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Cisti artrogene del polso e della mano

Le cisti artrogene del polso, definite anche “cisti gangliari o gangli”, sono delle tumefazioni tondeggianti contenenti liquido, che si manifestano nella zona dorsale del polso, più raramente nelle aree interfalangee e/o sul palmo della mano.

Le cisti artrogene si formano nella rima articolare, tra due capi ossei, dov’è presente la capsula articolare, la quale, per merito del liquido sinoviale secreto, protegge, nutre l’articolazione e la preserva dagli attriti che si formano durante il movimento.

Il tessuto della capsula articolare può cedere e creare una lassità tessutale, formando un’erniazione su un’area più o meno estesa.

cisti artrogene 02Nel punto di erniazione, il liquido sinoviale può trovare una strada dove infiltrarsi, tanto da creare la cisti artogena nel momento in cui venga prodotto una quantità maggiore di liquido.

Il volume delle cisti può cambiare nel tempo, a seconda delle condizioni di utilizzo articolare del paziente e dell’eventuale stato infiammatorio associato, pertanto la tumefazione può rimanere stabile, così come può aumentare o diminuire.

C’è da dire che difficilmente le cisti artogene diminuiranno nel tempo, perchè  il loro volume aumentato e mantenuto tale, crea una lassità della capsula articolare sempre maggiore, predisponendole sempre di più ad un aumento di volume.

Le donne sono maggiormente colpite, e l’insorgere della patologia può presentarsi sin dall’età adolescenziale, cosi come non ne è esclusa l’età adulta.

I fattori predisponenti sono simili nelle diverse fasce di età anche se da anziani, l’artrosi può essere una causa aggiunta.

Le cisti artrogene, non sono sempre sintomatiche.

Il paziente può notare un rigonfiamento nella zona del polso, o della mano, ma senza avvertire ne dolore, ne limitazione funzionale durante il movimento, ne una riduzione di forza nella muscolatura della mano e dell’avambraccio.

cisti artrogene 03Nei casi sintomatici, la persona interessata alla patologia, riferirà dolore sia alla palpazione, sia al movimento libero della mano, soprattutto durante la flessione e l’estensione massima, per esacerbarsi nei movimenti di forza, di presa e di controresistenza.

Il dolore per effetto riflesso, può ridurre la forza del segmento, creando un disequilibrio delle catene muscolari e una discinesia compensatoria del poso, dell’avambraccio, fino ad arrivare alla spalla nei casi più gravi.

Nei casi dove la cisti abbia un volume particolarmente importante e a seconda della zona dove si sviluppa, si potranno manifestare delle tendiniti da sfregamento e delle neuropatie da compressione.

Le cause che sviluppano i gangli, sono corrisposte maggiorente in una predisposizione di lassità capsulare, ma non solo, perché alcuni tipi di traumi, soprattutto distrattivi, possono portare ad un’alterazione della capsula articolare, che causano un’elongazione delle sue fibre fino a manifestare un’erniazione, nel momento in cui si associ ad un’infiammazione ed un aumento consistente di produzione del liquido sinoviale.

tennisI microtraumi ripetuti, gli sforzi prolungati, sempre nei soggetti predisposti, o già affetti dalla patologia, portano alla manifestazione della tumefazione o ad un aumento di volume della cisti.

Le patologie artritiche maggiormente e in minor misura quelle artrosiche, sono compartecipanti allo sviluppo dei gangli articolari.

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della malattia.

palpazioneNel proseguo della denominazione della patologia, l’esame visivo ci permette di rilevare delle tumefazioni tondeggianti che aumentano durante il movimento articolare massimo.

La palpazione ci permetterà di valutarne la consistenza, l’aumento di temperatura e la mobilità del tessuto.

L’esame obiettivo darà la possibilità di testare la mobilità articolare, la forza muscolare segmentale e distrettuale, la resistenza allo sforzo e soprattutto la comparsa del dolore durante le prove a cui il paziente viene sottoposto.

ecografiaQuasi sempre si rende necessario eseguire un esame ecografico, per avere un’immagine precisa della cisti e del suo contenuto, per capirne l’effettiva dimensione e il coinvolgimento articolare.

Nei casi in cui l’ecografia non sia sufficiente, per dissipare i dubbi diagnostici, si ricorrerà ad una risonanza magnetica, che stabilirà con maggior precisone lo stato in essere del ganglio.

Il trattamento prevede la gestione nella fase acuta e nella fase cronica.


cisti artrogene 07Nella fase acuta, quando si evidenzia per la prima volta la presenza della cisti artrogena, dovuta ad un trauma distrattivo o da sforzo, bisogna intervenire il prima possibile, applicando un bendaggio elastico compressivo, che riesca a mantenere l’articolazione limitata nei movimenti e in posizione neutra di riposo, per dare la possibilità di recuperare biologicamente al danno capsulare subito, limitando un aggravamento lassivo dei tessuti.

Nei primi giorni sarà necessario anche l’assunzione di farmaci antinfiammatori non steroidei, per limitare l’infiammazione accesa durante il trauma.

L’utilizzo del ghiaccio sarà molto utile come supporto naturale alla riduzione dell’infiammazione.

cisti artrogene 08Nella fase cronica invece, è necessario prevenire il rigonfiamento della ciste in seguito a sforzi massimali o ripetuti di breve intensità, utilizzando un tutore che stabilizzi l’articolazione e ne riesca a limitare gli sforzi durante le attività richieste.

E’ utile applicare del ghiaccio alla fine dello sforzo massimale richiesto al polso o alla mano, soprattutto nei casi in cui si faccia attività fisica sportiva, o lavori manuali, che ne prevedano un uso intenso e ripetuto.

Sempre per i casi cronici si rende necessario fare della buona fisioterapia per ottenere il massimo dell’articolarità consentita nella mano, nel polso e nel gomito, guadagnando la miglior funzionalità delle catene muscolari sia flessorie che estensorie, cosi come di quelle pronatorie e supinatorie.

Dare degli esercizi specifici al paziente per mantenere al meglio l’elasticità dei tessuti articolari, legamentosi, tendinei e muscolari, sarà molto utile nella gestione della patologia e del dolore.

chirurgiaNei casi in cui non si riesca a far fronte in nessun modo alla ciste artrogena, e li dove il paziente riferisca dolore intenso e limitazione nelle attività di vita quotidiana, si può intervenire chirurgicamente, asportando il ganglio in maniera radicale.

Nei pazienti che subiscono l’intervento chirurgico di rimozione della cisti, va sempre suggerito un periodo di riabilitazione mirata, per recuperare l’articolarità e ricondizionare i tessuti molli nell’esecuzione sia dei gesti quotidiani, che dei movimenti estremi richiesti durante gli sforzi.

E’ da dire che le cisti asportate chirurgicamente, nel tempo possono ripresentarsi, manifestando sintomi simili se non addirittura uguali.

Le cisti artrogene sono patologie sicuramente non gravi, ma se trascurate possono condizionare la nostra quotidianità, per questo vanno affrontate prima che il loro sviluppo diventi eccessivo e mal tollerato.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Coccigodinia

La coccigodinia è una manifestazione dolorosa della zona coccigea, localizzata nella porzione infero-mediana del bacino.


Anatomia

coccigeIl coccige è la parte terminale della colonna vertebrale, composta da un numero di segmenti variabili da 3 a 5 unità, fusi tra di loro, ad eccezione del primo metamero che si articola con l’osso sacro.

Il tratto coccigeo ha una convessità rivolta posteriormente e una faccia anteriore concava, pertanto possiamo dire che la punta è rivolta in avanti verso la zona pubica.

Al coccige si ancora una parte della muscolatura glutea, così come una parte della muscolatura pelvica e i loro tessuti connettivi inerenti di giunzione.

coccigodinia 02Possiamo pertanto affermare che il coccige sia un equilibratore del pavimento pelvico, entrando attivamente nella gestione dei carichi di linee pressorie, nel gioco della dissipazione delle forze di compressione e di trazione del piccolo bacino.

Vanno anche considerati i rapporti viscerali che il coccige ha in maniera semidiretta con il retto.


La manifestazione del dolore nella coccigodinia

Il dolore può essere dovuto sia ad un’infiammazione della zona inerente, sia ad uno stato di tensione anomala dei tessuti molli di competenza.

La coccigodinia si può presentare indipendentemente dal sesso e dall’età, anche se ci sono dei fattori predisponenti maggiori, come la gravidanza, il parto, la lassità dei tessuti molli, che mettono la donna in una condizione di maggior interesse.

Il dolore si manifesta nella parte terminale della colonna vertebrale, internamente alla zona bassa interglutea, identificato dal paziente in maniera puntiforme, posizionando il dito proprio nella zona apicale del coccige.

