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Sarcopenia

Sarcopenia_hq_01Con questo termine si definisce la perdita di massa muscolare e conseguentemente della forza, con la comparsa di atrofia e una diminuzione della qualità biologica del tessuto stesso.

Nella sarcopenia si ha una progressiva perdita di fibre muscolari sostituite da tessuto adiposo di riempimento, che di conseguenza porta ad una degenerazione della giunzione neuromuscolare (ovvero della porzione neurologica dedicata, che sotto stimolo attiva il muscolo) e conseguentemente ad una atrofia muscolare con manifesta riduzione del volume.

Sarcopenia_hq_02Il muscolo e quindi le fibre muscolari, diventano più fragili e soggette, con frequenza aumentata, a danni anatomici da elongazione e lacerazione per eccesso di carico e stiramento eccentrico.

Si manifesta con:

  • la comparsa di debolezza
  • minor resistenza allo sforzo prolungato
  • deficit nello sforzo massimale
  • diminuzione dell’equilibrio causato dalle alterazioni delle sinergie muscolari
  • deambulazione rallentata
  • riduzione dei movimenti fini e coordinati.

Sarcopenia_hq_03Il tutto evolve verso una riduzione delle normali attività di vita quotidiana.

La perdita progressiva di funzione porta ad un aumento di sedentarietà e cambiamenti del tono dell’umore, condizioni per le quali non viene favorito l’allenamento muscolare quotidiano e costante.

La perdita di massa muscolare crea un danno diretto alla struttura scheletrica perchè viene a mancare il sostegno attivo, aumentando i carichi diretti sui tessuti osteoarticolari e cartilaginei, creando carichi eccessivi anche alle strutture legamentose.

Si perde l’equilibrio tra i gruppi muscolari agonisti e antagonisti a svantaggio delle sinergie necessarie durante le attività motorie.

La perdita di massa muscolare riduce anche l’integrazione con il ricambio biologico del tessuto osseo favorendone l’osteoporosi.

Le contratture muscolari possono comparire con maggior facilità, le tensioni capsulo legamentose e gli impingment articolari sono maggiori.

La sarcopenia può incominciare a manifestare le prime avvisaglie in maniera lenta nel decennio tra i 40 e i 50 anni, per poi proseguire con un aumento di sviluppo dopo i 60 anni in maniera esponenziale, rapportandosi all’età del soggetto, alla qualità biologica dei tessuti dello stesso, al tipo di massa muscolare basale e al tipo di alimentazione che conduce.

Sarcopenia_hq_04La riduzione della massa muscolare può avere come concause la riduzione dell’equilibrio ormonale, così come l’ accumulo in eccesso di proteine ossidate e le modificazioni cellulari del tessuto stesso.

La sarcopenia fa pare del progressivo invecchiamento della persona per il trascorrere del tempo, non si può evitare ne tantomeno fermare, però è vero che ci sono delle attività e delle abitudini che la possono favorire e velocizzare, come la sedentarietà, la cattiva alimentazione, l’incostanza e la pigrizia nella gestione quotidiana della macchina umana.

L’unico fattore ad oggi registrato e concomitante nello sviluppo della sarcopenia nel tempo è il minor peso corporeo alla nascita.

Mediamente la sarcopenia vede una perdita di massa muscolare del 5% ogni 10 anni, che detto tra noi non sono per nulla pochi.

Come fare una diagnosi di sarcopenia?

Il primo elemento necessario è la raccolta di dati riferiti dal paziente in modo da poter avviare un’anamnesi dettagliata.

È necessario fare un esame obiettivo per valutare le capacità funzionale del paziente e i deficit presenti.

Sarcopenia_hq_05La precisione nella diagnosi può essere ottenuta con un’indagine diagnostica chiamata DEXA (assorbimetria a raggi X a doppia energia), vale a dire un esame che valuta varianti tra di loro diverse e che nella sarcopenia studia il peso corporeo in relazione alla massa magra e alla massa grassa del soggetto.

La DEXA può essere anche utilizzata per lo studio della massa ossea nella patologia specifica dell’osteoporosi.

Sarcopenia_hq_06La dose di radiazioni utilizzata in questo tipo di esame è discretamente bassa ed è per questo che si può ripetere l’esame anche a breve distanza.

Lo studio DEXA però deve essere associato ad un test di velocità di camminata per valutare la resistenza muscolare allo sforzo.

Il test e l’esame DEXA darà una valutazione specifica della sarcopenia e la percentuale di massa muscolare persa.

Sarcopenia_hq_07E quali sono i valori specifici di riferimento per stabilire l’effettiva presenza di sarcopenia?

  • riduzione della massa muscolare di almeno due unità sotto il valore medio riscontrato nei giovani adulti
  • velocità di camminata inferiore ai 2,8 metri al secondo
  • la forza nella presa della mano inferiore ai 30kg nell’uomo e a 20kg nella donna.

La terapia per questa patologia non prevede un grosso impegno farmacologico, perché al momento non ci sono cure definite e concordate degne di nota.

Si valutano terapie di tipo ormonali ma non sono ancora considerati protocolli condivisi.

Sarcopenia_hq_08Molto più valutati sono i rimedi naturali basati sull’esercizio fisico e sulla corretta alimentazione.

L’esercizio fisico deve esser fatto con costanza dalle 2 alle 3 volte a settimana cercando di impostare il lavoro sul recupero della forza e sull’aumento della resistenza allo sforzo.

L’attività muscolare deve essere completa almeno per quanto riguarda i gruppi maggiori sia di sostegno che dinamici.

Sarcopenia_hq_09L’alimentazione vede una dieta ricca di proteine e minerali e ridotta nell’apporto di grassi e zuccheri.

La fisioterapia ha la possibilità e la capacità di recuperare la miglior postura e di ritrovare gli equilibri muscolari rendendo economico l’uso dell’apparato locomotore.

L’osteopatia ha il compito di stabilire il miglior assetto vertebrale, la miglior integrazione tra i cingoli pelvici e scapolari, riducendone al minimo lo sforzo muscolare da dover compiere nelle attività minime.

Sarcopenia_hq_10L’osteopatia ha la possibilità di migliorare la funzione viscerale del tratto digerente per ottimizzare l’assorbimento e il metabolismo.

La sarcopenia purtroppo non è evitabile ma può essere invece evitabile lo sviluppo delle complicanze da essa scaturite .

Non trascuriamoci e rimarremo più giovani rispetto a quello che la nostra anagrafe dice.

Condropatia Femoro Rotulea

La condropatia femoro rotulea è una patologia a carico della cartilagine di rivestimento della rotula.

Condropatia Femoro Rotulea 01Anatomia

La cartilagine rotulea si riduce per eventi degenerativi o traumatici, spesso le due condizioni si associano come conseguenza nel tempo, di un rapporto causa effetto tra un trauma e una degenerazione o viceversa.

La patologia si manifesta con dolore nella zona rotula, associata a crepitio o scroscio durante il movimento del ginocchio, che il paziente stesso riferisce come una sensazione di sfregamento rumoroso durante la flessione e l’estensione.

Il ginocchio è un’articolazione formata da 3 parti ossee di cui la rotula è la porzione che ha il compito di gestire l’asse di funzionamento del quadricipite, prima che si inserisca sulla zona di aggancio tibiale denominata tuberosità tibiale.

Condropatia Femoro Rotulea 02Il femore e la tibia non sono perfettamente allineate tra di loro e per tanto non lo è neanche il quadricipite; se lo considerassimo nelle sue porzioni di giunzione osteotendinee, questo creerebbe un disassiamento e una sublussazione ogni qualvolta si facesse un movimento, facendo perdere forza ed efficacia.

Quindi possiamo affermare che la rotula crea un aggiustamento dinamico correttivo durante l’articolarità tra femore e tibia.

I carichi compressivi e di trazione sulla rotula sono eccessivi per sperare che da sola possa mantenere una corretta posizione nel movimento di scivolamento e traslazione, pertanto viene guidata e trattenuta dal bordo condiloideo femorale esterno, che è maggiormente sviluppato e dai legamenti alari che trattengono la rotula rispetto ai due condili femorali, assicurandone il corretto movimento ma anche il mantenimento della giusta posizione all’aumentare della forza di trazione del quadricipite.

Come guida al movimento della rotula rispetto al femore, troviamo una cresta sulla faccia interna della stessa, che si alloggia in uno spazio tra i condili femorali (gola intercondiloidea), direzionando il movimento della rotula quando è trazionata dal quadricipite durante la flessione del ginocchio.

La faccia interna della rotula, cosi come ogni porzione articolata, è rivestita di cartilagine, con il compito di proteggere la porzione ossea, di favorirne lo scivolamento e di ridurne gli attriti.

Condropatia Femoro Rotulea 03La condropatia femoro rotulea si sviluppa nel momento in cui si crea ripetutamente una disarmonia durante il movimento articolare di piegamento del ginocchio e del suo ritorno all’estensione, associato ai movimenti minori di accomodamento in rotazione interna ed esterna.

