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Ernie muscolari miofasciali

Ernie muscolari miofasciali 01Le ernie muscolari, in ambito medico chiamate anche con il nome di ernie miofasciali, sono delle protuberanze di fibre muscolari attraverso il tessuto fasciale di contenimento.

Il tessuto fasciale è una guaina, una lamina o qualsiasi altra aggregazione di tessuto connettivo dissezionabile, che si forma sotto la pelle, per unire, racchiudere e separare muscoli e altri organi interni.

Il sistema fasciale consiste nel continuum tridimensionale dei tessuti connettivi fibrosi, contenenti collagene, lassi e densi, fornendo un ambiente che consente a tutti i sistemi di funzionare in modo integrato.

Le ernie muscolari possono essere singole o multiple, con origine acquisita, nella maggior parte dei casi e, meno frequentemente, di tipo congenite.

Ernie muscolari miofasciali 02Si manifesta un assottigliamento e/o una lacerazione segmentale della fascia, con la protrusione di fibre muscolari dall’apertura fasciale, in maniera eccentrica.

Le lesioni acquisite possono essere causate da attività sportiva, traumi di tipo lesivo o contusivo, infortuni sul lavoro, o secondarie ad interventi chirurgici che prevedono l’incisione della fascia di contenimento di uno o più tessuti, come nelle fasciotomie per sindromi compartimentali.

Le lesioni fasciali acquisite possono essere favorite anche da una minor resistenza nei punti di passaggio di nervi e vasi perforanti, che generano un’apertura naturale del tessuto fasciale.

Le ernie muscolari possono coinvolgere con più frequenza i muscoli degli arti superiori ed inferiori.

Questa condizione erniaria è generalmente indolore, ma se non curata e mal gestita, può causare algia, soprattutto durante gli sforzi fisici segmentali prolungati, che aumentando il volume dell’erniazione muscolare, può causare un’intrappolamento delle fibre muscolari nel pertugio fasciale, causando un’ischemia transitoria delle fibre stesse.

Ernie muscolari miofasciali 03Nel caso di erniazione muscolare da evento traumatico, il dolore può manifestarsi in maniera acuta, con la presenza di un edema associato, ed una riduzione della forza e della resistenza segmentale.

Come accennato all’inizio dell’articolo le ernie muscolari possono essere acquisite o congenite.

Questa distinzione sta a significare che parlando di eventi acquisiti, nella maggior pare dei casi, il tessuto fasciale di contenimento è sano, ma per eventi associati, subisce una lesione diretta o indiretta, mentre nelle situazioni congenite, c’è un alterazione biologica del tessuto connettivo fasciale che lo rende maggiormente fragile, perdendo le capacità meccaniche.

Ernie muscolari miofasciali 04Tra gli eventi acquisiti troviamo:

-trauma diretto lacerativo

-trauma diretto contusivo

-microtraumi ripetuti

-sforzi fisici eccessivi e lungamente protratti

-postumi secondari da intervento chirurgico che prevedono l’incisione della fascia di contenimento di uno o più tessuti.

Tra le cause congenite troviamo:

-patologie autoimmunitarie che coinvolgono il tessuto connettivo come la sindrome di Sjogren, il lupus eritematoso, la sclerosi sistemica e similari.

Va ricordato che i punti di accesso nel tessuto fasciale dei tronchi nervosi periferici e dei vasi vascolari, possono favorite una minor resistenza nei punti di passaggio, che generano un’apertura naturale del tessuto fasciale.

Nella valutazione diagnostica, l’esame obiettivo ed un’anamnesi approfondita che raccolga i dati del paziente inerenti alla patologia, sono di fondamentale importanza.

L’ernia muscolare si evidenzia in maniera visiva, durante la contrazione muscolare concentrica a carico libero e in maniera maggiore in controresistenza.

Ernie muscolari miofasciali 05A livello palpatorio, nel punto dell’ernia muscolare, si apprezza una zona di minor resistenza del tessuto, con la sensazione di affondare oltremisura nel tessuto erniato.

Nel caso di trauma sarà evidente anche una zona di tumefazione più o meno estesa.

A livello strumentale, le indagini che maggiormente sono in grado di definire la condizione di ernia muscolare è l’ecografia, eseguita sia a riposo che in dinamica, capace di vedere come le fibre muscolari si protrudono nel pertugio fasciale.

