Articoli

Distorsione di caviglia

Distorsione_caviglia_01La distorsione di caviglia è comunemente indicata per identificare una perdita di congruenza articolare tra la porzione del collo del piede e i malleoli.

Tipi di distorsione di caviglia

Vengono identificate due tipologie distorsive di massima:

  • esterna (la più frequente)
  • interna (più rara)

In realtà per distorsione di caviglia si intende qualunque tipo di movimento che possa alterare i rapporti articolari nei 3 piani dello spazio, a scapito delle componenti legamentose, capsulari e muscolo-tendinee.

Chiaramente alcune tipologie di distorsioni saranno a carico esclusivo di eventi traumatici importanti, alle volte addirittura di tipo fratturativo, ed è per questo che la categoria di massima viene suddivisa in STORTA ESTERNA e STORTA INTERNA di caviglia.

Il Piede

Cerchiamo prima di capire a grandi linee come è composto il piede, la sua articolarità rispetto alla gamba e che funzione svolge.

Il piede è diviso in 3 grandi porzioni:

  • Retropiede (zona posteriore del piede)
  • Mesopiede (zona centrale del piede)
  • Avampiede (zona anteriore del piede)

Distorsione_caviglia_02Queste 3 zone servono a scaricare il peso del corpo a terra, ad ammortizzare il carico statico e dinamico per via degli archi plantari, a trasferire la meccanica deambulatoria consentendo la massima spinta durante il passo.

Il piede si deve articolare rispetto alla gamba per merito della giunzione articolare tra l’astragalo e la pinza malleolare.

L’astragalo è l’osso più alto della zona del retropiede.

La pinza malleolare è la porzione articolare formata dalla parte terminale distale dell’osso peroneale e da quella dell’osso tibiale.

Come ogni articolazione, anche quella tra l’astragalo e la pinza malleolare è protetta, contenuta e guidata da legamenti, capsula articolare e muscoli, soprattutto quelli brevi (corti), sia quelli lunghi con una relazione tendinea importante.

Le distorsioni di caviglia possono avvenire per vari motivi e sono molti i fattori che la predispongono.

I traumi hanno un ruolo determinante e infatti spesso l’attività sportiva diventa una causa primaria.

E’ vero però che anche la predisposizione genetica ad una lassità dei tessuti molli e ad una formazione di tessuto connettivo meno resistente, predispone la caviglia and un cedimento strutturale nei movimenti di lateralità e rotazione associati.

Fattore importante per la salvaguardia dell’articolazione è il tono muscolare capace di tenere salde ma mobili, le articolazioni della caviglia stessa e del mesopiede.

Distorsione_caviglia_03Fondamentale diventa il sistema propriocettivo articolare che comunica con il cervello la posizione e le accelerazioni delle articolazioni rispetto ai fattori spazio-tempo;

il messaggio si trasmette per via midollare e ha un doppio feedback, ovvero dà una relazione immediata riflessa muscolare e una di adattamento volontario.

Nella distorsione di caviglia, l’astragalo (osso del retropiede incastonato nella pinza malleolare) fa un movimento esagerato rispetto alla sua normale capacità, tanto da creare un’ allargamento dello spazio intermalleolare, creando quella che si chiama diastasi della pinza malleolare.

Distorsione_caviglia_04A seconda di quanto sia stato esagerato il movimento distorsivo, si possono creare dei danni alle strutture legamentose, andando da un semplice stiramento (elongazione), ad una lesione parziale o totale delle fibre che li costituiscono.

La capsula articolare va incontro a stiramento creando un’infiammazione intrarticolare che genera gonfiore.

La comparsa di tumefazione si ha nel momento in cui lo stiramento causa una lacerazione dei tessuti, favorendo la fuoriuscita di sangue, che si espande nei tessuti contigui, fino a quando il gonfiore stesso ne blocca la fuoriuscita per aumento della pressione.

La muscolatura inerente andrà in spasmo di contrattura per difesa dell’articolazione e per riflesso condizionato dal dolore.

Le articolazioni perdono congruità nei rapporti articolari diretti con le strutture perimetriche e indiretti con le articolazioni con cui condividono fulcri di movimento.

La storta acuta di caviglia è la più violenta, ma non di rado si rivolgono a noi pazienti che, anche senza eventi traumatici, lamentano distorsioni manifeste nella banalità dei movimenti quotidiani, come camminare o salire e scendere dei gradini.

Il problema della storta di caviglia è che la cronicizzazione della stessa, porta i tessuti a diventare lassi e a non supportare più il contenimento articolare necessario per avere il giusto sostegno e la giusta solidità nelle attività deambulatorie quotidiane.

Le distorsioni di caviglia sono classificabili in vari gradi a seconda del danno di stiramento o di lesione parziale o totale stella strutture legamentose fino a poter arrivare al danno fratturativo delle componenti ossee.

Distorsione_caviglia_05La diagnosi

La diagnosi prevede come sempre un esame clinico che si baserà sull’ispezione visiva alla ricerca di zone di gonfiore e di tumefazione, sulla ricerca dei punti di dolore nelle zone critiche a carico delle strutture legamentose, della capsula articolare, dei muscoli e dei loro relativi tendini.

Si faranno dei test clinici sulla stabilità articolare, sulla valutazione dei range di movimento e sulla presenza di lassità dei tessuti molli, fino alla stima di eventuali sublussazioni provocate.

A seguire saranno indicati esami diagnostici di tipo radiografico per vedere l’integrità delle parti ossee, scongiurando eventuali danni fratturativi.

Esame ecografico per valutare lo stato di salute dei tessuti molli, in particolare dei legamenti articolari.

La RM che studia l’integrità di tutte le strutture conviventi nell’ articolazione e per l’articolazione, in maniera da poterle valutare ad ampio raggio e in maniera minuziosa.

La cura

Distorsione_caviglia_06La cura nelle prime fasi dell’acuzia prevede l’immobilizzazione e lo scarico da terra dell’arto in questione, l’utilizzo di una benda compressiva elastica in modo da ridurre lo stravaso per aumento della pressione dall’esterno, l’applicazione di ghiaccio come antinfiammatorio.

La cura nelle fasi post acuzia pone l’ attenzione sulla diminuzione dello stato infiammatorio, sul drenaggio dell’edema e della tumefazione eventualmente presente.

Distorsione_caviglia_07Sarà necessario l’utilizzo di un tutore o di un bendaggio funzionale, la scelta cambia a seconda della gravità dell’evento distorsivo, per tenere a riposo l’articolazione e i suoi tessuti molli e favorirne l’eventuale cicatrizzazione.

Lo scarico dell’arto inferiore a terra potrà variare con l’utilizzo di una stampella o due, per un periodo mutevole a seconda dell’entità del danno.

Si comincerà da subito a lavorare sul mantenimento del tono muscolare con esercizi isometrici per non creare stress all’articolazione.

Si manterrà l’articolarità minima consentita per evitare l’irrigidimento articolare, ma prestando attenzione a non riprodurre i parametri che hanno innescato la distorsione e senza mettere in stress i tessuti molli danneggiati e precedentemente individuati per via delle indagini strumentali.

Distorsione_caviglia_08La cura nella cronicizzazione dell’instabillità, prevede il completo recupero articolare, il miglioramento massimo del tono trofismo muscolare, l’equilibrio delle catene muscolari, la ricerca di eventuali compensi articolari instauratisi nell’immediato.

Questi possono manifestarsi sia sul piede stesso e sulle volte plantari, cosi come nella zona metatarsale e sulla dinamica di spinta del primo dito del piede durante la fase del passo, fino ad arrivare a portare compensi nella zona del ginocchio, in particolare sul cavo popliteo, sulla zona meniscale, per i cambiamenti di asse e di meccanica che il ginocchio potrebbe manifestare, fino ad arrivare alla zona del bacino con la sinfisi pubica e con l’articolazione sacro iliaca, per poi trovare ulteriori possibilità di accomodamento instaurato sulla colonna vertebrale.

Recupero propriocettivo articolare mirato ad integrare lo stato di equilibrio della zona lesa insieme al potenziamento di quello dell’intero arto inferiore, del bacino e della cerniera lombo sacrale.

La chirurgia permette la riparazione del danno legamentoso nel caso in cui ci sia rottura totale e instabilità articolare severa manifesta.