La cartilagine per effetto compressivo sui condili femori e sui bordi della gola intrecondiloidea, subirà una modificazione da sfregamento e da compressione che danneggerà l’integrità della cartilagine stessa, andandola a fissurare lungo la sua superficie, rovinandone l’integrità.

Da qui la comparsa del rumore durante il movimento e il dolore sulla zona rotulea.

Condropatia Femoro Rotulea 04Il dolore da cosa è dato?

Il dolore è dato dai nocicettori intrarticolari che vengono attivati dall’aumento della sensibilità ossea non più correttamente ricoperta e protetta dalla cartilagine, dal gonfiore e dall’infiammazione che si manifesta nella zona periarticolare per irritazione dei tessuti molli capsulari e sinoviali.

Anche i menischi stentano a mantenere la stessa funzionalità, perché nel momento in cui la rotula perde la sua normale funzione, i condili femorali creeranno un movimento di adattamento sulla tibia e i menischi cercheranno di compensare come possono, andando a determinare un risentimento sulla porzione della capsula articolare interna a e sul legamento collaterale interno.

La diagnosi clinica vede un test primario della rotula e del suo stato di salute, a cui sarà necessariamente associato una valutazione clinica dei menischi, della capsula articola e del legamento collaterale interno.

Condropatia Femoro Rotulea 05Diagnosi della condropatia femoro rotulea

Nella diagnostica per immagini sarà possibile valutare la situazione con una risonanza magnetica che ci mostrerà lo stato in essere della rotula nella sua posizione, nel rapporto di vicinanza rispetto alla gola intercondiloidea, lo stato in essere della cartilagine e dei tessuti periarticolari di cui abbiamo parlato prima, evidenziando o meno uno stato infiammatorio ed edematoso.

La cura prevede a livello farmacologico l’utilizzo di antinfiammatori non steroidei, eventualmente associati ad infiltrazioni di acido ialuronico, per ridurre l’infiammazione e aumentare la viscosità articolare.

Si può applicare del ghiaccio quando il gonfiore del ginocchio risulta evidente o per scopo preventivo dopo un’attività fisica prolungata.

Condropatia Femoro Rotulea 06La fisioterapia e l’osteopatia possono migliorare in maniera importante lo stato in essere del ginocchio nella condizione di condropatia, perché riescono a recuperare l’equilibrio muscolare del quadricipite rispetto alla catena posteriore dei muscoli ischiocrurali, possono far ritrovare una sinergia dell’anca rispetto al bacino e all’aspetto posturale vertebrale, in maniera da scaricare il ginocchio e la rotula da atteggiamenti di flessione accentuata.

Riescono ad equilibrare il lavoro della rotula rispetto ai legamenti interessati, rispetto alla capsula articolare e ai menischi, in maniera tale da recupera una qualità di movimento esaustivo nelle attività di vita quotidiana.

Possono ridurre il gonfiore dell’articolazione drenando la parte linfatica o vascolare venosa, che ha congestionato l’articolazione.

La condropatia femoro rotulea è un danno anatomico degenerativo che non regredisce, ma possiamo gestirla nel migliore dei modi per far sì che si stabilizzi e che non continui la sua corsa patologica oltre modo rispetto allo stato naturale di invecchiamento della persona.

Protesi d’anca

La protesi d’anca è sicuramente l’intervento ricostruttivo che vanta la più alta efficacia nella risoluzione del dolore e dei problemi di movimento dei pazienti che vi si sottopongono.

Protesi d’anca

La protesizzazione articolare è uno dei passi avanti più importanti nella gestione e nel recupero della salute ortopedica, per patologie di tipo croniche, degenerative e in alcune situazioni acute.

Protesi_anca_02Non tutte le articolazioni possono essere sostituite e non tutte le articolazioni sostituibili vantano lo stesso risultato, ma le strutture che maggiormente subiscono un impianto protesico, anche, ginocchia, spalle, come soluzione estrema ad un percorso di cura che non ha portato sufficienti risultati, hanno un guadagno buono tanto da far recuperare al paziente una qualità di vita migliore e un’autosufficienza nella quotidianità.

Andiamo adesso nello specifico parlando della protesi d’anca.

Le protesi d’anca non sono tutte uguali ne per materiali, ne per forma, ne per grandezza.

Non sono neanche tutte uguali per tipologia di impianto all’interno del femore ne per alloggio nell’acetabolo del bacino.

Protesi d'ancaLa scelta di protesizzazione può essere parziale o completa decidendo di sostituire tutta l’articolazione o solamente una parte di essa.

Le condizioni che le rendono differenti sono dovute al soggetto che la riceverà, giovane, meno giovane e anziano, per tipo di patologia e per evoluzione della tecnologia di progettazione e confezionamento.

Anche le zone di accesso chirurgico possono differenziarsi, garantendo lo stesso risultato per quanto riguarda il posizionamento della protesi, ma diversi per tempi di recupero biologico del paziente rispetto al danno chirurgico che inevitabilmente si crea con l’intervento.

Le protesi d’anca non durano in eterno ma sono soggette ad usura dei materiali che la costituiscono, generalmente durano circa 25 anni se utilizzate correttamente.

La ricerca spinge per renderle sempre più longeve, stabili e di minor impatto rispetto al tessuto organico dove le si impiantano.

A chi si propone?

Come accennavamo l’orientamento nella scelta della protesi si baserà su chi deve riceverla.

Le protesi che si metteranno in età giovanile e che con tutta probabilità, saranno soggette a revisioni (sostituzione), avranno un alloggiamento che non prevederà la cementazione della protesi nello spazio di riempimento, ne l’utilizzo di una protesi con uno stelo lungo, in modo tale da facilitarne la rimozione e causare il minor danno biologico nel momento dell’estrazione per sostituzione.

Nel caso di una persona anziana si tende ad utilizzare la cementazione degli spazi periprotesici di riempimento e l’utilizzo di steli un po’ più lunghi in modo da rendere la protesi stabile il prima possibile e rimettere il paziente subito in piedi per evitare le pericolosissime complicanze dell’allettamento prolungato.

Protesi d'anca rxLe protesi vengono utilizzate nei soggetti con forte artrosi, patologie autoimmunitarie come l’artrite reumatoide e simili, in casi di patologie malformative alla nascita e nel periodo dell’accrescimento (displasia congenita dell’anca, morbo di Perthes e altre), in situazioni di frattura articolare dove l’articolazione risulti irrimediabilmente danneggiata, ai casi di collasso vascolare per patologie dismetaboliche che portano alla necrosi dei capi articolari, nelle patologie tumorali ossee (in quest’ ultima situazione verranno utilizzate delle protesi tumorali che però meritano un articolo a se).

Il post intervento

Adesso parliamo delle situazione di recupero post intervento di protesizzazione.

Le ripresa sia dagli esiti del post intervento che nell’attività di vita quotidiana, cambia molto rispetto all’età del paziente e alla causa per cui il paziente è stato operato.

In percentuale il recupero più lineare lo abbiamo sui soggetti giovani che incorrono in una frattura non stabilizzazbile della testa o del colo del femore, oppure nei soggetti giovani che dopo frattura e intervento chirurgico di stabilizzazione con mezzi di sintesi, vanno incontro a necrosi della testa del femore e quindi a protesizzazione dell’articolazione.

Protesi_anca_05In percentuale i recuperi più tortuosi sono i soggetti anziani che protesizzano per un problema di grave artrosi, con perdita di asse meccanico e di tono muscolare.

Una considerazione a se meritano le patologie autoimmunitarie perché generalmente colpiscono soggetti giovani ma con quadri di degenerazione e infiammazione cronicizzati per lungo tempo, il tutto porterà ad un recupero cauto per evitare che l’infiammazione autoimmunitaria possa creare disagi ai tessuti che ospitano la neo articolazione.

Quello di cui bisogna tenere sempre conto nel recupero post intervento è:

  • la stabilizzazione della protesi rispetto alla parte ossea di innesto
  • il drenaggio e l’eliminazione delle raccolte di liquidi vascolari e linfatici che si addensano nelle zone anatomica in essere
  • recuperare ed elasticizzare la cicatrice
  • recuperare il tono muscolare
  • riprendere la normale articolarità, non tanto della protesi in se è per se ma della protesi rispetto alle strutture articolari direttamente inerenti come il ginocchio, la sinfisi pubica, l’articolazione sacro iliaca, la zona lombare
  • recuperare gli accorciamenti muscolari e le fibrotizzazioni che in maniera maggiore o minore ogni patologia sopra citata creano per compenso.

Protesi_anca_06Va pensato che la protesi deve rimettere il paziente nella condizione di poter ristabilire il miglior rapporto rispetto al resto della struttura ortopedica, tanto in statica quanto in dinamica, perciò andrà reintegrata nello schema ottimale che meglio la fa funzionare.