Ernie muscolari miofasciali 06Anche la RM è un eccellente esame diagnostico, in grado di valutare lo stato anatomico dei tessuti molli muscolari e fasciali.

L’approccio alle ernie di piccole dimensioni generalmente non richiede cure specifiche, ma vengono gestite con l’ottimizzazione di un attività fisica che possa essere coerente con la patologia stessa.

Ernie muscolari miofasciali 07Nel caso in cui invece si trovi associata un’algia di tipo ischemico e/o una tumefazione associata, sarà di grande importanza drenare la zona edematosa e migliorare l’elasticità fasciale della zona erniata, per poi utilizzare dei manicotti elastici di contenimento della zona erniata.

Il trattamento chirurgico è necessario solo se i sintomi sono gravi o invalidanti.

Tra le strade chirurgiche utilizzate, c’è la chiusura diretta del pertugio fasciale sede dell’ernia muscolare, ma va detto che questa scelta non è priva di rischi, perché il paziente può andare incontro allo sviluppo di una sindrome compartimentale, che potrebbe richiedere a posteriori, una fasciotomia, invalidando il trattamento riparativo stesso.

Un’altra strada chirurgica utilizzabile è la fasciotomia segmentale, ma questa metodica produrrebbe ulteriori deformità muscolari e una alterazione del feedback dei meccanocettori nella contrazione e nel rilasciamento muscolare, sia a livello segmentale che nelle relazioni delle catene miofasciali.

Sembra ci siano dei buoni riscontri nell’utilizzo di tecniche riparative, per mezzo del tessuto sintetico chiamato FASCIA CTP, con un riscontro efficace sia nella gestione dell’intervento e sia nella ripresa funzionale.

Ernie muscolari miofasciali 08In ogni tipo di intervento chirurgico applicato, sarà necessario ottimizzare il recupero del paziente, tramite un percorso riabilitativo, mirato alla prevenzione delle possibili aderenze post intervento, nella gestione dell’eventuale comparsa di edemi locali e nel ristabilire il miglior equilibrio muscolare, integrato alle catene fasciali locali e a distanza e sia nel reclutamento delle fibre muscolari i fase di contrazione e in fase di allungamento.

In conclusione l’ernia muscolare è una condizione dalle molteplici varianti cliniche, può essere  facilmente gestibile, oppure andare in contro ad una strada terapeutica importante, ma in entrambi i casi le possibilità di recupero sono alte.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

Lesione slap nella spalla

Per lesione slap si definisce una lacerazione della parte superiore del cercine glenoideo, che stando alla definizione, interessa la porzione antero-posteriore.

Il cercine glenoideo è una fibrocartilagine che circonda la glena scapolare, ottimizzando il rapporto articolare tra la testa dell’omero e la glena stessa, stabilizzando l’articolazione in sinergia con la capsula e i legamenti articolari, riducendo il rischio di lussazione.

La porzione superiore del cercine glenoideo, offre un ancoraggio ad una porzione del tendine del capo lungo del bicipite.

Le lesioni slap sono state catalogate con molteplici varianti; ne enunceremo 10 di esse, ma va detto che le prime 4 sono quelle che maggiormente vengono riscontrate e che hanno un meccanismo patogenico più comune.

  • Lesione slap 01tipo 1:

Sfaldamento degenerativo della porzione superiore del cercine glenoideo, senza segni di di distacco, ne di di perdita di congruità con la porzione inserzionale del capo lungo del bicipite.

  • tipo 2:

Distacco antero-superiore, o postero-superiore, o antero-postero-superiore  del cercine glenoideo e di una porzione dell’inserzione tendine del capo lungo del bicipite, con conseguente instabilità della spalla.

  • tipo 3:

Lesione a manico di secchio del cercine glenoideo, senza interessamento tendineo dell’aggancio del capo lungo del bicipite.

  • Lesione slap 02tipo 4:

Lesione a manico di secchio associata ad una lacerazione parziale dell’ancoraggio della porzione del capo lungo dl bicipite.

  • tipo 5:

Lesione di Bankart ovvero una lesione della porzione antero-inferiore del cercine, associata ad una lesione di tipo 2.