Può procede anche all’utilizzo di mezzi di sintesi ossei nel momento in cui si presenti una frattura.

L’uso di terapie farmacologiche in fase di cronicizzazione non ha grosse indicazione perché il problema è maggiormente a carico della funzione da recuperare.

Come abbiamo potuto capire, la distorsione di caviglia è un evento traumatico molto delicato che va affrontato con cura e attenzione.

La fisioterapia e l’osteopatia la fanno da padrona per poter riportare l’articolazione coinvolta, ad uno stato di buona salute, evitando la ricaduta con recidivanti.

Recuperare e riattivare l’articolazione sarà un beneficio per la caviglia ma anche per tutto il resto del corpo!

Aracnoidite

Con il termine di aracnoidite si descrive uno stato di infiammazione del tessuto aracnoideo che avvolge le strutture neurologiche quali il cervello e il midollo spinale.

aracnoidite infiammazioneAnatomia

L’aracnoide è una struttura che fa parte delle meningi e si interpone tra altri due foglietti meningei, individuati nella dura madre e nella pia madre.

L’aracnoide e la pia madre sono tra loro in stretta relazione perché connesse tramite tessuto connettivo e per tale motivo possono essere chiamate in maniera unitaria con il nome di leptomeningi.

L’aracnoide e con essa il sistema dei foglietti meningei, tappezzano la parte interna tanto della scatola cranica, tanto del canale vertebrale.

Tra l’aracnoide e la pia madre si crea uno spazio, chiamato spazio subaracnoideo, dove vi è contenuto il liquido cefalo-rachideo.

L’aracnoide è formata da tessuto connettivo fibroso ricco di collagene ed elastina ed è scarsamente vascolarizzata ed innervata.

aracnoidite anatomiaL’aracnoidite è una patologia con tendenza alla cronicizzazione; non se ne ha un’origine eziologica sufficientemente chiara e proprio per questo è difficile associarne una cura mirata.

Sono pochi i casi in cui l’aracnoidite coinvolge la porzione cerebrale e midollare; nella stragrande maggioranza delle volte la porzione maggiormente interessata è la radice spinale nel tratto intravertebrale/foraminale.

L’aracnoidite si forma per delle risposte infiammatorie che scatenano reazioni edematose nelle radici spinali, le quali possono evolvere se non bloccate per tempo, in un’alterazione del tessuto radicolare stesso, apportando danni alle cellule e mutandone le loro conformazioni.

L’aracnoidite può addirittura ostacolare la normale circolazione del liquido cefalo-rachideo, causando dolori vertebrali e cefalee.

L’aracnoidite adesiva è la forma più complessa, può avere un’ulteriore evoluzione nell’aracnoidite ossificante, mettendo il paziente a rischio di gravi disabilità.

ARACNOIDITE 2I sintomi della aracnoidite

I sintomi sono legati alla formazione di tessuto cicatriziale e di aderenze secondarie, che possono sfociare in forme sopra accennate di aracnoiditi adesive, a carico dei nervi contenuti nel canale vertebrale.

Questo comporta la comparsa di nevriti irritative/compressive e ancor peggio di deficit neurologici.

Tra i sintomi neurologici legati alla sensibilità, troviamo la comparsa di parestesie, sensazione di caldo, di freddo, formicolii, dolore pungente, dolore urente, percezioni vibratorie cutanee superficiali e profonde.

A livello motorio, il paziente può lamentare alterazioni del tono
muscolare, con riduzione della forza e della resistenza alla richiesta di contrazione di un muscolo specifico o di una catena muscolare, finanche ad arrivare ad un danno di funzione del sistema propriocettivo di controllo e coordinamento.

aracnoidite 3Possono manifestarsi delle contratture antalgiche riflesse e delle alterazione nella risposta dei R.O.T (riflessi osteo- tendinei).

Il tutto si traduce in una difficoltà nel compiere gesti banali di attività quotidiana, arrivando persino a non riuscire a mantenere un corretto assetto vertebrale nelle posture erette e sedute.

Se l’aracnoidite coinvolge non solamente le strutture
neurologiche radicolari ma anche il midollo vertebrale, si possono manifestare delle disfunzioni gravi dei sistemi viscerali di funzionamento, perdendo la funzione di equilibrio dei sistemi attivanti e di controllo neurovegetativi, comportando dei non feedback nei riflessi corti viscerali e in quelli viscero somatici.

Le cause

causeLe cause che possono portare all’aracnoidite non sono ben chiare, in alcuni casi si può affermare che l’eziologia è sconosciuta e possono variare con una multifattorialità che spazia da:

  • reazioni avverse all’introduzione erronea di farmaci per via diretta, anziché nello spazio epidurale, alla porzione più intima delle leptomeningi
  • nella somministrazione di mezzi di contrasto come nella mielografia
  • alla presenza di virus e batteri, introdotti attraverso il circolo ematico o in ambienti non perfettamente sterili durante interventi di chirurgia vertebrale
    come conseguenza di ernie discali cronicizzate e dal nucleo erniato disidratato e indurito
  • come conseguenza della stenotizzazione del canale vertebrale, soprattutto se a carico dei tessuti molli anziché osteo-articolari
    per la presenza di emorragie non tempestivamente tamponate e drenante.

Diagnosi della aracnoidite

aracnoidite anamnesiPer diagnosticare l’aracnoidite è fondamentale procedere con un’attenta anamnesi, capace di individuare la storia clinica del paziente, inquadrandola sia sotto un aspetto sintomatologico e sia nello storico di eventi patologici, di cure e somministrazioni farmacologiche effettuate e di eventuali interventi chirurgici subiti.

I test clinici saranno di grande importanza per evidenziare segni di nevrite periferica o centrale, in relazione ai movimenti indotti e richiesti ed ai riflessi condizionati stimolati.

L’elettroneurografia può essere un esame di valido supporto nel rilevare sindromi neurologiche periferiche irritative.

Nel caso si voglia valutare la presenza di ossificazioni aracnoidee, l’esame maggiormente indicato sarà la TC, perché è in grado di studiare con maggior attenzione la presenza di calcificazioni e/o addensamenti sensibili alle radiazioni.

L’RM con contrasto può essere un supporto diagnostico importante nello studio del segmento vertebrale in rapporto ai tessuti neurologici contenuti.

Come trattare l’aracnoidite

ChirurgiaIl trattamento dell’aracnoidite non ha ad oggi un protocollo terapeutico comprovato, pertanto si tende ad assistere il paziente riducendo i sintomi, recuperando ed ottimizzando le funzioni residue nelle attività di vita quotidiana, lavorando sulla propriocettività e sull’adattamento posturale.

Diventa importante studiare degli ausili che possano concorre nell’efficienza del paziente allo svolgere delle proprie attività, senza incrementare i sintomi caratteristici della patologia.

L’intervento chirurgico di disimbrigliamento del sistema nervoso coinvolto nell’aracnoidite, non sempre è possibile e qualora sia applicabile, non assicura un miglioramento stabile nel tempo.

L’aracnoidite è una patologia importante che può arrecare danni considerevoli alla salute del paziente, proprio per questo all’insorgere dei primi sintomi ci si deve rivolgere allo specialista di riferimento, per bloccare il processo infiammatorio ed edematoso.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l!articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Ernia iatale e reflusso gastro esofageo

Anatomia

L’ ernia iatale è una traslazione di una porzione dello stomaco dalla cavità addominale verso la cavità toracica, il tutto attraversando un punto anatomico ben preciso, che si chiama iato esofageo.

Ernia Iatale_01Lo iato esofageo si posiziona sul diaframma e stabilisce l’unione tra l’esofago e lo stomaco.

Spesso all’ernia iatale si può associare il reflusso gastro esofageo, va sottolineato però che è una probabilità e non una costante causa effetto dell’ernia iatale stessa.

Ernia Iatale_02L’ ernia iatale è classificata principalmente in tre categorie:

  • ernia iatale da scivolamento
  • ernia iatale da rotolamento
  • ernia iatale mista.

Andiamo ad analizzarle insieme.

L’ ernia iatale da scivolamento e sicuramente la più diffusa, non è permanente, risultando in alcuni casi transitoria per posizione e volume.