Il lavoro della fisioterapia e dell’osteopatia possono migliorare in fretta il processo di recupero e guarigione perché sono in grado di lavorare sul recupero e sul reintegro delle funzioni precedentemente perse.

La farmacologia potrà invece aiutare a gestire nelle prime fasi il dolore e l’ infiammazione tipica delle giornate post intervento chirurgico.

Protesi_anca_07La protesi d’anca è un aiuto qualitativamente valido per la gestione della salute ma non dimentichiamo che meglio la utilizziamo e la integriamo con il resto della struttura ortopedica e più sarà affidabile e duratura.

 

 

Lussazione di spalla

Per lussazione di spalla si intende una perdita della normale congruità dei rapporti articolari tra la testa dell’omero e la glena.

L’anatomia della spalla

L’articolazione geno-omerale, conosciuta anche come articolazione scapolo-omerale, consiste in una congiunzione tra la testa omerale di tipo sferica che si adatta all’alloggiamento concavo della scapola.

Il rapporto tra le due superfici articolari non è stabile perché la testa dell’omero è in proporzione più grande rispetto alla glena scapolare di alloggiamento.

I cercini glenoidei, la capsula auricolare, le strutture legamentose di sostegno ed i tendini inserzionali di giunzione muscolare, servono ad aumentare la capacità di sostegno e di stabilità per questa articolazione, che vede la necessità di avere dei gradi di mobilità molto ampi, per poter eseguire dei movimenti singoli e congiunti nei 3 piani dello spazio.

E’ quindi la caratteristica anatomica di questa articolazione che ne conferisce una certa suscettibilità all’instabilità articolare, a favore di una mobilità maggiore.

Nella lussazione di spalla la testa dell’omero perde il normale rapporto anatomia rispetto alla glena, creando una disgiunzione articolare.

Generalmente la lussazione avviene in percentuale maggiore per traumi diretti, ma non solo.

E’ necessario ricondizionare i rapporti articolari per merito di manovre di riduzione, che possono essere effettuate con varie tecniche.

Classificazione della lussazione di spalla

La lussazione di spalla vede una classificazione ben specifica:

  • anteriore, la più comune (oltre il 90% dei casi);
  • posteriore (2-5% dei casi)
  • inferiore, la meno comune.

Anteriore, se la testa dell’omero fuoriesce in avanti.

Posteriore se la testa dell’omero fuoriesce all’indietro.

Inferiore (se la testa dell’omero scivola verso il basso).

La lussazione di spalla oltre alla perdita della congruità articolare può causare delle lesioni secondarie alle strutture contigue:

  • lesioni del cercine glenoideo della porzione superiore (lesione SLAP)
  • lesioni del cercine glenoideo della porzione infero-anteriore (lesione BANKART)
  • lesioni del cercine glenoideo della porzione infero-posteriore (lesione BANKART INVERSA)
  • lesione della capsula articolare
  • lesione dei legamenti gleno-omerali
  • lesione della cuffia dei rotatori
  • lesione del tendine del capo lungo dl bicipite brachiale
  • stupor del plesso brachiale nella zona contigua all’articolazione
  • danni vascolari al pacchetto arterio-venoso nel segmento ascellare
  • fratture ossee a carico del terzo prossimale dell’omero, della testa dell’omero e della glena.

Caratteristica della lussazione di spalla è la possibilità che si instauri a seguire una instabilità cronica di spalla, che genera una predisposizione secondaria al ripetersi della lussazione (lussazione recidivante), oppure al manifestarsi di eventi sublussativi con una perdita parziale della congruità articolare e un rialloggiamento immediato del tutto autonomo.

L’instabilità di spalla post traumatica è chiaramente dovuta al conseguente danneggiamento delle strutture contenitive dell’articolazione primaria.

Sintomatologia

Lussazione di spalla 04I sintomi che si manifestano nella lussazione di spalla sono:

  • deformità anatomica articolare, dove risalta l’acromion, mentre la testa dell’omero non è palpabile nella sua normale posizione
  • forte dolore
  • gonfiore
  • limitazione articolare subtotale, con atteggiamento antalgico di difesa
  • scrosci articolari anomali
  • intorpidimento e parestesie dell’arto superiore che si estende spesso fino alla mano.

Le cause della lussazione di spalla, come precedentemente accennato, sono quasi sempre di natura traumatica diretta, caduta sulla spalla, oppure indiretta per caduta sul gomito o sulla mano.

Sarà la dinamica del trauma a causare la differenziazione tra una lussazione anteriore, posteriore, oppure inferiore, e l’eventuale associazione o meno di una frattura segmentale.

spalla infortunioIl trauma è sempre del tutto accidentale, ma va detto che alcune attività sono predisponenti all’evento, come ad esempio gli sport da contatto o pesistici, oppure attività lavorative che prevedono l’utilizzo di carichi ripetuti, con elevazione articolare multiplanare sopra il piano delle spalle e della testa.

Non va dimenticato che la lussazione di spalla può avere anche dei fattori predisponenti all’evento quali:

  • lassità capsulo-legamentose
  • patologie autoimmunitarie e/o infiammatorie del tessuto connettivo
  • traumi pregressi del  cercine glenoideo
  • traumi pregressi di tipo distrattivo legamentoso
  • miopatie
  • patologie neurologiche centrali o periferiche di tipo flaccido.

Diagnosi della lussazione di spalla

diagnosi lussazioneLa diagnosi di lussazione vede in prima battuta un’anamnesi con la quale si cerca di stabilire la dinamica dell’evento lesivo.

Ad essa sarà associata un’esame obiettivo, dove la palpazione articolare e la valutazione della congruità articolare, i test di mobilità e l’evocazione del dolore, saranno in grado di stabilire, quasi con esattezza, la diagnosi di lussazione gleno-omerale.

spalla rxOvviamente l’anamnesi e l’esame obiettivo non sono sufficienti a stabilire la gravità della lussazione, ne se ci sono dei danni associati, pertanto può rendersi assolutamente necessario, integrare la visita con esami radiografici, capaci di stabilire il tipo di lussazione posizionale e se ci sono dei danni fratturativi associati, esami di RM in grado di valutare i danni ai tessuti molli capsulo-legamentosi e muscolo-tendine.

Nel caso il paziente riferisca sintomi neurologici e vascolari associati all’evento traumatico, sarà opportuno richiedere uno esame elettromiografco per valutare la conduzione nervosa periferica rispetto alla placca motrice di competenza e un ecocolordoppler dei vasi profondi arterio-venosi del segmento succlavio ed ascellare, per studiarne la funzione.

Il trattamento della lussazione di spalla

spalla tutoreIl trattamento prevede in prima battuta una riduzione della lussazione tramite manovre specifiche, spesso esercitata in anestesia locale, per far rientrare la testa dell’omero nel proprio alloggiamento articolare.

A questa farà seguito un periodo di immobilizzazione, adoperando un tutore apposito che verrà utilizzato per circa 30 giorni, mantenendo la spalla bloccata in posizione neutra, riducendo a zero ogni tipo di movimento volontario ed involontario e permettendo ai tessuti molli di riparare dal danno subito nella lussazione della testa omerale.

E’ da dire che non tutti i tessuti sono in grado di riparare un danno anatomico, pertanto potrebbe risultare necessario ripetere delle indagini diagnostiche di RM dopo circa 3 mesi, per valutare i danni permanenti e quelli che invece hanno portato avanti un processo di guarigione.

Lussazione di spalla rieducazioneNelle prime 2-3 settimane dall’evento traumatico è importante ridurre l’infiammazione, pertanto sarà utile fare un uso locale di ghiaccio e di antinfiammatori all’occorrenza, coadiuvati da miorilassanti e antidolorifici nei primissimi giorni post trauma.

Una volta tolto il tutore sarà necessario introdurre un periodo riabilitativo fisioterapico, volto a recuperare l’articolarità della spalla, da principio sul piano primario di elevazione, per poi procedere con il movimento laterale di abduzione, fino ad integrare in ultima battuta le rotazioni esterne ed interne.

Necessario sarà far recuperare un ottimo tono-trofismo della muscolatura della spalla, senza mai arrivare allo sforzo massimo, ne ad un’affaticabilità limite, in maniera da irrobustire la tenuta muscolare dell’articolazione stessa.

Da non sottovalutare sarà l’allenamento propriocettivo, capace di ottimizzare gli schemi di movimento, corticalizzandoli nella maniera corretta.

Appare da subito chiaro che i tempi di recupero di una lussazione di spalla sono variabili a seconda della gravità del danno subito, dell’età biologica del paziente e dell’attitudine personale a svolgere lavori di recupero funzionali.

Pertanto i tempi minimi di 3 mesi per il ritorno alla normalità, possono allungarsi anche del doppio se non oltre.

Queste tempistiche variano di molto nel caso si renda necessario effettuare un’intervento chirurgico per riparare un danno anatomico importante quale una frattura ossea, una lassità o una lacerazione della capsula articolare, una lesione della cuffia dei rotatori, o una lesione del cercine glenoideo.

