturite da un’ernia discale o da un intrappolamento del forame di coniugazione, casi questi che potrebbero dare una sintomatologia molto simile alla patologia che stiano studiando nell’articolo di oggi.

Sindrome del canale di Guyon 06Anche il gomito, per merito della sindrome del tunnel cubitale, può creare confusione nella diagnosi della patologia di Guyon.

Sarà quindi importantissimo essere attenti nell’utilizzo dei test clinici e nel supporto delle indagini diagnostiche, che potranno variare dalla semplice RX, all’utilizzo di RM, TC, ecografia, elettromiografia, fino ad arrivare al consulto di analisi di laboratorio.


La cura

La cura della sindrome di Guyon, prevede un approccio multidisciplinare, che si avvarrà della farmacologia per merio di categorie diverse di molecole a seconda della causa che avrà portato alla patologia:

  • antinfiammatori non steroidei
  • cortisone
  • antiedemigeni
  • antidolorifici
  • integratori per il sistema nervoso periferico.

La fisioterapia sarà utilissima, alle volte determinante, nella remissione della sintomatologia, utilizzando tecniche di disimbrigliamento del sistema nervoso periferico per mezzo di manipolazioni neurodinamiche.

Si potranno utilizzare metodiche di mobilizzazione ed elasticizzazione dei tessuti legamentosi e dei tessuti molli adiacenti.

Saranno utili le tecniche di drenaggio nel caso sia presente un accumulo di liquidi vascolo-linfatici, nella zona di passaggio del nervo ulnare.

Risulterà necessario adoperare delle procedure di recupero del tono/trofismo della muscolatura intrinseca della mano, così come sarà fondamentale recupera la propriocettività e la giusta sensibilità del territorio interessato dal nervo ulnare nella mano.

Sindrome del canale di Guyon 07Non è assolutamente da escludere l’intervento chirurgico, con l’apertura del canale del nervo ulnare e disimbrigliamento del nervo stesso, in tutti quei casi ove ogni approccio terapeutico conservativo sia risultato inefficace o instabile nel raggiungimento e nel mantenimento dello stato di buona salute del paziente.

La sindrome del canale di Guyon non è una patologia grave, ma può risultare molto fastidiosa e debilitante nello svolgimento delle attività quotidiane, ma con la giusta diagnosi e la cura adeguata, la si può risolvere in maniera brillante.


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Nevrite

La nevrite è un infiammazione dei nervi che causa un alterazione della sensibilità e/o della capacità motoria.

nevrite_01I nervi possono avere dei compiti specifici per una singola funzione oppure avere delle funzioni promiscue, ad esempio i nervi del sistema nervoso periferico possono essere solo sensitivi, solo motori o misti, ovvero che sono capaci in maniera bivalente, di portare informazioni sensoriali dalla periferia al cervello e di trasmettere informazioni motorie dal cervello alla periferia.

A livello sintomatologico si può manifestare dolore che varia per intensità, frequenza e costanza, passando da un’algia continua a una intermittente, da una acuta a una profonda.

Si può avere un’ alterazione della sensibilità tipo scossa elettrica, formicolii, bruciori, sensazioni vibratorie.

Nevrite_02Nel caso il nervo abbia anche un compito motorio oltre che sensitivo, si può manifestare una perdita di forza e di resistenza della muscolatura da esso innervata.

Le cause

Abbiamo compreso che le nevriti (infiammazioni dei nervi) possono scatenare delle nevralgie (dolore dei nervi) ma su un quadro simile nel suo modo di manifestarsi, si nascondono varie cause che le possono innescare e favorire.

Cerchiamo di capirle insieme.

Un nervo può subire un’ irritazione, un attacco e un’ alterazione della sua anatomia e funzione per i motivi più diversi tra di loro:

  • Nevrite_03irritazione da contatto o da compressione per riduzione dello spazio dove il nervo alloggia e scorre. Ad esempio una discopatia vertebrale che porta ad una diminuzione di altezza tra un corpo vertebrale e l’altro, può ridurre il lume del forame di coniugazione da dove esce il nervo. La fibrotizzazione del tunnel carpale può irritare il nervo mediamo facendo perdere forza e sensibilità. La formazione di tessuto fibroso attorno ad un nervo come nel neuroma di Morton ecc. ecc.
  • traumi diretti sul nervo solitamente nei passaggi meno protetti dalle masse corporee
  • fratture, dove i monconi ossei possono danneggiare per compressione, stiramento o lacerazione il nervo con rapporto anatomico diretto
  • alterazioni vascolari arterio-venose, per diminuzione del nutrimento del nervo e per l’ intossicazione che si potrebbe verificare in un caso di cattivo drenaggio e permanenza delle sostanze di scarto
  • Nevrite_05diabete, dove l’eccesso di glicemia porta ad un danno del rivestimento del nervo, ovvero alla guaina mielinica, che protegge e favorisce la conduzione di segnale del nervo stesso
  • infezioni per lo più virali (herpes zoster), che rimangono annidiate nel corpo umano e si ripresentano nel momento di forte stanchezza-stress e di calo delle difese immunitarie
  • carenze alimentari ed in particolar modo carenze vitaminiche del gruppo B, (es. sindrome di BERI BERI)
  • aumento delle tossine, per via esterna (nel caso siano ingerite o inalate) o interna nel caso di catabolismi ad impatto sistemico
  • intossicazioni dai farmaci stessi se utilizzati in maniera impropria per quantità, nelle dosi e nel tempo di somministrazione
  • alterazioni epatiche, che comportano sia la riduzione di metabolizzazione di alcuni alimenti innescando una carenza di tipo alimentare e sia per l’aumento delle tossine circolanti
  • alcolismo
  • malattie autoimmunitarie (es. sindrome di GUILLAN BARRE’)
  • alcune condizioni specifiche oncologiche.

Tutte queste cause scatenanti ci dimostrano che le nevriti possono essere si una condizione di sofferenza ma anche una condizione di allarme per indagare sulle eziologie di partenza più disparate.

La diagnosi

Per diagnosticare la causa precisa della nevrite si ricorre ad una buona raccolta di dati anamnestici che ci aiuteranno ad avvicinarci alla diagnosi esatta.

