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Esercizi per la Dorsalgia

In passato ho parlato della dorsalgia (leggi l’articolo)e per approfondire l’argomento, nell’articolo di oggi, vi metto a disposizione una serie di esercizi utili per migliorare l’articolarità e il tono-trofismo muscolare.

ALCUNI SEMPLICI ESERCIZI PER LA DORSALGIA

Abbiamo capito che la salute della colonna cervicale, lombare e ovviamente dello stesso tratto dorsale, passa inevitabilmente per il buon funzionamento e il buon equilibrio del segmento vertebrale in questione, insieme alla gabbia toracica della quale ne fa parte.

Ma entriamo subito nel vivo dell’argomento dividendo gli esercizi in un capitolo articolare, un capitolo respiratorio toracico e un capitolo muscolare.


CAPITOLO ARTICOLARE


Esercizi_dorsalgia_01Dalla posizione quadrupedica alterno la fase 1, dove curvo la schiena in alto verso il soffitto e abbasso la testa verso le braccia, per poi arrivare alla fase 2 dove inarco la schiena portando la pancia verso il pavimento, spostando la testa in alto e in dietro.

  • 6 movimenti completi delle 2 fasi.

In ogni fase mantengo la posizione massima raggiunta per 10 secondi.Questo esercizio migliora l’articolarità della colonna dorsale in flessione ed estensione


Esercizi_dorsalgia_02Mi posiziono in ginocchio frontalmente ad una parete,

alzo le braccia sopra la testa tenendole vicine tra di loro eposando le mani sul muro.

Il sedere sta sui talloni.

La testa scende in avanti.

Allungo le braccia verso l’alto, facendo strusciare le mani sul piano di appoggio ed estendendo contemporaneamente la schiena il più possibile, come mostrato dalla freccia, mantenendo fisso il contatto tra il sedere e i talloni

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 30 secondi

Questo esercizio serve a mobilizzare la colonna dorsale in estensione, evitando il compenso delle scapole e allungando la muscolatura toraco-lombare.


Esercizi_dorsalgia_03Dopo essermi posizionato in ginocchio, in maniera cauta, vado a prendere, prima con una mano e poi con l’altra, entrambi i talloni dei piedi.

Se dovessi avere difficoltà a raggiungere i talloni, posso tenere i piedi a martello poggiando sulle dita e non sul collo del piede.

Quando con le mani mi sono agganciato ai talloni, sollevo la testa ed il mento verso il soffitto.

  • 3 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 25 secondi

Questo esercizio porta ad estendere la colonna dorsale e ad allungare la catena muscolare anteriore.


Esercizi_dorsalgia_04Parto dalla posizione prona con le mani in appoggio vicino al busto.

Nella fase1 prendo aria facendo un atto inspiratorio profondo.

Nella fase 2 trattengo l’aria ed inizio un’estensione del busto, del collo e della testa facendo forza sulle braccia e stando attento a non sollevare il bacino da terra.

  • 3 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 40 secondi

Questo esercizio aiuta a mobilizzare la colonna sui piani articolari antigravitari posteriori, estremizzando il movimento dei tessuti molli della catena anteriore.


Esercizi_dorsalgia_05Parto dalla posizione seduta con le gambe incrociate, sdraiandomi poi lungo la schiena e posizionando bene la nuca sul pavimento, che diventerà insieme ai glutei, i due punti di appoggio per inarcare la schiena verso l’alto, sollevando il mento e arretrando la testa come indicato dalle frecce

  • 3 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 15 secondi

Questo esercizio mi consente di migliorare la mobilità estensoria delle vertebre dorsali alte, allungando la catena fasciale e muscolare anteriore del collo e del torace.


Esercizi_dorsalgia_06Parto dalla stazione eretta con le braccia ben distese in alto, fermate da un bastone o da un asciugamano.

Dalla posizione 1 mi inclino lateralmente chiudendomi sul fianco sinistro e allungando il più possibile il lato destro, fino ad arrivare alla posizione 2.

  • 5 volte inclinandomi a sinistra, mantenendo la posizione massima raggiunta per 30 secondi
  • 5 volte inclinando a destra, mantenendo la posizione massima raggiunta per 30 secondi

Questo esercizio permette di mobilizzare in lateralità la catena vertebrale dorsale e di allungare la muscolatura del torace del lato convesso.


Esercizi_dorsalgia_07Dalla posizione quadrupedica allungo le braccia in avanti mantenendo i femori (le cosce) perpendicolari al suolo, a questo punto la spalla sinistra verrà appoggiata al pavimento e il suo braccio sarà disteso come nella figura, in questo modo otterrò una rotazione ed un allungamento del busto, associata a quella della scapola sul torace.

  • 5 volte con la spalla sinistra mantenendo la posizione per 10 secondi
  • 5 volte con la spalla destra mantenendo la posizione per 10 secondi

Questo esercizio perdette di mobilizzare in rotazione la colonna dorsale mettendo in allungamento la catena muscolare rotatoria vertebrale e la catena muscolare scapolare.


CAPITOLO RESPIRATORIO


Esercizi_dorsalgia_08Nella fase 1 con la schiena ben eretta e la testa che mantiene un unico allineamento rispetto all’appoggio a terra del bacino, faccio un’ispirazione profonda gonfiando il più possibile il torace e soprattutto la pancia.

Nella fase 2 mantenendo la stessa posizione descritta nella fase 1, faccio un’espirazione profonda e prolungata, buttando fuori tutta l’aria che ho, accompagnando contemporaneamente le spalle verso il basso e spingendo la testa verso l’alto (come se qualcuno ci tirasse per i capelli).

Nell’espirazione forzata è importante che i muscoli dell’addome facciano venire la pancia in fuori il più possibile.

  • 10 volte (ognuna completa delle 2 fasi in sequenza).

Questo esercizio permette di svincolare il rapporto del cingolo scapolare rispetto al collo e rispetto alla zona toracica alta.


Esercizi_dorsalgia_09Nella fase 1 devo fare un atto inspiratorio, cercando di prendere più aria possibile, gonfiano oltre al torace anche la pancia.

Nella fase 2 devo fare un’espirazione forzata, andando ad eliminare quanta più aria possibile, facendo lo sforzo di sollevare l’addome verso l’alto e contemporaneamente di abbassare il costato verso le caviglie.

  • 10 volte (ognuna completa delle 2 fasi in sequenza).

Questo esercizio serve ad allungare il più possibile la muscolatura respiratoria primaria e accessoria, la quale collaborando in maniera diretta e indiretta con le spalle e con il dorso ,può essere una chiave importante per ottimizzare il funzionamento meccanico, neurologico, e fluidico (arterioso, venoso, linfatico), migliorando il benessere complessivo.


CAPITOLO MUSCOLARE


Esercizi_dorsalgia_10Sono sdraiato pancia in sotto, posizionando la fronte sul piano di appoggio e tenendo le braccia distese lungo i fianchi.

Sollevo le spalle da terra e mantenendole distaccate dal pavimento, faccio un movimento con le braccia ad arco portandole dai fianchi ad unirsi sopra la testa.

  • 30 movimenti consecutivi, ripetuti per 3 serie

Questo esercizio mi permette di rinforzare la muscolatura delle scapole, dei trapezi e dei paravertebrali, per migliorare il tono-trofismo dei gruppi muscolari antigravitari.


Esercizi_dorsalgia_11Parto dalla posizione quadrupedica, per arrivare a sollevare il braccio sinistro e la gamba destra (braccio e gamba opposti).

Il braccio sinistro sarà ben dritto e allineato con il busto. La gamba destra sarà ben dritta, con il piede a martello e allineata con il busto.

  • 7 volte per incrocio dei due lati, mantenendo la posizione raggiunta per 60 secondi.

Questo esercizio mi permetterà di rinforzare la muscolatura vertebrale crociata di tutta la colonna, in maniera armonica e sincrona.


Esercizi_dorsalgia_12Mi posiziono come nella figura rappresentata, con i gomiti fermi all’altezza delle spalle e i palmi  delle mani poggiate al pavimento.

  • 4 volte mantenendo la posizione per 30 secondi

Questo esercizio mi permette di rafforzare la muscolatura della colonna migliorandone la stabilità e la resistenza.


Esercizi_dorsalgia_13Parto dalla posizione eretta per poi flettere il busto a 90° circa come mostrato nella foto, tenero le gambe ben distese.

Impugno un elastico da esercizio fisico, fissato a terra dai miei piedi.

  • Da questa posizione traziono gli elastici verso la pancia, mantenendo i gomiti stretti al busto.

30 movimento consecutivi ripetuti per 5 serie.

