Il piede cavo
Il piede cavo è una conformazione alterata dell’arco plantare, che mostra un eccesso di curva della volta interna, aumentandone l’altezza oltre misura, con uno spostamento dell’equilibrio di appoggio sulla porzione laterale del calcagno e del mesopiede.
Il piede cavo è la conformazione diametralmente opposta al piede piatto (argomento di cui ho parlato in uno dei miei precedenti articoli https://www.ambrogioperetti.it/piede-piatto/).
Al piede cavo, si associa un’alterazione della biomeccanica statica e dinamica, che comporta una traslazione del calcagno in atteggiamento di varismo, dovuto allo spostamento di carichi nella porzione più laterale e un atteggiamento a griff delle dita dei piedi, che cercano di recuperare un meccanismo di adattamento e di ammortizzazione di competenza della volta plantare interna, oltre che di quella trasversale.
Queste alterazioni di forma e di funzione comportano con il passare del tempo anche un accorciamento o una deviazione di asse dei tendini.
Il tendine d’Achille tende a lavorare non più in asse ma traslato esternamente.
I tendini dei muscoli flessori plantari lunghi delle dita tendono ad accorciarsi, così come i tendini degli estensori dorsali metacarpo-falangei.
La stessa fascia plantare con il passare del tempo, subisce una fibrotizzazione ed una retrazione, riducendo ancor più il ruolo ammortizzante della volta plantare interna.
Il piede cavo, strutturandosi sempre di più nel tempo, comporta un retrazione della catena muscolare del polpaccio, con uno squilibrio che si trasmetterà alle sinergie muscolari tra catene agoniste e antagoniste dell’intero arto inferiore, per arrivare ad un accomodamento che potrà essere ricercato addirittura nel sistema scheletrico del bacino e della colonna vertebrale.
Il piede cavo generalmente ha una partenza asintomatica, ovvero nella fase di sviluppo del dimorfismo plantare, i tessuti molli muscolo-tendinei e capsulo-legamentosi, sono ancora sufficientemente elastici da adattarsi con facilità alla deviazione dei carichi e alla perdita parziale del sistema di ammortizzamento della volta plantare interna.
Il paziente diventa sintomatico nel momento in cui la cronicità del piede cavo, si associa ad una degenerazione e/o ad un invecchiamento dei tessuti molli, che fibrotizzando, perdono le loro capacità di compenso, attivando altresì segnali nocicettivi e feedback propriocettivi alterati, instaurando delle contratture antalgiche riflesse.
I sintomi più comuni che il paziente riporta sono:
- rigidità del piede, delle dita e della caviglia
- dolore nella zona della fascia plantare
- fascite planare
- dolore nella zona calcaneare infero-esterna
- tallonite
- dolore nella zona legamentosa del malleolo peroneale
- sviluppo di dita ad artiglio o a martello, con la presenza di callosità nella zona dorsale interfalangea
- instabilità della caviglia con tendenza a fare distorsioni esterne
- aumento della faticabilità nel mantenere a lungo la posizione eretta
- aumento della faticabilità fino alla comparsa del dolore nelle attività di deambulazione o di corsa, specie se in pendenza
- tendiniti su uno o più tendini dei compatimenti direttamente coinvolti nella biomeccanica del piede.
Il piede cavo ha principalmente 3 categorie eziologiche:
- congenito
- adattativo
- idiopatico
La forma congenita vede insita una familiarità, che trasmette per ereditarietà la conformazione anatomica caratteristica del piede cavo.
La forma idiopatica, è definita tale perché non c’è una causa apparente o riconducibile allo sviluppo di tale dimorfismo.
La forma adattativa è la conseguenza di eventi traumatici o patologici che obbligano il piede a cercare un compenso, anche se in una forma sbagliata.
La forma adattativa può insorgere a seguito di:
- traumi soprattutto di tipo fratturativi, con deformazioni non recuperabili e/o anchilosi
- forme artritiche deformanti
- patologie neurologiche che comportano spasticità muscolare periferica
- l’utilizzo eccessivo e prolungato di calzature strette e dal tacco alto.
La diagnosi del piede cavo è ben oggettivatile al semplice esame obiettivo, ma è comunque molto importante fare una più che attenta anamnesi, per capire le condizioni che possono aver portato al cavismo del piede, quando ha iniziato a manifestarsi, quando si è instaurato e quanto va ad inefficiare nella vita del paziente, se valutato all’interno delle attività di vita quotidiana e nelle attività ludico-sportive.