Lussazione di spalla chirurgiaL’intervento chirurgico può essere effettuato nei giorni subito a seguire l’evento traumatico, o dopo terminato il periodo riabilitativo d recupero nel momento in cui i risultati ottenuti non siano stabili e/o sufficienti.

La lussazione di spalla è un infortunio grave, ma se applicati da subito i giusti interventi di assistenza, si possono ottenere degli ottimi risultati di recupero.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Cervicalgia

Per cervicalgia si definisce un dolore nella zona cervicale, segmento anatomico che si estende da sotto la porzione nucale alla base delle spalle.

La definizione è molto generica e per questo, dietro un quadro di algia cervicale si possono nascondere molteplice cause e altrettante patologie.

Andiamo a capire insieme di cosa stiamo parlando.

Il tratto cervicale

Il tratto cervicale è la porzione vertebrale più alta della colonna vertebrale, è formata da 7 vertebre caratterizzate da una diversità di forma per alcune di esse.

Cervicalgia 02Le prime due vertebre cervicali non hanno un corpo vertebrale di sostegno ma hanno delle strutture articolari di movimento e un perno centrale che funge da asse contenitivo e di bilanciamento.

Dalla 3ª alla 7ª vertebra cervicale troviamo la presenza di un corpo vertebrale che tiene il carico della colonna cervicale e allo stesso tempo aiuta a guidare il movimento per merito di porzioni anatomiche chiamate UNCUS, coadiuvando il lavoro delle faccette articolari posteriori.

L’ultima vertebra cervicale, contrariamente alle altre dello stesso segmento, non ha il foro vertebrale per il passaggio intrinseco dell’arteria vertebrale.

Tutte queste diversità caratterizzano le vertebre cervicali per complessità di forma, di funzionamento e di movimento, rendendo necessario una neutralità ed un equilibrio almeno sui piani di flesso estensione e di lateralità nella mobilità quotidiana.

Cervicalgia 03Le cause della cervicalgia

Le cause che portano alla cervicalgia possono essere:

  • deviazione dell’asse posturale segmentale chiamata verticalizzazione e nei casi più estremi, inversione della curva cervicale
  • deviazione dell’assetto posturale generale con la perdita dell’equilibrio tra le curve di lordosi, cifosi e l’appoggio sul bacino e sulle anche
  • contratture muscolari
  • tensione eccessiva muscolare o muscolo-tendinea
  • blocco articolare acuto
  • problematiche di origine discale
  • riduzione degli spazi articolari e interdiscali
  • diminuzione del lume del forame di coniugazione
  • artrosi
  • problematiche derivanti dalla masticazione e dall’articolazione temporo-mandibolare
  • alterazione della vista o dell’udito che possono squilibrare l’assetto, portando ad una rotazione ed inclinazione del capo e del collo
  • difficoltà nella deglutizione
  • problematiche viscerali soprattutto a carico del sistema gastro/esofageo
  • asma e riduzioni delle capacità ventilatoria polmonare

Ovviamente molte cause possono intrecciarsi nello sviluppo della sintomatologia e del disagio cervicale, altre invece saranno individuate come primarie e dirette nella patologia vertebrale.

I sintomi

I sintomi più riscontrabili sono:

  • indolenzimento, tensione, dolore muscolare
  • accorciamento di una porzione di fibre muscolari individuate in un punto preciso, dove spesso si avverte un rigonfiamento dolente che indica in molti casi una contrattura muscolare
  • riduzione del movimento cervicale in rotazione, flesso/estensione, inclinazione laterale, con dolore manifesto nel forzare il movimento
  • alle volte è associato male di testa, per lo più nella zona sottonucale e in alcuni casi anche nausea
  • si possono manifestare leggeri gonfiori della mano la mattina al risveglio, alle volte accompagnati da formicolio del palmo e delle dita.

La diagnosi della cervicalgia

Una buona diagnosi è fondamentale non tanto per dare un nome alla patologia che affligge il paziente, che come abbiamo visto è molto generico, ma è necessaria per capirne la causa scatenante.

Una volta accertato il motivo sarà molto più semplice impostare una cura che sia efficace e stabile nel tempo.

Per la diagnosi come sempre va fatta una raccolta dati, anamnesi, per capire quando si è sviluppata la patologia, con quali modalità, se ci sono state delle cause dirette riconducibili e se possa essere confusa o sovrapponibile in alcuni tratti a patologie dai profili simili.

L’esame clinico è fondamentale per indagare le capacità residue del paziente, per capire come e cosa possa evocare il dolore e cosa aumenta o diminuisce il disagio.Cervicalgia 04

L’esame diagnostico più utilizzato è l’RX cervicale nella proiezione antero/poseriore e latero/laterale, per vedere la struttura anatomica strutturale vertebrale e l’asse della curva fisiologica di lordosi.

Nel caso ci sia il dubbio di un impegno discale, foraminale o inerente ai tessuti intrinseci del canale midollare, si richiederà una RM.

Saranno poche le occasioni che richiederanno un esame TC per poter chiarire l’idea di diagnosi sul caso.

A seconda delle concause che si sviluppano la patologia potrà rendersi necessario richiedere una visita specialistica con un otorinolaringoiatra, un gastroenterologo, un pneumologo, dentista o un’oculista, in modo tale da analizzare quei casi di co-interazione precedentemente citati nell’argomentare la sintomatologia.

Cervicalgia 05

Il trattamento

La cura vedrà la possibilità di utilizzo di varie strategie molte delle quali sovrapponibili tra di loro.

A livello farmacologico potranno essere utilizzati antinfiammatori, miorilassanti, antidolorifici, a seconda se sarà necessario ridurre l’infiammazione, modificare il tono basale muscolare o diminuire la soglia del dolore.

Anche la fisioterapia ha un ruolo determinante nella gestione della cervicalgia perché potrà curare gli aspetti posturali, ridurre lo stato delle contratture, allungare le fibre muscolari, ridurre il dolore.

Cervicalgia 06L’osteopatia ha il ruolo di ripristinare una mobilità articolare ottimale, recuperando i fulcri vertebrali per riportarli ad una sinergia congrua rispetto al miglior assetto vertebrale.

Importantissimo sarà il ruolo della prevenzione cercando di lasciare la cervicale e le spalle sempre ben allineate con il busto mantenendo un asse coerente che può essere visualizzando mantenendo le orecchie all’ altezza delle spalle come se fossero su un’unica linea.

Il collo deve essere sempre libero di poter fare movimenti di flesso estensione, rotazione e lateralità, pertanto sarà necessario fare degli esercizi autonomi di allungamento e mobilizzazione, forzando il movimento nelle loro escursioni massime ma senza mai arrivare al dolore.

Sarà importante mantenere un buon equilibrio respiratorio, per non mandare in affaticamento i muscoli accessori della respirazione.

Per chi passa molte ore della propria giornata seduto è fondamentale fare delle pause ripetute alzandosi e camminando in modo da riattivare i muscoli della postura ridando un start dinamico equilibrato.Cervicalgia 07

La cervicale è il timone della nostra postura ed è il crocevia di molte importantissime finzioni, cerchiamo di prendercene cura in maniera costante e coerente

Protesi di spalla, cosa c’è da sapere

Per protesi di spalla si intende la rimozione e la sostituzione dei capi articolari danneggiati della spalla, nelle componenti della testa dell’omero e nella maggior parte dei casi della glena omerale, utilizzando delle componenti artificiali.

Quando prenderla in considerazione?

Si prende in considerazione la protesizzazione chirurgica, quando la spalla risulta fortemente limitata nei movimenti, associandosi ad una forte componente dolorosa e quando qualunque trattamento conservativo, abbia fallito nell’intento di regressione della patologia.

L’articolazione della spalla è composta dalla gleno-omerale ovvero dalla testa dell’omero e dalla glena, situata nella porzione esterno-laterale della scapola, dall’articolazione acromion-clavicolare composta dalla clavicola che si articola con l’acromion nella porzione supero-laterale della scapola e dall’articolazione sterno-clavicolare, tra clavicola e sterno.

Protesi di spalla 02   Queste 3 articolazioni vere convivono con due articolazioni finte di scorrimento, chiamate sottodeltoidea e scapolotoracica, che hanno il compito di ottimizzare, in maniera sinergica, i movimenti della spalla nei 3 piani dello spazio.

La stabilità e il sostegno dell’articolazione è garantita nella sua interezza dai muscoli, dai tendini e dai legamenti che circondano la spalla stessa.

Nella protesizzazione di spalla viene sostituita solamente una delle articolazioni sopra elencate ovvero l’articolazione gleno-omerale.

Il primo intervento di protesi di spalla fu eseguito negli anni ’50 negli stati uniti, in quei casi dove il paziente aveva riportato delle gravi fratture articolari superiori omerali.