Gli esami clinici saranno opportuni per escludere le varie possibili concause inerenti la patologia effettiva.
Nevrite_06Le indagini strumentali associate sono di vario tipo:

  • elettromiografia ed elettroneurografia che studiano la funzionalità della conduzione nervosa, ovvero la qualità con la quale il nervo trasmette il suo segnale elettrico, sia rispetto al muscolo innervato e sia rispetto al nervo stesso
  • rx, radiografie per vedere lo stato anatomico della struttura interessata e valutare se sia libera da calcificazioni, processi di riparazione, escrescenze ossee (esostosi), ovvero tutte quelle alterazioni di forma che potrebbero perturbare il passaggio e lo scorrimento del nervo infiammato
  • rm, risonanza magnetica e tc, tomografia computerizzata per poter analizzare il segmento di interesse rispetto anche ai tessuti molli, muscoli, legamenti capsule articolari, ossa, calcificazioni e neoformazioni di interesse per lo studio e la focalizzazione della causa scatenate la nevrite
  • ecografia nel qual caso si sia sufficientemente e ragionevolmente certi che la causa sia scatenata da un’alterazione dei tessuti molli negli spazi di presenza e di scorrimento del nervo coinvolto nella patologia
  • analisi del sangue che attestino lo stato di intossicazione o la carenza di alcuni elementi necessari al corretto mantenimento vitale delle strutture nervose

La cura

La terapia varia in base alla ricerca riscontrata sulla causa di attivazione della nevrite in atto.

Nevrite_07La cura per essere efficace deve eliminare o minimizzare il fattore di innesco della patologia, pertanto si potrà agire in maniera meccanica li dove la causa sia dovuta a un mal posizionamento di strutture osteoarticolari, oppure dove i tessuti molli (muscoli, tendini, legamenti, capsule articolari) per un loro mutamento morfologico, siano restringenti e costringenti il passaggio e la sede del nervo interessato.

Nevrite_08Dove invece l’alterazione anatomica non sia manipolabile con terapie conservative, si può intervenire con la chirurgia ricreando un ambiente favorevole all’alloggiamento del nervo stesso.

Possono essere usate cure farmacologiche che mirano a ridurre l’infiammazione e a regolare la soglia del dolore per via di antinfiammatori e antidolorifici.
Nelle patologie ad innesco virale, nello stadio precoce, possono essere utilizzati farmaci antivirali con buoni risultati, consentendo il decorso decrescente della sintomatologia in maniera più efficace.

Quando la nevrite è data da un tilt del sistema immunitario, il cortisone e in alcuni casi eclatanti, gli immunosoppressori, possono essere considerati efficaci per tenere a bada la patologia.

Nel caso di alcolismo e di intossicazione sistemico dell’organismo, la causa va rimossa in maniera diretta eliminando i fattori di intossicazione, liberando il fisico dalle tossine dannose per caratteristiche e quantità.

Nevrite_09Per carenze alimentari con sottolivellamento vitaminico del gruppo B è buona norma controllare lo stato di attività epatica e integrare con l’alimentazione i fattori mancanti, dove ne sia necessario si può intervenire con integratori ad assunzione diretta.

Nel caso in cui le varie cure siano inefficaci, si può ricorrere all’uso della terapia del dolore utilizzando cocktail farmacologici sotto stretto controllo medico, in grado da minimizzare la sintomatologia di cui il paziente soffre, ma tenendo conto che in questo modo il corpo umano riduce la capacità di allerta attivata proprio dal messaggio nocicettivo.

In conclusione la nevrite è una patologia delicata e invalidante ma che fortunatamente ha talmente tante variabili di causa-effetto, che vede varie soluzioni nella cassetta degli attrezzi dello specialista, tanto da poter permettere, con buona percentuale, una cura efficace e stabile.

Dorsalgia

Dorsalgia-01La dorsalgia è un dolore nella zona centrale della colonna vertebrale, ovvero del segmento che va dai trapezi medi fino alla fine della gabbia toracica.

Viene comunemente distinta come il dolore della zona interscapolare, perché di tutto il segmento dorsale, è quello maggiormente posto sotto stress, ma sarebbe riduttivo associarlo solamente a quel tratto.

Il segmento dorsale o toracico, è una porzione della colonna vertebrale, che unisce la zona cervicale e quella lombare.

È composta da 12 vertebre, inframezzate dai dischi intervertebrali e alle quali si agganciano le 12 paia di costole, creando insieme allo sterno, la gabbia toracica.

Dorsalgia-02La gabbia toracica ha rapporti con lo stretto toracico superiore, con il muscolo diaframma, con il cuore, con i polmoni, con l’esofago, con l’aorta toracica, con una porzione del fegato e dello stomaco, con gli angoli colici, con la milza e vede affacciarsi i poli superiori dei reni e le ghiandole surrenali.

Non va dimenticato che le articolazioni costo-vertebrali anteriori hanno una rapporto diretto con la catena gangliare neurologica autonoma ortosimpatica, mentre il canale vertebrale contiene il midollo con i nuclei inerenti.

Pertanto possiamo dire che il tratto vertebrale di cui parliamo oggi ha un’enorme rapporto con la vita neurologica autonoma delle relazioni vascolari, respiratorie, viscerali, muscolari.

La postura della persona vede il segmento toracico come un punto di equilibrio e di coordinamento delle lordosi cervicali e lombari.

La zona dorsale ha il compito di sostenere i movimenti dei segmenti a monte e a valle, distribuendo i carichi di linee di forze nei 3 piani dello spazio, ovvero in flessione ed estensione, in rotazione ed in inclinazione laterale.

Ciò sta a significare che il dorso deve essere sufficientemente mobile, ma allo stesso tempo garantire una stabilità di sostegno alla gabbia toracica, agli organi in esso contenuti e alle lordosi cervicali e lombari.

Queste considerazioni sono valide sia nella posizione eretta e sia nel posture da seduto.

Le cause

Alla domanda su quali fattori possano manifestare il dolore della zona dorsale, vien da se capire che le cause possono essere tante e inquadratili su molteplici aspetti.

Cerchiamo di capirli insieme:

  • artrosi delle faccette articolari
  • discopatia degenerativa
  • ernia discale
  • chiusura dei forami di coniugazione
  • ernia intraspongiosa
  • compressione vertebrale
  • ipercifosi
  • scoliosi
  • disequilibrio respiratorio diaframmatico e dei muscoli accessori respiratori intercostali
  • osteoporosi con esiti lesionali vertebrali
  • fratture da compressione
  • nevrite segmentaria
  • innervazione riflessa viscerale

Dorsalgia-03Come notiamo le cause che innescano il dolore dorsale sono svariate e per semplificarle  le possiamo racchiudere in un capitolo osseo, un capitolo discale, un capitolo neurologico, un capitolo posturale, un capitolo respiratorio e uno viscerale.

