Instabilità vertebrale

Parliamo oggi dell’instabilità vertebrale. Leggiamo insieme cos’è e come si può trattare.

Cos’è l’ instabilità vertebrale?

Dolore schienaL’instabilità vertebrale è una perdita di congruenza articolare tra la vertebra interessata e quella di appoggio sottostante, causata da molteplici fattori, ognuno dei quali crea un’ ipermobilità rispetto a quanto le sarebbe richiesto nei movimenti anche minimi, su uno o più piani dello spazio.

L’eccesso patologico di movimento può presentarsi sia con un corretto assetto vertebrale, oppure associarsi ad un male allineamento, alle volte tanto nella posizione statica (posturale) che dinamica.

Uno degli esempi più noti di instabilità vertebrale è la spondilolistesi, argomento da me già trattato in precedenza ( https://ambrogioperetti.it/spondilolisi-spondilolistesi/ ).

L’ipermobilità può esse distinta in due macro sistemi:

  • micro instabilità vertebrale, dove la vertebra è correttamente allineata nella posizione statica, ma sviluppa dei micromovimenti che si sommano al normale range articolare di cui è capace.
  • macro instabilità vertebrale, la vertebra non è più correttamente allineata, ma risulta slittata rispetto alla sottostante di appoggio.

Lo scivolamento generalmente avviene anteriormente e in percentuale ridotta posteriormente.

La traslazione vertebrale viene catalogata in gradi, a seconda della percentuale di spostamento con cui si mostra

  1. Grado 1: da 0 a 25%
  2. Grado 2: dal 25 al 50%
  3. Grado 3: dal 50 al 75%
  4. Grado 4: oltre il 75%

Il dolore

DoloreL’instabilità vertebrale provoca mal di schiena generalizzato nell’area dove l’ipermobilità è presente, associata o meno ad una nevralgia periferica, nel qual caso la radice nervosa venga irritata dal cambiamento di posizione e dall’eccessiva trazione della vertebra e dei suoi tessuti molli inerenti.

Può manifestarsi sia durante il movimento che nella postura eretta, semplicemente per resistere al carico del peso del paziente in concomitanza con la forza di gravità.

Si riscontra una rigidità muscolare dovuta alla presenza di contratture riflesse, una limitazione articolare nei fulcri vertebrali limitrofi, ed una riduzione delle capacità funzionali nelle attività di vita quotidiana.

I sintomi dell’ instabilità vertebrale

Nelle fasi iniziali i sintomi sono lievi, ma di natura poco chiara, ovvero il paziente si ritrova ad affrontare il mal di schiena o addirittura blocchi articolari acuti, senza cause apparenti, vale a dire senza sforzi eccessivi o senza assumere posture errate, ma per semplici e banali movimenti, il più delle volte di tipo abitudinario.

La sintomatologia algica tende ad aumentare nel tempo in maniera progressiva, con manifestazioni dolorose sempre più intense ed a intervalli via via più frequenti, fino a rendere complicato eseguire anche i movimenti più banali, come piegarsi in avanti, estendersi, ruotare il busto, inclinarsi lateralmente, mantenere le posizioni erette e/o sedute per più tempo consecutivamente.

Le cause

Instabilità vertebrale 03Le cause variano su 3 fronti principali:

  • degenerativo, per alterazioni di consistenza, idratazione, volume ed altezza del disco intervertebrale e/o per degenerazione artrosica o artritica delle faccette articolari
  • congenito per dimorfismo delle cartilagini di accrescimento come nel caso della spondilolisi  e spondilolistesi e/o per alterazione del tessuto connettivo delle capsule articolari e dei legamenti intervertebrali e/o per modificazioni anatomo-funzionali della muscolatura vertebrale.
  • traumatico per danno lesivo fratturativo vertebrale, nelle aree di ancoraggio alle zone articolari.

Instabilità vertebrale 04

Queste 3 cause possono presentarsi singolarmente o associarsi tra di loro, amplificando la gravità dell’instabilità vertebrale.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la comparsa di sintomi algici nel mantenere le diverse posture, sul piano sagittale e frontale, in stazione eretta, seduta e semiflessa, associandola alla contrazione-rilasciamento della muscolatura inerente.