Nel tempo i materiali delle protesi sono nettamente migliorati e i casi in cui l’intervento viene effettuato, sono aumentati per specie e condizioni.

Protesi di spalla 03Si è notato con l’esperienza dei molti anni di protesizzazione, che il paziente trova un netto beneficio nella riduzione del dolore e riesce a recuperare un movimento autonomo nell’affrontare le normali esigenze di vita quotidiana, ma va detto che la neo articolazione non crea una super spalla, pertanto va gestita con la consapevolezza che va incontro ad usura e che la media della sua durata si aggira tra i 15 e i 20 anni.

Pertanto l’eccessiva attività può accelerare questa usura e può portare il paziente troppo presto all’intervento di revisione della protesi, nel caso in cui l’impianto si mobilizzi all’interno dell’osso stesso o diventi dolorosa.

Proprio per questo la maggior parte dei chirurghi sconsiglia di sollevare pesi superiori a 5-10 Kg, o di effettuare sport ed attività fisiche ad alto impatto articolare per il resto della vita dopo l’intervento chirurgico.

Quando viene presa in considerazione la possibilità di sostituzione protesica dell’articolazione gleno-omerale?

Protesi di spalla 04Quando il paziente mostra una forte limitazione articolare che incide nei gesti di vita quotidiana come pettinarsi, lavarsi il viso, mettersi una giacca o una maglietta, raggiungere degli oggetti posizionati in alto al di sopra della testa.

Questa forte limitazione articolare deve associarsi ad un dolore da moderato o grave, che si presenta non solamente nel movimento della spalla, ma anche a riposo e durante le ore di sonno.

Immancabilmente il paziente lamenterà una notevole perdita di fora e uno stato di contrattura periarticolare.

Protesi di spalla 05In ultimo, per arrivare a prendere in considerazione la possibilità di sostituzione protesica della spalla, bisogna accertarsi del fallimento di ogni tipo di cura conservativa che passi attraverso la farmacologia, le infiltrazioni e la fisioterapia, lasciando il paziente e il medico sguarniti di ulteriori possibilità terapeutiche.

Quali possono essere le patologie che predispongono alla protesi di spalla?

  • gravi fratture articolari
  • artrosi
  • condizioni artritiche autoimmunitarie, metaboliche o batterico/virali
  • necrosi vascolare
  • infezioni articolari

Protesi di spalla 06Tutte queste patologie possono causare dei danni articolari irreversibili, che rovinano irrimediabilmente l’articolazione nella sua forma e nella sua funzione.

Nella diagnosi, la raccolta dei dati anamnestici e l’esame obiettivo sono importanti, consentono di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quale sia lo stato di funzione della spalla, l’attivazione del dolore al movimento, alla palpazione e alla pressione, per avere un’idea della patologia in essere e dello stato della sua gravità.

Protesi di spalla 07Importantissimo sarà il supporto della diagnostica per immagini quali:

  • RX
  • RM
  • TC

per valutare sia lo stato anatomico dell’articolazione geno-omerale e sia dei tessuti muscolo-tendinei e capsulo-legamentosi inerenti.

Ma le protesi di spalla sono tutte uguali?

Esistono varie tipologie di protesi, ognuna delle quali viene pensata per adattarsi nel migliore dei modi al paziente, cercando di garantire un buon risultato nel lungo periodo.

Vediamo quali sono.

Protesi di spalla 08Protesi totale di spalla.

Comporta la sostituzione di entrambe le superfici articolari.

Se l’osso si presenta di buona qualità, il chirurgo può scegliere di utilizzare una componente omerale non cementata, mentre se l’osso si presenta degenerato e poco robusto, la componente omerale può essere impiantata con cemento.

Protesi di spalla 09Endoprotesi di spalla.

Viene sostituita solamente la testa dell’omero, pertanto questo intervento prende il nome  di emiartroplastica.

La testa omerale viene sostituita da una componente protesica metallica, costituita da uno stelo sul quale viene inserita una sfera.

L’emiartroplastica viene consigliata quando la testa omerale è gravemente degenerata ma le restanti componenti articolari sono normali.

Protesi di spalla 10Protesi di spalla di rivestimento o emicefalica.

Si procede alla sostituzione della superficie articolare della testa omerale con una protesi a cappuccio senza stelo.

Questo tipo di intervento viene preso in considerazione quando la superficie articolare glenoidea è intatta, quando il collo o la testa omerale non presentano fratture o dismorfismi, nei soggetti  giovani o molto attivi.

Questo tipo di impianto evita i rischi di usura e allentamento delle componenti convenzionali protesiche.

Da non sottovalutare il fatto che la protesi emicefalica può essere facilmente convertita in una protesi totale di spalla, nel momento in cui, per usura ulteriore della restante porzione articolare e del rivestimento metallico stesso, se ne presenti la necessità.

Protesi di spalla 11

Protesi inversa di spalla.

E’ una protesi particolare dove le convessità e le concavità articolari vengono invertite.

E’ indicata nei pazienti che presentano:

  • un grave danno anatomico della cuffia dei rotatori
  • in quei soggetti che mostrano un grave danno anatomico dell’articolazione gleno-omerale, con un cambiamento di forma non solo delle superfici articolari, ma che dell’osso nella sua qualità biologica e nelle linee di forza
  • nei pazienti che hanno subito un precedente fallimento di protesizzazione classica.

In questo tipo di intervento, il paziente può continuare ad avvertire dolore, anche se in maniera ridotta e non riacquistare un soddisfacente movimento soprattutto in abduzione.

Come procede il periodo post operatorio di recupero della funzione della neo-articolazione?

Protesi di spalla 12Il periodo di recupero post impianto, prevede una serie di attenzioni che coinvolgono varie condizioni:

  • la gestione della ferita chirurgica, sia nel periodo della permanenza dei punti, sia nel momento di chiusura totale e rimarginazione della ferita, per evitare che si formino aderenze e che sia il più elastica possibile, in maniera da poter scorrere correttamente in relazione ai tessuti sottostanti
  • la gestione del dolore che deve essere ridotto al minimo, utilizzando antinfiammatori naturali come il ghiacciaio e farmaci antinfiammatori e/o antidolorifici, in maniera da non creare circoli viziosi di contratture antalgiche muscolari
  • Protesi di spalla 13l’utilizzo di mezzi di scarico e protezione, quali tutori appositi di posizionamento della spallail drenaggio dell’arto superiore per eliminare i gonfiori e gli edemi conseguenti all’atto chirurgico per l’impianto della protesi
  • il recupero dell’articolarità della spalla in maniera progressiva e cauta, riprestinando in contemporanea le sinergie biomeccaniche rispetto alla scapola, al gomito, al polso e alla mano
  • il recupero del tono trofismo muscolare dei muscoli inerenti la spalla, per l’attivazione in autonomia delle neo articolazione nei 3 piani dello spazio
  • il recupero delle corrette posture e attivazioni vertebrali, che possono risultare alterate nei compensi, per il prolungarsi della patologia articolare e del dolore associato
  • l’allenamento nella gestione delle attività di vita quotidiane nella maniera più vantaggiosa del paziente, rispetto alla nuova condizione articolare

l’indottrinamento nella gestione della protesi, per evitare un’usura eccessivamente precoce o il danneggiamento delle componenti protesiche impiantate.

Protesi di spalla 14Spesso il paziente pone una domanda precisa su quanto tempo sarà necessario per completare l’iter di recupero post operatorio.

Questa domanda non può avere una risposta unica; l’esito del percorso sarà totalmente personale, in base al tipo di protesi impiantata, alla patologia con cui il paziente si presenta all’intervento, all’età biologica del paziente e alla condizione fisica generale della persona.

La protesi di spalla è un intervento importante e complesso, va affrontato con pazienza e determinazione nell’impegno necessario per il recupero dell’articolazione, cercando di non forzare la guarigione, ma rispettando i tempi biologici per stabilizzare l’impianto e ricreare un rapporto di lavoro congruo con i tessuti muscolari, tendinei e capsulari.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Coccigodinia

La coccigodinia è una manifestazione dolorosa della zona coccigea, localizzata nella porzione infero-mediana del bacino.


Anatomia

coccigeIl coccige è la parte terminale della colonna vertebrale, composta da un numero di segmenti variabili da 3 a 5 unità, fusi tra di loro, ad eccezione del primo metamero che si articola con l’osso sacro.

Il tratto coccigeo ha una convessità rivolta posteriormente e una faccia anteriore concava, pertanto possiamo dire che la punta è rivolta in avanti verso la zona pubica.

Al coccige si ancora una parte della muscolatura glutea, così come una parte della muscolatura pelvica e i loro tessuti connettivi inerenti di giunzione.

coccigodinia 02Possiamo pertanto affermare che il coccige sia un equilibratore del pavimento pelvico, entrando attivamente nella gestione dei carichi di linee pressorie, nel gioco della dissipazione delle forze di compressione e di trazione del piccolo bacino.