C’è uno scivolamento della parte alta dello stomaco nel torace e spesso si sposta dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto a seconda del tipo di sforzo compiuto o di posizione che il paziente assume.

Ernia Iatale_03L’ ernia iatale da rotolamento vede la porzione superiore della grande curvatura dello stomaco fare una rotazione e un rotolamento portando la giunzione gastroesofagea, dalla zona addominale verso la cavità toracica, una porzione del fondo dello stomaco quindi passerà nel torace.

E’ un’ernia molto più stabile perché si incarcera passando il diaframma all’interno del torace stesso.

Nell’ernia iatale mista troviamo un’unione delle componenti delle due ernie viste prima, quindi avremo sia il fondo dello stomaco che rotola dalla parte addominale verso la cavità toracica e sia la giunzione gastro esofagea che migra all’interno del torace.

Fattori di rischio

Le cause primarie dell’ernia iatale sono alterazioni di pressione addominale, alterazione dell’equilibrio delle pressioni tra torace e addome, obesità, gravidanze, lassità del tessuto connettivo, scarsità del tessuto collagene , colpi di tosse, sforzi addominali intensi, prolungati o improvvisi, fumo di sigaretta, alterazione del rapporto idratativo, alimenti che aumentano i fattori ossidativi, cure farmacologiche e non che possono alterare la qualità dei tessuti.

Sintomi

L’ ernia iatale può essere asintomatica ma nel momento in cui non lo fosse, i sintomi possono includere vari campi di manifestazione.

Ernia Iatale_04Per un’ernia iatale sintomatica possiamo trovare un reflusso gastro esofageo come prima accennato, può manifestarsi una pirosi ovvero un dolore urente retrosternale, possiamo trovare delle manifestazioni di rigurgito ed eruttazione, delle forme di extrasistole quindi un un battito cardiaco prematuro e possiamo trovare una condizione di disfagia ovvero la sensazione sgradevole durante la deglutizione di passaggio difficoltoso del cibo dalla faringe, condizione definita di bolo faringeo.

Nei casi dove l’ernia iatale sia molto grande, si possono manifestare delle difficoltà respiratorie dovute al cambiamento del movimento diaframmatico nell’atto inspiratorio ed espiratorio.

In alcune casi può comparire l’asma dove la restrizione bronchiale è data dagli acidi gastrici che risalgono nella porzione alta del torace e della gola, venendo poi inalati nelle vie aeree e creando infiammazione bronchiale.

Ci può essere anche un’irritazione della gola e un’ irritazione delle corde vocali con un abbassamento e/o un cambiamento del tono della voce stessa.

Si può verificare una reazione infiammatoria della faringe e della laringe.

Si può presentare una modificazione delle cellule dell’esofago creando delle metaplasie ovvero dei cambiamenti cellulari reversibili denominati epitelio di Barret o esofago di Barret.

Ernia Iatale_05Abbiamo quindi capito che molti di questi sintomi sono causati dal passaggio di acido gastrico nell’esofago per la cattiva continenza dello iato esofageo stesso, per un rapporto anatomico alterato tra il diaframma e i suoi pilastri, lo stomaco, l’esofago e il cattivo rapporto del punto di inversione delle pressioni.

Diagnosi

Per la diagnosi sono varie le strade:

  • Ernia Iatale_06RX con il mezzo di contrasto per lo studio del tratto superiore del tubo digerente.
    Il problema di questa tecnica diagnostica è che non sarà possibile analizzare il cambiamento di cellule ne il prelievo delle stesse, non sarà possibile valutare la tridimensionalità dell’ernia iatale e non ultimo, l’utilizzo del mezzo di contrasto.
  • Ernia Iatale_07Gastroscopia il cui vantaggio è quello di catalogare da subito
    il tipo di ernia iatale individuata.
    Permette di prelevare pezzetti di tessuto per analizzarli nel caso in cui si noti una conformazione atomo biologica modificata e potenzialmente patologica.
    Anche l’utilità di controllare lo stato dell’esofago ed un potenziale danno cellulare prodotto dall’ eventuale presenza di reflusso gastro esofageo.

Trattamento.

Il trattamento si svolge su più fronti:

  • Farmacologico, sono varie le categorie di farmaci che vengono utilizzati per ridurre l’effetto dell’ acidità gastrica.
    Si usano antiacidi di barriera che inibiscono la secrezione gastrica così come si possono utilizzare farmaci che favoriscono lo svuotamento gastrico quindi il passaggio dell’acido gastrico dallo stomaco verso il duodeno.
  • La cura dell’alimentazione mirerà a ridurre le calorie, i grassi, l’alcol e tutte quelle sostanze che aumentano e favoriscono l’acidità dello stomaco.
  • Ernia Iatale_08Postura. Sarà importante durante il riposo nelle ore notturne o più in generale nella posizione sdraiata, mettere un cuneo che vada a rialzare la parte della cervicale e del torace in modo da non favorire il ritorno degli acidi gastrici verso le vie toraciche superiori.
    Le posture, sia in posizione eretta che in quella seduta, devono evitare di volgere verso l’accentuazione della cifosi, perché la chiusura in avanti della colonna vertebrale, favorirà l’ernia iatale nella sua evoluzione.
  • Ernia Iatale_09Trattamenti manipolativi che mirano a migliorare e coordinare il movimento tra il diaframma, il torace e l’addome, aggiustandone tra di loro sia la cinetica che il rapporto di pressione.
    Va da sé che per fare questo bisognerà ottimizzare la postura tra le catene anteriori e le catene posteriori e il meccanismo di equilibrio delle meccaniche respiratorie.
  • Intervento chirurgico. Nei casi dove ci sia pericolo eccessivo e massivo del paziente, li dove nessun altro trattamento mostra un’efficacia nel tempo e nella cura, la chirurgia può essere l’unica alternativa.
    Gli interventi oggi utilizzati sono di vario genere:
    Riportare l’ernia nella cavità addominale, liberare il fondo dello stomaco nei rapporti di contiguità, eseguire una plastica dei pilastri diaframmatici, mettere in opera una plastica antireflusso con varie tecniche adattabili nel migliore dei modi alla conformazione dei pazienti.

 

Epicondilite e epitrocleite

La bella stagione e la ripresa dell’attività sportiva porta spesso con se il riaffacciarsi di fastidi e patologie legate al movimento. Tra queste, per tutti gli amanti del tennis, golf e sempre di più del padel, troviamo l’epicondilite e l’epitrocleite.

Definizione di epicondilite e epitrocleite

L’epicondilite e l’epitrocleite sono patologie ortopediche di tipo infiammatorio, a carico di due gruppi muscolari importanti dell’avambraccio impegnati nel triplice rapporto tra il segmento mano, avambraccio, braccio.

Epicondilite e epitrocleite06Le epicondiliti sono notoriamente conosciute come gomito del tennista e le epitrocleiti come gomito del golfista.

Le patologie infiammatorie sono a carico della struttura tendinea o in relazione alla giunzione muscolare o in relazione alla giunzione ossea, nei casi più gravi addirittura ad entrambe.

Il dolore si manifesta lateralmente al gomito nell’epicondilite e medialmente al gomito nell’ epitrocleite.

Epicondilite e epitrocleite 05Non di rado questi dolori si irradiano distalmente andando verso il polso, nei casi più seri si può associare l’ interessamento di una o più dita della mano ed alterazione della sensibilità e della dolorabilità.

Le cause

Le cause che sviluppano epicondiliti ed epitrocleiti sono molte ma le più frequenti sono dovute ad alterazione della postura dell’arto superiore.

Per postura dell’arto superiore si intende la relazione tra la spalla il gomito il polso e la mano nei tre pani dello spazio, spesso con conflitto dorso-cervicale associato.

La spalla e la scapola devono orientare l’arto superiore, il gomito deve adattare il movimento e il polso e la mano sono effettrici del movimento fine e calibrato.

Il braccio e l’avambraccio devono essere in equilibrio rispetto a un piano di rotazione interno ed esterno.

La postura diventa importante per poter far si che l’equilibrio dei muscoli intrarotatori ed extrarotatori del braccio e pronatori e supinatori dell’avambraccio possano fare un lavoro in sincrono.