I sintomi

I sintomi della dorsalgia si manifestano nella zona di mezzo della colonna vertebrale, ovvero dalle spalle fino alla fine del costato, generalmente si concentrano nella zona tra le scapole e possono essere centrali oppure decentrati nella parte destra o sinistra, con un dolore puntiforme o irradiato.

Quando il sintomo è scaturito da un problema di postura, generalmente la posizione di anteriorizzazione acuisce il dolore, mentre l’estensione dorsale da una sensazione  paragonabile al bruciore che genera un sollievo nell’immediatezza, per poi trasformarsi in una riduzione della forza nel mantenere le spalle aperte fino a dare una percezione di contrattura muscolare e di dolore latente.

Dorsalgia-04Spesso si può associare un’ acutizzazione durante un atto inspiratorio profondo se il problema è puramente a carico della zona vertebrale, oppure ad un atto inspiratorio minimo se il problema è causato dall’aggancio della costola rispetto alla vertebra inerente.

La sintomatologia nocicettiva si può acuire da fermo, durante il movimento, o può essere presente in entrambi i casi.

Se il dolore è causato da un collegamento viscerale (fegato, stomaco, milza, pancreas, polmone, cuore, esofago, angolo colico), si manifesta un malessere generale di organo a cui si associa un dolore di riferimento, su precise mappe dermatomeriche della zona dorsale, quasi sempre decentrate, come un cono d’ombra del viscere di rappresentanza.

Nel caso di una dorsalgia di provenienza neurovegetativa, la zona di interesse midollare vertebrale viene attivata anche da movimenti o compressioni, con origine lontano dalla zona del dolore dorsale.

La diagnosi

Nella diagnosi è importante fare un’ analisi postulare, per accertarsi se il carico vertebrale sia corretto, o esagerato nel caso sia presente un’ ipercifosi o una scoliosi rigida e strutturata.

L’esame clinico permette di valutare la mobilità e l’esacerbazione del dolore durante la richiesta di movimento attivo e passivo nei 3 piani dello spazio.

Dorsalgia-05Fondamentale è il supporto di indagini diagnostiche come sostegno alla diagnosi:

  • RX colonna nelle proiezioni sagittali e frontali che possono essere richieste sia in carico che in fuori carico
  • RM dorsale per valutare lo stato anatomico delle strutture discali e radicolari del segmento e quindi indagare la presenza di un’ eventuale ernia discale e la compromissione delle radici nervose
  • TC dorsale per valutare la presenza di lesioni della struttura vertebrale o per studiare la grandezza del canale midollare e la conformazione delle faccette articolari.
  • MOC per apprezzare lo stato di salute dell’osso, rispetto alla massa cellulare che lo compone e l’eventuale rischio di frattura nel caso sia presente l’osteoporosi.Dorsalgia-06
  • RX MORFOLOGICA per analizzare il rapporto volumetrico vertebrale rispetto all’intero segmento nella percentuale destinata alla singola vertebra.

Il trattamento

Il trattamento vede la possibilità di agire su più fronti.

A livello farmacologico saranno usati antinfiammatori, ai quali si possono associare dei miorilassanti, in maniera da ridurre il tono muscolare, limitare le contratture e lo stato di tensione locale.

Gli analgesici possono essere molto utili per ridurre il circolo del dolore e le sue conseguenze sul movimento, sulla postura, sulla forza e sulla resistenza.

Sarà importante affrontare una cura farmacologica e delle indicazioni di gestione, nel caso sia presente un quadro osteoporotico.

Dorsalgia-07 La fisioterapia e l’osteopatia sono di fondamentale importanza per ristabilire i giusti assetti vertebrali sia a livello locale, sia nell’inquadramento generale della postura , combattendo eventualmente la presenza di ipercifosi, cosi come la presenza di un dorso piatto, contrastando una scoliosi, la quale nel caso non fosse più corregibile, bisognerà almeno evitare che si irrigidisca.

Dorsalgia-08Di grandissima utilità sarà riequilibrare il meccanismo respiratorio, migliorando le sinergie tra il diaframma, i muscoli accessori della respirazione, l’elasticità della gabbia toracica e dell’addome.

E’ importante analizzare e correggere le malposizioni locali vertebrali e il loro cattivo funzionamento, rilanciando il movimento e migliorandone l’ articolarità.

Sarà necessario decomprimere la zona dorsale, ove richiesto, per migliorare lo scorrimento e il contenimento stesso delle strutture neurologiche, sia midollari che radicolari.

Dorsalgia-09Nel caso di un coinvolgimento viscerale, ove fossimo di fronte ad una riduzione della sua mobilità o di aderenze, sarà possibile utilizzare delle manovre manuali, tali da migliore il movimento sia passivo che autonomo.

Dorsalgia-10Non è da sottovalutare la possibilità di adoperare un busto di supporto, variandone l’utilizzo sia per numero di ore da indossare nella giornata, sia per la rigidità di sostegno e di scarico che si vuole conferire alla colonna vertebrale.

La chirurgia alle volte si rende necessaria, nel momento in cui ci siano patologie anatomiche non più gestibili e pericolose, a carico del canale midollare, dei forami di coniugazione e del disco intervertebrale.

Nel caso la colonna ceda sotto il suo stesso peso, impossibilitata a mantenere una postura accettatile, prendendo degli angoli di curva eccessivamente esagerati e quindi patologici a livello locale e globale, si potrà pensare di ricorrere ad una stabilizzazione vertebrale con staffe e viti, bloccate sulla colonna dei corpi vertebrali stessi.

Nella prevenzione delle patologie a carico del tratto dorsale, è fondamentale porre attenzione all’assetto vertebrale della postura, è importante evitare che ci sia una riduzione di mobilità e di funzione, cosi  com’è importante mantenere un tono muscolare capace di sostenere e di guidare la colonna vertebrale, pertanto fare un’attività fisica mirata e costante sarebbe di buon auspicio.

Nell’adoperarsi con i lavori da sforzo è utile saper gestire le attività mi maniera da alternare fatiche massime con lavori di minor impegno fisico, in maniera da evitare sovraccarichi e sforzi prolungati.

Anche l’alimentazione e le attività all’aria aperta possono esser un tassello della prevenzione, soprattutto in ottica osteoporosi e fragilità ossea.

Abbiamo analizzato gli aspetti più comuni della dorsalgia e come sempre, il saperne di più e acquistarne coscienza, ci permette di essere più vicini alla buona salute.