Il dolore può avere un’intensità mutevole, che varia da un fastidio ad un’incapacità di sedersi, di chinarsi in avanti, di mantenere la posizione eretta, di adoperarsi nei cambi di postura o addirittura di camminare per lunghi tratti.


I sintomi

I sintomi possono esser persistenti o intermittenti a seconda della gravità della situazione.

Il dolore può irradiarsi alla zona interglutea, ai fianchi, fino a scendere sulla zona prossimale-mediale posteriore delle cosce.

Durante i rapporti sessuali il sintomo può esacerbarsi, così come può essere presente nella costipazione o prima dell’evacuazione, per poi ridursi dopo la defecazione.

Anche il periodo del ciclo mestruale può aumentarne la sensibilità.


Le cause della coccigodinia

La causa diretta spesso è ricondotta ad una caduta sul sedere, dove l’effetto traumatico può addirittura causare una lesione fratturativa o una lussazione del segmento.

Molte altre cause sono associabili alla patologia, alcune delle quali sono legate alla cattiva mobilità del coccige e delle strutture muscolo-tendine, fibrose e viscerali ad esso legate.

Le lesioni da sforzo ripetitivo, possono essere un’altra causa della coccigodinia, dove in questo caso difficilmente si svilupperà un’ infiammazione, ma bensì si manifesterà un aumento della fibrosità e una tensione anomala dei tessuti molli connessi.

Alcuni sport, come il ciclismo, possono creare uno sfregamento ripetuto della zona, capace di innescare un’infiammazione della zona, alle volte con edema superficiale o profondo associato.

sedutaNon è da sottovalutare la cattiva postura che il paziente mantiene nelle posizioni sedute, dove lo scarico del peso corporeo si sposta dalla zona ischiatica, scivolando nella parte posteriore coccigea.

La gravidanza e il parto stesso, possono causare una tensione e una deviazione del coccige, per l’aumento del volume e della pressione nella zona infero posteriore del bacino.

Tra le cause possiamo anche includere le patologie infettive, soprattutto nel momento in cui sfoghino in ascessi, particolarmente debilitanti, per la loro persistenza e per la difficile risoluzione in maniera veloce.


La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione dell’affezione, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la postura del paziente, sia sul piano sagittale che sul piano frontale, per analizzare le capacità di movimento del bacino, lo stato di tensione muscolare, dei tessuti connettivi di collegamento e la reazione del paziente all’evocazione del dolore durante la palpazione.

coccigodinia 05L’esame radiografico si rende assolutamente necessario per esaminare lo stato anatomico del segmento coccigeo e rilevarne eventuali fratture, lussazioni, o modificazioni anatomiche quali esostosi o calcificazioni.

Può ritenersi necessario integrare l’Rx, come esami di risonanza magnetica o Tc, che hanno la capacitò di analizzare con maggior scrupolo tanto la struttura ossea, quanto i tessuti molli associati.

Nel caso sia presente un ascesso di tipo infettivo, può essere utile, se non addirittura necessario, richiedere degli esami di laboratorio per valutare lo stato biologico dei fattori patologici nel contesto della persona.


Il trattamento della coccigodinia

L’utilizzo di farmaci antinfiammatori vede un’ampia gamma di possibilità terapeutiche quali:

  • antinfiammatori non steroidi
  • cortisonici
  • miorilassanti
  • antidolorifici.

Possono rivelarsi utili le applicazioni infiltrative locali, per aumentare l’efficacia della somministrazione farmacologica.

In molti casi si rende necessario l’utilizzo di un cuscino vuoto nella sua porzione centrale, comunemente chiamato ciambella, per scaricare il peso corporeo e la frizione nella zona coccigea nelle posture sedute del paziente.

fisioterapiaLa fisioterapia, così come le tecniche manipolative osteopatiche, si rivelano ottime per il riequilibrio del coccige all’interno del sistema del piccolo bacino, per la correzione dell’articolazione sacro-coccigea, per la diminuzione della tensione muscolare associata e per ridare elasticità ai tessuti connettivi-legamentosi di relazione.

La chirurgia può ritenersi una strada valutabile solo ed esclusivamente nei casi in cui abbiano fallito tutte le terapie sopra indicate e il paziente non riesca a risolvere il dolore, dovendo affrontare una diminuzione drastica della qualità di vita nelle attività quotidiane minime.

La coccigodinia è una patologia fastidiosa, ma ha talmente tante variabili evolutive che ci permette di approcciarla con varie soluzioni terapeutiche, risolvendo il problema in maniera efficace e definitiva.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Gotta

La gotta è una patologia dovuta ad un’alterazione del sistema metabolico, provocando l’accumulo di acido urico nel sangue e conseguentemente nei tessuti.

L’uricemia

Tramite l’uricemia si studia la misurazione della concentrazione di acido urico nel sangue.

L’uricemia può avere dei picchi di innalzamento fisiologici a seconda della tipologia e delle quantità di cibo ingerito, ma se il suo aumento cronicizza, si creano dei cristalli di urato che si possono depositare nelle articolazioni e nei tessuti molli.

I depositi di urato portano ad un processo infiammatorio presentandosi al paziente sotto forma di artrite gottosa.

La sinovite, caratteristica tipica nell’artrite gottosa, dovuta alla saturazione della membrana sinoviale e dello spazio articolare da parte dei cristalli di urato, genera oltre ad un’infiammazione, anche un’erosione delle cartilagini articolari.

Inoltre, in quasi tutti pazienti, si riscontra un accumulo di acidi urici anche nei tubuli renali.

Le classificazioni

La gotta viene classificata in:

gotta 01GOTTA PRIMARIA,

di tipo idiopatica, ovvero senza causa apparente, dove sembra ci sia un disturbo metabolico di tipo ereditario, presente sin dalla nascita.

La patologia si manifesterà alla comparsa dell’aumento dell’uricemia e ciò può avvenire già in età puberale, anche se la casistica nota che la comparsa della sintomatologia, si manifesta maggiormente tra il 3° e il 5° decennio di vita.

GOTTA SECONDARIA,

dove la comparsa è dovuta alla presenza di una o più patologie, che alterano in maniera consequenziale, il metabolismo degli acidi urici.

La gotta primaria e quella secondaria non sono molto diverse tra di loro, per tutto quello che riguarda la comparsa di segni clinici associati ai sintomi.

Possiamo pertanto stabilire un quadro unico di manifestazione che andremo a dividere in:

  • gotta acuta
  • gotta intercritica
  • gotta cronica

La sintomatologia della gotta

I sintomi possono comparire in ritardo, addirittura dopo un periodo di latenza anche di 30 anni.

gotta 02La GOTTA ACUTA, si manifesta con un’artrite acuta, preceduta da una sinovite importante, che colpisce una o più articolazioni periferiche, generalmente l’alluce e maggiormente nelle ore notturne.

L’articolazione colpita, soggetta ad infiammazione, presenterà arrossamento, calore cutaneo, ipersensibilità pressoria e un dolore importante, tanto da non riuscire addirittura a sopportare il peso del lenzuolo sul dito interessato nel caso sia coinvolto l’alluce.

Il quadro acuto dura mediamente 3-4 giorni, ma nel caso in cui il paziente sia incappato in uno grave stato infiammatorio, il tempo può prolungarsi sino a 2-3 settimane.

Alla conclusione dell’attacco acuto, ci sarà una remissione completa dei sintomi, con il recupero totale della funzione articolare e un netto miglioramento del trofismo cutaneo.

La GOTTA INTERCRITICA, é il ripetersi degli attacchi acuti in un lasso di tempo che tende ad accorciarsi rispetto allo stato silente asintomatico.

Con il passare degli anni gli attacchi artritici gottosi acuti aumenteranno nella frequenza, riducendo pertanto lo stato di quiete della patologia.

Le manifestazioni patologiche saranno volta dopo volta, sempre più forti, dureranno un maggior numero di giorni e potranno coinvolgere più articolazioni.

La GOTTA CRONICA si ha quando il paziente è soggetto ad un persistente aumento dell’uricemia ed è colpito con insistenza da attacchi di gotta.

Il paziente va incontro a depositi di cristalli di monourato sodico a livello articolare e dei tessuti limitrofi.

Questi depositi di cristalli vengono chiamati tofi.

tofiI tofi possono presentarsi anche in sede extrarticolare, in sede peritendinea e in prossimità delle borse di scorrimento, cosi come possono manifestarsi nel parenchima renale, provocando nefropatia e nefrolitiasi (calcoli renali).