Questo esercizio mi permette di rinforzare i muscoli stabilizzatori della colonna dorso-lombare, di tonificare e allenare i muscoli delle scapole e del tratto medio-superiore vertebro-dorsale.


Esercizi_dorsalgia_14Dalla posizione eretta porto i palmi delle mani a congiungersi dietro la schiena, come mostrato nella foto, esercitando una spinta costante per forza e intensità.

  • 5 volte mantenendo la massima spinta raggiunta per 20 secondi.

Questo esercizio mi permette di stabilizzare la muscolatura delle scapole e favorire l’estensione della colonna vertebrale dorsale.


Oggi abbiamo visto come poter affrontare i problemi di dorsalgia con esercizi specifici e mirati.

Sicuramente ne troverete beneficio, diminuirete di molto i vostri dolori, recuperando forza e migliorando la postura.

Ricordate che l’impegno personale nell’affrontare un percorso di cura è fondamentale e ha bisogno della costanza a lungo termine.

Sacralizzazione ed emisacralizzazione lombare

La sacralizzazione e l’emisacralizzazione lombare sono  malformazioni vertebrali congenite.

Sacralizzazione 01Si sviluppano per la fusione con la base sacrale di entrambe le apofisi traverse di L5 (SACRALIZZAZIONE), o di una delle due apofisi traverse di L5 (EMISACRALIZZAZIONE), rendendo l’ultima vertebra lombare strutturalmente saldata al segmento sottostante.

L’origine

Entrambe vedono l’origine nella vita intrauterina del bambino, come predisposizione allo sviluppo nella fase della crescita.

La condizione di mutazione può essere attivata da alterazioni genetiche, da intossicazione per abuso di farmaci, droghe, alcool o da infezioni sistemiche soprattutto di tipo virali.


Sacralizzazione 02La vertebra di L5 risulta normo formata nel corpo vertebrale e nel disco intervertebrale, ma con la presenza di megapofisi trasverse che si salderanno al sacro nel periodo dello sviluppo e dell’ossificazione dei nuclei di accrescimento.

La mobilità di L5 si riduce alla sola plasticità dell’osso, il che vuol dire perdere la totalità del movimento fisiologico della singola vertebra in questione.

Come malformazione vertebrale non sembra essere particolarmente invalidante per il paziente nel breve termine, ma nei periodi di vita a seguire porterà a delle patologie secondarie indirette, dovute alla mancanza di mobilità di uno dei più importanti fulcri biomeccanici tra la zona lombare inferiore e il bacino.

La 5° vertebra lombare ha la funzione di scaricare il movimento vertebrale nel cuneo sacrale, il quale deve trasformare la dinamica e la statica della colonna in maniera congrua, per favorire l’appoggio delle anche e il loro moto, passando attraverso il bacino.

I movimenti globali del paziente affetto da sacralizzazione od emi, hanno una capacità complessivamente buona ed il soggetto ha una completa autosufficienza nelle attività di vita quotidiana.

Le conseguenze si manifestano nel tempo sui segmenti contigui, soprattutto vertebrali e sacro iliaci, che si troveranno a supportare il movimento perso della 5° vertebra lombare.


Ma quale movimento si perde con la fusione sacrale di L5?

MovimentiL5 può fare movimenti di inclinazione laterale, di flesso – estensione, è la vertebra con maggior rotazione di tutto il segmento lombare, ed inoltre funge da fulcro di accomodamento e trasmissione delle torsioni sacrali alle vertebre inferiori della colonna.

Adesso è più semplice immaginare che iperlavoro aspetterà alla vertebra di L4, alle articolazioni sacro iliache, alla sinfisi pubica ed alle anche.

Tutti questi singoli segmenti sono deputati a sovraccaricarsi del mancato lavoro di L5

Le patologie associate

Ma quali sono le patologie che si possono manifestare con il tempo?

  • Lombalgia, causata da discopatia degenerativa, da un artrosi precoce delle faccette articolari, da impingment delle articolazioni, da Sacralizzazione 04riduzione del lume del forame di coniugazione con irritazione del ramo meningeo del nervo di competenza.
  • Lombosciatalgia di tipo discale per la formazione di una protusione o di un’ernia da sfaldamento dell’anulus fibroso.
  • Sacroileite irritativa, con infiammazione dei legamenti dell’articolazione, causata da un’esacerbazione biomeccanica
  • Pubalgia, causata da un eccesso di carico rotatorio sulla sinfisi pubica, associata ad un’alterazione muscolare prima e tendinea dopo, per un cambiamento della tensione muscolare.
  • Artrosi precoce dell’anca, dovuto al recupero maggiore dei parametri di flessione ed estensione del busto, che si manifesterà monolateralmente o bilateralmente a seconda del tipo di postura che il soggetto adotta, o per il tipo di attività che svolge.

Cosa si può fare per prevenire queste patologie?

Sacralizzazione 05Non potendo recuperare in nessun modo il movimento della 5° vertebra lombare, si dovrà assolutamente puntare sulla prevenzione, favorendo il compenso delle strutture precedentemente indicate.

Senza mai portarle in sovraccarico, scaricandone il lavoro muscolare, quello legamentoso, bilanciando l’equilibrio tra il loro normale lavoro e quello del compenso a cui sono chiamate ad assolvere.

Sarà importante affidarsi alla cura di fisioterapisti ed osteopati, che siano in grado di fare un attento esame valutativo per capire lo stato di funzionamento delle articolazioni contigue al punto di sacralizzazione, riconoscendone l’affaticamento e le modificazioni.


La diagnosi e la cura farmacologica per la sacralizzazione e l’emisacralizzazione

Sarà necessario far utilizzo di immagini diagnostiche, in particolare modo rx, rm ed ecografie, per esaminare lo stato di avanzamento biologico delle strutture di compenso, apprezzandone immediatamente le alterazioni morfologiche ed avendo la possibilità di un riferimento preciso per le indagini di controllo ripetute nel tempo a venire.

Potrà rendersi necessario utilizzare il supporto farmacologico nei momenti di dolore acuto, soprattutto se associato alla riduzione delle funzioni.

I farmaci maggiormente usati per la sacralizzazione e l’emisacralizzazione saranno antinfiammatori ed analgesici.

Nel momento in cui sarà presente una contrattura antalgica riflessa, potrà rendersi utile il supporto dei miorilassanti.

Come abbiamo visto la sacralizzazione non è un’ affezione grave, ma ha bisogno di attenzioni per evitare che nascano, con il passare degli anni, delle patologie secondarie associate.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

Sindrome di Baastrup

Cos’è la sindrome di Baastrup?

SINDROME DI BAASTRUP 01La sindrome di BAASTRUP è un’affezione ortopedica a carico delle apofisi spinose vertebrali, generalmente con interessamento degli ultimi segmenti L3-L4-L5.

Si riscontra nel paziente un aumento morfologico di queste porzioni ossee, le quali subiscono un sovraccarico sia posizionale che biomeccanico.

Le apofisi spinose tendono ad avvicinarsi troppo tra di loro al punto tale di toccarsi e sfregare durante il movimento di estensione dorsale o addirittura nell’atteggiamento di lordosi statica.

Le apofisi spinse sono il segmento maggiormente posteriore della vertebra ed hanno il compito di fornire un aggancio sia a strutture legamentose e sia a componenti muscolari, per stabilizzare e guidare il movimento della colonna.

SINDROME DI BAASTRUP 02

La condizione ortopedica normalmente non riscontra ulteriori dimorfismi discali o dei forami intervertebrali se la sindrome è di tipo primaria, mentre nelle condizioni secondarie si può combinare ad anterolistesi e/o degenerazioni discali, con diminuzione dei volumi verticali.

Nello sviluppo in fase di accrescimento, qualora siano presenti delle megapofisi spinose, si possono creare delle vere e proprie articolazioni tra una spinosa e l’altra, con addirittura la formazione di pseudocartilagini e di sierose.

Nei casi più gravi di sindrome di Baastrup sviluppatesi nel tempo, si può assistere alla comparsa di pseudo-articolazioni e lo sviluppo di borse sierose o borse mucose perilocali, come effetto adattativo compensatorio anatomopatologico, di un contatto ed uno sfregamento del tutto anomalo.

Generalmente questa patologia si riscontra nei soggetti anziani, ma non può essere esclusa in quei pazienti che per lavoro, attività ludiche o sportive, stressano la colonna vertebrale in iperestensione posteriore. 

Sintomatologia

SintomiLa sindrome di Baastrup è asintomatica nelle fasi iniziali, per poi arrecare dolore puntiforme nella zona di contatto delle apofisi spinose interessate dall’impingment, creando un’irritazione delle corticali ossee, oppure una borsite delle sierose, che si sono venute a formare come condizione anatomopatologica precedente indicata.