  • tipo 6:

Lesione di una porzione della parte superiore del cercine, con distacco dell’ancoraggio del capo lungo del bicipite.

  • tipo 7:

Lesione slap 03Distacco della porzione superiore del cercine glenoideo e del tendine del capo lungo del bicipite

  • tipo 8:

Estensione della lesione slap posteriormente oltre misura.

  • tipo 9:

Lesione slap che si estende su tutto il perimetro del cercine glenoideo.

  • tipo 10:

Lesione di bankart inversa, ovvero lesione della porzione postero-inferiore del cercine glenoideo.

Come abbiamo visto le lesioni slap per la loro differente natura, oltre che ad eventi traumatici, hanno dei fattori di rischio che ne potenziano la patogenesi quali:

  • i fattori di invecchiamento biologici legati all’età
  • le lassità capsulo-legamentose congenite, o acquisite dopo eventi traumatici
  • i movimenti ripetuti, con elevazione del braccio sopra la linea della spalla e della testa.

Nel quadro sintomatologico, il dolore nella zona periarticolare, si associa ad una limitazione dei movimenti e ad una perdita di forza nell’esecuzione del gesto voluto, alle volte associato a degli scrosci.

Lesione slap 04I movimenti che risultano maggiormente deficitari nella lesione slap sono:

  • l’abduzione semplice
  • l’abduzione al di sopra della linea della spalla
  • l’abduzione associata alla massima extrarotazione
  • l’abduzione associata all’estensione del braccio
  • l’extrarotazione semplice
  • l’intrarotazione del braccio, associata alla retropulsione.

Più la lesione slap è complessa e maggiori sono i movimenti singoli o associati deficitari, o impossibilitati nella loro esecuzione.

Anche la stabilità della spalla viene compromessa, mettendo a rischio lo stato di salute delle strutture capsulo-legmentose e muscolari, che interagiscono in maniera sinergica nella biomeccanica articolare.

Lesione slap 05Il dolore tende a localizzarsi nella zona anteriore o antero-laterale della spalla, che corrisponde sia alla sede della lesione del cercine glenoideo, sia alla zona di aggancio del capo lungo del bicipite brachiale, anche se non è raro trovare una migrazione del dolore nella zona posteriore della spalla che può estendersi fino al margine ascellare.

Il dolore oltre che essere presente durante i movimenti, sopratutto quelli che al di là della linea delle spalla, o peggio ancora, al di sopra della testa, può comparire anche durante le ore notturne se il paziente si corica dal lato dell’articolazione sofferente, mandando in compressione la testa omerale contro la cavità glenoidea e traslandola in superiorità.

La lesione slap può essere il risultato di un trauma della spalla, come una caduta sul braccio teso, un trauma diretto, una lussazione, una trazione violenta con il braccio in abduzione ed extrarotazione, un’iperestensione della spalla non coordinata con la contenzione tonica riflessa della muscolatura inerente, ma nella maggior parte dei casi, il cercine glenoideo si lesiona anche solo per il normale processo di invecchiamento della persona.

Il processo di invecchiamento è quasi sempre associato ad una degenerazione delle strutture tendinee, legamentose e cartilaginee, per cui il cercine glenoideo che sviluppa una fissurazione, ha un percorso di perdita di funzione e di dolorabilità che rimane sopito, per poi manifestarsi in maniera subdola e progressivamente invalidante.

Lesione slap 06Il sovraccarico funzionale è un’altro fattore determinante nello sviluppo della lesione, perché la ripetitività del gesto nelle condizioni di stress funzionale, porta ad una lacerazione anzitempo del cercine stesso.

Può interessare sia gli sportivi che utilizzano un movimento ripetitivo del braccio sopra la linea della spalla e peggio ancora della testa, associata ad extrarotazione, elevazione ed abduzione del braccio stesso.

Anche alcune categorie professionali possono essere interessate da questa tipologia di lesione, se utilizzano un movimento combinato come sopra descritto.

Le tendinopatie delle componenti stabilizzatrici della spalla (cuffia dei rotatori) e del capo lungo del bicipite, possono portare ad una slap, sia per il cattivo centramento della testa omerale rispetto alla glena, sia per il rapporto patologico che si può instaurare con l’aggancio del capo lungo lungo del bicipite brachiale sulla porzione cercinea glenoidea.