Epicondilite e epitrocleite 04Anche la flessione e l’estensione del polso diventa fondamentale per poter utilizzare al meglio la muscolatura e l’articolarità dell’avambraccio e quindi del gomito, senza dimenticare che anche la mano gioca su un equilibrio di archi come fosse il piede con la volta plantare, per poter creare un accomodamento nella presa degli oggetti e nell’adattare la mano e le dita alla presa.

Epicondilite e epitrocleite 03Se solo pensiamo e notiamo la postura mantenuta nel stare seduti ad una scrivania, lavorando con il mouse e la tastiera del computer, noteremo che la posizione del soggetto sarà squilibrata verso la rotazione interna e la flessione.

I muscoli ad inserzione epitrocleidea sono flessori e pronatori, i muscoli ad inserzione epicondiloidea sono estensori e supinatori.

È altresì vero che insieme agli squilibri muscolari statici e dinamici, queste patologie infiammatorie possono essere innescate anche da traumi e microtraumi ripetuti manifesti anche sotto forma di vibrazioni profonde e continue, errori di impugnatura (per grandezza e peso) con associata prensione prolungata.

Non è raro trovare associati segni neurologici periferici sia di tipo parestetico, con alterazione della sensibilità, sia di tipo motorio con riduzione della forza e della resistenza muscolare.

Questo può avvenire dopo tempo dall’insorgenza della patologia ortopedica a causa del condizionamento del tessuto neurologico implicato per rapporto di vicinanza.

La diagnosi dell’ epicondilite e epitrocleite

La diagnosi principale viene fatta con esame ecografico, ma non di rado vengono effettuate radiografie per esaminare eventuali calcificazioni insorte o di risonanze magnetiche per lo studio dei tessuti molli, capsule articolari, legamenti, tendini e muscoli nel dettaglio.

Epicondilite e epitrocleite 02È fondamentale condurre un buon test biomeccanico-clinico per capire dove le strutture siamo squilibrate nel trasferimento del movimento tridimensionale tra la spalla il gomito e la mano.

Il trattamento

La terapia deve mirare a ridurre in tempi rapidi l’infiammazione utilizzando le varianti possibili a disposizione, ghiaccio, riposo, farmaci, infiltrazioni, terapie fisiche.

Epicondilite e epitrocleite 01Passata la fase acuta è importante rimuovere la causa, posture errate, sollecitazioni meccaniche, effetti vibratori esterni, sovraccarichi, costrizioni, cattive impugnature etc.

Nei casi più estremi si può arrivare alla chirurgia con intenti diversi a seconda del tipo di intervento pensato e attuato sul paziente.

Sarà cura dello specialista poi ristabilire il giusto equilibrio delle aree articolari e dei tessuti muscolo-tendinei nella loro corretto rapporto di movimento, elasticità e tonicita.

Non ultimo va indicata la giusta strada per poter prevenire il ripetersi di situazioni simili, mediante esercizi e attenzioni mirate alla giusta gestione del proprio fisico rispetto all’ ambiente di vita quotidiano.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Discopatia

Con il termine discopatia si indica in maniera aspecifica, un’alterazione degenerativa del disco intervertebrale.

Anatomia

Il disco intervertebrale è un’ammortizzatore naturale a forma di cuscinetto discoide, posto tra una vertebra e l’altra, che ha il compito di accompagnare il movimento della colonna vertebrale e allo stesso tempo di mitigare i carichi generati dalla forza di gravità, da una parte del peso corporeo, dai sovraccarichi esterni (come ad esempio borse, zaini etc.), dal modificarsi delle leve e dal cambiamento delle curve vertebrali.

Il disco intervertebrale è costituito da tessuto fibrocartilagineo ed è diviso in due macro strutture:

  • il nucleo polposo che ha una forma sferica ed ha un contenuto gelatinoso composto per circa l’80% di acqua e mucopolissacaridi.

Il nucleo polposo ha il compito di ammortizzare e dissipare i carichi vertebrali adattandosi alle forze compressive nei movimenti dinamici vertebrali e nell’adattamento posturale statico

  • l’anulus fibroso che è costituito da fibre proteiche con alta percentuale di collagene 1/2 e di condrociti.

È composto da anelli concentrici che si dispongono attorno al nucleo polposo con una disposizione crociata del tessuto.

L’anulus fibroso ha il compito di assecondare le traslazioni del nucleo, di assorbire e assecondare lo scarico vertebrale sul nucleo polposo e di contenere il movimento vertebrale insieme al compartimento capsulo-legamentoso.

Discopatia 02I dischi intervertebrali sviluppano un’altezza media pari a circa il 25% dell’altezza complessiva della colonna vertebrale, ma questo dato è variabile il base alla disidratazione, ovvero alla perdita di liquidi nel complesso discale durante l’arco della giornata e alla capacità di reidratazione degli stessi per effetto osmotico nel momento in cui la colonna è in posizione di scarico.

Va assolutamente detto che i dischi intervertebrali nel tempo perdono qualità viscoelastiche e la capacità di reidratarsi, sia per un processo di naturale invecchiamento, sia per la ripetizione di microtraumi, sovraccarichi e disfunzioni vertebrali.

Pertanto la discopatia è una condizione il più delle volte inevitabile nel proseguo dell’invecchiamento della persona, ma non è assolutamente detto che debba causare sintomatologia dolorose, mentre può essere una condizione predisponente a patologie vertebrali di varia natura.

Discopatia e…

Come dicevamo il termine discopatia è generico nella sua definizione ma con esso si può preannunciare una serie di problemi del disco ben identificabili……vediamoli insieme.

Discopatia 03Con il termine discopatia si può associare:

  • disidratazione discale con perdita di altezza del muro verticale
  • bulging discale
  • fissurazione discale
  • protusione discale
  • ernia discale
  • discite

Ognuna di queste condizioni può creare un’affezione patologica che difficilmente sarà isolata, ma si assocerà ad alterazione di tipo osteo-articolare, radicolare, neurologica, vascolare, muscolare, dando vita a quadri anatomopatologici ben più complessi.

Quindi che sintomi si possono associare ad una discopatia?

Un problema isolato discale può darmi una sintomatologia?

Il disco intervertebrale ha un’ innervazione sensitiva nelle porzioni più esterne dell’anulus fibroso, con una particolare attività nella zona postero laterale.

Discopatia 04Questa innervazione consente di recepire il dolore nel momento in cui la porzione anatomica sopra indicata dell’anulus fibroso, sia messa sotto stress meccanico-compressivo in maniera costante, o subisca un processo flogistico-infettivo come nella discite.

La discopatia può inoltre generare dolore in varie situazioni:

  • riduzione del lume di passaggio del forame di coniugazione, con impegno dell’uscita del nervo, nell’intersegmento tra una vertebra e l’altra e del suo pacchetto vascolare arterio-venoso
  • sovraccarico dei corpi vertebrali con possibilità di incorrere in un processo algodistrofico vertebrale di tipo MODIC
  • nevrite di passaggio tipo lombosciatalgia o cervicobrachialgia, per irritazione compressiva da erniazione del nucleo polposo
  • stenosi del canale vertebrale per erniazione del nucleo polposo con riduzione del lume del canale vertebrale
  • irritazione del compartimento articolare, per perdita della sinergia tra la biomeccanica vertebrale e l’accomodamento discale
  • contrattura muscolare come risultato di un riflesso antalgico nelle situazioni sopra annoverate.

Discopatia 05I dolori che si possono presentare in tutte queste situazioni, sono dolori che possono variare da una topografia localizzata, puntiforme o a fascia, fino ad irradiarsi sul dermatomero rispondente alla radice nervosa eventualmente coinvolta.

Nel caso il paziente soffra di sintomi legati alla stenotizzazione, potranno manifestarsi crampi muscolari associati a riduzione della forza e della resistenza durante le attività fisiche.

Come precedentemente scritto, le cause della discopatia sono da imputare al fatto che i dischi intervertebrali nel tempo, possano perdere qualità viscoelastiche e la capacità di reidratarsi, sia per un processo di invecchiamento, sia per la ripetizione di microtraumi, sovraccarichi e disfunzioni vertebrali.

Discopatia 06I dischi intervertebrali, hanno un ruolo importante nella biomeccanica vertebrale, perché non solo ammortizzano i carichi naturali e i sovraccarichi esterni, ma diventano dei veri e propri fulcri di movimento sia nei gesti singoli ,che in quelli combinati nei 3 piani dello spazio.