Impingement della spalla subacromiale

Cos’è la sindrome da impingement subacromiale?

Impingement_spalla_01E’ un’affezione dolorosa della spalla molto comune, che si manifesta per una riduzione dello spazio tra due capi articolari, la testa dell’omero e l’acromion.

Questo spazio è fondamentale per il passaggio del muscolo sovraspinoso, nella porzione di giunzione miotendinea e per la presenza della borsa sottodeltoidea.

Entrambe le strutture sono molto ben innervate dalle fibre nocicettive e possono subire compressione e irritazione nel caso lo spazio di scorrimento diminuisca come vedremo più avanti.

Come è composta l’articolazione della spalla?

La spalla è composta da 5 articolazioni, 3 propriamente dette e 2 fisiologiche (o di scorrimento).

Nel campo delle professioni sanitarie vengono in gergo rinominate come 3 articolazioni vere e 2 articolazioni false.

Impingement_spalla_02Le 3 articolazioni propriamente dette sono:

  • l’articolazione gleno omerale (tra la testa dell’omero e la scapola – porzione della glena)
  • l’articolazione acromion clavicolare (tra la clavicola e la scapola – porzione dell’acromion)
  • l’articolazione sterno clavicolare (tra lo sterno e la clavicola)

Le 2 articolazioni fisiologiche sono:

  • l’articolazione sottodeltoidea
  • l’articolazione scapolo toracica.

L’insieme delle 5 articolazioni che compongono la spalla, permettono di relazionare il braccio rispetto al torace, di compiere i movimenti in ogni piano dello spazio e di sommare gli stessi movimenti tra di loro.

Le 3 articolazioni vere sono la congiunzione fra 2 porzioni ossee diverse tra di loro, con lo scopo di creare un movimento specifico a seconda delle diverse conformazioni articolari.

Le 2 articolazioni false servono a creare una superficie di scorrimento tra tessuti molli, per migliorare l’efficacia del movimento stesso, diminuendone gli attriti.

Quali movimenti può fare la spalla?

Impingement_spalla_03Nello specifico, i movimenti che la spalla può compiere sono:

  • elevazione anteriore (flessione)
  • elevazione posteriore (estensione)
  • abduzione (elevazione laterale)
  • adduzione (depressione mediale)
  • rotazione esterna
  • rotazione interna
  • circonduzione

La scala dei movimenti elencati è complessa, soprattutto perché vede la necessità di armonizzare e rendere corale la sincronizzazione delle 5 articolazioni che entrano in gioco e della colonna vertebrale, la quale deve coadiuvare i movimenti nei sui valori più elevati.

La complessità biomeccanica della spalla, risiede negli accomodamenti e nel gioco muscolare che deve fare, in modo che l’ articolazione venga comunque sostenuta e ancorata, associandone la mobilità legamentosa e capsulare.

Chi ne guida i movimenti?

Impingement_spalla_04I movimenti sono guidati da serie muscolari che agiscono quasi mai in maniera isolata, ma sempre in modo corale per creare nel movimento maggiore, una serie di accomodamenti minori capaci di stabilizzare la spalla e di adattarla sia ai gradi di movimento, che ai piani di sviluppo articolare interagenti.

La testa dell’omero deve essere richiamata ad una coaptazione rispetto alla glena della scapola, ma sufficientemente distanziata nei rapporti con il tetto acromiale, sotto il quale ci passa la porzione miotendinea e il tendine stesso del m.sovraspinso.

La cuffia dei rotatori, formata dall’unione di relazione rotatoria minore ma equilibratrice della testa dell’omero, è di ben 4 muscoli:

  • m.sovraspinoso
  • m.sottospinoso (m.infraspinato)
  • m.picco rotondo
  • m.sottoscapolare

Questi 4 muscoli adattano le rotazioni e la coaptazione della testa dell’omero nei confronti della glena, mantenendola sufficientemente distante dall’acromion e permettendo l’adattamento dell’articolazione gleno omerale per proseguire nell’aumento dei gradi articolari, soprattutto in abduzione e in elevazione anteriore.

Da non dimenticare che fondamentali sono le articolazioni di scorrimento, sottodeltoidea e scapolo-toracica, per far si che il movimento subisca meno attriti possibili.

Quali sono i sintomi di una sindrome da impingment della spalla?

I sintomi si manifestano con un dolore alla spalla che può variare di posizione, manifestandosi sulla zona sopra acromiale, nella zona deltoidea, anteriormente al capo lungo del bicipite.

Queste zone di dolore non devono per forza essere isolate, ma possono anche sommarsi tra di loro.

Impingement_spalla_05Il dolore si associa frequentemente ad una riduzione di mobilità articolare, ad una diminuzione della forza e della resistenza, dando un senso di astenia al braccio.

Il riposo non sempre porta un giovamento, anzi il dormire sulla spalla, o il poggiarcisi su di una poltrona o sul divano, possono notevolmente peggiorare la sintomatologia in maniera repentina.

La necessità di scaricare il peso del braccio e quindi di dargli sostegno, diventa quasi un automatismo nelle attività di vita quotidiane.

I movimenti articolari maggiormente limitati sono la flessione e quindi l’incapacità o lo sforzo eccessivo per alzare il braccio sopra la testa su di un piano sagittale; l’abduzione e quindi la resistenza ad alzare il braccio sopra la testa su di un piano frontale; i movimenti di rotazione esterna ed interna, tanto ti tipo grossolano, quanto nei movimenti fini, quindi la difficoltà nel pettinarsi (movimento mano testa) o nell’allacciarsi il reggiseno (movimento mano schiena).

Il dolore di spalla porta spesso anche un compenso della zona cervicale e dorsale, instaurando dolori spesso di origine muscolare per contrattura, nell’area del trapezio e della parte interna della scapola.

Non è raro ritrovare una zona di dolenzia sul gomito, qualora la problematica della spalla dovesse perdurare nel tempo.

Quali sono i fattori scatenanti?

Impingement_spalla_06La sindrome da impingement viene attivata dalla risalita della testa dell’omero che si avvicina alla parte inferiore dell’acromion, creando un problema sia per quanto riguarda il movimento filologico articolare, sia per lo schiacciamento e l’irritazione della borsa sottodeltoidea nella sua porzione acromiale, sia per la compressione del tendine del m.sovraspinoso.