Vanno anche considerati i rapporti viscerali che il coccige ha in maniera semidiretta con il retto.


La manifestazione del dolore nella coccigodinia

Il dolore può essere dovuto sia ad un’infiammazione della zona inerente, sia ad uno stato di tensione anomala dei tessuti molli di competenza.

La coccigodinia si può presentare indipendentemente dal sesso e dall’età, anche se ci sono dei fattori predisponenti maggiori, come la gravidanza, il parto, la lassità dei tessuti molli, che mettono la donna in una condizione di maggior interesse.

Il dolore si manifesta nella parte terminale della colonna vertebrale, internamente alla zona bassa interglutea, identificato dal paziente in maniera puntiforme, posizionando il dito proprio nella zona apicale del coccige.

Il dolore può avere un’intensità mutevole, che varia da un fastidio ad un’incapacità di sedersi, di chinarsi in avanti, di mantenere la posizione eretta, di adoperarsi nei cambi di postura o addirittura di camminare per lunghi tratti.


I sintomi

I sintomi possono esser persistenti o intermittenti a seconda della gravità della situazione.

Il dolore può irradiarsi alla zona interglutea, ai fianchi, fino a scendere sulla zona prossimale-mediale posteriore delle cosce.

Durante i rapporti sessuali il sintomo può esacerbarsi, così come può essere presente nella costipazione o prima dell’evacuazione, per poi ridursi dopo la defecazione.

Anche il periodo del ciclo mestruale può aumentarne la sensibilità.


Le cause della coccigodinia

La causa diretta spesso è ricondotta ad una caduta sul sedere, dove l’effetto traumatico può addirittura causare una lesione fratturativa o una lussazione del segmento.

Molte altre cause sono associabili alla patologia, alcune delle quali sono legate alla cattiva mobilità del coccige e delle strutture muscolo-tendine, fibrose e viscerali ad esso legate.

Le lesioni da sforzo ripetitivo, possono essere un’altra causa della coccigodinia, dove in questo caso difficilmente si svilupperà un’ infiammazione, ma bensì si manifesterà un aumento della fibrosità e una tensione anomala dei tessuti molli connessi.

Alcuni sport, come il ciclismo, possono creare uno sfregamento ripetuto della zona, capace di innescare un’infiammazione della zona, alle volte con edema superficiale o profondo associato.

sedutaNon è da sottovalutare la cattiva postura che il paziente mantiene nelle posizioni sedute, dove lo scarico del peso corporeo si sposta dalla zona ischiatica, scivolando nella parte posteriore coccigea.

La gravidanza e il parto stesso, possono causare una tensione e una deviazione del coccige, per l’aumento del volume e della pressione nella zona infero posteriore del bacino.

Tra le cause possiamo anche includere le patologie infettive, soprattutto nel momento in cui sfoghino in ascessi, particolarmente debilitanti, per la loro persistenza e per la difficile risoluzione in maniera veloce.


La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione dell’affezione, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la postura del paziente, sia sul piano sagittale che sul piano frontale, per analizzare le capacità di movimento del bacino, lo stato di tensione muscolare, dei tessuti connettivi di collegamento e la reazione del paziente all’evocazione del dolore durante la palpazione.

coccigodinia 05L’esame radiografico si rende assolutamente necessario per esaminare lo stato anatomico del segmento coccigeo e rilevarne eventuali fratture, lussazioni, o modificazioni anatomiche quali esostosi o calcificazioni.

Può ritenersi necessario integrare l’Rx, come esami di risonanza magnetica o Tc, che hanno la capacitò di analizzare con maggior scrupolo tanto la struttura ossea, quanto i tessuti molli associati.

Nel caso sia presente un ascesso di tipo infettivo, può essere utile, se non addirittura necessario, richiedere degli esami di laboratorio per valutare lo stato biologico dei fattori patologici nel contesto della persona.


Il trattamento della coccigodinia

L’utilizzo di farmaci antinfiammatori vede un’ampia gamma di possibilità terapeutiche quali:

  • antinfiammatori non steroidi
  • cortisonici
  • miorilassanti
  • antidolorifici.

Possono rivelarsi utili le applicazioni infiltrative locali, per aumentare l’efficacia della somministrazione farmacologica.

In molti casi si rende necessario l’utilizzo di un cuscino vuoto nella sua porzione centrale, comunemente chiamato ciambella, per scaricare il peso corporeo e la frizione nella zona coccigea nelle posture sedute del paziente.

fisioterapiaLa fisioterapia, così come le tecniche manipolative osteopatiche, si rivelano ottime per il riequilibrio del coccige all’interno del sistema del piccolo bacino, per la correzione dell’articolazione sacro-coccigea, per la diminuzione della tensione muscolare associata e per ridare elasticità ai tessuti connettivi-legamentosi di relazione.

La chirurgia può ritenersi una strada valutabile solo ed esclusivamente nei casi in cui abbiano fallito tutte le terapie sopra indicate e il paziente non riesca a risolvere il dolore, dovendo affrontare una diminuzione drastica della qualità di vita nelle attività quotidiane minime.

La coccigodinia è una patologia fastidiosa, ma ha talmente tante variabili evolutive che ci permette di approcciarla con varie soluzioni terapeutiche, risolvendo il problema in maniera efficace e definitiva.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Gotta

La gotta è una patologia dovuta ad un’alterazione del sistema metabolico, provocando l’accumulo di acido urico nel sangue e conseguentemente nei tessuti.

L’uricemia

Tramite l’uricemia si studia la misurazione della concentrazione di acido urico nel sangue.

L’uricemia può avere dei picchi di innalzamento fisiologici a seconda della tipologia e delle quantità di cibo ingerito, ma se il suo aumento cronicizza, si creano dei cristalli di urato che si possono depositare nelle articolazioni e nei tessuti molli.

I depositi di urato portano ad un processo infiammatorio presentandosi al paziente sotto forma di artrite gottosa.

La sinovite, caratteristica tipica nell’artrite gottosa, dovuta alla saturazione della membrana sinoviale e dello spazio articolare da parte dei cristalli di urato, genera oltre ad un’infiammazione, anche un’erosione delle cartilagini articolari.

Inoltre, in quasi tutti pazienti, si riscontra un accumulo di acidi urici anche nei tubuli renali.

Le classificazioni

La gotta viene classificata in:

gotta 01GOTTA PRIMARIA,

di tipo idiopatica, ovvero senza causa apparente, dove sembra ci sia un disturbo metabolico di tipo ereditario, presente sin dalla nascita.

La patologia si manifesterà alla comparsa dell’aumento dell’uricemia e ciò può avvenire già in età puberale, anche se la casistica nota che la comparsa della sintomatologia, si manifesta maggiormente tra il 3° e il 5° decennio di vita.

GOTTA SECONDARIA,

dove la comparsa è dovuta alla presenza di una o più patologie, che alterano in maniera consequenziale, il metabolismo degli acidi urici.

La gotta primaria e quella secondaria non sono molto diverse tra di loro, per tutto quello che riguarda la comparsa di segni clinici associati ai sintomi.

Possiamo pertanto stabilire un quadro unico di manifestazione che andremo a dividere in:

  • gotta acuta
  • gotta intercritica
  • gotta cronica

La sintomatologia della gotta

I sintomi possono comparire in ritardo, addirittura dopo un periodo di latenza anche di 30 anni.

gotta 02La GOTTA ACUTA, si manifesta con un’artrite acuta, preceduta da una sinovite importante, che colpisce una o più articolazioni periferiche, generalmente l’alluce e maggiormente nelle ore notturne.

L’articolazione colpita, soggetta ad infiammazione, presenterà arrossamento, calore cutaneo, ipersensibilità pressoria e un dolore importante, tanto da non riuscire addirittura a sopportare il peso del lenzuolo sul dito interessato nel caso sia coinvolto l’alluce.

Il quadro acuto dura mediamente 3-4 giorni, ma nel caso in cui il paziente sia incappato in uno grave stato infiammatorio, il tempo può prolungarsi sino a 2-3 settimane.

Alla conclusione dell’attacco acuto, ci sarà una remissione completa dei sintomi, con il recupero totale della funzione articolare e un netto miglioramento del trofismo cutaneo.

La GOTTA INTERCRITICA, é il ripetersi degli attacchi acuti in un lasso di tempo che tende ad accorciarsi rispetto allo stato silente asintomatico.

Con il passare degli anni gli attacchi artritici gottosi acuti aumenteranno nella frequenza, riducendo pertanto lo stato di quiete della patologia.

Le manifestazioni patologiche saranno volta dopo volta, sempre più forti, dureranno un maggior numero di giorni e potranno coinvolgere più articolazioni.

La GOTTA CRONICA si ha quando il paziente è soggetto ad un persistente aumento dell’uricemia ed è colpito con insistenza da attacchi di gotta.

Il paziente va incontro a depositi di cristalli di monourato sodico a livello articolare e dei tessuti limitrofi.