Il dolore può cambiare da puntiforme a fascia con irradiazione perilocale, nei casi in cui siamo coinvolte più strutture recettoriali nella zona limitrofa alle apofisi spinose embricate.

Generalmente si associa una contrattura antalgica riflessa che limita il movimento vertebrale, creando una sensazione di impotenza funzionale e di rigidità.

Durane la fase acuta, il impaziente tende ad assumere una posizione di verticalizzazione o addirittura di cifosi lombare, per sfuggire al contatto posteriore vertebrale e diminuirne l’irritazione.

Se la patologia persiste nel tempo si può instaurare una condizione di sarcopenia, con la perdita parziale di fibre muscolari sostituite da tessuto adiposo.

Nei casi più gravi il paziente può incorrere nella frattura spontanea delle apofisi spinose coinvolte.

La sintomatologia descritta può manifestarsi in maniera saltuaria, per poi essere quasi costante od onnipresente, nell’evolversi e nel protrarsi della condizione patologica.

Le cause della sindrome di Baastrup

SINDROME DI BAASTRUP 03Come indicato precedentemente la condizione di sviluppo della sindrome di Baastrup parte da una crescita anomala di megapofisi spinose, perlopiù del segmento lombare inferiore.

L’iperplasia delle spinose, se associate alla condizione di lordosi lombare, come il normale adattamento posturale vorrebbe, o peggio ancora nelle condizioni di iperlordosi e se sovraccaricate da movimenti ripetuti in estensione dorsale o da sovraccarichi vertebrali, produce uno sfregamento anomale delle corticali ossee interessate, dando il via alla manifestazione di segni e sintomi quali quelli precedentemente descritti.

L’avanzare dell’età è una forte condizione predisponente, così come tutti quei cambiamenti di morfologia della curva lombare con accentuazione dei gradi di concavità posteriore.

Diagnosi

SINDROME DI BAASTRUP 04La diagnostica per immagini è sicuramente la strada più veloce e più sicura per diagnosticare la sindrome di Baastrup, perché sia attraverso l’RX, la RM e la TC, è possibile valutare la morfologia delle apofisi spinose e la presenza di un contatto anomale tra di esse.

l’RX DINAMICA ha l’ulteriore vantaggio di stabilire l’embricazione tra i segmenti posteriori vertebrali nel movimento di estensione della colonna, così come ha la capacità di monitorare il distanziamento delle apofisi durante il movimento di flessione anteriore, su una colonna elastica o su una colonna rigida.

L’esame RM ha il merito di valutare nei dettagli la presenza di sarcopenia o lo stato di infiammazione e degenerazione dei tessuti perivertebrali posteriori.

L’esame TC ha la capacità di individuare in maniera minuziosa lo stato di salute ossea e la presenza di esiti fratturativi anche minimi.

Il tutto chiaramente va associato ad un esame obiettivo che mira a valutare l’esacerbazione del dolore, la rigidità nel movimento vertebrale e lo stato di contrattura muscolare.

Il trattamento della sindrome di baastrup

farmaciLa terapia che si prevede nella sindrome di Baastrup è inizialmente di tipo farmacologica, utilizzando composti con capacità di ridurre l’infiammazione come i fans e i miorilassanti che hanno lo scopo di attenuare lo stato di contrattura muscolare.

Nel caso in cui il dolore abbia ormai assunto uno stato di cronicità con andamento permanente, si opterà per l’utilizzo di antidolorifici o di blocchi neurologici periferici locali.

A livello chirurgico si potrà optare per una rimozione dell’esostosi nelle porzioni marginali delle apofisi spinose coinvolte nella sindrome.

La fisioterapia ha il ruolo di elasticizzare la colonna vertebrale e di creare quei compensi biomeccanici capaci di ottimizzare i carichi delle linee d forza sia nella statica che nella dinamica, svincolando la colonna lombare stessa.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sacroileite

Sacroileite 01La sacro liete è un’infiammazione localizzata all’articolazione sacro-iliaca.

Negli anni precedenti tale segmento, non veniva considerato come una vera e propria articolazione, perché considerata semplicemente un punto di giunzione tra l’osso impari del sacro e le due porzioni iliache.

Sacroileite 02Ad oggi invece studi accurati, supportati anche da esami strumentali quali rx con un angolo di 30°, rm e tc, hanno constatato il reale apporto biomeccanico, che tale giunzione articolare crea, per un adattamento sia statico che dinamico nel trasferimento di carichi nelle linee discendenti tra la colonna vertebrale e il bacino e nelle linee ascendenti tra l’arto inferiore ed il bacino.

Si può pertanto definire l’articolazione sacro-iliaca, un vero e proprio punto di passaggio tra la colonna e l’arto inferiore, dove il bacino diventa un punto di snodo fondamentale per il corretto funzionamento del cingolo pelvico.

Nella sacro-ileite il paziente riferisce dolore nella zona sacro-ilica, indicandola in maniera puntiforme o irradiata, monolateralmente o bilateralmente.

Sacroileite 03Vediamo insieme qual’è la topografia del dolore:

  • zona di giunzione tra sacro e iliaco e quindi nell’area postero superiore del bacino, ad un palmo di mano dalla linea mediana
  • regione lombare inferiore, puntiforme nella porzione postero laterale
  • regione glutea
  • regione posteriore della coscia.

La sacro-ileite, può avere un andamento sintomatico ad intermittenza, oppure costante, con dei picchi di dolore che rendono la persona inabile ad effettuare i movimenti minimi nelle attività di vita quotidiana.

Le cause che portano alla manifestazione infiammatoria articolare sono molte:

  • traumi
  • artrite (tra le principali troviamo la pelvi-spondilite anchilosante, l’artrite reumatoide, l’artrite psoriasica, l’artrite reattiva, il lupus eritematoso, la gotta)
  • infezioni di tipo batterico sia locali, che a distanza, per interessamento di organi o strutture terze
  • elongazioni e stiramento dei legamenti sacro-iliaci sia nella porzione anteriore che posteriore
  • gravidanza.

Negli eventi traumatici, nei disturbi legamentosi o di tipo infettivo, il dolore si manifesta in maniera monolaterale, mentre in tutte le altre situazioni, il sintomo doloroso tende ad essere bilaterale, indipendentemente dal fatto che possa essere simmetrico o meno.

Va assolutamente ricordato che nello sviluppo della patologia, ci possono essere delle concause capaci di accelerare l’instaurarsi della sacro-ileite, come lo stare molto tempo fermo in piedi, correre, saltare, camminare con una falcata eccessivamente lunga, avere delle posture scorrette, che influenzano il bacino nelle sue interrelazioni con la colonna vertebrale e con le anche.

La diagnosi di sacro-ileite, necessita di un’anamnesi in grado di raccogliere i segni e i sintomi del paziente, riferiti sia nello sviluppo della patologia, sia nella sua evoluzione e valutare se vi è associata una storia di infezione batterica o di familiarità nello sviluppo di patologie autoimmunitarie e artritiche.

A seguire sarà necessario un attento esame obiettivo, per valutare la topografia del dolore, l’esacerbazione del dolore alla palpazione e nella richiesta di movimenti attivi e indotti, in concomitanza alla valutazione delle funzioni residue in ambito biomeccanico e muscolare.

Sacroileite 04Nella diagnosi sarà quasi sempre necessario associare lo studio tramite indagini diagnostiche, valide sia nell’utilizzo di rx che in quello di rm e tc.

L’rx e ancor meglio la tc, saranno in grado di valutare l’alterazione anatomica della zona articolare con un cambiamento di morfologia, mentre la rm potrà valutare in maniera dettagliata, il quadro anatomo-patologico dei tessuti molli periarticolari.

Anche gli esami di laboratorio hanno un peso rilevante, nel momento in cui è necessario studiare la presenza di alterazioni infettive, metaboliche, o di tipo autoimmunitario.

Il trattamento della sacro-ileite ha sempre una partenza conservativa, mirata alla riduzione del dolore e alla ripresa della funzionalità dell’apparato locomotore locale e di relazione.

La terapia farmacologica sarà modulata sul paziente a seconda delle cause che hanno innescato la patologia.

Pertanto si potrà procedere con la somministrazione di:

  • antinfiammatori FANS
  • cortisonici
  • farmaci inibitori del TNF alfa
  • miorilassanti.

Sacroileite 05Il riposo e l’applicazioni del ghiaccio, sono sempre utili nella gestione del dolore della sacro-ileite, anche se in maniera aspecifica.

La fisioterapia è fondamentale per poter recuperare la funzione muscolo articolare e propriocettiva persa, in una condizione tanto acuta quanto cronica, così com’è importante nella gestione del dolore stesso.