E’ importante analizzare la meccanica vertebrale, cercando di cogliere la presenza o meno di ipermobilità anomala, valutando lo stato del tono e del trofismo muscolare e la presenza o meno di radicoliti irritative periferiche.

Di grandissimo aiuto saranno le indagini diagnostiche per immagini:

  • RX
  • RM
  • TC

le quali consentiranno di valutare lo stato in essere delle strutture vertebrali nel loro insieme discale, osteoarticolare, capsulare, legamentoso, muscolare.

Negli studi da imaging, dove sia necessario valutare ogni minimo dettaglio, si possono utilizzare RX ed RM in carico e/o dinamiche, che scandiranno la presenza o meno di ipermobilità vertebrali nelle varie condizioni.

Il trattamento dell’ instabilità vertebrale

Instabilità vertebrale 06Negli stadi iniziali il trattamento è di tipo conservativo, adoperando farmaci che riducano il dolore, l’infiammazione, la tensione muscolare riflessa e l’ eventuale comparsa di radicoliti irritative.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno il compito di ristabilire, il corretto funzionamento vertebrale, migrando la meccanica articolare verso i fulcri associati che coadiuvano i movimenti nei tre piani dello spazio, ridistribuendo in maniera corretta, tanto i carichi statici quanto quelli dinamici e ottimizzando le sinergie muscolari che danno equilibrio e stabilità alla colonna vertebrale.

Può essere di aiuto l’utilizzo di busti elastici con supporti in stecche, da utilizzare per poche ore al giorno e in quelle attività che mettono in crisi il paziente .

Instabilità vertebrale 07Qualora i trattamenti sopra indicati siano di poca efficacia e il paziente non riesca a trovare un giovamento duraturo nel tempo, sarà necessario ricorrere alla chirurgia vertebrale, stabilizzando la parte ipermobile, tramite l’applicazione di barre e viti, per fissare la vertebra interessata ai segmenti superiori ed inferiori, riportando una solidità articolare per ancoraggio limitrofo.

Nei casi in cui sia presente anche una radicolite irritativa resistente, la stabilizzazione vertebrale viene integrata dall’applicazione di uno spaziatore (cage) e nei casi più violenti con segni di danno neurologico, anche da una laminectomia decompressiva.

Questi tipi di interventi chirurgici permettono al paziente un recupero dello stato di salute e una remissione della sintomatologia abbastanza veloce, ma prevedono un percorso riabilitativo per integrare al meglio l’impianto, recuperando l’abilità funzionale, il corretto assetto posturale statico e dinamico, in sinergia con l’equilibrio delle catene muscolari.

L’instabilità vertebrale porta il paziente ad uno stato di malessere che può essere progressivo ed invalidante, ma la corretta diagnosi, meglio ancora se precoce, permette di adoperare varie soluzioni di cura, per affrontare la patologia e avere una remissione dei sintomi, recuperando uno stato ottimale di funzione e resistenza alle attività di vita quotidiana.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Artroplastica di rivestimento dell’anca

Oggi parleremo dell’artroplastica di rivestimento dell’anca.

Cosa si intende per artroplastica

artroplastica anca 01Per artroplastica si intende un intervento chirurgico che abbia l’obiettivo di ricondizionare un’articolazione lesa e/o degenerata, rispetto alla sua normale struttura, causandone un deficit articolare, associato ad una perdita di funzione e ad una manifestazione dolorosa invalidante nelle normali attività di vita quotidiana.

L’artroplastica prevede varie strategie di applicazione, dalla pulizia articolare degli osteofiti interni, al rimodellamento dei capi articolari, al rivestimento delle superfici articolari di scorrimento, fino all’asportazione dei capi articolari con la conseguente sostituzione mediante l’inserimento di protesi.