I tofi provocano un danno articolare che interesserà sia le cartilagini, sia i capi articolari ossei, sia i testi molli inerenti, deformando l’articolazione stessa, mantenendo uno stato infiammatorio persistente e sviluppando un quadro di artrite cronica, con una riduzione importante della capacità funzionale.

A livello cutaneo si possono presentare delle fistole da cui fuoriesce un essudato.

I fattori scatenanti

alimentazioneI fattori scatenanti la gotta possono essere innumerevoli:

  • consumo eccessivo di bevande alcoliche
  • alimentazione ipercalorica
  • una dieta dimagrante dai cattivi rapporti alimentari
  • ipercatabolismo proteico
  • alimentazione ricca di composti azotati (esatti di carne, carne, alcuni tipi di crostacei, molluschi etc.)
  • sovrappeso
  • nefriti
  • l’utilizzo di diuretici
  • una scarsa idratazione
  • un difetto enzimatico (alterazione nella produzione dell’ipoxantina-guanin-fosforibosil-transferasi) che comporta un incremento di acido urico.

La diagnosi della gotta

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare lo stato di funzione dell’articolazione, la condizione di mobilità articolare, l’evocazione del dolore al movimento, alla palpazione, alla pressione, allo sfioramento della cute, il gonfiore, la presenza di tumefazione, l’aumento del calore cutaneo, la presenza di fissurazioni con eventuale essudato, per concludere con la ricerca palpatoria di noduli o di zone fibrose.

Sarà di grande aiuto la richiesta delle analisi di laboratorio per valutare lo stato in essere dell’uricemia, l’aumento della VES e la presenza di una leucocitosi.

Anche l’esame radiografico può essere di grande supporto diagnostico, per evidenziare la presenza o meno di tofi ed un eventuale danno articolare deformante.

L’ecografia potrà avere un duplice scopo, quello di valutare i tessuti molli extrarticolari, come anche di scoprire la presenza di calcoli renali o alterazioni parenchimali dell’organo.

Il trattamento

La terapia ha lo scopo di ridurre i valori di uricemia, in parte si può contribuire con una corretta alimentazione che vada a bilanciare i rapporti proteici-calorici-idrici.

Diminuire il sovrappeso, ma senza utilizzare diete drastiche con regimi alimentari squilibrati, aumentare l’attività fisica e ridurre al minimo l’utilizzo di bevande alcoliche.

La farmacologia è di grande aiuto per ridurre la formazione di acidi urici e per combattere lo stato infiammatorio acuto e/o cornico.

Nel caso la gotta abbia riportato dei danni funzionali o peggio ancora dei danni anatomici, sarà importante ricorrere alla fisioterapia per recuperare il movimento articolare, lo stato di elasticità dei tessuti ed eliminare le tensioni muscolari che si sono venute a creare per via delle contratture antalgiche riflesse.

La gotta è una patologia di immediato approccio, ben valutabile e curabile con successo; la cosa importante è non farla sfociare nella cronicità ed evitare che si instaurino dei danni anatomici permanenti.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Tenosinovite

Con tenosinovite si descrive un’infiammazione della guaina sinoviale che riveste il tendine.

La sinovia tendinea

La guaina sinoviale tendinea serve a ridurre gli attriti che si sviluppano durante il movimento del tendine, rispetto alle strutture ossee e non, con le quali si trova in rapporto.

Nella tenosinovite la sinovia tendinea aumenta il suo volume e la viscosità del liquidito sinoviale.

Non è affatto raro veder sviluppare, al persistere della patologia e con il passare del tempo, dei noduli tendinei, associati ad un aumento della fibrosità del tendine stesso.

La formazione di tessuto fibroso, peggio se associato a formazioni cistiche, possono causare una stenosi e quindi una compressione del tendine stesso.

Anche la conformazione del tendine tende a cambiare assumendo un aspetto frastagliato e irregolare.

GUAINA SINOVIALESpesso durante l’attivazione al movimento del tendine interessato dalla patologia, si avverte un rumore simile ad un crepitio.

Generalmente alla tenosinovite si associa una tendinite del nervo di riferimento, manifestando un’infiammazione del tessuto.

Le zone più colpite da tenosinovite sono i tendini delle articolazioni dell’arto superiore e inferiore (spalla, polso, mano, anca, caviglie etc.)

I sintomi della tenosinovite

Ma quali sono i sintomi che il paziente lamenta nella tenosinovite?

  • gonfiore
  • arrossamento
  • sensazione pulsante
  • dolore localizzato a livello tendineo
  • dolore periarticolare diffuso
  • difficoltà nei movimenti
  • blocco algico dell’articolazione
  • contrattura muscolare riflessa
  • retrazione muscolare

Tutti questi sintomi possono presentarsi associati tra di loro o in maniera singola; la differenza sarà influenzata dal tempo con cui il paziente convive con la patologia, senza bloccarne la sua evoluzione e senza trovare una strategia di regressione del meccanismo patologico.

tenosinovite 03Quali le cause?

Le cause che portano alla tenosinovite sono molteplici e si differenziano tra fattori di vita quotidiana, eventi traumatici ed infezioni.

  • traumi
  • microtraumi ripetuti
  • sollecitazioni eccessive e/o ripetute

In questo primo gruppo, le cause possono essere ricondotte ad attività lavorative, sportive, oppure ad eventi occasionali.

  • patologie autoimmunitarie di tipo infiammatorie
  • infezioni sistemiche
  • infezioni locali

In questi secondo gruppo, le cause possono essere ricondotte ad un neo adattativo del sistema immunitario.

La diagnosi della tenosinovite

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare lo stato di funzione del tendine, la condizione di mobilità articolare, l’evocazione del dolore, lo stato di tensione muscolare, il gonfiore, la presenza di tumefazione, l’inefficienza segmentale, per concludere con la ricerca palpatoria di noduli o di zone fibrose.

tenosinovite 04Di grande aiuto, come supporto alla ricerca della diagnosi di tenosinovite, sarà l’utilizzo dell’esame ecografico, permettendo di vedere lo stato anatomico della guaina tendinea, di rilevare la presenza di edema, di valutare lo stato infiammatorio e di constatare lo stato di salute del tendine associato.

Nel caso in cui l’ecografia non fosse sufficientemente chiarificatrice, possiamo fare ricorso alla RM, che ci permetterà di studiare l’intero stato in essere del segmento da analizzare, nel complesso dei suoi tessuti molli.

Ricorreremo all’uso della radiografia, qualora ci sia da scongiurare la presenza di lesioni fratturative o di calcificazioni.

Il trattamento della tenosinovite

La cura della tenosinovite, viene studiata per ridurre lo stato infiammatorio riducendone l’edema associato, alleviare il dolore, recuperare la funzione tendinea e articolare, ridurre lo stato di tensione muscolare.

Per fare questo sarà necessario mettere a riposo il paziente, minimizzando tutte quelle attività che possano sovraccaricare la guaina tendinea.

Verranno utilizzati farmaci antinfiammatori non steroidei, analgesici, cortisone nel caso in cui ci sia la necessità di ridurre un’importante componente edematosa infiammatoria.

In un contesto di infezione come causa della tenosinovite, resistente alle remissione con le normali cure antinfiammatorie, si potrà rendere necessario intervenire con antibiotici.

FISIOTERAPIALa fisioterapia assume un ruolo fondamentale per la riduzione del dolore e dell’infiammazione, per il drenaggio dell’accumulo edematoso, per la riduzione delle fibrosità, per ritrovare l’equilibrio muscolare e per il recupero funzionale sia del tendine che delle articolazioni annesse al funzionamento.

La chirurgia non si rende quasi mai necessaria nelle condizioni di tenosinovite, a meno che non ci si trovi costretti ad asportare calcificazioni importanti, oppure fibrosità conclamate ed ormai irreversibili, procedendo con la sineviectomia.

La tenosinovite è una patologia molto fastidiosa, invalidante nella svolgimento delle funzioni quotidiane, può arrivare ad attivare dei compensi locali e a distanza che provocano una disarmonia dell’apparato locomotore, ma fortunatamente si hanno numerose ed efficaci strategie di risoluzione della patologia, portando il paziente al totale recupero, ricondizionando i tessuti e le articolazioni in maniera più che soddisfacente.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Sindrome del canale di Guyon

Prima di entrare nel merito della sindrome del canale di Guyon, permettetemi una piccola introduzione.

Cos’è il canale di Guyon?

Il canale di GUYON è uno spazio anatomico del carpo, compreso tra l’osso pisiforme, l’apofisi unciniforme dell’uncinato e il legamento piso-uncinato.

In questo segmento ben delimitato, c’è il passaggio del nervo ulnare e del suo pacchetto vascolare.

Cosa fa il nervo ulnare?

Il nervo ulnare è un nervo misto sensitivo/motorio, che origina dalle radici inferiori del segmento cervicale.