Sacroileite 06Nel caso in cui la sacro-ileite non risponda a nessuna terapia sopra indicata, si può pensare all’utilizzo di una strada chirurgica, dove vengono presi in considerazioni vari percorsi, tra cui l’artrodesi dell’articolazione stessa, ovvero la fusione delle due giunzioni articolari, così come può essere valutata la denervazione, tramite radiofrequenza, dei rami neurologici periferici che raccolgono le informazioni nocicettive della zona articolare, così come si può optare per l’innesto di stimolatori elettrici per modulare l’afferenza sensoriale articolare e periarticolare.

Come sempre l’attività chirurgica può essere una strada praticabile, ma va attentamente valutato il bilancio tra rischi e benefici di un’intervento che modifica in maniera definitiva, lo stato in essere delle strutture anatomo-funzionali in discussione.

In conclusione la sacro-ileite è una patologia invalidante, sia nella situazione acuta quanto in quella cronica, ma le conoscenze scientifiche e quelle anatomopatologiche, ci mettono nella condizione di poterla gestire in maniera efficace, senza dover ricorrere in prima battuta, ad interventi invasivi.

È ovvio che in una situazione del genere, anche una volta spenta la patologia, si dovrà istruire il paziente ad adoperare quelle accortezze, che possano evitare il ripresentarsi della sacro-ileite, delimitando i fattori di commorbilità nella loro attivazione.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Le ernie del disco rientrano?

Le ernie del disco rientrano 01Dottore mi hanno detto che le ernie del disco rientrano, ma è vero?

Questa è una domanda che spesso i miei pazienti fanno, sulla base di informazioni di dubbia provenienza da non si sa quale fonte.

Vediamo di fare chiarezza sull’argomento.

Le ernie del disco non rientrano!!! Ma sarebbe una risposta che vale la pena analizzare cercando di sviscerare l’argomento in maniera semplice ma dettagliata.

Il disco intervertebrale, posto come struttura di mezzo tra una vertebra e l’altra, è composto dal nucleo polposo e dall’anulus fibroso di contenimento.

L’anulus fibroso circonda completamente il nucleo polposo.

Le ernie del disco rientrano 02Il nucleo polposo è costituto da mucopolisaccaridi, formando una massa di tipo gelatinosa di cui l’85% della sua composizione è di acqua e per la restante parte di proteoglicani; ha la principale funzione di ammortizzatore naturale vertebrale.

L’anulus fibroso è formato da un tessuto pluristratificato, composto principalmente da collagene di tipo 1 e 2 ed ha la principale funzione di trattenere il nucleo polposo, consentendone lo spostamento controllato all’interno del disco intervertebrale, per poi imprimergli una spinta di ricentraggio nella posizione di neutralità, alla fine del movimento stesso.

Le ernie del disco rientrano 03I dischi intervertebrali hanno un’irrorazione ematica solamente nei primi anni di vita, che tende a scomparire verso i 25 anni, affidando la propria vitalità biologica al principio dell’osmosi, sfruttata per contiguità con i letti capillari vascolari dei piatti discali vertebrali, attivata tramite il movimento vertebrale stesso e i cambi di pressione.

Le ernie del disco rientrano 04I dischi intervertebrali hanno un’altezza che si differenzia a seconda del livello dove sono alloggiati.

Nel tratto cervicale l’altezza varia tra i 5 e i 6 mm, in quello dorsale tra i 3 e i 6 mm, mentre a livello lombare si aggira tra i 10 e i 15 mm.

Sia a livello cervicale che lombare, i dischi sono più alti anteriormente e meno posteriormente, mentre nel tratto dorsale tendono ad avere un’egual conformazione antero-posteriore.

Il disco intervertebrale ha una forma biconvessa e si adatta perfettamente alla superficie di alloggiamento dei corpi vertebrali.

E’ un vero e proprio ammortizzatore naturale, un antishock, che riduce le pressioni esercitate dal movimento, aumenta la capacità di mobilità vertebrale, dissipando i carichi prodotti dalla forza di gravità e dallo stesso peso corporeo.

L’ernia del disco si forma per una degenerazione del disco intervertebrale, nel momento in cui si crea una lacerazione delle fibre dell’anulus fibroso, diminuendo la capacità contenitiva del nucleo polposo, favorendone la migrazione verso la periferia.

Le ernie del disco rientrano 05Le cause più comuni della degenerazione discale sono:

  • microtraumi
  • sovraccarichi
  • alterazioni posturali
  • modificazioni biologiche.

Più fibre dell’anulus fibroso si lacerano e più il nucleo tenderà a dislocarsi verso la periferia.

Le ernie non sono tutte uguali e di distinguono tra di loro, sia per la posizione in cui si collocano e sia per le caratteristiche biologiche dell’ernia stessa.

Ma cosa sta a significare quest’ultima affermazione?

Significa che la prima valutazione che va fatta è se le ernie sono idratate o disidratate, perché in base a questo parametro, si può avere una mobilità maggiore o ridotta della porzione del nucleo polposo erniato.

Le ernie del disco rientrano 06La seconda valutazione è sulla posizione dell’ernia stessa, che si può collocare in zone diverse del canale vertebrale midollare, andando ad occupare uno spazio mediano, una porzione paramediana o affacciarsi nel frame di coniugazione.

In altre circostanze l’ernia può anche distaccarsi dalla porzione discale del nucleo polposo, abbandonando la sua collocazione intervertebrale, per migrare all’interno del canale vertebrale stesso.

Tutte queste condizioni fanno si che l’ernia, una volta decentrata dallo spazio interdiscale e collocatasi nel canale vertebrale midollare, con una migrazione generalmente progressiva, possa rimanere incarcerata nella propria posizione, perdendo di mobilità, ma ancora capace di cambiare il proprio volume.

Abbiamo capito quindi che l’ernia ha la possibilità di mobilizzarsi e la sua capacità è proporzionale rispetto a tre parametri principali:

  • il suo volume
  • la sua idratazione
  • gli effetti compressivi che subisce, ma il percorso che fa è sempre di tipo dislocativo.

Anche se volessimo, come alcuni pazienti fanno, fare un paragone con la classica ernia inguinale, dove per un indebolimento della parete addominale, il contenuto viscerale (generalmente una porzione dell’intestino) si affaccia nel canale inguinale, uscendo e rientrando a seconda degli sforzi compiuti, nel caso dell’ernia discale questo non avviene, perché la mobilità del nucleo polposo erniato è ben diversa, la consistenza del nucleo polposo erniato è ben diversa, perché i carichi e le sollecitazioni della colonna vertebrale sono ben diversi e perché lo spazio dove si colloca il nucleo polposo erniato è ben diverso.

Nel punto dove l’ernia discale trova una zona di minor resistenza, il tessuto dell’anulus fibroso si è rovinato, fino ad arrivare alla lacerazione; quella porzione di tessuto rimarrà leso per caratteristiche biologiche, per l’assenza di vascolarizzazione, per la permanenza di sollecitazioni, lasciando una strada aperta al dislocamento dell’ernia.

Concludendo……..abbiamo capito le differenze di struttura tra l’anulus fibroso e il nucleo polposo, abbiamo capito che il dislocamento dell’ernia discale è periferico, abbiamo capito che il posizionamento dell’ernia nel canale vertebrale midollare e le sue caratteristiche idratative sono importanti per definire la mobilità del nucleo erniato, abbiamo capito che le fibre dell’anulus fibroso lesionate non hanno la possibilità di rigenerarsi in maniera naturale………per tutto questo possiamo quindi dire che le ernie del disco possono stabilizzarsi o modificarsi ma non rientrano!!!

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Il Modic cos’è?

Il Modic è una patologia vertebrale dall’alterazione dinamica del piatti discali vertebrali, ovvero è un’alterazione patologica delle limitanti somatiche vertebrali e del midollo osseo ad esse adiacenti, la cui causa ad oggi non è ancora ben definita.

Catalogazione del Modic

E’ catalogata su 3 livelli di differenti modificazioni e ognuno di di questi 3 stadi è l’evoluzione del precedente.

Parleremo pertanto di MODIC 1, MODIC 2, MODIC 3.

Modic 02Il MODIC 1, ovvero la base di partenza della patologia vertebrale in questione, viene catalogato come appartenente alle famiglia delle malattie infiammatorie non infettive della colonna vertebrale.

La sua vera eziologia, ovvero la natura della causa non è ancora definitivamente nota e le ipotesi ad oggi sono molte:

  • discopatie degenerative
  • discite occulta
  • reazioni autoimmunitarie
  • infezioni locali da germi anaerobici.