Lesione slap 07Nella diagnosi di lesione slap, l’anamnesi è il punto di partenza per poter identificare la presenza o meno di un trauma, così come il resoconto dei sintomi raccontati dal paziente, le compromissioni nello svolgimento delle attività di vita quotidiane e il tipo movimento che viene richiesto alla spalla sia nell’ambito lavorativo che ludico, rispetto alle caratteristiche di una lesione slap.

L’esame obiettivo dello specialista mira ad effettuare una serie di test che mettono alla prova la funzione della spalla sia nei movimenti attivi che passivi in rispondenza dell’esacerbazione del dolore e della resistenza articolare nell’attivazione muscolare congrua alla ricerca del movimento specifico.

Per quanto riguarda la diagnostica per immagini, risultano utili sia le immagini RX che quelle di RM.

L’RX di spalla ha il compito di valutare lo stato in essere delle strutture articolari, sia a livello della testa omerale che della glena scapolare, osservando l’eventuale presenza di artrosi, la riduzione degli spazi articolari, o la mal posizione della testa omerale in relazione ai regolari rapporti articolari scapolari e clavicolari.

Lesione slap 09La RM invece valuta lo stato anatomico sia del cercine glenoideo, sia delle strutture muscolo-tendinee e capsulo-legametose della spalla.

Nel caso la RM non sia in grado di fornire un’immagine sufficientemente chiara sullo stato anatomico del cercine glenoideo, si può richiedere un’ artro-risonanza con mezzo di contrasto, capace di valutare in minuzioso dettaglio, la consistenza del cercine e non solo.

La terapia di primo approccio scelta per la gestione della lesione slap è conservativa.

Le lesioni da invecchiamento o da sovraccarico funzionale, reagiscono abbastanza bene a questa strada terapeutica.

Verranno pertanto utilizzati:

  • farmaci antinfiammatori
  • applicazioni di ghiaccio
  • riposo articolare, che nelle situazioni più avanzate, può associarsi all’utilizzo di un tutore, variabile nel tempo, dai 15 ai 30 giorni
  • fisioterapia mirata al recupero articolare, al ricondizionamento delle sinergie muscolari, all’ottimizzazione del tono-trofismo muscolare, al miglioramento delle cooperazioni biomeccaniche tra la spalla, il cingolo scapolare, la colonna vertebrale e non ultimo, un allenamento del sistema propriocettivo articolare.

La terapia conservativa non ha la capacità di guarire la lesione del cercine glenoideo, ma ha l’intento di ridurre l’infiammazione e di ottimizzare le funzioni residue della spalla, per ottenere la massima performance possibile nelle attività di vita quotidiane.

Nel caso in cui la terapia conservativa non dovesse ottenere i risultati sperati, mantenendosi una situazione di dolore, di limitazione funzionale, di perdita di forza e resistenza, allora sarà necessario intervenire con la chirurgia.

Le indicazioni chirurgiche hanno un’elevata validità, in tutti quei pazienti di giovane età, che hanno necessità di utilizzare la spalla con un’alta performance, sia per motivi lavorativi che sportivi.

Generalmente si interviene per via artroscopica, riducendo le problematiche della cicatrizzazione nello short time e delle possibili aderenze periarticolari associate alle rigidità nel long time.

Lesione slap 10I tipi di intervento si differenziano a seconda del danno che la slap presenta.

Si può procedere con un’asportazione (DEBRIDMENT) della pozione di tessuto cercineo danneggiato, se la struttura in questione non ha un danno molto esteso, oppure se l’articolazione non mostra danni collaterali di rilievo.

La riparazione del cercine invece è un intervento più gravoso, perché prevede la sua ricostruzione tramite l’utilizzo di viti riassorbibili e di punti di sutura, pertanto verrà utilizzato nelle lesioni complesse che vedono un’area estesa e la complicanza delle strutture tendinee associate, in particolare modo dell’ancoraggio del tendine del capo lungo del bicipite.

Proprio per quest’ultimo fattore, spesso insieme alla ricostruzione del cercine glenoideo, si deve procedere ad una tenodesi, tagliando la porzione inserzionale cercinea del capo lungo del bicipite e inserendola sulla struttura ossea omerale nella prossimità, sufficientemente stabile e funzionale.