La condizione di riduzione dello spazio periarticolare e quella della compressione dei tessuti molli, portano a sfuggire dal movimento fisiologico perché risulterebbe dolente all’esecuzione, causando l’instaurarsi di attività compensatorie, come ad esempio l’ abduzione della spalla con il braccio in atteggiamento di intrarotazione, attivando dei muscoli non predisposti a compiere quel tipo di gesto, causandone uno stato di tensione spesso dolente.

Impingement_spalla_07 Impingement_spalla_08La causa si può ritrovare anche in una perdita di idratazione della borsa deltoidea, che perde il suo trofismo e volume, diminuendo nettamente la capacità si attutire le compressioni del movimento articolare.

Le posture in cifosi con una chiusura delle spalle in avanti, possono dare la predisposizione ad una sindrome da impingement per il cambiamento di angolazione tra la clavicola e la scapola, cosi come il basculamento anomalo della scapola sul torace stesso.

 

Quest’anomalia posturale porterà a far attivare maggiormente la catena muscolare intrarotatoria della spalla, diminuendo l’efficacia delle componenti extrarotatorie, costrette a lavorare in maniera eccentrica.

Il tutto si tradurrà in una perdita di efficacia nella sinergia della cuffia dei rotatori, che lascerà spazio al muscolo deltoide e al capo lungo del bicipite di lavorare con maggior vigore, traslando la testa dell’omero verso l’alto.

Impingement_spalla_09La lesione parziale, o molto peggio totale, di una o più porzioni dei tendini della cuffia dei rotatori, causerà una perdita di funzione, creando uno squilibrio a favore del deltoide e del capo lungo del bicipite, che favoriranno la risalita della testa dell’omero verso l’alto.

Ovviamente non mancano le nozioni di trauma che possono danneggiare l’anatomia di una delle strutture fino ad esso discusse, o limitarne il funzionamento, per creare l’instaurarsi della sindrome da impingement subacromiale.

Come si fa diagnosi?

La diagnosi si basa su un’anamnesi accurata raccogliendo informazioni tali per capire quando il problema si sia manifestato, come abbia avuto inizio e quali possano essere state le cause esterne valutabili (lavori fisici, attività sportiva, traumi, posture alterate e prolungate nel tempo).

Seguirà un’esame valutativo clinico che si farà forte di una serie di test, in grado di studiare:

  • le escursioni articolari nella loro completezza o nella loro limitazione
  • le capacità di attivazione muscolare, valutabili nella forza e nella resistenza
  • l’individuazione dello stato di salute di legamenti e capsule articolari
  • il dolore evocato valutandolo in riferimento ai punti critici della patologia.

Impingement_spalla_10Diventa fondamentale l’aiuto della RM di spalla per poter studiare lo stato anatomico dei tessuti muscolo tendinei, capsulo legamentosi e sierosi.

Può risultare utile lo studio radiografico della spalla per individuare la posizione della testa dell’omero rispetto al tetto acetabolare e l’eventuale presenza di segni artrosici articolari; sarebbe ancora più utile se la radiografa fosse accompagnata da una ecografia dei tessuti molli, in maniera da avere un quadro esaustivo, anche se non preciso nella sua espressione massima.

Gli esami clinici e quelli diagnostici per immagini, ci rendono certi della presenza della patologia e capaci a questo punto di indirizzare il paziente verso la cura appropriata, dando una prognosi coerente con lo stato di salute.

Quali sono le cure?

La cura per la sindrome da impingement subacromiale, vede varie strade percorribili, concepite a seconda dell’integrità anatomica in cui si presenta la spalla.

Possono essere usati antinfiammatori non steroidei, spesso associati a miorilassanti e in alcune occasioni, si può fare ricorso ai cortisonici e agli antidolorifici.

Non sono pochi i casi in cui vengano utilizzate terapie farmacologiche infiltrative con un mix di farmaci ai quali non di rado viene aggiunto anche un anestetico locale.

Impingement_spalla_11La fisioterapia e l’osteopatia sono fondamentali per recuperare la funzione persa della spalla, migliorandone il posizionamento anatomico dei capi articolari, riequilibrando le catene muscolari per forza e capacità di attivazione.

Sono entrambe molto utili per abbassare la soglia del dolore, mitigandone gli effetti a cascata su tutte le strutture di relazione.

La chirurgia è la soluzione ultima a cui si arriva nel caso di un danno anatomico importante e non compensabile dal resto delle terapie sopracitate.

Impingement_spalla_12I tipi di intervento sono molti e saranno scelti in base al quadro di danno anatomico presente e in base alle abitudini di preferenza del chirurgo.

La maggior parte degli interventi vengono fatti in artroscopia e sono di tipo ricostruttivo-riparativo.

Certo è che dopo un intervento chirurgico ci sia bisogno di un periodo di riposo e di recupero riabilitativo, per poter ritrovare la miglior condizione fisica possibile.

 

Abbiamo esaminato a fondo la sindrome da impingement subacromiale, ci è ormai chiaro quali sono le problematiche che manifestano e il tipo di inabilità riscontrata nella quotidianità, non facciamoci sorprendere, abbiamo tutte le possibilità per affrontarla nel migliore dei modi, salvaguardando la qualità della nostra vita quotidiana.

Stenosi cervicale

La stenosi cervicale è una riduzione del volume del canale midollare, zona intima della colonna vertebrale che ospita l’alloggiamento del midollo spinale, la porzione di emergenza delle radici nervose anteriori e posteriori (per il trasporto delle informazioni motorie e sensitive), il pacchetto vascolare arterioso e venoso di relazione.

Stenosi_cervicale_01La stenosi cervicale si può manifestare in un segmento specifico della cervicale o su più segmenti vertebrali.

Può presentarsi per una modificazione congenita, per un trauma importante, per forme benigne o meno di neoformazioni, per patologie artritiche, per una degenerazione della porzione ossea, per discopatie, per alterazioni legamentose, per cambiamenti posturali.

Tralasciando la parte di malformazione congenita, traumatica, tumorale, le quali meritano un articolo a se, parliamo adesso dell’eziopatogenesi degenerativa.

Stenosi_cervicale_02Il canale midollare ha una sua ampiezza predefinita che deve mantenere il suo volume interno al variare della posizione e del movimento del segmento vertebrale.

Il canale vertebrale viene circoscritto dalle lamine vertebrali, dalle porzioni interne articolari, dai peduncoli, dalla porzione posteriore del corpo vertebrale, dal legamento longitudinale posteriore, dai legamenti gialli e dalla porzione posteriore del disco intervertebrale.

Quali sono le cause del restringimento?