Queste condizioni, chiaramente diverse tra di loro, innescano un cascata infiammatoria che coinvolge la porzione perimetrale del piatto discale e quindi delle limitanti somatiche, con coinvolgimento per contiguità di una porzione del corpo vertebrale stesso.

C’è da dire che ci sono delle condizioni predisponenti nello sviluppo del MODIC primario, da ricercare nei fattori genetici, nell’età avanzata, nell’aumento del peso, nei dismorfismi vertebrali sia metamerici che delle curve vertebrali, nei sovraccarichi vertebrali, nelle patologie dismetaboliche, nel fumo.

Le alterazioni per Modic sono più spesso localizzate a livello L4-L5, L5-S1, ma non è assolutamente raro riscontarle anche in altri segmenti vertebrali, quali quelli delle dorsali basse e in maniera ridotta delle cervicali medio-inferiori.

Ma quali sono le differenze tra le classificazioni del MODIC?

Il tipo 1 (MODIC 1) è l’alterazione primaria ed è l’espressione di un processo infiammatorio acuto, associato alla co-presenza di tessuto fibrovascolare, insieme all’edema osseo della porzione intraspongiosa nella sede subcondrale.

Modic 03Il tipo 2 (MODIC 2) rappresenta la sostituzione adiposa del midollo rosso, ovvero la zona della spongia ossea, ormai libera dall’edema, viene riempita di grasso.

Nell’indagine di RM, si può riscontrare un’immagine intermedia tra la fase 1 e la fase 2, che sta ad indicare uno stadio di passaggio nella sua evoluzione.

Il tipo 3 (MODIC 3) è la fase di rimaneggiamento osseo con tessuto calcifico, ovvero il metabolismo cellulare, cerca di ricostituire la struttura ossea lesa, con una trama di tipo sclerotica e diversamente organizzata, rispetto alla spongiosa ossea subcondrale pre-modic.

Sintomatologia

Modic 04I sintomi che i pazienti affetti da MODIC raccontano durante l’anamnesi sono:

  • dolore localizzato a fascia
  • rigidità vertebrale, maggiormente acuita la mattina al risveglio e dopo lunghe pause di inattività
  • contrattura muscolare intensa e quasi permanente
  • dolore nello stendersi sdraiato soprattutto nelle prime decine di minuti dopo essersi messi nella posizione supina.

Il dolore è percepito ed elaborato per la grande innervazione di fibre sensitive e vasomotrici che l’osso ha, in una disposizione parallela al percorso arterioso che lo irrora.

C’è da dire che questa sintomatologia è attiva quasi esclusivamente nella fase 1 del MODIC, mentre già nella seconda e ancor più nella terza fase, i sintomi si affievoliscono notevolmente.

Ma se il MODIC 1 è caratterizzato dalla forte sintomatologia algica e da uno stato di impotenza funzionale anche nelle attività fisiche minori, il MODIC 2 e 3 cosa comportano?

Il MODIC 2 da uno stato di minor resistenza vertebrale, perché l’osso vive in quel momento, una sostituzione con tessuto adiposo a scapito del tessuto osseo dalle chiare componenti architettoniche, necessarie a recepire e dissipare le forze compressive dei carichi gravitazionali e della normale biomeccanica vertebrale.

Il MODIC 3 instaura una zona più o meno vasta di tessuto sclerotizzato e pertanto maggiormente rigido rispetto alla natura dell’osso, che invece necessita di un equilibrio tra la rigidità dell’astuccio periostale e l’elasticità delle porzione trabecolare.

Qual’è l’indagine diagnostica che meglio riesce a definire lo stato in essere del MODIC, nelle sue varie forme e quindi nelle sue 3 diverse fasi?

Modic 05La RM è l’indagine diagnostica che riesce a visualizzare nella maniera migliore i vari stadi patologici del MODIC, analizzando l’elaborazione delle immagine nelle sequenze T1 e T2, differenziandone il colore in maniera sufficientemente precisa e così rappresentandole:

Modic di tipo 1: Iperintenso in T2, ipointenso in T1

Modic di tipo 2: Iperintenso in T2 e in T1

Modic di tipo 3: Ipointenso in T2 e T1.

Modic 06Qualora si riscontri il MODIC nella sua prima fase, può essere utile richiedere delle indagini di laboratorio per escludere reazioni di tipo autoimmunitario, oppure la presenza di infezioni, o di dismetabolismi di vario genere, nella ricerca di un’eziologia, plausibile tra tutte le varie cause possibili.

Sarà anche utile richiedere un’rx di colonna in toto per poter valutare lo stato anatomico delle curve di cifosi e lordosi, nel tentativo di individuare un eventuale sovraccarico vertebrale, nei suoi fulcri strutturali cruciali.

Il trattamento

Una protocollo di cura specifico per il MODIC ad oggi non c’è; generalmente l’approccio mira a ridurre la sintomatologia, ad arginare le cause qualora fossero state isolate e definite, per poi accompagnare il paziente ad un recupero funzionale vertebrale sia nel movimento, sia nel recupero della miglior postura, che nell’elasticità muscolare, stimolando in concomitanza il metabolismo osseo a riparare il danno da edema infiammatorio.

Il MODIC è una patologia poco nota ma facilmente riscontrabile, purtroppo fortemente limitante e con un tempo di guarigione abbastanza lungo; proprio per questo va diagnosticato il prima possibile attivando da subito le cure del caso, limitandone i danni.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Esercizi per la lombalgia

Ciao Lombalgia, è giunto il momento di lasciarci.

Come gestire una lombalgia in maniera autonoma?

E’ Possibile applicare dei movimenti che ci aiutino a non far tornare il mal di schiena e che scarichino il peso delle posture e degli sforzi affrontati quotidianamente?

Si certamente ci sono una serie di esercizi capaci di mantenere in buona salute la nostra colonna vertebrale, migliorandone l’elasticità e rinforzandola quel tanto che basta a darle sostegno e forza.

Prima facciamo un piccolo ripasso su cosa sia una lombalgia, argomento già trattato in uno dei miei articoli precedentemente pubblicati (Leggi)

La lombalgia è un dolore della zona lombare che può manifestarsi in maniera puntiforme o a fascia, con un’ irradiazione più o meno presente.

Il dolore può estendersi anche fino al gluteo e/o ad una porzione della coscia, associandosi alla riduzione di funzione durante i movimenti quotidiani, così come nei cambi di postura, alle volte indifferentemente sia se si passi dalla posizione sdraiata a quella seduta o a quella in piedi.

Quasi sempre si riscontra una muscolatura contratta e dolente tanto alla palpazione quanto al movimento, con una riduzione della capacità contrattile e una diminuzione della forza.

Le cause che possono manifestarla sono molteplici:

  • posture sbagliate (Leggi)
  • artrosi e artrite ( Leggi)
  • discopatie, disidratazione discale, protusioni, ernie (Leggi)
  • impingement delle faccette articolari
  • riduzione del lume dei forami di coniugazione (zona di passaggio dei nervi periferici del plesso lombare e lombo sacrale)
  • spondilolistesi (Leggi)
  • stenosi del canale midollare
  • sedentarietà
  • riduzione del tono e della massa muscolare (Leggi)
  • aumento delle fibrosità
  • cattivo riposo nelle ore notturne

Vediamo adesso come procedere nell’approccio agli esercizi, passando prima da quelli volti ad aumentare l’articolarità e ad allungare la muscolatura per poi affrontare quelli mirati al rinforzo muscolare e all’aumento del suo trofismo.


ESERCIZI DI ALLUNGAMENTO E STRETCHING

Lombalgia_011) tendete le braccia distese sul pavimento e il sedere poggiato sui talloni. Il sedere in appoggio sui piedi rimane un punto fisso mentre le braccia cercheranno di allungarsi al loro massimo strusciando le mani sul pavimento.

-5 volte mantenendo l’allungamento massimo per 10 secondi.

Lombalgia_022) dalla posizione quadrupedica si alterna la fase 1, dove la schiena si curva in alto vero il soffitto e la testa si abbassa verso le braccia, per poi arrivare alla fase 2 dove la schiena si inarca portando la pancia verso il pavimento, con la testa che si posta il alto e in dietro.

-6 movimenti completi delle 2 fasi, ogni fase deve essere mantenuta per 10 secondi.

Lombalgia_033) dalla posizione quadrupedica allungate le braccia in avanti mantenendo i femori (le cosce) perpendicolari al suolo, a questo punto la spalla sinistra verrà appoggiata al pavimento e il suo braccio sarà allungato come nella figura, in questo modo otterrete una rotazione e un allungamento del busto associata a quella della scapola sul torace.