Sindrome del canale di Guyon 01La componente sensitiva innerva la cute palmare mediale della mano, la faccia palmare del 5° dito, la parte mediale del 4° dito e manda dei rami destinati all’innervazione del gomito.

La componente motoria della mano innerva tutti i muscoli dell’eminenza ipotenar (ad eccezione del muscolo palmare breve), i muscoli interossei, il 3° e 4° muscolo lombricale, l’adduttore del pollice e il capo profondo del flessore breve del pollice dell’eminenza tenar.

Nell’avambraccio, sempre a livello motorio, innerva il flessore ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle dita.


La sintomatologia

Sindrome del canale di Guyon 02I sintomi possono essere prevalentemente sensitivi, prevalentemente motori, oppure misti.

La differenza di queste 3 situazioni è data dalla compressione-irritazione del ramo motorio, sensitivo, o di entrambi, del nervo ulnare.

Nella compromissione del ramo motorio, il paziente lamenta perdita di forza, di resistenza, di mobilità fine articolare, comparsa di crampi, presenza di ipotonia muscolare con riduzione del volume associato, di tutta o di una parte della muscolatura intrinseca della mano, precedentemente descritta.

Nella compromissione sensitiva, l’area dell’eminenza ipotenar e del 4°-5° dito, come descritto precedentemente nella presentazione del nervo ulnare, soffrirà di parestesie o di ipoestesie, a cui si potranno associare dolori che avranno un andamento acuto o cronico a seconda dell’evoluzione della patologia per gravità e tempo di evoluzione.

Sindrome del canale di Guyon 03Le cause che possono portare alla sindrome del canale di Guyon, sono da ricercare su molteplici fattori:

  • alterazioni ossee (osteotifi ed esostosi)
  • artrosi
  • ispessimento del legamento piso-uncinato
  • traumi distorsivi del polso
  • fratture del polso
  • formazioni cistiche
  • alterazioni vascolari dell’arteria ulnare
  • compressione da parte dei tessuti muscolo-tendino-legamentosi limitrofi
  • artrite reumatoide
  • patologie dismetaboliche del tessuto connettivo.

Sindrome del canale di Guyon 04 Sindrome del canale di Guyon 05

Tutte le condizioni eziologiche sopra citate, arrecano uno stato di compressione, di irritazione, di ipossia, del nervo ulnare, provocandone una reazione patologica dalla sintomatologia precedentemente descritta.


La diagnosi della sindrome del canale di Guyon

La diagnosi vede la necessità di fare una raccolta dati indirizzata a capire se ci siano stati dei traumi, il tipo di attività lavorativa o sportiva condotta dal paziente, se ci siano dei disordini dismetabolici o se siano presenti in famiglia casi di patologie autoimmunitarie che possano riportare ad una connettivite o ad una condizione di artrite reumatoide.

Va sempre fatta attenzione a non confondere una sindrome del canale di Guyon, con una cervicobrachialgia C8-T1 (cervicali inferiori), scaturite da un’ernia discale o da un intrappolamento del forame di coniugazione, casi questi che potrebbero dare una sintomatologia molto simile alla patologia che stiano studiando nell’articolo di oggi.

Sindrome del canale di Guyon 06Anche il gomito, per merito della sindrome del tunnel cubitale, può creare confusione nella diagnosi della patologia di Guyon.

Sarà quindi importantissimo essere attenti nell’utilizzo dei test clinici e nel supporto delle indagini diagnostiche, che potranno variare dalla semplice RX, all’utilizzo di RM, TC, ecografia, elettromiografia, fino ad arrivare al consulto di analisi di laboratorio.


La cura

La cura della sindrome di Guyon, prevede un approccio multidisciplinare, che si avvarrà della farmacologia per merio di categorie diverse di molecole a seconda della causa che avrà portato alla patologia:

  • antinfiammatori non steroidei
  • cortisone
  • antiedemigeni
  • antidolorifici
  • integratori per il sistema nervoso periferico.

La fisioterapia sarà utilissima, alle volte determinante, nella remissione della sintomatologia, utilizzando tecniche di disimbrigliamento del sistema nervoso periferico per mezzo di manipolazioni neurodinamiche.

Si potranno utilizzare metodiche di mobilizzazione ed elasticizzazione dei tessuti legamentosi e dei tessuti molli adiacenti.

Saranno utili le tecniche di drenaggio nel caso sia presente un accumulo di liquidi vascolo-linfatici, nella zona di passaggio del nervo ulnare.

Risulterà necessario adoperare delle procedure di recupero del tono/trofismo della muscolatura intrinseca della mano, così come sarà fondamentale recupera la propriocettività e la giusta sensibilità del territorio interessato dal nervo ulnare nella mano.

Sindrome del canale di Guyon 07Non è assolutamente da escludere l’intervento chirurgico, con l’apertura del canale del nervo ulnare e disimbrigliamento del nervo stesso, in tutti quei casi ove ogni approccio terapeutico conservativo sia risultato inefficace o instabile nel raggiungimento e nel mantenimento dello stato di buona salute del paziente.

La sindrome del canale di Guyon non è una patologia grave, ma può risultare molto fastidiosa e debilitante nello svolgimento delle attività quotidiane, ma con la giusta diagnosi e la cura adeguata, la si può risolvere in maniera brillante.


La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Lupus Eritematoso Sistemico (LES)

Il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) viene definita come una patologia infiammatoria cronica del tessuto connettivo di origine autoimmune.

I suoi danni possono riportarsi ad innumerevoli organi e tessuti anatomici ben distinti tra di loro:

  • articolazioni
  • cute
  • sistema nervoso
  • sistema linfatico
  • sistema ematico
  • reni
  • tratto gastrointestinale
  • polmoni
  • cuore
  • etc.

LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO 01E’ una patologia che interessa una fetta di popolazione ad ampio spettro, neonati, bambini adulti ed anziani, ovviamente con percentuali diverse, dove la casistica maggiore riguarda le donne in età fertile.

Può avere un’insorgenza acuta, oppure graduale nel tempo di mesi se non addirittura di anni, con sintomi che alternano la loro presenza / assenza, passando da manifestazioni importanti a minime.

Esistono delle varianti del LES, che differiscono per le manifestazioni e per il coinvolgimento di tessuti ed organi

LUPUS ERITEMATOSO DISCOIDE (LED)

colpisce solamente la cute con manifestazioni tondeggianti, a grappolo nelle zone esposte alla luce, rosse, in rilievo, con danni lesivi della cute stessa, ai suoi bulbi piliferi e conseguente cicatrizzazione.

Può manifestarsi in qualunque area cutanea, testa inclusa.

In una percentuale ridotta può attivare il lupus eritematoso sistemico

LUPUS ERITEMATOSO CUTANEO SUBACUTO (LECS)

Colpisce essenzialmente la cute delle braccia, del viso e del torace.

Si manifesta con delle eruzioni cutanee diffuse che possono peggiorare esponendole al sole.

Non creano lesioni cutanee e quindi neanche processi cicatriziali.

Si possono associare dolori articolari, mentre gli organi interni vengono risparmiati dall’evoluzione patologica della malattia.

SINTOMI

Nel sistema osteoarticoalre si presenta con frequenza, un’infiammazione delle articolazioni  generalmente intermittente, che si associa a dolore e nei casi più importanti a deformazione dell’articolazione interessata.

LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO 03La cute vede la manifestazione di eruzioni cutanee, eritema, protuberanze in rilievo, assottigliamento della cute, vescicole, ulcere, macchie violacee (petecchie), perdita di peli o di capelli, in maniera generalizzata oppure a chiazze.

I sintomi della cute possono peggiorare con l’esposizione al sole e si possono presentare in qualunque parte del corpo, dalla testa, al tronco, agli arti.

In alcuni casi la sindrome di Raynaud, illustrata nell’articolo della settimana precedente, può essere una conseguenza della presenza del lupus eritematoso sistemico.

Le mucose del palato, delle gengive, delle guance, del naso, possono andare incontro a lesioni ulcerative e a processi cicatriziali di riparazione.

esami sangueA livello ematico ci può essere una riduzione dei globuli rossi, bianchi e delle piastrine, scatenato problemi di emorragie o all’opposto di eccesso di coagulazione, con la formazione a seguire di trombi ed emboli che possono danneggiare gli organi colpiti.

Le vasculiti sono presenti nelle sintomatologie a carico del sistema sanguigno.

Il sistema linfatico presenta un’ingrossamento dei linfonodi e meno frequentemente, della milza.

dolori addominaliA livello gastrointestinale si possono presentare dolori addominali, nausee, diarrea, fino ad arrivare a danni dei tessuti negli organi della digestione e della metabolizzazione.