Questi depositi di cristalli vengono chiamati tofi.

tofiI tofi possono presentarsi anche in sede extrarticolare, in sede peritendinea e in prossimità delle borse di scorrimento, cosi come possono manifestarsi nel parenchima renale, provocando nefropatia e nefrolitiasi (calcoli renali).

I tofi provocano un danno articolare che interesserà sia le cartilagini, sia i capi articolari ossei, sia i testi molli inerenti, deformando l’articolazione stessa, mantenendo uno stato infiammatorio persistente e sviluppando un quadro di artrite cronica, con una riduzione importante della capacità funzionale.

A livello cutaneo si possono presentare delle fistole da cui fuoriesce un essudato.

I fattori scatenanti

alimentazioneI fattori scatenanti la gotta possono essere innumerevoli:

  • consumo eccessivo di bevande alcoliche
  • alimentazione ipercalorica
  • una dieta dimagrante dai cattivi rapporti alimentari
  • ipercatabolismo proteico
  • alimentazione ricca di composti azotati (esatti di carne, carne, alcuni tipi di crostacei, molluschi etc.)
  • sovrappeso
  • nefriti
  • l’utilizzo di diuretici
  • una scarsa idratazione
  • un difetto enzimatico (alterazione nella produzione dell’ipoxantina-guanin-fosforibosil-transferasi) che comporta un incremento di acido urico.

La diagnosi della gotta

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare lo stato di funzione dell’articolazione, la condizione di mobilità articolare, l’evocazione del dolore al movimento, alla palpazione, alla pressione, allo sfioramento della cute, il gonfiore, la presenza di tumefazione, l’aumento del calore cutaneo, la presenza di fissurazioni con eventuale essudato, per concludere con la ricerca palpatoria di noduli o di zone fibrose.

Sarà di grande aiuto la richiesta delle analisi di laboratorio per valutare lo stato in essere dell’uricemia, l’aumento della VES e la presenza di una leucocitosi.

Anche l’esame radiografico può essere di grande supporto diagnostico, per evidenziare la presenza o meno di tofi ed un eventuale danno articolare deformante.

L’ecografia potrà avere un duplice scopo, quello di valutare i tessuti molli extrarticolari, come anche di scoprire la presenza di calcoli renali o alterazioni parenchimali dell’organo.

Il trattamento

La terapia ha lo scopo di ridurre i valori di uricemia, in parte si può contribuire con una corretta alimentazione che vada a bilanciare i rapporti proteici-calorici-idrici.

Diminuire il sovrappeso, ma senza utilizzare diete drastiche con regimi alimentari squilibrati, aumentare l’attività fisica e ridurre al minimo l’utilizzo di bevande alcoliche.

La farmacologia è di grande aiuto per ridurre la formazione di acidi urici e per combattere lo stato infiammatorio acuto e/o cornico.

Nel caso la gotta abbia riportato dei danni funzionali o peggio ancora dei danni anatomici, sarà importante ricorrere alla fisioterapia per recuperare il movimento articolare, lo stato di elasticità dei tessuti ed eliminare le tensioni muscolari che si sono venute a creare per via delle contratture antalgiche riflesse.

La gotta è una patologia di immediato approccio, ben valutabile e curabile con successo; la cosa importante è non farla sfociare nella cronicità ed evitare che si instaurino dei danni anatomici permanenti.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Sindrome del canale di Guyon

Prima di entrare nel merito della sindrome del canale di Guyon, permettetemi una piccola introduzione.

Cos’è il canale di Guyon?

Il canale di GUYON è uno spazio anatomico del carpo, compreso tra l’osso pisiforme, l’apofisi unciniforme dell’uncinato e il legamento piso-uncinato.

In questo segmento ben delimitato, c’è il passaggio del nervo ulnare e del suo pacchetto vascolare.

Cosa fa il nervo ulnare?

Il nervo ulnare è un nervo misto sensitivo/motorio, che origina dalle radici inferiori del segmento cervicale.

Sindrome del canale di Guyon 01La componente sensitiva innerva la cute palmare mediale della mano, la faccia palmare del 5° dito, la parte mediale del 4° dito e manda dei rami destinati all’innervazione del gomito.

La componente motoria della mano innerva tutti i muscoli dell’eminenza ipotenar (ad eccezione del muscolo palmare breve), i muscoli interossei, il 3° e 4° muscolo lombricale, l’adduttore del pollice e il capo profondo del flessore breve del pollice dell’eminenza tenar.

Nell’avambraccio, sempre a livello motorio, innerva il flessore ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle dita.


La sintomatologia

Sindrome del canale di Guyon 02I sintomi possono essere prevalentemente sensitivi, prevalentemente motori, oppure misti.

La differenza di queste 3 situazioni è data dalla compressione-irritazione del ramo motorio, sensitivo, o di entrambi, del nervo ulnare.

Nella compromissione del ramo motorio, il paziente lamenta perdita di forza, di resistenza, di mobilità fine articolare, comparsa di crampi, presenza di ipotonia muscolare con riduzione del volume associato, di tutta o di una parte della muscolatura intrinseca della mano, precedentemente descritta.

Nella compromissione sensitiva, l’area dell’eminenza ipotenar e del 4°-5° dito, come descritto precedentemente nella presentazione del nervo ulnare, soffrirà di parestesie o di ipoestesie, a cui si potranno associare dolori che avranno un andamento acuto o cronico a seconda dell’evoluzione della patologia per gravità e tempo di evoluzione.

Sindrome del canale di Guyon 03Le cause che possono portare alla sindrome del canale di Guyon, sono da ricercare su molteplici fattori:

  • alterazioni ossee (osteotifi ed esostosi)
  • artrosi
  • ispessimento del legamento piso-uncinato
  • traumi distorsivi del polso
  • fratture del polso
  • formazioni cistiche
  • alterazioni vascolari dell’arteria ulnare
  • compressione da parte dei tessuti muscolo-tendino-legamentosi limitrofi
  • artrite reumatoide
  • patologie dismetaboliche del tessuto connettivo.

Sindrome del canale di Guyon 04 Sindrome del canale di Guyon 05

Tutte le condizioni eziologiche sopra citate, arrecano uno stato di compressione, di irritazione, di ipossia, del nervo ulnare, provocandone una reazione patologica dalla sintomatologia precedentemente descritta.


La diagnosi della sindrome del canale di Guyon

La diagnosi vede la necessità di fare una raccolta dati indirizzata a capire se ci siano stati dei traumi, il tipo di attività lavorativa o sportiva condotta dal paziente, se ci siano dei disordini dismetabolici o se siano presenti in famiglia casi di patologie autoimmunitarie che possano riportare ad una connettivite o ad una condizione di artrite reumatoide.

Va sempre fatta attenzione a non confondere una sindrome del canale di Guyon, con una cervicobrachialgia C8-T1 (cervicali inferiori), scaturite da un’ernia discale o da un intrappolamento del forame di coniugazione, casi questi che potrebbero dare una sintomatologia molto simile alla patologia che stiano studiando nell’articolo di oggi.

Sindrome del canale di Guyon 06Anche il gomito, per merito della sindrome del tunnel cubitale, può creare confusione nella diagnosi della patologia di Guyon.

Sarà quindi importantissimo essere attenti nell’utilizzo dei test clinici e nel supporto delle indagini diagnostiche, che potranno variare dalla semplice RX, all’utilizzo di RM, TC, ecografia, elettromiografia, fino ad arrivare al consulto di analisi di laboratorio.


La cura

La cura della sindrome di Guyon, prevede un approccio multidisciplinare, che si avvarrà della farmacologia per merio di categorie diverse di molecole a seconda della causa che avrà portato alla patologia:

  • antinfiammatori non steroidei
  • cortisone
  • antiedemigeni
  • antidolorifici
  • integratori per il sistema nervoso periferico.

La fisioterapia sarà utilissima, alle volte determinante, nella remissione della sintomatologia, utilizzando tecniche di disimbrigliamento del sistema nervoso periferico per mezzo di manipolazioni neurodinamiche.

Si potranno utilizzare metodiche di mobilizzazione ed elasticizzazione dei tessuti legamentosi e dei tessuti molli adiacenti.

Saranno utili le tecniche di drenaggio nel caso sia presente un accumulo di liquidi vascolo-linfatici, nella zona di passaggio del nervo ulnare.

Risulterà necessario adoperare delle procedure di recupero del tono/trofismo della muscolatura intrinseca della mano, così come sarà fondamentale recupera la propriocettività e la giusta sensibilità del territorio interessato dal nervo ulnare nella mano.

Sindrome del canale di Guyon 07Non è assolutamente da escludere l’intervento chirurgico, con l’apertura del canale del nervo ulnare e disimbrigliamento del nervo stesso, in tutti quei casi ove ogni approccio terapeutico conservativo sia risultato inefficace o instabile nel raggiungimento e nel mantenimento dello stato di buona salute del paziente.