  • Artrosi cervicale
  • Ernia cervicale
  • Fibrosi dei legamenti gialli
  • Osteofitosi interna
  • Verticalizzazione del segmento cervicale

Molte di queste eziopatogenesi sono la naturale conseguenza dell’usura che il tempo ci riserva con l’andare avanti dell’età, va però specificato che possono essere più importanti e rischiose se l’evoluzione è aumentata da fattori predisponenti di vita quotidiana e di attività lavorative.

Una nota di interesse è rispetto all’ernia discale.

Il danno del disco ha molteplici variabili e il suo affacciarsi nel canale midollare sarà più o meno grave a seconda del volume dell’ernia, alla sua posizione e se sia un’ernia molle perché ancora idratata o un ernia dura perché disidratata e fibrotizzata.

Che sintomi si possono manifestare?

Stenosi_cervicale_03La sintomatologia varia per tipo di dolore e per zona di manifestazione:

  • Dolori neurologici periferici che possano associarsi ad alterazione della sensibilità, della forza e del trofismo muscolare stesso, con distretti di manifestazione che variano a seconda del metamero coinvolto, andando dalla zona nucale alle braccia, alle scapole
  • Alterazione della vitalità neurologica per compressione diretta del midollo con estensione della manifestazione mielopatica dalla porzione cervicale a scendere verso i tratti della colonna più bassi all’aumentare della gravità della pressione, causando riduzione della forza e diminuzione della massa muscolare, alterazione della sensibilità, bruciore, intorpidimento, difficoltà nella coordinazione del movimento
  • Dolore cervicale locale e irradiato a seconda dello stato di tensione e contrattura antalgica muscolare. Il dolore aumenterà al movimento e diminuirà velocemente a riposo
  • Rigidità al movimento, non di rado si può associare una tensione sottonucale, giramenti di testa e nausee
  • Si può riscontrare il segno di Lhermitte, ovvero una sensazione di scarica elettrica che si irradia dal collo lungo la colonna vertebrale durante la flessione in avanti del capo e della cervicale. Questo segno indica la presenza di una sofferenza midollare dove vengono coinvolte le radici posteriori dei nervi spinali.

Stenosi_cervicale_04Come si definisce la gravità di questa patologia?

La gravità si stabilisce rispetto ai tipi di sintomi manifesti, più la patologia coinvolgerà la porzione neurologica, più sarà importante lo stato di avanzamento della stenosi cervicale.

Anche qui va sottolineato che i sintomi neurologici periferici a carico delle radici nervose locali, sono ad uno step di tolleranza, rispetto ai sintomi midollari ben più gravi, che possono coinvolgere anche il tronco e gli arti inferiori.

Quali sono gli esami diagnostici utilizzati?

La diagnosi della stenosi del canale midollare vede come esame principe la RM del segmento cervicale, capace di analizzare i tessuti molli discali, legamentosi, midollari e radicolari nel loro stato di salute anatomico rispetto alla dimensione del canale midollare nelle sue varie porzioni descritte all’inizio dell’articolo.

Stenosi_cervicale_05Anche l’esame TC ha un’ottima valenza per studiare lo stato in essere soprattutto della struttura ossea che compone il canale midollare e lo stato di sviluppo di osteofiti articolari.

Può risultare utile anche un esame elettromiografico per vedere la capacità di attivazione e di risposta delle placche motrici periferiche.

Sarà necessario fare un’attenta analisi dei riflessi osteotendinei e della loro risposta, sia se inibiti tanto se iperattivati.

Quale tipo di terapia può essere applicata?

La stenosi del canale cervicale può essere approcciata in molti modi e può combinare contemporaneamente una o più terapie tra di loro. A livello farmacologico vengono spesso utilizzati antinfiammatori, preferibilmente fans, quando si ha la necessità di combattere l’infiammazione locale sviluppatasi, ma in alcune situazioni non è da escludere l’utilizzo di cortisonici quando sia utile ridurre la componente edematosa che l’infiammazione stessa può esacerbare.

Possono essere usati i miorilassanti quando si sviluppano contratture e tensioni muscolari, per via del dolore e del cattivo compenso muscolare.

Non sono pochi i casi dove si ricorre agli antidolorifici per ridurre la soglia percepita e la soglia di attivazione del dolore.

La fisioterapia e l’osteopatia sono molto utili quando la stenosi è causata dalla presenza compressiva di tessuti molli, discopatie o artrosi delle faccette articolari.

Riescono ad applicare terapie manuali capaci di mantenere attivo il trofismo biologico dei nervi periferici interessati e mantenere uno stato di efficienza della muscolatura, la quale andrebbe incontro a ipotrofia da riduzione dell’attività fisica e dalla deficitaria innervazione motoria.

La fisioterapia così come l’osteopatia sono necessarie per mantenere efficienti le funzioni vertebrali e creare i giusti compensi necessari per deviare le linee dinamiche e di carico della zona stenotica.

Nei casi più gravi non è da escludere l’intervento chirurgico per decomprimere la zona midollare, in tutte quelle situazioni dove la stenosi sia di tipo duro e quindi irriducibile, con manifestazioni cliniche importanti e rischi di denervazione o di mielopatie.

La stenosi del canale cervicale è una patologia molto seria ma può essere diagnosticata in tempo, tanto da gestirla nel migliore dei modi e rallentare o bloccare il suo percorso patologico. Il nostro corpo ci invia messaggi di disagio cercando di comunicarci qualcosa, diamo ascolto ai nostri sintomi e non trascuriamoli, è il modo più efficace per prevenire e curare le affezioni che nel corso della vita si affacciano.

Postura

La postura è la posizione che il corpo assume nei 3 piani dello spazio, sia in posizione statica sia in movimento.

Postura_01Il piano sagittale rispetto al quale ci possiamo piegare in avanti e in dietro, il piano frontale rispetto a al quale ci possiamo inclinare lateralmente e il piano orizzontale rispetto al quale possiamo ruotare.

La postura è la risposta che noi diamo alla costante relazione che viviamo con la forza di gravità, la quale tende a richiamare verso il basso ogni tipo di oggetto, noi compresi.

La forza di gravità è per noi un’ alleata ma di contro tende a schiacciarci verso la sua fonte di attrazione, proprio per questo siamo alla costante ricerca di un compromesso per poterla sfruttare e non per diventarne vittime.