I reni sono un bersaglio che possono subire un interessamento minimo in assenza di sintomatologia, oppure andare incontro a gravi danni con lo sviluppo di un’insufficienza renale, causando gravi complicanze a livello sistemico.

Il cuore può andare incontro a pericarditi, miocarditi ed endocarditi, con associato dolore al petto di tipo anginoso.

Se l’infiammazione della guaina e del muscolo cardiaco si protrae nel tempo, il paziente potrà andare incontro ad insufficienza cardiaca.

Le coronaropatie che si possono affacciare sono la causa delle vasculiti tipiche del Lupus.

I polmoni possono manifestare una pleurite e meno frequentemente una polmonite, nonostante la vasculite possa creare dei danni parziali che ridurrà la funzione respiratoria.

sistema nervosoIl sistema nervoso può subire condizionamenti manifestando cefalee, disturbi cognitivi e della personalità, convulsioni, ictus, demenza, finanche ad arrivare a manifestazioni patologiche del midollo e delle strutture neurologiche periferiche.


CAUSE

La causa non è nota e può avere origini multifattoriali di condizione diverse per genere e influenza:

  • fattori genetico / ereditari
  • fattori ormonali (estrogeni in particolare modo)
  • fattori ambientali:
    • farmaci
    • virus
    • esposizione al sole e l’utilizzo di lampade abbronzanti
    • carenza di vitamina D
    • stress psico / fisico

DIAGNOSI

diagnosiLa diagnosi prevede un’attenta anamnesi in grado di raccogliere i dati che il paziente riporta, per poi proseguire con un attento esame obiettivo, volto ad indagare i campi sintomatologici multiorganici, che la patologia del Lupus eritematoso sistemico, può coinvolgere.

Le indagini strumentali si avvarranno di tutti gli studi ematochimici, ecografici, elettromiografici, di RM, di TC, ed altro ancora, in grado di esaminare tutti i campi inquadrati nel capitolo della sintomatologia, per vedere se sono presenti almeno 4 dei settori precedentemente citati, con le complicanze ad esse annesse.

CURA

Lo scopo della cura è ridurre e tenere sotto controllo l’infiammazione, in maniera tale che si prevenga l’instaurarsi di danni tessutali organici, tipici del LES.

farmaciLa farmacologia la fa da padrona, con l’utilizzo di medicinali come l’idrossiclorochina (un antimalarico che rientra nei farmaci antireumatici, per la lotta contro l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso sistemico), di farmaci cortisonici, che hanno sia un compito antinfiammatorio che immunosoppressorio, o di immunosoppressori specifici, supportati da antinfiammatori non steroidei.

Non sono pochi casi in cui vengano somministrati anticoagulanti per evitare la formazione di trombi.

E’ chiaro che nella cura del Lupus è importantissimo andare ad eliminare o diminuire i fattori ambientali che abbiamo precedentemente nominato, in maniera da ridurre al minimo le possibilità di attivazione e di progressione della patologia.

LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO 02La fisioterapia sarà fondamentale per recuperare i danni di organo che la patologia arrecherà, mantenendone la funzione e reintegrandoli in uno schema adattativo fisiologico.

Pertanto la fisioterapia riuscirà a dare un enorme contributo sia nel segmento ortopedico, che in quello cardio-respiratorio, cosi come in quello vascolare, linfatico e del sistema nervoso periferico, riabilitando il paziente al recupero delle funzioni perse sia nelle fasi acute che in quelle croniche di lunga durata.

Il LUPUS ERITEMATOSO SISTEMICO (LES), non è una patologia da sottovalutare, ma abbiamo tutti i mezzi e le conoscenze per poterlo affrontare e tenere sotto controllo.

Non diamogli modo di avere la meglio su di noi.

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Herpes zoster – Fuoco di Sant’Antonio

Herpes zoster - Fuoco di Sant'Antonio L’ HERPES ZOSTER, comunemente soprannominato FUOCO DI SANTANTONIO, è una patologia infettiva derivante dal virus della varicella (VARICELLA-ZOSTER).

Questo virus, già presente per avvenuto contagio, all’interno dell’individuo, ma tenuto a bada dal sistema immunitario, si riattiva manifestandosi con una sintomatologia tipica.

Conosciamo meglio l’Herpes zoster – Fuoco di Sant’Antonio

Quando la varicella passa, il virus non sparisce rimanendo latente e vivo all’interno dell’organismo, locandosi soprattutto nei neri periferici del sistema nervoso.

Vuol dire che nonostante siano molti gli anticorpi dedicati a tenere sotto controllo il virus della varicella e ad evitarne la sua moltiplicazione, il nostro organismo non riesce a debellarlo del tutto.

Generalmente il virus della varicella trova ospitalità nei gangli sensitivi delle radici spinali dorsali del midollo spinale, cosi come anche nei nervi cranici.

Raramente lo si trova collocato nelle corna anteriori delle radici spinali (quindi nella parte motoria), in questa situazione, potrebbe manifestarsi una paralisi dell’area innervata dai nervi interessati.

La presenza virale può associarsi ad una o più strutture neurologiche contemporaneamente.

Un virus dormiente

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioIl virus può rimanere sopito nei tessuti citati per lungo tempo, alle volte per tutta la vita, senza mai manifestare la patologia erpetica, oppure scatenare la sua evoluzione patologica.

Il virus della varicella si rimette in moto, quando le difese immunitarie diminuiscono, in presenza di stress, affaticamento fisico e/o mentale, alterazione del ciclo sonno-veglia, cattiva alimentazione, un’eccessiva e dannosa esposizione al sole.

Ancora, per patologie concomitanti, dopo abuso di alcuni tipi di farmaci, quali cortisone, immunosoppressori, chemioterapici etc.

La manifestazione dell’Herpes zoster – Fuoco di Sant’Antonio

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioIl paziente con herpes zoster, manifesta, a livello cutaneo, delle chiazze rosse, che con il passare dei giorni si trasformavano in vescicole, associando queste manifestazioni cutanee a prurito e dolore.

Le vescicole con il passare dei giorni si trasformeranno in pustole contenente pus, per poi evolvere nella fase di guarigione con la formazione di crosticine riparative.

Solitamente le vescicole si presentano lungo il decorso del nervo dove il virus della varicella si è nascosto e rifugiato.

Non è assolutamente raro che il dolore compaia prima delle manifestazioni cutanee, cosi come non è raro che perduri a lungo (parecchi mesi), dopo la risoluzione delle lesioni cutanee.

Si instaurerà quella che viene chiamata nevralgia post-erpetica, molto fastidiosa, alle volte invalidante per lo svolgimento delle normali attività di vita quotidiana.

L’eruzione cutanea può essere molto dolorosa, acuta, urente, pulsante, trafittiva, lancinante e può associarsi a febbre, mal di testa, dolori gastrici, sensibilità alla luce.

L’area corporea dove si manifesta maggiormente la patologia dell’herpes zoster è il tronco, dando un’ irradiazione antero-posteriore su un emilato del torace, ma va specificato che può investire ogni area cutanea del corpo.

L’Herpes zoster oftalmico

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioSecondariamente per casistica, può colpire il viso e in particolare modo gli occhi, in quest’ultimo caso si parlerà di herpes zoster oftalmico.

L’herpes zoster oftalmico è particolarmente pericoloso perché può causare dei danni permanenti all’occhio, pregiudicandone la funzione visiva.

Il fuoco di Sant’Antonio è una patologia che può presentarsi a qualunque età, ma è da considerarsi tipica negli adulati, affacciandosi maggiormente nella fascia di età degli anziani.

Il fatto di aver manifestato la patologia erpetica una volta, non ci mette assolutamente al riparo da eventuali manifestazioni analoghe nel corso della vita, pertanto c’è la possibilità del suo ripetersi.

La patologia in questione può essere trasmissibile solamente a persone che non hanno contratto l’infezione da varicella, oppure con i soggetti non vaccinati nella specificità.

Come avviene il contagio?

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioIl contagio avviene attraverso il liquido contenuto nelle vescicole, dove è presente il virus attivo della varicella e il paziente non è da considerarsi contagioso ne prima delle manifestazioni cutanee-vescicolari, ne dopo la riparazione cutanea con crosticine cicatriziali.

Ovviamente i soggetti a rischio che vengano a contatto con la parte infettiva dell’herpes zoster, non svilupperanno la patologia erpetica ma bensì la varicella.

Successivamente, nel corso degli anni, per tute la concause sopra indicate, potranno eventualmente manifestare il fuoco di Sant’Antonio.