Entriamo nello specifico: l’ artroplastica dell’anca

Questo tipo di intervento consiste nel ricoprire i due capi articolari coxo-femorali, ovvero la testa del femore e l’acetabolo, mediante l’applicazione di lamine di rivestimento, generalmente metalliche, capaci di avvolgere le superfici articolari di scorrimento, sostituendosi allo strato cartilagineo usurato.

A differenza della protesizzazione articolare, il chirurgo risparmia al paziente l’amputazione dei capi ossei, conservandone quindi l’integrità di giunzione.

L’ artroplastica di rivestimento sembra garantire una minore usura nel tempo delle superfici impiantate, una riduzione dei tempi riabilitativi e un recupero funzionale più veloce.

Con questo tipo di intervento, viene abolita la possibilità di lussazione articolare da impianto chirurgico, consentendo il ritorno alle attività fisiche sportive anche ad alto livello.

artroplastica anca 02L’artroplastica di rivestimento dell’anca può esser applicata in quei soggetti che si presentano con una testa del femore sufficientemente buona nella forma e uno stato di salute dell’osso tale da consentire l’applicazione dei film di rivestimento.

Proprio per i requisiti richiesti, solitamente le persone arruolate in questa campagna terapeutica, sono i soggetti giovani, ma non sono da escludere le fasce di età più alte, se rispondono alle caratteristiche indicate.

Quando bisogna indagare l’articolazione coxo-femorale?

Il campanello di allarme che porta il paziente a rivolgersi ad uno specialista sanitario è la comparsa del dolore, sia durante le attività dinamiche come il semplice camminare, salire o scendere le scale, rimanere in appoggio monopodalico, come anche la comparsa di sintomi algici nelle posizioni sedute e durante i passaggi posturali da seduto a in piedi e viceversa.

E’ una costante riscontrare una limitazione articolare nei gradi maggiori di flessione, estensione, rotazione interna, esterna, abduzione e adduzione, come movimenti singoli o associati tra di loro.

Il paziente riferisce una diminuzione della capacità di resistere allo sforzo e uno stato di tensione o contrattura dei muscoli della coscia.

Spesso lo stato di tensione risale anche sulla zona glutea e lombare.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la localizzazione del dolore, la funzionalità e la qualità dell’escursione articolare, associandola alla comparsa o meno del dolore.

artroplastica anca 03E’ di fondamentale aiuto l’utilizzo di indagini diagnostiche per immagini quali RX, RM, TC per valutare lo stato in essere dell’articolazione, inquadrata nella forma, nello spazio articolare, nella qualità delle cartilagini e dei tessuti molli.

Il trattamento post artroplastica dell’anca

La terapia post chirurgica prevede un periodo di riabilitazione mirata al ricondizionamento del tessuto cicatriziale, all’eliminazione di eventuali infiammazioni ed edemi, al ripristino dell’articolarità, del tono muscolare, delle sinergie tra le catene muscolari, al recupero del migliore schema del passo e dell’appoggio coerente, sia mono che bipodalico.

L’artroplastica di rivestimento dell’anca, può essere una valida alternativa alla protesizzazione, lì dove ci siano le condizioni tali per poterla eseguire, ristabilendo le condizioni fisiologiche che l’artrosi ha minato.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

La sindrome di Hoffa

La sindrome di Hoffa è un’infiammazione del cuscinetto adiposo posto dietro la rotula, occupando lo spazio tra la porzione postero-inferiore della rotula stessa, i condili femorali e la zona anteriore del piatto tibiale.

Anatomia

sindrome di hoffa 01Il cuscinetto adiposo di Hoffa è una struttura intracapsulare ma extrasinoviale, dove la sinovia articolare risale sulla parte posteriore del corpo di Hoffa ricoprendolo, prendendo rapporti con la plica infrapatellare che si estende fino alla gola intercondiloidea.

Il corpo di Hoffa è ben vascolarizzato e innervato da fibre nocicettive; queste due caratteristiche mettono il tessuto nella condizione di poter sviluppare un processo infiammatorio in piena regola.