In entrambi i casi sarà necessario procedere con un periodo di riabilitazione, ma appare intuibile che nel caso dell’asportazione, il periodo di recupero sarà sufficientemente breve, ovvero già nell’arco di 45 giorni il paziente riesce a recuperare un’autonomia più che buona, per avere un risultato ottimale e altamente performante, in un lasso di tempo che difficilmente supera i 90 giorni.

Lesione slap 11Nel caso invece della ricostruzione, quasi sempre associata alla tenodesi, il periodo è decisamente più lungo, ed inizia con un tempo di immobilizzazione della spalla in tutore per i primi 30 giorni, durante il quale è consentito di lavorare sulle zone di cooperazione biomeccanica della spalla, arrivando ad una riabilitazione completa e ad un recupero soddisfacente nell’arco di 6 mesi circa, escluse complicanze.

In definitiva la lesione slap ha molteplici aspetti che ne definiscono il danno e l’impatto sul paziente.

L’inefficienza e il dolore che causa al paziente, deve essere gestito a tutto tondo, potendo intervenire sia in maniera conservativa che chirurgica, ma proprio per la complessità dell’eventuale periodo post operatorio, vale la pena provare in prima battuta un impegno terapeutico conservativo, per poi ripiegare nella chirurgia, qualora non sia abbiano ottenuti i benefici sperati.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Spondilolisi – Spondilolistesi

La spondilolistesi è una patologia vertebrale caratterizzata dallo scivolamento di una vertebra rispetto ad un’altra.

Spondilolisi_08Le due vertebre interessate sono inquadrate all’interno di un sistema chiamato unità vertebrale.

L’ unità vertebrale è costituita da una vertebra, un disco intervertebrale e una vertebra di appoggio.

Nella spondilolistesi viene considerato lo spostamento della vertebra disassiata rispetto alla vertebra sottostante di appoggio.

Le listesi possono essere di diverso posizionamento e in base a questo avranno una denominazione e una casistica differente:

  • Anterolistesi, la vertebra scivola in avanti rispetto alla vertebra sottostante
  • Retrolistesi, la vertebra scivola indietro rispetto alla sottostante
  • Laterolistesi, la vertebra scivola lateralmente rispetto alla sottostante

Spondilolisi_07Lo scivolamento vertebrale viene catalogato oltre che per la posizione, anche per il grado di spostamento che ha e se è stabile o instabile rispetto al movimento del segmento vertebrale di cui fa parte.

Generalmente le vertebre interessate sono le ultime due del gruppo lombare, ovvero L4 oppure L5, ma non è escluso che possano trovarsi ovunque in caso di forti degenerazioni anatomiche, traumi od eventi fratturativi.

La spondilolistesi per essere presente deve associarsi ad una spondilolisi, ovvero la perdita di rapporto anatomico (rottura) dell’istmo.

L’istmo è la zona di giunzione tra le superfici articolari superiori e inferiori di una vertebra, le articolazioni servono a guidare una parte consistente del movimento vertebrale.

I casi in cui non c’è rottura dell’istmo sono legati al cambiamento del piano articolare delle articolazioni e della loro massa ossea che sarà, in questo caso, aumentata rispetto al normale dimensionamento.

Spondilolisi_06La spondilolisi esiste quando c’è una lesione totale dell’istmo, situazione che si manifesta generalmente per un’ alterazione dei nuclei di ossificazione durante il periodo di crescita e sviluppo, pertanto la vertebra risulta integra ma più debole e soggetta a distacco nel momento in cui sia sottoposta a un’ ipersollecitazione ripetuta.

Non è da escludere che l’istmo possa distaccarsi anche per fratture da trauma o da stress.

Al momento del distacco le vertebre possono continuare a mantenere il loro corretto rapporto anatomico, ma se verranno concentrati carichi dinamici o posturali, le vertebre potranno scivolare tra di loro in maniera più o meno evidente creando la spondilolistesi.

Generalmente la spondilolisi è asintomatica e se manifesta dolore non è per la perdita di rapporto dell’istmo ma per le comuni cause rappresentate in una lombalgia oppure, se di interesse radicolare, a carico del disco e/ o della radice nervosa.