L’herpes zoster viene diagnosticato da prima con un’ispezione visiva di facile interpretazione, per essere eventualmente confermata tramite le analisi di laboratorio, con la ricerca delle immunoglobuline specifiche della varicella nel sangue, per presenza e quantità.

Come si cura la patologia l’Herpes zoster – Fuoco di Sant’Antonio?

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioIl trattamento prevede l’utilizzo di antinfiammatori e analgesici per ridurre il dolore del paziente.

Le lesioni cutanee, devono essere ben pulite e asciutte, applicando dei bendaggi che prevengano lo sfregamento con gli indumenti e la trasmissibilità casuale del contatto con il liquido delle vescicole.

Sono efficacemente utilizzati, farmaci antivirali se assunti nelle primissime ore dalla manifestazione eruttiva cutanea.

Nel caso si sia sviluppata una nevralgia post-erpetica, la cura che verrà somministrata sarà quella comune ad ogni altra tipo di nevralgia.

Verranno associate cure fisioterapiche mirate al disimbrigliamento del nervo nei suoi punti critici di passaggio, migliorandone la sintomatologia algica riflessa e le contratture associate.

L’herpes zoster (fuoco di Sant’ Antonio) è una patologia che mette a dura prova chi ne viene colpito, fortunatamente con le giuste cure e la tempestività dei trattamenti, si può limitarne gli effetti e la pericolosità.

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Displasia congenita dell’anca

Cos’è la displasia congenita dell’anca?

Displasia congenita anca 01La displasia congenita dell’anca (DCA) conosciuta in alternativa  come “lussazione congenita dell’anca (LCA)”, è una patologia che riguarda l’articolazione coxo-femorale sia nella conformazione e sia nel posizionamento della testa del femore rispetto all’acetabolo.

Le classificazioni

La lussazione congenita dell’anca, ha diverse classificazioni a seconda di come evolve la dislocazione della testa del femore e dei rapporti anatomici che si vengono ad instaurare:

  1. displasia dove si evince un acetabolo ovalizzato
  2. sublussazione della testa del femore dove si ha una perdita parziale dei normali rapporti anatomici tra i due capi articolari
  3. lussazione dove si ha una perdita totale dei normali rapporti anatomici tra i due capi articolari
  4. lussazione e formazione di un neo-acetatolo, ovvero l’osso esterno del bacino (iliaco), al di sopra dell’articolazione, si modifica creando una nicchia che ospita la testa del femore in maniera impropria.

Displasia congenita anca 02

Quando si manifesta?

La patologia displasica si attiva già nel periodo fetale e può manifestarsi su una singola anca oppure, in percentuale ridotta mediamente al 30-35%, su entrambe le anche.

La popolazione femminile è maggiormente colpita rispetto ai maschietti e si riscontra una familiarità patologica.

Displasia congenita anca 03Nella displasia congenita dell’anca troviamo una serie di alterazione che riguardano varie strutture anatomiche:

  • cartilagini
  • osso
  • capsule articolari
  • legamenti
  • muscoli
  • tendini
  • tessuti fasciali
  • tessuto adiposo.

Le alterazioni strutturali sono sicuramente le più importanti, perché da lì avremo gli adattamenti di tutte le restanti strutture anatomiche, che compenseranno nel miglior modo possibile, senza però arrivare mai ad una stabilità ottimale dello stato di salute dell’articolazione.

Per alterazioni strutturali intendo:

  • ipoplasia dell’acetabolo
  • un solco migratorio della testa del femore sull’ala iliaca esterna del bacino
  • la formazione atipica di un neo-acetabolo alla fine del solco migratorio iliaco, dove si stabilizzerà la testa del femore, creando una falsa articolazione adattativa
  • alterazione della testa, del collo e dell’angolo femorale.

Cause e sintomi della displasia congenita dell’anca

Cause

Displasia congenita anca 04Le cause che possono innescare la displasia congenita dell’anca sono diverse:

  • ereditarietà che si manifesta con percentuali diverse a seconda del diretto corrispettivo con genitori o fratelli
  • riduzione della resistenza della cavità acetabolare, ovviamente a maggior impronta cartilaginea nei primissimi periodi di vita e sviluppo
  • lassità capsulo-legamentosa, che permette il dislocamento della testa del femore fuori dall’asse articolare
  • la posizione del feto nel periodo di sviluppo e il rapporto di volume-spazio occupato soprattutto negli ultimissimi mesi, che potrebbe portare il nascituro ad assumere degli atteggiamenti sbagliati e innaturali con l’anca.

Sintomi

I sintomi che si manifestano nella lussazione congenita dell’anca sono diversi a seconda del grado di displasia e in relazione all’età della comparsa manifesta nel soggetto affetto.

Nella fase neonatale si individua uno scatto ed un’anomalo movimento, che viene riscontrato e riprodotto tramite due test specifici:

  • manovra di Ortolani
  • manovra di Barlow.

La coscia tende ad essere maggiormente in extrarotazione nella posizione di riposo e l’arto displasico è risalito, risultando erroneamente più corto.

I movimenti di apertura della coscia possono risultare ridotti.

Displasia congenita anca bambiniNello sviluppo dei bambini, in particolare modo nella conquista della posizione bipodalica e nello sviluppo della deambulazione, si può manifestare un ritardo di entrambe le fasi.

Non è raro notare uno stato anomalo di tensione muscolare, se non addirittura di contrattura di alcuni e uno stato di ipotonicità di altri.

Nel corso degli anni si instaureranno compensi di postura sia a livello della colonna vertebrale, sia nel ginocchio, com’anche nell’appoggio del piede a terra in fase statica e dinamica.

Sarà inevitabile veder sviluppare un’artrosi precoce della testa del femore e della zona articolare che la contiene.

Come si diagnostica una displasia congenita dell’anca?

Manovre Ortolani BarlowCome prima frase, nei giorni di degenza ospedaliera del bambino dopo il parto, durante i controlli pediatrici, vengono eseguite le manovre di Ortolani e/o di Barlow, che metteranno in allerta i sanitari, nel qual caso risultino positive.

Gli esami ecografici sono fondamentali e vanno effettuati tra la 6° e la 12° settimana di vita del bambino.

L’ecografia permetterà di vedere lo stato di salute della zona articolare, le strutture cartilaginee pre-sviluppo osseo, lo stato in essere dei legamenti e delle capsule articolari.

Displasia congenita anca RXLe indagini radiografiche permettono di capire l’anatomia delle articolazioni coxo-femorali displasiche, non nel periodo post nascita e ne prima dello stadio di inizio deambulazione, perché la formazione ossea sarebbe minima e quindi troppo poco valutabile.

L’RX diventa un ottimo esame diagnostico nel momento in cui l’osso è sufficientemente o totalmente formato, permettendo di valutare sia la posizione dei capi articolari, sia la deformazione articolare, sia la presenza della neo-articolazione.

La terapia della displasia congenita dell’anca

La terapia varia in maniera significativa a seconda di quanto si sia stati tempestivi nel diagnosticare e nell’affrontare la patologia displasica.

La fase neonatale

Displasia congenita anca tutore

Displasia congenita anca tutore

Nella fase neonatale si utilizza un tutore per centrare e mantenere nella posizione ottimale la testa del femore nell’acetabolo.

Fintanto che le strutture anatomiche, scaricate dalle trazioni muscolari e dalle forze di compressione, si sviluppino maggiormente e siano tra loro meglio contenenti.

Nel caso la terapia inizi in una fase di lussazione dell’anca, sarà necessario applicare una trazione prolungata in scarico che riporti la testa del femore in allineamento con l’acetabolo articolare.

Si andrà, poi, fare una manovra di riposizionamento e fissarla in correzione con apparecchio gessato o tutore.

I tempi saranno variabili in ogni sua fase a seconda della gravità della lussazione e in relazione allo stato di tensione e fibrosità dei tessuti molli.

Accrescimento e età adulta

Nel caso la patologia sia ormai conclamata e stabilizzata in un’età di accrescimento e sviluppo importante, non abbiamo modi efficaci per ristabilire la congruità dei capi articolari, se non sostituire l’articolazione con un’artroprotesi, impiantando quindi una nuova testa del femore e un nuovo acetabolo.

Visto che le protesi articolari hanno un tempo di durata abbastanza predefinito, generalmente si aspetta un’età adulta per impiantare la neo-articolazione.

Nel frattempo si utilizza la fisioterapia per diminuire al massimo i compensi articolari vertebrali e di carico degli arti inferiori, ristabilendo la miglior capacità funzionale delle catene muscolari, evitando contratture oppure ipotonicità.