La cattiva sinergia vertebrale con un’alterazione delle curve di cifosi e lordosi, associata ad un’alterato rapporto di congruità tra il corpo vertebrale e le faccette articolari, è una delle cause primarie di degenerazione discale precoce e quindi di discopatia.

Come si fa una diagnosi di discopatia?

L’esame obiettivo è fondamentale per indagare sia la corretta mobilità vertebrale, che il giusto accomodamento delle curve vertebrali.

Sono molto importanti anche i test clinici che servono a far emergere segni d’impotenza funzionale e dolorabilità, a seconda delle condizioni patologiche che si associano alla dicopatia.

Fondamentali sono le indagini diagnostiche strumentali quali RX ed RM, in grado di dare un chiaro quadro dello stato anatomico in essere.

L’RX permettere di monitorare lo spazio interdiscale e le alterazioni sia delle curve vertebrali, che delle porzioni articolari, mentre l’RM consentirà di indagare nello specifico lo stato in essere del disco intervertebrale, sia nella sua forma, sia nella sua idratazione, sia nello stato di integrità dell’anulus fibroso, sia nella dislocazione del nucleo polposo, sia nel rapporto discale in merito al forame di coniugazione, alla radice nervosa e al canale vertebrale.

Come si approccia una discopatia a livello terapeutico?

Va subito detto che il disco intervertebrale è una struttura anatomica che non può rigenerarsi, pertanto la discopatia va gestita, sia per evitare che possa essere la concausa di patologie associate, sia per evitare che possa peggiorare con il passare del tempo e creare un’instabilità vertebrale.

L’utilizzo di farmaci hanno l’intento di diminuire lo stato infiammatorio e le contratture antalgiche associate, rompendo il circolo vizioso dell’impotenza funzionale.

Valido può risultare anche l’utilizzo ad intermittenza, poche ore nell’arco della giornata, di busti, collari cervicali e correggi postura, in maniera da scaricare le forze compressive, mettendo a riposo i dischi intervertebrali stessi.

La fisioterapia, l’osteopatia e la stessa attività fisica, hanno il compito di migliora l’assetto vertebrale, sia nell’unità vertebrale (vertebra-disco-vertebra), che tra le curve di cifosi e lordosi, così come hanno il compito di ottimizzare il movimento vertebrale nei 3 piani dello spazio e ridurre le fibrosità capsulo-legamentose; non va dimenticato che è di grande importanza ricercare un equilibrio muscolare tra catene agoniste e antagoniste, migliorandone anche i rapporti neurologici di feedback tra i meccanocettori associati.

Abbiamo quindi capito che la discopatia è una condizione di invecchiamento e degenerazione imprescindibile, legata all’invecchiamento biologico della persona, ma che può subire un’accelerazione gravemente patologica, per tutta una quella serie di concause di cui abbiamo parlato, pertanto non dobbiamo assolutamente trascurare la condizione di equilibrio dell’intera colonna vertebrale e ottimizzarne sempre la sua funzionalità, limitando, ove fosse possibile, l’aumento di peso corporeo e di carichi esterni elevati.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Entesite

entesite 01Con il termine di entesite, si indica l’infiammazione di quelle porzioni tendinee o legamentose che prendono rapporto con l’osso sul quale si inseriscono.

Le entesiti possono riguardare ogni parte dell’apparato locomotore, ma va detto che alcune sedi del corpo ne sono maggiormente soggette, soprattuto se la causa è data da sovraccarico funzionale o da microtraumi ripetuti.

Antomia

Come accennato poc’anzi, le strutture interessate possono riguardare sia i tendini (dalla struttura biologica di tessuto connettivo fibroso ad alto contenuto di collagene, che unisce un muscolo ad un osso) che i legamenti (simili nella struttura biologica ai tendini, ma che uniscono due porzioni differenti di una zona articolare o di uno stesso osso), pertanto i meccanismi patologici possono essere per alcuni aspetti del tutto diversi tra di loro.

Sintomi dell’ entesite

I segni caratteristici dell’ entesite sono tutti riferibili a quelli tipici dell’infiammazione:

  • rubor (rossore)
  • tumor (tumefazione)
  • calor (calore)
  • dolor (dolore)
  • functio laesa (deficit funzionale)

entesite 02A questi sintomi va aggiunto un senso di rigidità che si accentua maggiormente dopo un periodo prolungato di inattività nelle pause giornaliere.

La zona di localizzazione dei segni sopra descritti è locale e perilocale ai tessuti tendinei, o legamentosi interessati dall’entesite.

In tutti quei pazienti dove la patologia si manifesta in maniera consistente, si associa una grave perdita di funzionalità che mina anche le attività di vita quotidiane.

Se l’entesite perdura nel tempo e non risponde alle corrette terapie, si può assistere alla formazione di calcificazioni, di tendinosi (specificatamente a carico dei tendini), di esostosi, come reazione anomala dell’osso nel punto di inserzione sia dei tendini che dei legamenti, fino ad arrivare nei casi più gravi alla lacerazione parziale delle fibre dei tessuti molli interessati.

Le cause

entesite 03Le cause che portano alla formazioni di entesite sono da suddividere in 4 macro categorie:

  • da sovraccarico funzionale per sollecitazioni ripetute e protratte nel tempo, sia nelle attività lavorative, che sportive, che ludiche
  • da trauma per eventi acuti di tipo compressivo, distrattivo, distorsivo, sia del tessuto molle interessato e/o delle porzioni osteo-articolari di innesto
  • da malattie sistemiche di origine autoimmunitaria come ad esempio l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica l’artrite reattiva, la spondilite anchilosante
  • da patologie dismetaboliche come il diabete, la gotta, l’ipercolesterolemia e l’ipertrigliceridemia.

È facile intuire che a seconda delle cause, l’insorgenza dell’entesite può essere acuta o subdola, può avere un’esacerbazione di segni e sintomi esponenziale, oppure graduale, ma in ogni caso al conclamarsi della patologia, i risvolti clinici saranno tra di loro simili.

Diagnosi dell’ entesite

Nella diagnosi dell’entesite, l’anamnesi è il punto di partenza per raccogliere i dati sulla presenza e lo sviluppo dei segni e dei sintomi associati alla patologia, sia nell’ottica del puro segmento anatomico, che in relazione alle altre strutture correlate, cercando di ottenere informazioni sulle possibili cause che la possano aver attivata.

entesite 04L’esame obiettivo dello specialista mira ad effettuare una serie di test e valutazioni, che mettono alla prova la funzione, la resistenza e la stabilità del tendine/legamento, sia nei movimenti attivi che passivi, in rispondenza all’esacerbazione del dolore.

È importante associare la diagnostica per immagini, in maniera tale da poter valutare lo stato anatomico delle strutture tendinee e/o legamentose affette da entesite.

entesite 05Per tale scopo si potrà far ricorso all’utilizzo di esami ecografici o di RM, nell’intento di studiare la conformazione dei tessuti molli, il processo infiammatorio in atto e la presenza di edema relativo.

Per la valutazione di possibili esostosi reattive, o di eventuali calcificazioni, sarà meglio far fede ad indagini mirate tramite RX.

Il trattamento

Il trattamento delle entesiti ha un protocollo simile qualunque sia la causa scatenante, ma è vero che gli accorgimenti per rendere il trattamento efficace, saranno da ottimizzare in maniera congrua all’eziologia che ne ha scaturito la patologia.

entesite 06Il riposo, il ghiaccio, l’utilizzo di tutori appropriati o il confezionamento di bendaggi elastici contenitivi, saranno i primissimi passi da proporre al paziente, a cui verrà associata una terapia antinfiammatoria, perlopiù a base di FANS.

I corticosteroidi possono essere prescritti, ma per un periodo brevissimo di somministrazione, perché lo stesso cortisone può essere un fattore favorente la comparsa dell’ entesite, se somministrato per un lungo periodo.

La fisioterapia è strettamente necessaria per ridurre l’infiammazione e favorire il recupero della funzione del tendine o dei legamenti, sia come tessuto, che come porzione anatomica di relazione rispetto ad un muscolo, ad un’ articolazione, ad un segmento osseo specifico.

Vediamo adesso quali sono le accortezze da adoperare nella gestione secondaria della patologia.