-5 volte con la spalla sinistra mantenendo la posizione per 10 secondi

-5 volte con la spalla destra mantenendo la posizione per 10 secondi

Lombalgia_044) accovacciatevi verso terra e con le braccia che avvolgono le ginocchia, posizionate la schiena contro la parete, cercando di mantenere la fascia lombare, il dorso e la nuca, ben aderenti all’appoggio contro il muro e contemporaneamente fate scivolare la testa verso il soffitto, in maniera da dare il massimo allungamento alla colonna vertebrale.

-1 volta mantenendo la posizione e il massimo dell’allungamento per 45 secondi.

Lombalgia_055) dalla posiziona seduta con entrambe le gambe estese, ruotate il busto verso destra, al massimo delle sue possibilità, accompagnandolo con la torsione della testa e del collo. Flettete l’anca e il ginocchio scavalcando la gamba sinistra che continua ad essere estesa e poggiate i palmi delle mani a terra per dare stabilità alla posizione raggiunta. Questo esercizio vi aiuterà a migliorare la rotazione della colonna vertebrale e ad allungare le catene muscolari rotatorie crociate.

-1 volta in rotazione destra, mantenendo la posizione raggiunta per 45 secondi

-1 volta in rotazione sinistra, mantenendo la posizione raggiunta per 45 secondi.

Lombalgia_066) dalla posizione di partenza sdraiati a terra, con le braccia larghe a 90°, con le ginocchia piegate, con i piedi in appoggio al pavimento, fate una rotazione di entrambe le ginocchia verso sinistra e la testa in contro torsione verso destra. In questo modo otterrete una mobilizzazione della zona lombare, armonizzata dal resto della colonna e un allungamento dei muscoli rotatori profondi delle vertebre.

-5 volte in rotazione sinistra, mantenendo la posizione raggiunta per 45 secondi

-5 volte in rotazione destra, mantenendo la posizione raggiunta per 45 secondi.

Lombalgia_077) partendo dalla posizione supina, portate un ginocchio per volta verso il petto, cercando di allungare il più possibile la muscolatura lombare, per consentire l’apertura degli spazi articolari vertebrali. Nel contempo allungate la testa e quindi la colonna cervicale, nella direzione indicata dalla freccia verde, in maniera da stabilizzare la restante parte della colonna vertebrale.

-10 volte con il ginocchio destro, mantenendo la posizione raggiunta per 5 secondi

-10 volte con il ginocchio sinistro, mantenendo la posizione raggiunta per 5 secondi.

Lombalgia_088) stando in posizione supina sul bordo di un piano rialzato (un letto dal materasso duro oppure un tavolo solido), portate il ginocchio destro al petto, mentre tutto l’arto inferiore sinistro lo lasciate penzoloni fuori dal piano di appoggio, in maniera tale che si abbassi al suolo per forza di gravità e per il peso dell’arto stesso. In questo modo potete allungare contemporaneamente la zona vertebrale lombare ed in contemporanea, stimolare l’articolazione dell’anca a recuperare il piano articolare dell’estensione, in stretto rapporto di collaborazione con il bacino e il segmento lombare, troppo spesso compromesso dalle cattive posture e dalla sedentarietà.

-3 volte per l’arto inferiore sinistro, mantenendo la posizione raggiunta per 45 secondi

-3 volte per l’arto inferiore destro, mantenendo la posizione raggiunta per 45 secondi.

Lombalgia_099) partendo dalla posizione supina, impugnate con entrambe le mani le estremità di una benda elastica e posizionate la sua parte centrale sotto la pianta del piede. Portate verso l’alto l’intero arto inferiore destro, mantenendo il ginocchio esteso, rimanendo nella posizione massima raggiunta grazie all’aiuto della stessa benda elastica. In questo modo sarete in grado di allungare la muscolatura degli ischiocrurali, svincolando il bacino e di conseguenza la zona lombare, dalle retrazioni muscolari della catena posteriore.

-7 volte per l’arto inferiore destro, mantenendo la posizione raggiunta per 30 secondi

-7 volte per l’arto inferiore sinistro, mantenendo la posizione raggiunta per 30 secondi.

Lombalgia_1010) con la schiena sdraiata a terra e il sedere appoggiato alla base del muro, portate le gambe a distendersi in alto scivolando sulla parete, cercando di estendere le ginocchia al massimo delle vostre possibilità e tenendo entrambi i piedi a martello. In questa posizione eserciterete anche un secondo allungamento della testa e quindi della cervicale in direzione della freccia verde, in maniera tale da eliminare i compensi eventuali delle zone vertebrali superiori. Questa posizione vi permetterà di scaricare la colonna lombare mentre effettuate un allungamento dell’intera catena muscolare posteriore.

-1 volta mantenendo la posizione massima raggiunta per 3 minuti.

Lombalgia_1111) dalla posizione in piedi, partite dalla fase 1 di riposo, per arrivare alla fase 2 dove portate il busto ad inclinarsi verso il lato sinistro aiutandovi con l’elevazione dell’arto superiore opposto, il quale con il proprio peso, favorirà la chiusura del fianco sinistro. Questo esercizio vi aiuterà ad aprire i forami di coniugazione del lato destro, ad allungare il muscoli laterali della colonna vertebrale e della cintura addominale.

-7 volte per il fianco sinistro, mantenendo la posizione raggiunta per 30 secondi

-7 volte per il fianco destro, mantenendo la posizione raggiunta per 30 secondi.

Lombalgia_1212) poggiate il piede sinistro su un rialzo e tenete il piede destro dietro la linea del busto, con il ginocchio esteso. Portate avanti il bacino, mantenendo il busto eretto e il piede a terra ben piantato, in maniera da stimolare l’anca in appoggio ad estendersi e i muscoli del polpaccio ad allungarsi. Questo esercizio vi permetterà di svincolare l’anca dalla predisposizione di flessione dipesa dalle posture sedentarie e ad allungare la catena antigravitaria della gamba.

-6 volte per l’ arto inferiore sinistro, mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

-6 volte per l’ arto inferiore destro, mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi.

Passiamo adesso a 3 esercizi base di rinforzo muscolare adatti alla zona lombare

 

 


ESERCIZI BASE DI RINFORZO MUSCOLARE

Lombalgia_131) partite con la schiena a terra, le ginocchia flesse, i piedi poggiati al suolo e le braccia lungo il busto. Spingete il bacino verso l’alto fino ad inarcare la zona lombare, come indicato dalle due frecce verdi. Questo esercizio vi permetterà di rinforzare sia la zona glutea, che i muscoli profondi del segmento vertebrale dorsale basso e lombare.

-7 volte, mantenendo la massima posizione raggiunta per 1 minuto

Lombalgia_142) partite sul fianco sinistro in appoggio con il gomito a terra e il palmo della mano rivolto verso il pavimento, le gambe sono distese l’una sopra l’altra ben allineate con il resto della colonna vertebrale, i piedi a martello. Da questa posizione spingete sul braccio di appoggio e con la colonna, per mantenere un allineamento vertebrale e portare il fianco destro verso l’alto, come indicato dalla freccia verde. Questo esercizio vi permetterà di rinforzare i gruppi laterali, anteriori e posteriori, stabilizzatori del segmento vertebrale dorsale, lombare e del bacino.

-5 volte sul lato sinistro, mantenendo la posizione raggiunta per 30 secondi

-5 volte sul lato destro, mantenendo la posizione raggiunta per 30 secondi.

Lombalgia_153) partite dalla fase 1 in posizione di riposo con gambe e braccia adagiate a terra. Nella fase 2, contemporaneamente, sollevate entrambe le braccia ed entrambe le gambe verso l’alto, inarcando la zona lombare. Questo esercizio, rinforzerà la muscolatura glutea, lombare, dorsale e cervicale, in maniera sincrona e con una tensione bilanciata, migliorando la stabilizzazione e il sostegno delle vertebre e del bacino.

-6 volte, mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi.

Lombalgia_164) partite dalla posizione quadrupedica, per arrivare a sollevare il braccio sinistro e la gamba destra (braccio e gamba opposti). Il braccio sinistro sarà ben dritto e allineato con il busto. La gamba destra sarà ben dritta, con il piede a martello e allineata con il busto. Questo esercizio vi permetterà di rinforzare la muscolatura vertebrale crociata di tutta la colonna, in maniera armonica e sincrona.

-7 volte per incrocio dei due lati, mantenendo la posizione raggiunta per 60 secondi.

Lombalgia_17Infine concludete la serie di esercizi, in maniera tale da non alzarvi repentinamente da terra, ma di farlo gradualmente, distendendo e rilassando la colonna lombare in primis, con questa posizione seduta, che vede la colonna allungarsi sulle cosce e la testa abbassarsi tra le ginocchia, con le braccia che afferrando le caviglie, aiutano a eseguire il movimento. Mantenete la posizione per 30 secondi e poi potrete alzarvi in piedi lentamente.