Le cause della spondilolistesi sono molteplici, vediamole insieme:

  • congenita
  • traumatica diretta
  • traumatica ripetuta
  • ipersollecitazioni
  • frattura cruenta
  • frattura da stress
  • alterazioni del massiccio articolare
  • alterazione dei piani articolari

Spondilolisi_05La sintomatologia varia per tipologia, intensità e perdita delle funzioni basilari.

  • dolore discale per compressione disidratazione e trazione del disco stesso, rispetto a i due piatti vertebrali disallineati tra di loro.
    I corpi vertebrali, a causa del loro spostamento e della perdita di asse, non sono più in grado di ridistribuire correttamente i carichi sul disco intervertebrale, andando a creare una discopatia
  • Spondilolisi_04si può generare una protusione per la lacerazione dell’anulus fibroso, che se evolverà in ernia discale con compressione della radice nervosa, scatenerà una lombosciatalgia.
  • il restringimento del forame di coniugazione porterà la comparsa di radicolite di tipo irritativa o vascolare
  • la riduzione del canale midollare per ghigliottinamento, spesso associata ad ispessimento dei legamenti gialli, è causa di stenosi con una sintomatologia manifesta ad entrambi gli arti inferiori che associano parestesie, perdita di forza e riduzione dell’autonomia maggiormente durante la deambulazione.
  • lombalgia a carico delle faccette articolari per compressione e/o trazione delle componenti legamentose e capsulari.

La diagnosi in questa patologia vede come protagonista l’ indagine radiografica.

Una RX lombare in proiezione laterale e obliqua è in grado di evidenziare sia la presenza di sopoindilolistesi, con il suo grado di manifestazione e sia la lesione dell’istmo con il famoso segno del collare canino.

Spondilolisi_03Nel caso di presenza della patologia, un’ulteriore step diagnostico è dato dall’ esecuzione delle RX dinamiche lombari in massima flessione e in massima estensione per valutare se la spondilolistesi tenda ad essere stabile o mobile nei suoi movimenti limite.

Molto utile è anche la RM che studia la vita della patologia vertebrale in relazione al disco intervertebrale, al canale midollare e agli spazi ospitanti le radici nervose.

Può essere inclusa anche la TC nel pacchetto degli esami diagnostici, ma non è un esame di prima scelta a meno che il paziente non si presenti in ospedale per un pronto soccorso da trauma importante o incidente subito e serva un esame urgente.

Spondilolisi_02Lo studio della postura e della sintomatologia legata agli esami clinico diagnostici sono molto importanti, perché possono accendere la spia della presenza di spondilolistesi e consigliare la strada diagnostica per immagini di controllo.

La cura che approccia la patologia si sceglie in base al grado con sui si presenta lo scivolamento vertebrale.

Tendenzialmente è conservativa e mira alla gestione della vertebra nel contesto della postura e della sua funzione nella dinamica quotidiana, ma se il grado di slittamento è eccessivamente importante e si associano segni neurologici periferici pericolosi, si prospetta la stabilizzazione vertebrale chirurgica, dove si impianteranno nella colonna dei mezzi di sintesi di contenimento e spaziatura.

Spondilolisi_01Tornando alla terapia conservativa è importante far capire e insegnare al paziente come gestire la propria colonna, quali sono i movimenti da evitare e quali quelli da favorire, far mantenere un buon tono muscolare di base con uno slancio maggiore verso i gruppi antagonisti allo scivolamento vertebrale stesso.

La spondilolistesi va recuperata nella sua funzione rispetto a tutta la colonna vertebrale ma anche rispetto al bacino e alle anche, per sopperire all’interno del gruppo osteoarticolare, la mancanza di stabilità e di controllo del movimento della singola vertebra patologica.

Chiaramente diventa fondamentale cercare di prevenire le complicanze future che la spondilolistesi predispone per le sue caratteristiche, bisogna controllare ed evitare i danni discali, radicolari e morfologici sia dei piani articolari, soprattutto delle vertebre di appoggio, che dei corpi vertebrali.

La spondilolistesi equivale ad avere una frattura vertebrale che non si ripara, ma se ben gestita e curata permette di avere una vita comune senza eccessive rinunce fisiche.