Sarà necessario mantenere la miglior articolarità possibile concessa, per lasciare attivi i movimenti nei piani congrui biomeccanici.

artroprotesi ancaSpesso ci troveremo costretti a recuperare la dismetria tra i due arti, causata dalla dislocazione articolare, per mezzo di un rialzo, permettendo di mantenere almeno il miglior assetto vertebrale posturale possibile.

L’artroprotesi

Quando il paziente arriverà ad un’eta congrua per affrontare l’intervento di sostituzione articolare, una volta impiantata l’artroprotesi, si procederà ad un periodo di recupero riabilitativo.

In questa fase, sarà compito del fisioterapista andare a ristabilire l’articolarità della protesi, eliminare gli esiti chirurgici, quali edemi, cicatrici, ipotonie muscolari, scompensi posturali e biomeccanici.

A questo punto il paziente comincerà a vivere un nuovo periodo, libero dalle difficoltà articolari e dai dolori muscolari.

Deve tener presente che generalmente il complesso protesico messo prematuramente, deve portarlo a prestare attenzione per evitare un’usura precoce della neo-articolazione.

E’ indispensabile evitare di sottoporla a gesti che ne possano aumentare il carico oltremodo ed il rischio di lussazione.

La displasia congenita dell’anca non ci deve preoccupare soprattutto se presa nelle primissime fasi neonatali.

La diagnosi precoce diventa la miglior alleata a nostra disposizione, in caso contrario il percorso di cura sarà più lungo e tortuoso ma comunque possibile.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

Articolo presente anche su APA Institute

Morbo di Dupuytren

E’ una patologia a carico della mano, più precisamente riguardante la guaina del palmo della mano, che coinvolge a seguire i tendini dei flessori delle dita.

Possiamo tecnicamente definire il Morbo di Dupuytren come una fibromatosi palmare superficiale.

Tendini della manoL’ aponeurosi palmare superficiale è una guaina formata da tessuto connettivo e collagene, che si estende sopra i tendini dei muscoli flessori palmari delle dita, per proteggerli dalle compressioni durante la chiusura del pugno e per limitare gli attriti che si manifestano durante la presa della mano.

Oltre ad avere il compito di proteggere i tendini di cui sopra detto, l’aponeurosi palmare serve anche a migliorare lo scorrimento dei tendini stessi durante il movimento di chiusura ed apertura della mano e delle dita.


La classificazione

La classificazione del grado di patologia, nella maggior parte delle scale di valutazione, si compone di 4 punti, ed inquadrano il danno biologico e funzionale rispetto alla:

  • formazione di un nodulo senza limitazione funzionale
  • comparsa della retrazione del tendine che va ad inefficiare l’articolazione tra il metacarpo e la falange prossimale
  • estensione del danno anatomico alle articolazioni limitrofe
  • coinvolgimento dell’apparato muscolare, tendineo e capsulare, come danno da fibrotizzazione.

Per rendere maggiormente completa la classificazione nei 4 stadi, vengono sommati i gradi di perdita articolare delle varie articolazioni che compongono l’asse di movimento del dito, o delle dita, interessate dalla patologia.


I sintomi del Morbo di Dupuytren

Morbo di Dupuytren 03I sintomi del morbo di Dupuytren si manifestano con la comparsa di noduli palmari, che inizialmente sono dolenti alla palpazione, per poi perdere sensibilità con il passare del tempo.

Si associa la formazione di cordoni in relazione ai tendini, che aumentano il loro volume per la presenza di un edema sieroso profondo, diventando duri, retratti e ben palpabili.

Nell’evoluzione della patologia si ha una flessione delle dita, iniziando dall’articolazione metacarpo-falangea, per poi coinvolgere, in maniera minore, anche il resto delle articolazioni nelle loro estremità, fino a causare un irrigidimento delle dita stesse in flessione palmare, un’incapacità ad estendere le dita, fino ad arrivare ad un’anchilosi e alla possibile manifestazione di una neuroalgodistrofia.

Le dita che sono maggiormente colpite sono il mignolo, l’anulare e il medio.


Le cause

Attività manualiMa cosa causa questa patologia?

Verrebbe subito da pensare alla predisposizione data da alcuni tipi di lavori o da eventi traumatici, soprattutto micro traumi , ed effettivamente è cosi ma non solo.

Ci sono numerosi fattori di predisposizione quali:

  • patologie dismetaboliche epatiche e pancreatiche
  • uso prolungato di alcune tipologie di farmaci per la cura di patologie croniche
  • predisposizione genetica soprattutto su base familiare
  • abuso di alcool
  • tabagismo
  • traumi e micro traumi
  • alcune attività lavorative che prevedono l’utilizzo del pugno chiuso nella presa, che adoperano la forza nel serrare la mano e che vanno incontro a gesti ripetitivi e prolungati.

La diagnosi del Morbo di Dupuytren

La diagnosi viene fatta tramite un esame obiettivo, visivo, palpatorio e funzionale, dove si deve tener conto del tessuto palmare, della capacità dei tendini di allungarsi in maniera passiva e in maniera attiva tramite la contrazione dei muscoli estensori, della libertà o della rigidità articolare.

Morbo di Dupuytren 05Utile è l’esame ecografico che non serve tanto a confermare la presenza della malattia, ma ad indicare lo stato di degenerazione fibrotico dei tessuti e le possibili aderenze che si possano essere formate rispetto ai piani sottostanti.


Il trattamento

La terapia vede l’utilizzo di varie strade, che hanno la miglior interazione in base allo stadio in cui si affronta la patologia.

Nel campo della farmacologia l’utilizzo di antinfiammatori non ha la massima efficacia, anche se quelli della categoria steroidea, nel breve termine, ha dei risultati migliori.

Molto più efficaci sono le infiltrazioni di collagene, o le applicazioni di ozonoterapia, capaci di migliorare il trofismo dei tessuti e ridare uno slancio biologico tanto all’aponeurosi palmare, quanto alle strutture tendinee e capsulari.

Chirurgia della manoLa chirurgia prevede l’incisione dell’aponeurosi palmare, aponeurectomia se fatta con accesso classico, o aponeurotomia se fatta in percutanea, per liberare le restrizioni aponeurotiche e le aderenze rispetto ai tessuti tendinei sottostanti.

L’atto chirurgico viene effettuato quando il grado di patologia, rischia di creare un’anchilosi delle articolazioni in maniera irreparabile e nel momento in cui nessuna terapia precedentemente effettuata, abbia dato beneficio e miglioramento costante.


La fisioterapia e l’osteopatia

Morbo di Dupuytren 07La fisioterapia e l’osteopatia sono di fondamentale importanza in ogni fase dalla patologia.

La riabilitazione fisioterapica è importantissima per il recupero di un’eventuale fase post chirurgica.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno la possibilità di ridurre e drenare l’edema che si manifesta nel tessuto aponeurotico, ed evitare la retrazione della fascia palmare stessa, recuperandone l’elasticità e disimbrigliando i tendini e le capsule articolari dalle possibili aderenze che vengono a presentarsi nell’evoluzione della patologia.

Hanno il compito e l’obiettivo di mantenere e recuperare l’articolarità delle dita della mano e di ristabilire un buon equilibrio di movimento tra la mano, il polso, l’avambraccio e la spalla.

Morbo di Dupuytren 08Nella riabilitazione post operatoria invece, il compito della fisioterapia sarà quello di recuperare il trofismo cutaneo della cicatrice chirurgica, di evitare le aderenze di quest’ultima e di recuperare l’articolarità dell’anchilosi che si  è venuta a formare nel distretto metacarpo falangeo e nel polso, durante l’evoluzione della patologia.

Sarà fondamentale ridare trofismo ai tendini, alle capsule articolari e disimbrigliare i nervi periferici che irradiano i messaggi sensitivi e muscolari nel distretto della mano.

Importantissimo sarà ridurre l’edema linfatico e vascolare venoso della mano, che inevitabilmente si formerà nel post operatorio, per evitare gli effetti nefasti della stasi e del deposito dei cataboliti.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Dorsalgia

Dorsalgia-01La dorsalgia è un dolore nella zona centrale della colonna vertebrale, ovvero del segmento che va dai trapezi medi fino alla fine della gabbia toracica.

Viene comunemente distinta come il dolore della zona interscapolare, perché di tutto il segmento dorsale, è quello maggiormente posto sotto stress, ma sarebbe riduttivo associarlo solamente a quel tratto.

Il segmento dorsale o toracico, è una porzione della colonna vertebrale, che unisce la zona cervicale e quella lombare.

È composta da 12 vertebre, inframezzate dai dischi intervertebrali e alle quali si agganciano le 12 paia di costole, creando insieme allo sterno, la gabbia toracica.