Tutti gli esercizi che vi ho spiegato, sono in grado di gestire la lombalgia che vi sta accompagnando, sia per quanto riguarda il dolore e sia per il recupero della funzionalità.

Lombalgia_18

Da non dimenticare che è allo stesso modo importante, riuscire a riposare su un materasso che vi sostiene, senza deviare l’asse vertebrale: passare 5-6-7-8 ore notturne in posizioni sbagliate, vi arrecherebbe un peggioramento.

Se state vivendo una lombalgia acuta o cronica, potrà giovarvi dormire supino con un cuscino alto sotto le ginocchia, oppure su un fianco con un cuscino medio tra le ginocchia.


Tutto quello di cui vi ho parlato oggi sicuramente vi aiuterà nell’affrontare e combattere i vostri dolori lombari, ma se ciò non dovesse bastare, non esitate a rivolgervi al vostro professionista sanitario di fiducia, il quale farà una corretta diagnosi e vi indicherà il percorso terapeutico migliore (fisioterapia, osteopatia, ausili ortopedici, farmaci etc. etc.) da seguire, per risolvere con efficacia il problema che vi affligge.

Camminare fa bene alla schiena?

Sono molti i pazienti che mi chiedono se camminare fa bene alla schiena.

Partiamo dalla domanda

E’ una domanda frequente che scaturisce dal fatto che sempre più persone utilizzano la camminata veloce per attivare il metabolismo, bruciare calorie, riattivare il proprio corpo e mantenersi in forma, rompendo la routine quotidiana fatta da ore e ore di sedentarietà, passata dietro una scrivania, oppure davanti al pc o alla televisione.

Iniziamo con il dire che qualunque attività rimetta in movimento il nostro corpo è benvenuta.

Continuiamo dicendo che più il corpo umano aumenta la propria età biologica e più ha bisogno di movimento.

Sottolineiamo il fatto che il movimento è vita.

Insistiamo sul concetto che la macchina umana ha bisogno di attivare le articolazioni e di stimolare la produzione di liquido sinoviale, di mantenere un buon tono-trofismo muscolare, di stimolare la circolazione passiva venosa e linfatica, di eliminare le tossine del catabolismo.

Ma allora camminare fa bene alla colonna vertebrale?

No camminare non ha effetto sulla salute della colonna vertebrale o almeno non in maniera diretta.

Ma questa affermazione è tanto vera quanto non esattamente corretta.

SchienaVediamo di spiegare il perché.

La colonna vertebrale è fatta di molteplici metameri chiamati vertebre, diversi per conformazione, a seconda del segmento esaminato; non a caso la colonna è stata divisa in una porzione cervicale, una dorsale e una lombare, avendo come limiti periferici la base occipitale e l’osso sacro.

Le vertebre hanno un’architettura biomeccanica che da una specificità di movimento propria nei tre piani dello spazio.

Sono mantenute da un sistema capsulare e legamentoso che danno congruenza ai rapporti articolari, consentendone sia la stabilità che la mobilità.

La muscolatura coinvolta

La muscolatura della colonna vertebrale è organizzata in un sistema dritto ed obliquo, superficiale e profondo, che serve sia a mantenere un’assetto posturale antigravitario bilanciato e sia a creare una dinamica sinergica nei movimenti adattativi e dinamici.

Pertanto la colonna vertebrale ha bisogno di un movimento mirato e preciso che possa esaudire le necessità di elasticità, di articolarità e di trofismo, sia ad un livello specifico che nei segmenti di gruppo.

Camminare fa bene alla schienaE’ allo stesso modo vero che, la colonna vertebrale è legata al cingolo scapolare e pelvico e che tali cingoli collaborano in maniera attiva allo schema del passo per bilanciare la propulsione e la spinta, mantenendo il baricentro ottimale del soggetto, in maniera tale da sviluppare un lavoro sinergico tra le catene muscolari, soprattutto del piano sagittale e orizzontale, con degli adattamenti mirati che si sviluppano sul piano frontale.

Quindi camminare mette in movimento oltre che l’arto inferiore, anche il cingolo pelvico e in controadattamento il cingolo scapolare, attivando nel mezzo l’intera colonna vertebrale per portare il movimento dal bacino alle scapole e quindi alle braccia.

Questo tipo di meccanismo si accentua maggiormente se si allunga la falcata, sviluppando un passo lungo e non necessariamente veloce.

L’allenamento

L’allenamento alla deambulazione inoltre è uno stimolo importante per mantenere attivo il tono muscolare della cerniera dorso-lombare, lombo-sacrale, e della cintura pelvica, stimolando in maniera particolare la muscolatura tonica antigravitaria.

GinnasticaE’ quindi vero che se voglio ottenere un allenamento che abbia degli effetti mirati alla colonna vertebrale, devo impegnarmi ad eseguire dei movimenti specifici vertebrali, con lo scopo di aumentarne l’articolarità, di ottenere uno stretching della muscolatura ed una potenziamento dei muscoli inerenti.

E’ vero che la camminata veloce ha un effetto ottimo per attivare il metabolismo, bruciare calorie, riattivare il proprio corpo.

E’ vero che il camminare con un passo lungo, ha comunque un’influenza parziale ma buona sul benessere della colonna vertebrale, per mezzo dell’attivazione del cingolo pelvico e scapolare.

Quindi la colonna vertebrale è una struttura complessa che necessità di un’attenzione specifica, ma essendo l’albero strutturale dell’apparato locomotore, vive di influenze dirette e semidirette in quasi ogni attività della nostra quotidianità.

Sarebbe un ottimo proposito riuscire a dedicarsi del tempo ogni giorno, ma i ritmi serrati delle nostre vite ci remano spesso contro, pertanto sapere cosa ci fa bene e cosa ha più effetto per le nostre esigenze, permette di ottimizzare gli sforzi nel poco tempo a disposizione.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

 

Instabilità vertebrale

Parliamo oggi dell’instabilità vertebrale. Leggiamo insieme cos’è e come si può trattare.

Cos’è l’ instabilità vertebrale?

Dolore schienaL’instabilità vertebrale è una perdita di congruenza articolare tra la vertebra interessata e quella di appoggio sottostante, causata da molteplici fattori, ognuno dei quali crea un’ ipermobilità rispetto a quanto le sarebbe richiesto nei movimenti anche minimi, su uno o più piani dello spazio.

L’eccesso patologico di movimento può presentarsi sia con un corretto assetto vertebrale, oppure associarsi ad un male allineamento, alle volte tanto nella posizione statica (posturale) che dinamica.

Uno degli esempi più noti di instabilità vertebrale è la spondilolistesi, argomento da me già trattato in precedenza ( https://ambrogioperetti.it/spondilolisi-spondilolistesi/ ).

L’ipermobilità può esse distinta in due macro sistemi:

  • micro instabilità vertebrale, dove la vertebra è correttamente allineata nella posizione statica, ma sviluppa dei micromovimenti che si sommano al normale range articolare di cui è capace.
  • macro instabilità vertebrale, la vertebra non è più correttamente allineata, ma risulta slittata rispetto alla sottostante di appoggio.

Lo scivolamento generalmente avviene anteriormente e in percentuale ridotta posteriormente.

La traslazione vertebrale viene catalogata in gradi, a seconda della percentuale di spostamento con cui si mostra

  1. Grado 1: da 0 a 25%
  2. Grado 2: dal 25 al 50%
  3. Grado 3: dal 50 al 75%
  4. Grado 4: oltre il 75%

Il dolore

DoloreL’instabilità vertebrale provoca mal di schiena generalizzato nell’area dove l’ipermobilità è presente, associata o meno ad una nevralgia periferica, nel qual caso la radice nervosa venga irritata dal cambiamento di posizione e dall’eccessiva trazione della vertebra e dei suoi tessuti molli inerenti.

Può manifestarsi sia durante il movimento che nella postura eretta, semplicemente per resistere al carico del peso del paziente in concomitanza con la forza di gravità.

Si riscontra una rigidità muscolare dovuta alla presenza di contratture riflesse, una limitazione articolare nei fulcri vertebrali limitrofi, ed una riduzione delle capacità funzionali nelle attività di vita quotidiana.

I sintomi dell’ instabilità vertebrale

Nelle fasi iniziali i sintomi sono lievi, ma di natura poco chiara, ovvero il paziente si ritrova ad affrontare il mal di schiena o addirittura blocchi articolari acuti, senza cause apparenti, vale a dire senza sforzi eccessivi o senza assumere posture errate, ma per semplici e banali movimenti, il più delle volte di tipo abitudinario.