Nel caso di un’ entesite da sovraccarico funzionale, sarà necessario ridurre tutte quelle condizioni di sollecitazioni ripetute e protratte nel tempo, durante le attività lavorative, sportive, o ludiche, che ne sono state la causa di innesco.

In un’ entesite da trauma, basterà spegnere l’infiammazione legata all’evento e dare il tempo necessario al tessuto, per poter riparare il danno cellulare subito.

ChirurgiaNell’ entesite da malattie sistemiche di origine autoimmunitaria, è strettamente necessario ridurre l’iperattività del sistema immunitario per evitare che attacchi in maniera violenta i propri tessuti molli, tra cui le stesse entesi, riducendo il rischio di una ricaduta.

Le entesiti da patologie dismetaboliche, necessitano di una correzione alimentare, farmacologica o un incremento dell’attività fisica, mirata a ridurre la produzione o gli eccessi di accumulo, di tutte quelle sostanze che possono favorire l’insorgere di infiammazione o di degenerazione dei tendini o dei legamenti.

Nel caso in cui l’ entesite non dovesse rispondere ne alle cure primarie, ne a quelle fisioterapiche e a lungo termine non dovesse rispondere neanche alle gestione secondaria delle concause patologiche, allora si potrà optare per un trattamento chirurgico, dove l’intento sarà quello di fare un pulizia dei tessuti, una rimozione di eventuali calcificazioni e una riparazione, qualora se ne presentasse la necessità, delle fibre lacerate o lesionate.

L’atto chirurgico necessita di un periodo di immobilità, funzionale alla guarigione biologica dei tessuti, per poi proseguire con un percorso riabilitativo, necessario per recuperare le funzioni legate al contesto osteo-articolare-muscolare.

La guarigione dell’ entesite è possibile, con dei tempi di remissione direttamente proporzionali alla tempestività con cui si è intervenuti nel diagnosticarla, nel mettere a riposo la struttura interessata e nel somministrare la giusta cura.

La patologia di cui abbiamo parlato oggi può essere variabilmente invalidante, ed in ogni caso non va assolutamente sottovalutata, evitando che possa cronicizzare.

Dall’ entesite si guarisce, ma in nessun caso vanno forzati tempi di recupero.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Artrite psoriasica

Artrite psoriasica 01L’artrite psoriasica è una patologia di tipo infiammatoria con caratteristiche di cronicità, che colpisce le articolazioni.

Si manifesta nei pazienti che hanno già conclamato la presenza della psoriasi, con una percentuale di rischio del 30%.

La psoriasi è una malattia che altera lo stato in essere della pelle, causando un’anomala cheratinizzazione e sviluppando circoscritte chiazze arrossate in rilievo, sulle quali si evidenziano delle desquamazioni a placche.

Si stima che ne soffra circa il 2% della popolazione mondiale.

La psoriasi è anch’essa una malattia infiammatoria cronica sistemica, caratterizzata da complesse basi fisiopatologiche autoimmunitarie, assolutamente non contagiosa, che coinvolge varie aree della cute, con delle zone peculiari a seconda del tipo di psoriasi.

Artrite psoriasica 02Psoriasi volgare:

  • tronco
  • regione sacrale
  • gomiti,
  • ginocchia
  • cuoio capelluto.

Psoriasi inversa o flessurale:

  • pieghe cutanee (ad esempio le pieghe inguinali)
  • ascelle.

Artrite psoriasica 03Psoriasi guttata che colpisce maggiormente bambini ed adolescenti, manifestandosi con piccole papule eritematose, diffuse principalmente al tronco.

Psoriasi pustolosa che evidenzia pustole sterili multiple, localizzate o generalizzate.

Psoriasi eritrodermica, forma rara, dove l’area corporea risulta eritematosa ed infiammata, per un’estensione che può risultare pari al 90% della superficie corporea; l’interessamento cutaneo è associato a sintomi sistemici.

Vari studi clinico-scientifici hanno associato alla psoriasi e all’artrite psoriasica, la possibilità di vedere coinvolti altri organi nello sviluppo di comorbilità (occhi, cuore, polmoni e reni).

Sono rari i casi in cui l’artrite psoriasica si manifesta antecedentemente alla comparsa della psoriasi.

L’artrite psoriasica si sviluppa in egual misura tra maschi e femmine, con un’età di insorgenza più frequente tra  30 e i 50 anni.

La sua attività patologica non è sempre costante, ma si alternano periodi ON a periodi OFF, con una remissione massiva dei sintomi.

Come per la psoriasi, anche l’artrite psoriasica viene catalogata tra le patologie di tipo autoimmunitario.

I sintomi dell’artrite psoriasica sono maggiormente a carico delle articolazioni vertebrali e distali, interessando in maniera maggiore le mani nelle porzioni metacarpo-falangee / interfalangee e in maniera minore i piedi, ma può inoltre colpire ginocchia, anche, gomiti e spalle.

La sintomatologia e il quadro clinico, sono simili per molti aspetti a quelli dell’artrite reumatoide, con una caratteristica simmetria di segni patologici, se colpiti gli arti.

Artrite psoriasica 04A livello vertebrale le porzioni più interessate sono quelle del segmento lombare e delle giunzioni sacro-iliache.

Le articolazioni si presenteranno gonfie, rigide e dolenti, con una limitazione funzionale che ne riduce sia il movimento, che la capacità di forza e resistenza muscolare, per un rapporto di causa effetto articolare / muscolo-tendineo.

Nei punti articolari con connessioni legamentose e tendinee, l’infiammazione reattiva artritica, può coinvolgere anche i tessuti molli, provocando delle entesiti.

La sintomatologia legata all’artrite psoriasica non è costante, ma ha dei momenti di attività patologica, alternati a momenti di silenzio e di remissione della malattia.

C’è da dire che essendo una patologia infiammatoria autoimmunitaria a carico delle articolazioni, la permanenza dello stato flogistico, causa un’alterazione dei capi articolari e delle loro capsule, avanzando uno stato di dismorfismo direttamente proporzionale al tempo di durata dell’evento acuto e al ripetersi degli eventi.

Artrite psoriasica 05Pertanto se l’infiammazione acuta non viene bloccata tempestivamente e non si previene il ripetersi delle aggressioni, le articolazioni interessate andranno via via a rovinarsi, al punto tale che si verificherà un cambiamento anatomico dei capi articolari e delle loro cartilagini, andando a favorire una deviazione dell’asse articolare, una deformità permanente e un’artrosi precoce.

Bisogna aggiungere che l’artrite psoriasica, come effetto secondario, può essere concausa di una perdita di massa ossea.

La causa dell’artrite psoriasica è di natura autoimmunitaria, ovvero il sistema immunitario, attacca le cellule normali dell’organismo, causando un’infiammazione reattiva delle articolazioni.

Può svilupparsi in maniera primaria o essere condizionata da una familiarità.

Artrite psoriasica 06La predisposizione genetica al mutamento anomalo della risposta immunitaria, si associa con frequenza ad eventi stressanti per l’orgasmo che spaziano su vari fronti:

  • infezioni
  • traumi
  • stress
  • eccessiva stanchezza fisica protratta per lunghi periodi
  • cattiva alimentazione
  • alterazione del ciclo sonno-veglia
  • interventi chirurgici.

Nella diagnosi di artrite psoriasica, l’anamnesi è il punto di partenza per raccogliere i dati clinici sulla presenza e lo sviluppo dei segni e dei sintomi associati alla conformazione e alla funzione articolare.

Artrite psoriasica 07L’esame obiettivo dello specialista mira ad effettuare una serie di test e valutazioni, che mettono alla prova la funzione dell’articolazione, sia nei movimenti attivi che passivi, in rispondenza all’esacerbazione del dolore e alla resistenza articolare nell’attivazione muscolare.

Gli esami di laboratorio sono strettamente necessari per valutare la presenza di fattori infiammatori, la modificazione dei valori riferibili all’attività immunitaria e per escludere patologie associabili nella diagnosi differenziale.

Non sono da escludere esami genetici per la ricerca del gene HLA-B27, associato nel 50% dei casi di artrite psoriasica, con interessamento della colonna vertebrale.

Se le articolazioni interessate sono grandi, come ad esempio il ginocchio, si può procedere con un’artrocentesi, per poter analizzare lo stato biologico del liquido sinoviale estratto.