La struttura di Hoffa può cambiare posizione, forma e volume assumendo un ruolo biomeccanico nel movimento articolare del ginocchio, mitigando la flessione, l’estensione, la traslazione e le forze compressive.

Durante i gradi di flessione dell’articolazione, arretra nella sua posizione , mentre nei gradi di estensione trasla anteriormente.

Da molti ricercatori viene anche identificato come riserva naturale di cellule staminali, per questo motivo può essere utilizzato per i trattamenti conservativi della cartilagine.

Il dolore nella sindrome di Hoffa

La sindrome di Hoffa si presenta con un dolore nella zona anteriore del ginocchio, specificatamente localizzato nella porzione retro e peri-rotulea, che si esaspera durante gli sforzi articolari di flessione ed estensione del ginocchio, ove sia richiesto un carico muscolare di rilievo, come salire e scendere le scale, fare attività sportiva che preveda corsa, salti e resistenza attiva allo sforzo.

Spesso al dolore si associano degli scrosci articolari o crepitii che possono sommarsi ad una riduzione della capacità articolare per compiere i movimenti negli ultimi gradi di flessione e un’incapacità di completare l’estensione massima.

Le cause

sindrome di hoffa 02Tra le cause, l’ipertrofia e la fibrosi del corpo adiposo, dovute all’eccesso di utilizzo e ai microtraumi ripetuti, creano un’alterazione della mobilità del tendine rotuleo, con una conseguente resistenza nella traslazione della rotula ed un cambiamento nella meccanica di movimento della tibia rispetto all’appoggio dei condili femorali, ponendo le basi per un’infiammazione del cuscinetto adiposo di Hoffa da irritazioni, compressioni eccessive e ripetute.

La diagnosi della sindrome di Hoffa

esame obiettivoNella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la localizzazione del dolore, la funzionalità e la completezza dell’escursione articolare, soprattutto negli ultimi 10° di estensione, associandola alla comparsa del dolore e la presenza di rigidità della rotula nei movimenti di ballottamento, in presenza o meno a scrosci o crepitii.

Importante sarà anche percepire un aumento della temperatura locale del ginocchio, associato a segni di gonfiore, così come va tenuto conto delle presenza di contratture muscolari antalgiche riflesse e l’instaurarsi di atteggiamenti compensatori funzionali o posturali.

esame obiettivoDi grande aiuto sarà supportare la diagnosi clinica, tramite l’utilizzo della RM, capace sia di individuare lo stato in essere del corpo adiposo di Hoffa, sia dei sui rapporti con la capsula articolare, con le pliche sinoviali, con il tendine rotuleo e con la rotula stessa.

Il trattamento

E’ fondamentale ridurre l’infiammazione, utilizzando farmaci antinfiammatori non steroidei, associandoci l’utilizzo di ghiaccio più volte al giorno.

Nei casi in cui sia presente un edema importante, potrà essere utilizzato il cortisone come farmaco di attacco.

Di grande aiuto sarà la fisioterapia che gestirà il paziente nel ridurre i carichi di lavoro, decomprimendo il compartimento articolare anteriore del ginocchio e migliorando il tonotrofismo muscolare soprattutto del gruppo estensorio.

esercizi propiocettiviSarà molto utile utilizzare gli esercizi propriocettivi per aumentare il controllo e quindi la stabilità del ginocchio rispetto allo scarico a terra e all’appoggio de bacino sulle anche.

La chirurgia offre il suo contributo, soprattutto nei casi ove l’infiammazione abbia cronicizzato, rimanendo costantemente presente.

Gli approcci chirurgici seguono varie strade:

  • resezione totale o parziale del corpo d Hoffa
  • sinoviectomia
  • resezione di disimbrigliamento della plica infrapatellare.

Ognuna di queste tecniche porta a risultati soddisfacenti, che necessitano di un periodo di riabilitazione per recuperare l’equilibrio articolare.

La sindrome di Hoffa non è una patologia grave ma se mal curata può arrecare danni all’intera struttura del ginocchio e alla catena cinetica dell’arto inferiore.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.