La sintomatologia algica tende ad aumentare nel tempo in maniera progressiva, con manifestazioni dolorose sempre più intense ed a intervalli via via più frequenti, fino a rendere complicato eseguire anche i movimenti più banali, come piegarsi in avanti, estendersi, ruotare il busto, inclinarsi lateralmente, mantenere le posizioni erette e/o sedute per più tempo consecutivamente.

Le cause

Instabilità vertebrale 03Le cause variano su 3 fronti principali:

  • degenerativo, per alterazioni di consistenza, idratazione, volume ed altezza del disco intervertebrale e/o per degenerazione artrosica o artritica delle faccette articolari
  • congenito per dimorfismo delle cartilagini di accrescimento come nel caso della spondilolisi  e spondilolistesi e/o per alterazione del tessuto connettivo delle capsule articolari e dei legamenti intervertebrali e/o per modificazioni anatomo-funzionali della muscolatura vertebrale.
  • traumatico per danno lesivo fratturativo vertebrale, nelle aree di ancoraggio alle zone articolari.

Instabilità vertebrale 04

Queste 3 cause possono presentarsi singolarmente o associarsi tra di loro, amplificando la gravità dell’instabilità vertebrale.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la comparsa di sintomi algici nel mantenere le diverse posture, sul piano sagittale e frontale, in stazione eretta, seduta e semiflessa, associandola alla contrazione-rilasciamento della muscolatura inerente.

E’ importante analizzare la meccanica vertebrale, cercando di cogliere la presenza o meno di ipermobilità anomala, valutando lo stato del tono e del trofismo muscolare e la presenza o meno di radicoliti irritative periferiche.

Di grandissimo aiuto saranno le indagini diagnostiche per immagini:

  • RX
  • RM
  • TC

le quali consentiranno di valutare lo stato in essere delle strutture vertebrali nel loro insieme discale, osteoarticolare, capsulare, legamentoso, muscolare.

Negli studi da imaging, dove sia necessario valutare ogni minimo dettaglio, si possono utilizzare RX ed RM in carico e/o dinamiche, che scandiranno la presenza o meno di ipermobilità vertebrali nelle varie condizioni.

Il trattamento dell’ instabilità vertebrale

Instabilità vertebrale 06Negli stadi iniziali il trattamento è di tipo conservativo, adoperando farmaci che riducano il dolore, l’infiammazione, la tensione muscolare riflessa e l’ eventuale comparsa di radicoliti irritative.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno il compito di ristabilire, il corretto funzionamento vertebrale, migrando la meccanica articolare verso i fulcri associati che coadiuvano i movimenti nei tre piani dello spazio, ridistribuendo in maniera corretta, tanto i carichi statici quanto quelli dinamici e ottimizzando le sinergie muscolari che danno equilibrio e stabilità alla colonna vertebrale.

Può essere di aiuto l’utilizzo di busti elastici con supporti in stecche, da utilizzare per poche ore al giorno e in quelle attività che mettono in crisi il paziente .

Instabilità vertebrale 07Qualora i trattamenti sopra indicati siano di poca efficacia e il paziente non riesca a trovare un giovamento duraturo nel tempo, sarà necessario ricorrere alla chirurgia vertebrale, stabilizzando la parte ipermobile, tramite l’applicazione di barre e viti, per fissare la vertebra interessata ai segmenti superiori ed inferiori, riportando una solidità articolare per ancoraggio limitrofo.

Nei casi in cui sia presente anche una radicolite irritativa resistente, la stabilizzazione vertebrale viene integrata dall’applicazione di uno spaziatore (cage) e nei casi più violenti con segni di danno neurologico, anche da una laminectomia decompressiva.

Questi tipi di interventi chirurgici permettono al paziente un recupero dello stato di salute e una remissione della sintomatologia abbastanza veloce, ma prevedono un percorso riabilitativo per integrare al meglio l’impianto, recuperando l’abilità funzionale, il corretto assetto posturale statico e dinamico, in sinergia con l’equilibrio delle catene muscolari.

L’instabilità vertebrale porta il paziente ad uno stato di malessere che può essere progressivo ed invalidante, ma la corretta diagnosi, meglio ancora se precoce, permette di adoperare varie soluzioni di cura, per affrontare la patologia e avere una remissione dei sintomi, recuperando uno stato ottimale di funzione e resistenza alle attività di vita quotidiana.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Vertebroplastica

Parliamo oggi di vertebroplastica.

Cos’è la vertebroplastica?

vertebroplastica 01La vertebroplastica è una tecnica terapeutica mini-invasiva, facente parte della branca della radiologia interventistica, per mezzo della quale vengono trattate le fratture / lesioni vertebrali dolorose.

Il trattamento prevede l’iniezione di un cemento biologico e quindi biocompatibile, all’interno del corpo vertebrale della vertebra fratturata.

Questa procedura può essere applicata sia su pazienti giovani, come anche su soggetti anziani.

E’ un trattamento alternativo a lunghi periodi di immobilità in busto, 30-60 giorni, tempo necessario per far stabilizzare e riparare la frattura, associando quasi sempre cure farmacologiche per alleviare i dolori.

Con la tecnica di cui parliamo oggi, la sintomatologia algica migliora in maniera netta nelle prime 2 settimane e alle volte il dolore si riduce o sparisce già nei primissimi giorni.

La vertebroplastica viene eseguita in anestesia locale sotto guida TC, in sala operatoria angiografica dedicata.

Viene introdotto attraverso un foro mirato, uno speciale ago metallico della grandezza variabile di pochi millimetri, all’interno del corpo vertebrale del segmento interessato e da qui si hanno due modalità di procedere:

  • mettere uno o più stent, generalmente in titanio, all’interno del corpo vertebrale e a seguire riempire lo spazio con il cemento biologico
  • iniettare direttamente il cemento biologico nello spazio vertebrale di interesse

Il cemento solidificherà in tempi brevissimi, stabilizzando la vertebra e levando la causa del dolore associato.

Quando viene utilizzata la vertebroplastica?

vertebroplastica 02Viene utilizzata nei casi sotto indicati se associati a dolore e resistenti alle terapie farmacologiche convenzionali del caso specifico.

Vediamo quindi quali sono le lesioni ossee in questione:

  • fratture osteoporotiche recenti
  • lesioni tumorali primitive o secondarie
  • angiomi

Nel caso delle fratture vertebrali da osteoporosi, la scelta si basa sia sulla forma che queste presentano all’esame radiografico e sia per la presenza di edema intraspongioso all’esame di Risonanza Magnetica, il quale edema testimonia la frattura come recente.

I reperti radiografici e di RM devono poi essere associati alla sede precisa della sintomatologia riferita dal paziente e per questo è necessario la ricerca del dolore provocato dalla digitopressione mirata.

Nei casi delle fratture vertebrali da osteoporosi può essere trattata una sola vertebra o più vertebre generalmente per un massimo di 3 nello stessa seduta di intervento.

La vertebroplastica è invece sconsigliata nei casi di:

  • fratture instabili
  • fratture di vecchia data
  • fratture o lesioni ossee stabilizzate e asintomatiche
  • discontinuità lesiva del muro posteriore vertebrale, a maggior ragione se occupa una porzione del canale midollare
  • infezioni
  • discrasie ematiche emorragiche

Eventuali complicanze

Si possono verificare delle complicanze durante l’intervento:

  • stravaso di cemento all’esterno del corpo vertebrale
  • stravaso di cemento all’interno del canale vertebrale, con la possibilità di una compressione del midollo spinale o della sua cauda equina (a seconda del livello vertebrale di interesse)
  • stravaso di cemento nella zona foraminale radicolare, con la possibilità di manifestare radicoliti compressive irritative
  • embolia polmonare per la migrazione del cemento nei vasi polmonari

vertebroplastica 03Viene da se capire che queste complicanze possono essere ridotte al minimo, tramite l’affermata esperienza dell’operatore interventista e dei buoni macchinari radiografici, necessari per essere guidati nell’intervento.

Possiamo dire che la vertebroplastica è un valido aiuto, nei casi in cui sia possibile farne uso, per sopperire a periodi di lunga immobilità in busto o tutore, recuperando in maniera veloce sia la stabilità vertebrale, sia lo stato di funzione della vertebra stessa, riducendo in maniera netta il dolore e con esso lo stato di inefficienza associata.

E’ doveroso dire che la tecnica di cui abbiamo parlato oggi è terapeutica e di supporto per un problema strutturale vertebrale di varia natura, ma non è curativa per la causa della patologia lesiva stessa, pertanto andranno continuate le terapie mirate ad affrontare le cause che hanno portato al danno vertebrale.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.