Postura_02La posizione che assumiamo va immaginata come un gioco di equilibrio tra le varie articolazioni, testa, colonna vertebrale, bacino, anche, ginocchia, piedi (elencate in ordine discendente), ma va anche ricordata la relazione tra il cingolo pelvico e quello scapolare.

Ovvero tra il segmento bacino e quello spalle, che permette di avere un accomodamento di relazione tra gli arti superiori e inferiori, utilizzando la colonna vertebrale come giunzione e la testa come timone.

Il punto dove noi scarichiamo il nostro peso è il punto di appoggio ultimo, ovvero il pavimento quando siamo in piedi fermi o camminiamo, la sedia con o senza schienale quando siamo seduti, il letto o peggio il divano quando siamo sdraiati.

Lo scarico del nostro peso rispetto ad una superficie ci da un impulso diretto all’aggiustamento posturale, sarà quindi sempre diverso a seconda di dove scarichiamo i nostri appoggi.

Sono gli stimoli esterni che danno la partenza di accomodamento della nostra posizione nello spazio che occupiamo, ma è anche vero che la postura risponde alla capacità motoria del soggetto stesso.

Ma la capacità motoria è standard per ogni individuo?

Ovviamente no ed è influenzata da moltissimi fattori, i traumi fisici come anche quelli emotivi, il corretto funzionamento dei recettori articolari, muscolari, tendinei e capsulari, la vista, l’udito, l’equilibrio, le medesime posizioni protratte nel tempo, la riduzione del tono muscolare, lo stress, il vissuto (concetto a cui mi allaccerò tra poco), un’ alterata occlusione dentale, la respirazione, l’alimentazione e non ultimo patologie intrinseche sistemiche o non, che possano influenzare la capacità adattativa del corpo.

Postura_03Possiamo dire che l’individuo è in costante adattamento e modificazione, questi cambiamenti vengono registrati ed elaborati dal cervello umano che li registra e in alcuni casi li instaura in maniera permanente, quindi ripetendo in maniera coscia o inconscia dei movimenti e delle posizioni, possono entrare a far parte di un corredo cerebrale automatizzandoli e riproponendoli in maniera automatica ed inconscia, alcuni di essi saranno corretti e fisiologici mentre altri saranno sbagliati (errori posturali) e potenzialmente patologici se prolungati e mantenuti nel tempo.

Postura_04Le patologie che possono instaurasi sono varie per entità e per importanza, segmentali o generalizzate:

  • accorciamenti muscolari con retroazioni delle catene muscolari e disequilibrio tra gruppi agonisti e antagonisti, predisposizione a contratture, stiramenti, strappi muscolari
  • alterazioni articolari con compressione delle stesse e stress cartilagineo, predisposizione alla danno e alla degenerazione delle cartilagini e quindi a seguire, la manifestazione di artrosi, alterazioni degli assi articolari (ginoccchio varo-valgo, iperesteso o in flexum, piede piatto, piede valgo etc)
  • relazioni vertebrali disfunzionali, ipercifosi, iperlordosi, scoliosi, cuneizzazioni vertebrali e queste alterazioni delle curve vertebrali possono arrivare a sviluppare patologie discali, neurologiche periferiche, interfaccettali.

Postura_05La postura va curata sia nelle varie fasi di crescita e sviluppo dell’individuo e sia nel trascorrere della vita della persona stessa, in modo tale da utilizzarla e mantenerla nella sua massima efficienza, prevenendo patologie indesiderate e inaspettate.

Uno specialista del settore sanitario deve controllare la postura del paziente e richiedere se necessario un’ indagine radiografica, coadiuvata da esami di coronamento qualora se ne presentasse la necessità, per fare la miglior diagnosi sulla causa del problema posturale in essere e programmare la miglior cura per il miglioramento e la risoluzione del problema.

Postura_06La fisioterapia è fondamentale per curare la postura, così com’è di grande aiuto l’osteopatia.

Non sono pochi i casi dove sia necessario l’utilizzo di tutori esterni di vario genere e natura, che possano mantenere la postura corretta per alcune ore, o in maniera fissa nei casi più gravi.

Nelle situazione di deviazione vertebrale importante si può arrivare addirittura all’intervento chirurgico di correzione e stabilizzazione vertebrale.

Sarà fondamentale l’impegno del paziente per migliorare e gestire in maniera autonoma la propria postura, con esercizio fisico e mirato al miglioramento delle postazioni di lavoro nell’attività quotidiana.

La postura è importante, è parte attiva della nostra salute, curiamola, dedichiamogli attenzione e i benefici che ne otterremo saranno evidenti.

Protrusioni ed ernie discali…quali sono le differenze e cosa comportano

La protrusione e l’ernia discale sono entrambe delle patologie che colpiscono la struttura del disco intervertebrale, alterandone la forma, le caratteristiche biologiche e le funzioni.

ernia_discale_01La protusione è l’anticamera dell’ernia discale ed entrambe sono l’evoluzione patologica di un disco intervertebrale che subisce forze di compressione, di trazione, di torsione e di sovraccarico, tanto da rovinarne la struttura, portandola oltre la normale degenerazione e quindi ad un danno patologico.

È vero che possono insorgere anche per eventi traumatici, ma la percentuale di danno da cattivo utilizzo rispetto ad eventi violenti, gioca nettamente in favore del primo.

Entriamo adesso nello specifico.

ernia_discale_02Il disco intervertebrale è una struttura fibrocartilaginea con una porzione centrale chiamata nucleo polposo e una porzione di contenimento chiamata anulus fibroso.

Il nucleo polposo trattiene una altissima concentrazione di liquido acquoso, più dell’80%, ed è una massa di tipo gelatinosa costituita da mucopolissacaridi.

L’ anulus fibroso deve contenere il nucleo polposo, fungere da punto di unione tra la vertebra soprastante e quella sottostante, mitigare le forze di trazione e torsione nei tre piani dello spazio ed è costituita da fibre proteiche con alta percentuale di collagene 1 / 2 e di condrociti.

Il disco intervertebrale, oltre ad avere il compito di ammortizzare i carichi della colonna vertebrale, assolve anche alla funzione di movimento, formando degli assi attorno ai quali potersi muovere in sinergia con la biomeccanica delle articolazioni vertebrali.

Ma il danno al disco intervertebrale come avviene al di fuori di un violento evento traumatico?

ernia_discale_03Il cambiamento delle normali curve vertebrali di cifosi e lordosi, l’aumento dell’effetto compressivo, l’aumento esagerato di peso corporeo e il sovraccarico di movimenti che si spostano per percentuale dalle strutture articolari al disco intervertebrale, porta questa struttura a fissurarsi, ovvero a rompere le fibre dell’ anulus fibroso, favorendo una strada di migrazione del nucleo dal centro verso la periferia.