Dorsalgia-02La gabbia toracica ha rapporti con lo stretto toracico superiore, con il muscolo diaframma, con il cuore, con i polmoni, con l’esofago, con l’aorta toracica, con una porzione del fegato e dello stomaco, con gli angoli colici, con la milza e vede affacciarsi i poli superiori dei reni e le ghiandole surrenali.

Non va dimenticato che le articolazioni costo-vertebrali anteriori hanno una rapporto diretto con la catena gangliare neurologica autonoma ortosimpatica, mentre il canale vertebrale contiene il midollo con i nuclei inerenti.

Pertanto possiamo dire che il tratto vertebrale di cui parliamo oggi ha un’enorme rapporto con la vita neurologica autonoma delle relazioni vascolari, respiratorie, viscerali, muscolari.

La postura della persona vede il segmento toracico come un punto di equilibrio e di coordinamento delle lordosi cervicali e lombari.

La zona dorsale ha il compito di sostenere i movimenti dei segmenti a monte e a valle, distribuendo i carichi di linee di forze nei 3 piani dello spazio, ovvero in flessione ed estensione, in rotazione ed in inclinazione laterale.

Ciò sta a significare che il dorso deve essere sufficientemente mobile, ma allo stesso tempo garantire una stabilità di sostegno alla gabbia toracica, agli organi in esso contenuti e alle lordosi cervicali e lombari.

Queste considerazioni sono valide sia nella posizione eretta e sia nel posture da seduto.

Le cause

Alla domanda su quali fattori possano manifestare il dolore della zona dorsale, vien da se capire che le cause possono essere tante e inquadratili su molteplici aspetti.

Cerchiamo di capirli insieme:

  • artrosi delle faccette articolari
  • discopatia degenerativa
  • ernia discale
  • chiusura dei forami di coniugazione
  • ernia intraspongiosa
  • compressione vertebrale
  • ipercifosi
  • scoliosi
  • disequilibrio respiratorio diaframmatico e dei muscoli accessori respiratori intercostali
  • osteoporosi con esiti lesionali vertebrali
  • fratture da compressione
  • nevrite segmentaria
  • innervazione riflessa viscerale

Dorsalgia-03Come notiamo le cause che innescano il dolore dorsale sono svariate e per semplificarle  le possiamo racchiudere in un capitolo osseo, un capitolo discale, un capitolo neurologico, un capitolo posturale, un capitolo respiratorio e uno viscerale.

I sintomi

I sintomi della dorsalgia si manifestano nella zona di mezzo della colonna vertebrale, ovvero dalle spalle fino alla fine del costato, generalmente si concentrano nella zona tra le scapole e possono essere centrali oppure decentrati nella parte destra o sinistra, con un dolore puntiforme o irradiato.

Quando il sintomo è scaturito da un problema di postura, generalmente la posizione di anteriorizzazione acuisce il dolore, mentre l’estensione dorsale da una sensazione  paragonabile al bruciore che genera un sollievo nell’immediatezza, per poi trasformarsi in una riduzione della forza nel mantenere le spalle aperte fino a dare una percezione di contrattura muscolare e di dolore latente.

Dorsalgia-04Spesso si può associare un’ acutizzazione durante un atto inspiratorio profondo se il problema è puramente a carico della zona vertebrale, oppure ad un atto inspiratorio minimo se il problema è causato dall’aggancio della costola rispetto alla vertebra inerente.

La sintomatologia nocicettiva si può acuire da fermo, durante il movimento, o può essere presente in entrambi i casi.

Se il dolore è causato da un collegamento viscerale (fegato, stomaco, milza, pancreas, polmone, cuore, esofago, angolo colico), si manifesta un malessere generale di organo a cui si associa un dolore di riferimento, su precise mappe dermatomeriche della zona dorsale, quasi sempre decentrate, come un cono d’ombra del viscere di rappresentanza.

Nel caso di una dorsalgia di provenienza neurovegetativa, la zona di interesse midollare vertebrale viene attivata anche da movimenti o compressioni, con origine lontano dalla zona del dolore dorsale.

La diagnosi

Nella diagnosi è importante fare un’ analisi postulare, per accertarsi se il carico vertebrale sia corretto, o esagerato nel caso sia presente un’ ipercifosi o una scoliosi rigida e strutturata.

L’esame clinico permette di valutare la mobilità e l’esacerbazione del dolore durante la richiesta di movimento attivo e passivo nei 3 piani dello spazio.

Dorsalgia-05Fondamentale è il supporto di indagini diagnostiche come sostegno alla diagnosi:

  • RX colonna nelle proiezioni sagittali e frontali che possono essere richieste sia in carico che in fuori carico
  • RM dorsale per valutare lo stato anatomico delle strutture discali e radicolari del segmento e quindi indagare la presenza di un’ eventuale ernia discale e la compromissione delle radici nervose
  • TC dorsale per valutare la presenza di lesioni della struttura vertebrale o per studiare la grandezza del canale midollare e la conformazione delle faccette articolari.
  • MOC per apprezzare lo stato di salute dell’osso, rispetto alla massa cellulare che lo compone e l’eventuale rischio di frattura nel caso sia presente l’osteoporosi.Dorsalgia-06
  • RX MORFOLOGICA per analizzare il rapporto volumetrico vertebrale rispetto all’intero segmento nella percentuale destinata alla singola vertebra.

Il trattamento

Il trattamento vede la possibilità di agire su più fronti.

A livello farmacologico saranno usati antinfiammatori, ai quali si possono associare dei miorilassanti, in maniera da ridurre il tono muscolare, limitare le contratture e lo stato di tensione locale.

Gli analgesici possono essere molto utili per ridurre il circolo del dolore e le sue conseguenze sul movimento, sulla postura, sulla forza e sulla resistenza.

Sarà importante affrontare una cura farmacologica e delle indicazioni di gestione, nel caso sia presente un quadro osteoporotico.

Dorsalgia-07 La fisioterapia e l’osteopatia sono di fondamentale importanza per ristabilire i giusti assetti vertebrali sia a livello locale, sia nell’inquadramento generale della postura , combattendo eventualmente la presenza di ipercifosi, cosi come la presenza di un dorso piatto, contrastando una scoliosi, la quale nel caso non fosse più corregibile, bisognerà almeno evitare che si irrigidisca.

Dorsalgia-08Di grandissima utilità sarà riequilibrare il meccanismo respiratorio, migliorando le sinergie tra il diaframma, i muscoli accessori della respirazione, l’elasticità della gabbia toracica e dell’addome.

E’ importante analizzare e correggere le malposizioni locali vertebrali e il loro cattivo funzionamento, rilanciando il movimento e migliorandone l’ articolarità.

Sarà necessario decomprimere la zona dorsale, ove richiesto, per migliorare lo scorrimento e il contenimento stesso delle strutture neurologiche, sia midollari che radicolari.

Dorsalgia-09Nel caso di un coinvolgimento viscerale, ove fossimo di fronte ad una riduzione della sua mobilità o di aderenze, sarà possibile utilizzare delle manovre manuali, tali da migliore il movimento sia passivo che autonomo.

Dorsalgia-10Non è da sottovalutare la possibilità di adoperare un busto di supporto, variandone l’utilizzo sia per numero di ore da indossare nella giornata, sia per la rigidità di sostegno e di scarico che si vuole conferire alla colonna vertebrale.

La chirurgia alle volte si rende necessaria, nel momento in cui ci siano patologie anatomiche non più gestibili e pericolose, a carico del canale midollare, dei forami di coniugazione e del disco intervertebrale.

Nel caso la colonna ceda sotto il suo stesso peso, impossibilitata a mantenere una postura accettatile, prendendo degli angoli di curva eccessivamente esagerati e quindi patologici a livello locale e globale, si potrà pensare di ricorrere ad una stabilizzazione vertebrale con staffe e viti, bloccate sulla colonna dei corpi vertebrali stessi.

Nella prevenzione delle patologie a carico del tratto dorsale, è fondamentale porre attenzione all’assetto vertebrale della postura, è importante evitare che ci sia una riduzione di mobilità e di funzione, cosi  com’è importante mantenere un tono muscolare capace di sostenere e di guidare la colonna vertebrale, pertanto fare un’attività fisica mirata e costante sarebbe di buon auspicio.

Nell’adoperarsi con i lavori da sforzo è utile saper gestire le attività mi maniera da alternare fatiche massime con lavori di minor impegno fisico, in maniera da evitare sovraccarichi e sforzi prolungati.

Anche l’alimentazione e le attività all’aria aperta possono esser un tassello della prevenzione, soprattutto in ottica osteoporosi e fragilità ossea.

Abbiamo analizzato gli aspetti più comuni della dorsalgia e come sempre, il saperne di più e acquistarne coscienza, ci permette di essere più vicini alla buona salute.