La ricerca di segni e sintomi, è importante per studiare lo stato di gravità della patologia e la facilità di iperattivazione del dolore.
E’ importantissimo osservare anche la stabilità articolare sia nelle zone di passaggio tra retropiede, mesopiede e avampiede, sia la rigidità articolare associata a quella dei tessuti molli di competenza diretta e indiretta.
Risulta molto utile richiedere un esame baropodometrico, sia statico che dinamico, per analizzare la postura del piede e l’impronta dell’appoggio al suolo, nelle attività congrue alla vita quotidiana.
L’esame radiografico e/o quello di RM, verranno richiesti nel momento in cui è ritenuto importante valutare lo stato di salute del piede, sia dal punto di vista odsteo-articolare, che dei tessuti molli muscolo-tendinei e capsulo-legamentosi.
Esami neurologici specifici potranno essere richiesti, in supporto ad una diagnosi primaria di patologia neurologica, con effetti di spasticità muscolare periferica.
Anche l’ecografia può entrare in campo, dal momento in cui sia richiesto un’esame che focalizzi l’attenzione sui tessuti periarticolari e sulla muscolatura nella sua integrità e nello stato di salute.
Il trattamento prevede una serie di approcci, che abbracciano molteplici strategie.
E’ importante ridurre le rigidità articolari del piede, che si instaurano sempre più prepotentemente con il passare degli anni, in maniera tale da mantenere funzionali le articolazioni e la capacità di trasmettere i carichi biomeccanici dal retropiede, al mesopiede, fino all’avampiede.
Allo stesso modo è necessario elasticizzare le strutture tendinee ottimizzando le tensioni muscolari, per equilibrare le catene muscolari agoniste-antagoniste, sia del polpaccio che dell’intero arto inferiore.
Vanno scaricate le zone di tensione legamentose e capsulari-articolari, che per deformazione della posizione anatomica, subiscono dei carichi in elongazioni, rendendo instabile l’articolazione stessa.
E’ di grande aiuto utilizzare un plantare di scarico, per mettere a riposo la muscolatura cavizzante del piede e permettere alla fascia plantare di diminuire la tensione.
Gli esercizi propriocettivi statici e dinamici, permettono di allenare la risposta posturale adattativa, nel meccanismo di reazione muscolare ai carichi dissipati in appoggio.
Nei casi in cui il piede cavo sia dovuto a una o più cause di quelle precedentemente illustrate, è importante cercare di ridurre gli effetti patologici che costringono il piede al dimorfismo in cavismo.
I pazienti che non non trovano nessun giovamento dalle terapie convenzionali, possono essere sottoposti a terapia chirurgica.
Gli interventi di chirurgia hanno strade diverse a seconda dei tessuti o delle strutture che vogliono essere ricondizionate.
- tessuti molli
Si può intervenire sui tessuti molli, cercando di modificare gli assi tendinei, legamentosi, o stabilizzando le capsule articolari.
Sono della stessa famiglia di intervento, anche gli allungamenti tendinei come quello del tendine d’Achille, o della fascia plantare.
- osteotomia
L’osteotomia è un intervento che mira alla riduzione di porzioni di tessuto osseo, per creare delle nuove angolazioni anatomiche, capaci di recuperare un forma più congrua rispetto alla normalità.
- artrodesi
È un’operazione di stabilizzazione articolare, con l’obiettivo di fondere una più articolazioni, per eliminare la possibilità di fare movimento su quei fulcri specifici e trasferire i carichi sulle articolazioni contigue.
La scelta del tipo d’intervento chirurgico sarà valutata dal chirurgo competente, che studierà la deformità, la natura che ne ha caratterizzato l’evoluzione, la cronicizzazione e le disabilità che affligge il paziente.
Ovviamente l’intervento chirurgico di qualunque tipo esso sia, prevede un periodo di recupero riabilitativo, per diminuire i postumi operatori ed ottimizzare i risultati, rispetto ad un quadro di sintomatologia e di recupero delle funzioni articolari, muscolo-tendinee e capsulo-legamentose, inquadrate in un contesto di ottimizzazione dei feedback propriocettivi e nocicettivi.
In questo articolo abbiamo imparato che il piede cavo è una deformazione dell’arco plantare dall’eziologia variabile, che porta sia ad un’alterazione anatomica, che ad un cattivo funzionamento del piede stesso.
La sua conformazione nella maggior parte delle situazioni non è reversibile, pertanto va mantenuto elastico e funzionale sia nella sua struttura, che in rapporto all’intero arto inferiore e all’adattamento della colonna vertebrale, bacino incluso.
La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.