La protusione è la condizione in cui il nucleo migra dalla porzione centrale del disco intervertebrale, verso l’ esterno, utilizzando la strada aperta dalla fissurazione delle fibre dell’ anulus stesso, ma rimane ancora frenata dalla periferia estrema del disco intervertebrale.

L’ernia discale è l’ evoluzione della protusione del disco e si affaccia fuori dalla linea di limitazione discale.

L’ernia del disco è catalogata in molti modi a seconda del suo stato e della sua posizione, pertanto può essere:

  • mediana
  • paramediana
  • laterale (intraforaminale)
  • contenuta
  • migrata
  • idratata
  • disidratata
  • sovra radicolare
  • sotto radicolare.

Tutte queste differenze di forma, di posizione e di consistenza vanno prese in considerazione per poter applicare la cura al meglio.

I dischi intersomatici protrusi o erniati hanno la stessa sintomatologia?

Assolutamente no.

Le protusioni discali generalmente sono asintomatiche perché per la loro condizione di alterazione anatomica, non sono in grado di attivare il sistema nocicettivo, né sul piano radicolare né strutturale, ma le condizioni che portano il disco a protrudere, possono essere esse stesse la causa di dolore con impingement e compressione delle faccette articolari, sfaldamento delle cartilagini articolari, formazione di stravaso di liquidi nel piatto vertebrale di appoggio, riduzione del lume di passaggio dei forami di coniugazione e delle loro radici nervose di competenza.

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L’ernia discale invece è tutta un’altra storia.

La fuoriuscita del nucleo dal limite periferico massimo discale, fa sì che essa si possa andare a posizionare nell’aria interna del canale midollare o nel forame di coniugazione, appoggiandosi e comprimendo la radice nervosa.

Nei casi più fortunati l’ernia è mediana, ovvero centrale rispetto a canale midollare e non tocca nessuna delle due radici, ma può creare un danno da stiramento del legamento longitudinale posteriore che passa tra le vertebre e i dischi, nella porzione posteriore dei corpi vertebrali.

La sintomatologia

ernia_discale_05La sintomatologia più comune è quella della radicolite compressiva irritativa, che siamo comunemente portati a conoscere nella sua forma di lombo-sciatalgia, lombo-cruralgia e cervicobrachialgia.

L’ernia discale è particolarmente acuta nella sintomatologia radicolare se si posiziona nel forame di coniugazione (intraforaminale), perché la sua posizione riduce di molto la possibilità di movimento della radice nervosa, arrecandone un’ irritazione importante.

ernia_discale_06Da una problematica radicolare ci si può spostare ad una stenosi molle del canale, nel momento in cui un’ernia voluminosa riduca il lume del canale midollare stesso creando una patologia compressiva sul midollo o sulla cauda equina, a seconda del livello vertebrale di cui stiamo parlando. In quel caso spesso la ritroviamo migrata rispetto all’ area discale di appartenenza.

Ultima classificazione che può dare valore alla sintomatologia è l’idratazione o la disidratazione della porzione del nucleo erniato, perché questo determina la rigidità dell’ernia stessa e la possibilità di spostarsi ulteriormente aumentando il suo volume.

La diagnosi

Importante sarà fare una diagnosi clinica scrupolosa, utilizzando testi clinici per lo studio delle articolazioni e dei dischi intervertebrali, in parallelo con la valutazione neurologica dei segmenti coinvolti nelle ernie e nelle problematiche associate delle protusioni discali.

ernia_discale_07Fondamentale è l’esame di risonanza magnetica che fotografa lo stato dei tessuti discali nei confronti dei piatti vertebrali, del canale midollare, dei forami di coniugazione e ovviamente delle radici nervose.

La radiografia può solo dare un’idea dello spazio tra una vertebra e l’altra facendo immaginare la condizione discale di intermezzo, ma non è un esame diagnostico specifico per il disco intervertebrale.

La tc può essere richiesta al posto della risonanza magnetica nel caso in cui il paziente abbia delle controindicazioni ad eseguirla (pacemaker, mezzi di sintesi incompatibili, schegge metalliche, etc.), o nel caso si voglia vedere con minuziosità il rapporto del disco rispetto alle strutture osteo/articolari, piuttosto che rispetto alle strutture neurologiche perimetriche.

La cura

ernia_discale_08L’approccio terapeutico per la protusione si basa sulla fisioterapia, sull’osteopatia e sulla ginnastica, per mantenere un buon equilibrio delle curve posturali tra lordosi e cifosi con un tono muscolare capace di sostenere le articolazioni tanto nella statica quanto nella dinamica.

Bisogna ripristinare e mantenere gli equilibri tra le catene muscolari anteriori, posteriori e rotatorie.

E’ importante mantenere elastici i legamenti che stabilizzano le vertebre tra di loro e in generale le articolazioni cardine dei cingoli pelvici e scapolari.

Nell’ernia discale la terapia sì basa sulla gravità dell’ernia nei rapporti con le radici nervose o con il midollo / cauda equina.

Si passa dalle terapie mirate a ricreare spazio tra le articolazioni e i forami di coniugazione vertebrali, a quelle di mobilizzazione del nervo interessato nel suo percorso, al drenaggio dei tessuti peri locali, al cambiamento di assetto vertebrale per scaricare la zona colpita, all’utilizzo di busti di scarico per la zona lombare o collari morbidi o semi rigidi cervicali.

ernia_discale_09Nei casi più gravi si può arrivare all’intervento chirurgico per asportare il nucleo erniato non più gestibile nella fisiologia del paziente.

In ogni situazione diventa fondamentale stare attenti allo stile di vita e alle norme di buon utilizzo della propria colonna nei movimenti quotidiani e durante il riposo.

La terapia farmacologica è sempre di supporto a stati acuti e vede l’utilizzo di antinfiammatori, miorilassanti e o antidolorifici.

Può essere molto efficace, se utilizzata insieme alle altre terapia precedentemente descritte, l’ozonoterapia per migliorare il trofismo biologico e ridurre lo stato infiammatorio basale locale.

ernia_discale_10Adesso che abbiamo capito le differenze tra protusione ed ernia discale, dobbiamo solamente stare attenti a prevenirle e nel caso siano comparse, a gestirle al meglio per mantenere uno stato di efficienza nella vita di tutti i giorni.