La sindrome del canale di Guyon non è una patologia grave, ma può risultare molto fastidiosa e debilitante nello svolgimento delle attività quotidiane, ma con la giusta diagnosi e la cura adeguata, la si può risolvere in maniera brillante.


La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Displasia congenita dell’anca

Cos’è la displasia congenita dell’anca?

Displasia congenita anca 01La displasia congenita dell’anca (DCA) conosciuta in alternativa  come “lussazione congenita dell’anca (LCA)”, è una patologia che riguarda l’articolazione coxo-femorale sia nella conformazione e sia nel posizionamento della testa del femore rispetto all’acetabolo.

Le classificazioni

La lussazione congenita dell’anca, ha diverse classificazioni a seconda di come evolve la dislocazione della testa del femore e dei rapporti anatomici che si vengono ad instaurare:

  1. displasia dove si evince un acetabolo ovalizzato
  2. sublussazione della testa del femore dove si ha una perdita parziale dei normali rapporti anatomici tra i due capi articolari
  3. lussazione dove si ha una perdita totale dei normali rapporti anatomici tra i due capi articolari
  4. lussazione e formazione di un neo-acetatolo, ovvero l’osso esterno del bacino (iliaco), al di sopra dell’articolazione, si modifica creando una nicchia che ospita la testa del femore in maniera impropria.

Displasia congenita anca 02

Quando si manifesta?

La patologia displasica si attiva già nel periodo fetale e può manifestarsi su una singola anca oppure, in percentuale ridotta mediamente al 30-35%, su entrambe le anche.

La popolazione femminile è maggiormente colpita rispetto ai maschietti e si riscontra una familiarità patologica.

Displasia congenita anca 03Nella displasia congenita dell’anca troviamo una serie di alterazione che riguardano varie strutture anatomiche:

  • cartilagini
  • osso
  • capsule articolari
  • legamenti
  • muscoli
  • tendini
  • tessuti fasciali
  • tessuto adiposo.

Le alterazioni strutturali sono sicuramente le più importanti, perché da lì avremo gli adattamenti di tutte le restanti strutture anatomiche, che compenseranno nel miglior modo possibile, senza però arrivare mai ad una stabilità ottimale dello stato di salute dell’articolazione.

Per alterazioni strutturali intendo:

  • ipoplasia dell’acetabolo
  • un solco migratorio della testa del femore sull’ala iliaca esterna del bacino
  • la formazione atipica di un neo-acetabolo alla fine del solco migratorio iliaco, dove si stabilizzerà la testa del femore, creando una falsa articolazione adattativa
  • alterazione della testa, del collo e dell’angolo femorale.

Cause e sintomi della displasia congenita dell’anca

Cause

Displasia congenita anca 04Le cause che possono innescare la displasia congenita dell’anca sono diverse:

  • ereditarietà che si manifesta con percentuali diverse a seconda del diretto corrispettivo con genitori o fratelli
  • riduzione della resistenza della cavità acetabolare, ovviamente a maggior impronta cartilaginea nei primissimi periodi di vita e sviluppo
  • lassità capsulo-legamentosa, che permette il dislocamento della testa del femore fuori dall’asse articolare
  • la posizione del feto nel periodo di sviluppo e il rapporto di volume-spazio occupato soprattutto negli ultimissimi mesi, che potrebbe portare il nascituro ad assumere degli atteggiamenti sbagliati e innaturali con l’anca.

Sintomi

I sintomi che si manifestano nella lussazione congenita dell’anca sono diversi a seconda del grado di displasia e in relazione all’età della comparsa manifesta nel soggetto affetto.

Nella fase neonatale si individua uno scatto ed un’anomalo movimento, che viene riscontrato e riprodotto tramite due test specifici:

  • manovra di Ortolani
  • manovra di Barlow.

La coscia tende ad essere maggiormente in extrarotazione nella posizione di riposo e l’arto displasico è risalito, risultando erroneamente più corto.

I movimenti di apertura della coscia possono risultare ridotti.

Displasia congenita anca bambiniNello sviluppo dei bambini, in particolare modo nella conquista della posizione bipodalica e nello sviluppo della deambulazione, si può manifestare un ritardo di entrambe le fasi.

Non è raro notare uno stato anomalo di tensione muscolare, se non addirittura di contrattura di alcuni e uno stato di ipotonicità di altri.

Nel corso degli anni si instaureranno compensi di postura sia a livello della colonna vertebrale, sia nel ginocchio, com’anche nell’appoggio del piede a terra in fase statica e dinamica.

Sarà inevitabile veder sviluppare un’artrosi precoce della testa del femore e della zona articolare che la contiene.

Come si diagnostica una displasia congenita dell’anca?

Manovre Ortolani BarlowCome prima frase, nei giorni di degenza ospedaliera del bambino dopo il parto, durante i controlli pediatrici, vengono eseguite le manovre di Ortolani e/o di Barlow, che metteranno in allerta i sanitari, nel qual caso risultino positive.

Gli esami ecografici sono fondamentali e vanno effettuati tra la 6° e la 12° settimana di vita del bambino.

L’ecografia permetterà di vedere lo stato di salute della zona articolare, le strutture cartilaginee pre-sviluppo osseo, lo stato in essere dei legamenti e delle capsule articolari.

Displasia congenita anca RXLe indagini radiografiche permettono di capire l’anatomia delle articolazioni coxo-femorali displasiche, non nel periodo post nascita e ne prima dello stadio di inizio deambulazione, perché la formazione ossea sarebbe minima e quindi troppo poco valutabile.

L’RX diventa un ottimo esame diagnostico nel momento in cui l’osso è sufficientemente o totalmente formato, permettendo di valutare sia la posizione dei capi articolari, sia la deformazione articolare, sia la presenza della neo-articolazione.

La terapia della displasia congenita dell’anca

La terapia varia in maniera significativa a seconda di quanto si sia stati tempestivi nel diagnosticare e nell’affrontare la patologia displasica.

La fase neonatale

Displasia congenita anca tutore

Displasia congenita anca tutore

Nella fase neonatale si utilizza un tutore per centrare e mantenere nella posizione ottimale la testa del femore nell’acetabolo.

Fintanto che le strutture anatomiche, scaricate dalle trazioni muscolari e dalle forze di compressione, si sviluppino maggiormente e siano tra loro meglio contenenti.

Nel caso la terapia inizi in una fase di lussazione dell’anca, sarà necessario applicare una trazione prolungata in scarico che riporti la testa del femore in allineamento con l’acetabolo articolare.

Si andrà, poi, fare una manovra di riposizionamento e fissarla in correzione con apparecchio gessato o tutore.

I tempi saranno variabili in ogni sua fase a seconda della gravità della lussazione e in relazione allo stato di tensione e fibrosità dei tessuti molli.

Accrescimento e età adulta

Nel caso la patologia sia ormai conclamata e stabilizzata in un’età di accrescimento e sviluppo importante, non abbiamo modi efficaci per ristabilire la congruità dei capi articolari, se non sostituire l’articolazione con un’artroprotesi, impiantando quindi una nuova testa del femore e un nuovo acetabolo.

Visto che le protesi articolari hanno un tempo di durata abbastanza predefinito, generalmente si aspetta un’età adulta per impiantare la neo-articolazione.

Nel frattempo si utilizza la fisioterapia per diminuire al massimo i compensi articolari vertebrali e di carico degli arti inferiori, ristabilendo la miglior capacità funzionale delle catene muscolari, evitando contratture oppure ipotonicità.

Sarà necessario mantenere la miglior articolarità possibile concessa, per lasciare attivi i movimenti nei piani congrui biomeccanici.

artroprotesi ancaSpesso ci troveremo costretti a recuperare la dismetria tra i due arti, causata dalla dislocazione articolare, per mezzo di un rialzo, permettendo di mantenere almeno il miglior assetto vertebrale posturale possibile.

L’artroprotesi

Quando il paziente arriverà ad un’eta congrua per affrontare l’intervento di sostituzione articolare, una volta impiantata l’artroprotesi, si procederà ad un periodo di recupero riabilitativo.

In questa fase, sarà compito del fisioterapista andare a ristabilire l’articolarità della protesi, eliminare gli esiti chirurgici, quali edemi, cicatrici, ipotonie muscolari, scompensi posturali e biomeccanici.

A questo punto il paziente comincerà a vivere un nuovo periodo, libero dalle difficoltà articolari e dai dolori muscolari.

Deve tener presente che generalmente il complesso protesico messo prematuramente, deve portarlo a prestare attenzione per evitare un’usura precoce della neo-articolazione.

E’ indispensabile evitare di sottoporla a gesti che ne possano aumentare il carico oltremodo ed il rischio di lussazione.

La displasia congenita dell’anca non ci deve preoccupare soprattutto se presa nelle primissime fasi neonatali.

La diagnosi precoce diventa la miglior alleata a nostra disposizione, in caso contrario il percorso di cura sarà più lungo e tortuoso ma comunque possibile.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

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