Le indagini diagnostiche sono essenziali per poter valutare lo stato in essere delle strutture articolari, capsulo-legamentose e tendinee, valutandone sia la conformazione, che la presenza o meno di processi flogistici.

Per tale scopo potranno essere usate radiografie, esami ecografici e risonanze magnetiche.

Ricordando che l’artrite psoriasica può essere una concausa di perdita della massa ossea, viene spesso consigliato un controllo tramite MOC, valutandone la presenza o meno di osteoporosi.

Il trattamento per l’artrite psoriasica, ha a disposizione diverse varianti farmacologiche, tutte quante intente a ridurre l’infiammazione, a ridurre il dolore, a contenere l’azione patologica autoimmunitaria e a limitare i danni biologici tissutali/articolari.

In prima battuta verranno utilizzati i FANS come antinfiammatori non steroidei, per passare alla somministrazione di corticosteroidi, nel momento in cui i FANS non dovessero aver ottenuto gli effetti desiderati nel contrastare l’infiammazione.

farmaci
I farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD), vengono utilizzati nel momento in cui gli antinfiammatori non dovessero aver successo, contribuendo a rallentare la progressione dell’artrite psoriasica, limitando il danneggiamento del tessuto osseo, legamentoso, tendineo e cartilagineo.

I farmaci antireumatici DMARD, hanno un’azione lenta, riscontrando un buon risultato nell’arco di 4-6 mesi.

Questi farmaci devono essere utilizzati nelle fasi iniziali di sviluppo dell’artrite reumatoide, in modo tale da poter prevenire la distruzione della rima articolare e l’inabilità funzionale annessa.

I modificatori della risposta biologica, sono un’altra categoria di farmaci che utilizzano la tecnologia del DNA  ricombinante.

I modificatori della risposta biologica prescritti per l’artrite psoriasica, agiscono su bersagli specifici e possono essere inibitori del TNF-α -, antagonisti di IL-12 e IL-23 e inibitori di IL-17.

La chirurgia viene presa in considerazione nel momento in cui le strutture articolari abbiano subito un rimaneggiamento tale, da rendere inefficiente la funzione nelle attività minime di vita quotidiana.

Non tutte le articolazione possono essere ricondizionate dalla chirurgia, ma in quelle ove se ne presenti l’opportunità, si può pensare di proporre la protesizzazione, mediante la quale si impianta una neo articolazione, libera dal rischio di recidive della patologia artritica.

Artrite psoriasica 08La fisioterapia diventa fondamentale per mantenere e/o recuperare la funzionalità articolare, riducendo il rischio di anchilosi e mantenendo un buono stato di elasticità delle strutture capsulo-legamentose e tendinee.

Concludendo abbiamo capito che i pazienti affetti da psoriasi, che abbiano sviluppato o meno l’artrite di relazione, devono affidarsi ai controlli e alla gestione specialistica sanitaria, per evitare l’evoluzione di una patologia invalidante nel sistema osteo-articolare.

Le attuali terapie possono controllare i sintomi e prevenire danni permanenti alle articolazioni…….non nascondiamo la testa sotto la sabbia, ma affrontiamo la malattia con determinazione e fiducia.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

 

 

 

Artrite reattiva

Artrite reattiva 01L’artrite reattiva, in passato conosciuta anche come sindrome di Reiter, è una patologia autoimmunitaria, che coinvolge molteplici tessuti e apparati, quali quelli:

  • osteo-articolari
  • urologico
  • ginecologico
  • dermatologico

causando artriti, uretriti e congiuntiviti in maniera maggiore, ma non sono pochi i casi dove i pazienti riferiscono la comparsa di ulcere buccali, rash e piaghe cutanee, coliti, perdita di peso, malessere generale e febbre.

Per questo l’approccio alla patologia può divenire multifattoriale, coinvolgendo vari specialisti.

Come accennavo poc’anzi l’artrite reattiva genera un’infiammazione che può manifestarsi su un singolo tessuto o coinvolgere più apparati contemporaneamente.

Generalmente i sintomi si manifestano in un periodo che varia dai 15 ai 30, giorni dopo l’innesco dei fattori scatenanti la patologia, mantenendo poi l’acuzia per diversi mesi, oltre i quali il paziente cronicizza la sua situazione con un’andamento intermittente, durante il quale alterna stati di sintomatologia manifesta, a periodi di silenzio sintomatologico.

Ma vediamo quali sono le caratteristiche delle diverse manifestazioni divise per apparati.

Nel campo osteo-articolare, le articolazioni maggiormente interessate sono:

  • la sacro-iliaca
  • spalla
  • gomito
  • anca
  • ginocchio
  • le articolazioni medio distali di mani e piedi.

L’artrite reattiva può portare anche allo sviluppo di entesiti.

Una delle caratteristiche di questa patologia è che l’infiammazione osteo-articolare ha carattere asimmetrico, ovvero le articolazioni coinvolte sono differenti tra di loro da un’emilato all’altro, presentandosi però con le stesse caratteristiche, ovvero gonfiore, dolore, rigidità articolare e contratture antalgiche associate, sia al segmento che al distretto coinvolto.

Nel momento in cui l’attacco acuto artritico si risolve, il paziente non riporta danno alcuno, ma in alcuni soggetti, soprattutto quelli che soffrono in maniera cronica di artrite articolare e con una ripetitività delle stesse articolazioni, potranno lamentarsi di quelli che sono i danni provocati dall’evento infiammatorio, ovvero sviluppo di fibrosità, sviluppo di cavità geodiche, lesioni cartilaginee, deviazioni dell’asse articolare.

Artrite reattiva 02Nel campo urologico l’infiammazione colpisce maggiormente l’uretra, provocando bruciore nella minzione, pollachiuria (stimolo frequente alla minzione), perdita di secrezioni e in rari casi tracce di sangue nelle urine.

Nelle donne l’infiammazione può coinvolgere oltre che l’uretra, anche la vescica provocando delle cistiti.

Va ricordato che sia nell’uomo che nelle donne, le infezioni delle vie urinarie possono estendersi agli organi genitali, causando nell’uomo delle prostatiti, mentre nella donna si possono presentare vaginiti (vagina), salpingiti (tube di falloppio), cerviciti (collo dell’utero).

Nel campo oculistico si hanno delle manifestazioni di congiuntivite, con arrossamento oculare, gonfiore palpebrale, eccesso di lacrimazione, aumento della fotosensibilità (fotofobia), dolore oculare.

Artrite reattiva 03Generalmente i pazienti non riportano danni permanenti all’occhio, ma in rari casi si sono sviluppate delle uveiti, interessando l’iride, il corpo ciliare e la coroide, causando dei danni importati che comportano una riduzione temporanea della vista, fino a dei danni irreversibili se non tempestivamente curata.

Le cause dell’artrite reattive ad oggi non sono ancora ben definite, ma si è visto che la predisposizione genetica e l’aggressione di alcuni agenti patogeni infettivi, possano essere uno starter nell’accensione della malattia.

Pertanto nell’eziologia dell’artrite reattiva, si parlerà di fattori genetici e di fattori ambientali.

Tra i fattori genetici, si è riscontrato che il 75% dei pazienti presentano il gene HLA-B27 nel cromosoma 6.

La ricerca ha dimostrato che i pazienti che presentano questo tipo di gene sono maggiormente predisposti alla comparsa dell’artrite reattiva.

Artrite reattiva 04Sembra che all’attacco di un agente patogeno batterico, la presenza del gene HLA-B27, sviluppi una risposta anomala del sistema immunitario, che porta alla comparsa dell’artrite reattiva.

Tra i fattori ambientali che possono dare il via alla manifestazione artritica, si è visto che alcuni particolari agenti patogeni, siano stati associati allo sviluppo della malattia autoimmunitaria.

I batteri che sono stati associati, appartengono sia al sistema gastro- intestinale, sia al sistema genitale nelle forme stabili e nelle forme sessualmente trasmissibili, sia al sistema urinario.

Anche alcuni batteri contenuti nei cibi ed altri derivanti dalla trasmissibilità per via oro-fecale, possono essere riscontrati nella comparsa dell’artrite reattiva.

Se qualcuno di voi si stesse ponendo la domanda: “ma visto che alcuni batteri sono trasmissibili per via oro-fecale e per via sessuale, allora l’artrite reattiva è anch’essa trasmissibile?”

La risposta è assolutamente no, perché come detto in precedenza, ci deve essere la combinazione di fattori genetici e di fattori ambientali.

Artrite reattiva 05Diagnosticare l’artrite reattiva non è facile, perché bisogna riuscire ad associare i diversi segni clinici e i sintomi riportati dal paziente, con quelli che possono essere i cambiamenti di stato del sistema immunitario, secondo la presenza di infezioni batteriche, in concomitanza con alterazioni genetiche tipiche del soggetto.

Pertanto sarà necessario fare una buona anamnesi per la raccolta dei dati riferiti dal paziente, associando un esame obiettivo capace di portare in evidenza i segni della patologia tipici dell’artrite reattiva, spesso associando esami di laboratorio, quali analisi del sangue, analisi del liquido sinoviale, test ematici per la ricerca di marker genetici specifici perl ’HLA-B27 e una specifica diagnostica per immagini, che può variare da esami ecografici, ad esami di risonanza magnetica e lastre, in maniera da individuare con minuziosità le caratteristiche dell’attacco reumatologico e le complicanze che ha causato.

farmaciLa terapia si basa sulla gestione dei sintomi bloccando l’infiammazione, dapprima con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), o con cortisonici nel caso in cui i primi non dovessero sortire un sufficiente effetto.

Se la sintomatologia dovesse perdurare a lungo e l’artrite assumesse una forma cronicizzante, con pause di silenzio troppo brevi, si può intervenire mediante l’utilizzo attento e oculato, di immunosoppressori.

Sarà molto importante studiare l’eventuale necessità nella somministrazione di antibiotici, con l’intento di ridurre la vitalità batterica infettiva, eliminando il fattore ambientale scatenante la patologia artritica, così com’è molto importante, nella forma preventiva, cercare di ridurre il rischio di contrarre infezioni batteriche per via oro-fecale, da rapporti sessuali non protettiti e attraverso l’assunzione di cibi mal conservati o non sufficientemente lavati,

La fisioterapia sarà necessaria per supportare il paziente nella gestione delle problematiche osteo-articolari e muscolari riscontrate, cercando dapprima di limitare gli effetti nefasti della malattia, per poi recuperare la miglior condizione fisiologica e funzionale.

L’artrite reattiva è una patologia variabile da paziente a paziente, nella sua forma, nella sua durata, nella sua periodicità e nelle sue conseguenze, pertanto è di fondamentale importanza una diagnosi tempestiva, alla base della quale stabilire un piano terapeutico efficace nella gestione e nella regressione dell’attacco acuto.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Malattia di Crohn

Malattia di Crohn 01La malattia di Crohn è una patologia infiammatoria di tipo cronico, a carico del sistema gastrointestinale.

Potrebbe presentarsi su uno più tratti dell’intero sistema gastrointestinale, ovvero dalla bocca all’ano, ma la sua manifestazione è nettamente prevalente nell’ultima porzione dell’intestino tenue e del colon.

L’infiammazione cronica recidivante caratteristica di questa patologia, comporta dei danni al tessuto che degenerano in fistole, ascessi, stenosi, cicatrizzazioni patologiche con la presenza di aderenze.

E’ abbastanza comune notare che nell’area della porzione di intestino colpito, ci si può imbattere nell’alternanza di tratti di tessuti patologici e tratti di tessuto sano.

La malattia di Crohn è asintomatica nelle fasi iniziali di sviluppo, per poi manifestarsi con la presenza di dolore addominale, crampi, che topograficamente possono migrare dalla zona mediale ventrale a quella più laterale, ovvero in corrispondenza dell’area intestinale colpita, con la comparsa di diarrea diurna e notturna, protratta a lungo (fin oltre le 4 settimane), presenza di sangue e/o pus nelle feci, perdita di peso.

Malattia di Crohn 02Non è raro che tutta questa sintomatologia possa presentarsi associata a febbricola, soprattutto nelle ore serali e/o dolori poliarticolari.

Le cause sullo sviluppo della malattia di Crohn sono ad oggi incerte.

La sua insorgenza è multifattoriale e tra le cause, si da valore ad una reazione autoimmunitaria eccessiva nei confronti di determinati antigeni, il tutto correlato da una predisposizione genetica, anche se la malattia di Crohn, non può essere catalogata tra la malattie genetiche, ne tantomeno tra quelle ereditarie.

E’ stato visto che ci sono dei fattori sensibili alla malattia quali:

  • l’alterazione della flora batterica
  • il fumo di sigaretta
  • la cattiva alimentazione
  • l’abuso di alcol

La diagnosi della malattia di Crohn in alcuni casi è del tutto casuale, proprio perché nelle fasi iniziali dello sviluppo della patologia si è esenti da sintomi, pertanto il suo riscontro è del tutto fortuito e inquadrato in circostanze diagnostiche preventive o di contorno ad altre patologie.

Malattia di Crohn 03Nei casi in cui si manifestino i sintomi prima indicati, legati alla clinica patologica inerente al Crohn, gli esami diagnostici a disposizione sono molti e di vario genere:

  • gli esami del sangue e delle feci, permettono di valutare sia la presenza di fattori infiammatori e immunitari abnormi, sia la presenza di sangue e/o di materiale purulento nelle feci.
  • la colonscopia e l’esofagogastroduodenoscopia, sono i due esami endoscopici che permettono di esaminare una grande fetta del tubo digerente, visualizzando in maniera diretta lo stato anatomico in essere dei tessuti interni, con la possibilità di prelevare uno o più campioni, nel caso sia necessario fare un’analisi cellulare biologica.
  • l’enteroscopia con videocapsula, è un’altra metodica molto utile, permettendo di analizzare quel tratto di intestino tenue, non raggiungibile con la metodica endoscopica classica sopra accennata.

Malattia di Crohn 04Questo tipo di esame permette di visualizzare tramite micro-videocamera l’intero tubo intestinale, ma non ne permette nessun prelievo per eventuale esame bioptico.

  • l’entero RM e l’entero TC, sono esami di diagnostica per immagini che si avvalgono di mezzo di contrasto, somministrato sia per via endovenosa che per via orale, in grado di valutare lo stato infiammatorio del tessuto colpito da patologia, la presenza di danno anatomico, delle complicanze varie ed eventuali e l’evoluzione vascolare del danno per captazione del mezzo di contrasto stesso.
  • l’esame ecogrfico addomino-pelvico permette di avere una visone di massima del pacchetto intestinale, che mira a valutare la presenza di complicanze correlate, o di monitorare in maniera semplice e non invasiva, l’andamento delle cure sul paziente.

Il trattamento prevede l’approccio alla malattia in maniera polivalente.

Lo scopo è quello di bloccare lo stato di infiammazione nel suo momento di acuzia, per evitare che possa evolvere in una cronicità oltremodo dannosa, controllando allo stesso tempo la sua progressione.

Malattia di Crohn 05A livello farmacologico si può agire su più fronti:

  • antinifiammatori steroidei
  • immunosoppressori
  • farmaci biologici della famiglia degli anticorpi monoclonali, per bloccare selettivamente l’infiammazione
  • gli antibiotici nel caso sia necessario trattare complicanze di tipo infettivo suppurativo.

Qualora le terapie farmacologiche non avessero dato l’effetto sperato, si può ricorrere alla chirurgia, con lo scopo di asportare il tessuto irreparabilmente danneggiato, pericoloso per il rischio di complicanze locali e sistemiche.

La resezione chirurgica non esclude il fatto che la patologia possa nuovamente ripresentarsi, anche nella stessa area di intervento.

Nella malattia di Crohn la terapia stessa è fondamentale ed è importante capire che va inquadrata in due ambiti distinti ma di stretta interazione, ovvero la cura dell’effetto della patologia e la gestione delle possibili complicanze future.

Come abbiamo capito il Crohn può essere gestito con efficacia e consentendo al paziente di fare una vita qualitativamente soddisfacente, ma se la situazione dovesse sfuggire di mano, i danni organici potrebbero diventare pesanti e multifattoriali.

Sarà di fondamentale importanza l’accuratezza nella diagnosi e il seguire con attenzione e costanza lo stato della malattia, sia nel momento della sintomatologia, sia nella gestione temporale.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.