Calcoli renali

Calcoli renali 01I calcoli renali, denominati in medicina anche con il nome di NEFROLITIASI o LITIASI RENALE, sono degli agglomerati di precipitati dei sali minerali come il calcio, ossalati, fosfati, acidi urici, raggruppati in formazioni solide, che si depositano nei reni.

Inizialmente abbiamo la formazione di microcristalli, i quali aumentando il loro volume, diventano dei veri e propri sassetti e quindi dei calcoli, con delle misure che possono variare da alcuni millimetri ad alcuni centimetri.

Le conformazione dei calcoli renali può diversificarsi in contorni lisci o irregolari ed in grandezza diversa, mostrandosi piccoli come granelli di sabbia, fino ad essere grandi come delle biglie, creando condizioni più o meno difficili e più o meno dolorose, nella loro espulsione.

I calcoli una volta formatisi, possono rimanere depositati nella sede renale di raccolta per un tempo non definito, per poi dislocarsi lungo il percorso delle vie urinarie, percorrendo gli ureteri, scendendo nello scavo pelvico e quindi nella vescica, fino ad essere espulsi, seguendo l’uretra attraverso la minzione.

I sintomi che il paziente può lamentare sono variabili a seconda della dimensione del calcolo, dell’irritazione che arreca nel tragitto verso l’espulsione e se associato o meno ad uno stato infettivo delle vie urinarie.

Calcoli renali 02Pertanto alcuni soggetti saranno totalmente asintomatici, mentre altri lamenteranno un dolore sordo, profondo, nella zona lombare medio-alta e nello regione della fossa iliaca, fino a poter riferire delle vere e proprie coliche renali, caratterizzate da un dolore acuto e violento nel territorio lombo / addominale prima descritto.

Quali sono le cause che possono dare il via alla formazione dei calcoli renali?

Iniziamo con il dire che la predisposizione genetica è un fattore favorente la formazione dei calcoli renali, ma ci sono delle associazioni di fattori che aumentano in maniera esponenziale la possibilità della loro comparsa:

  • riduzione dell’apporto di liquidi in particolare dell’acqua
  • il tipo di acqua che viene bevuta
  • una dieta squilibrata
  • la disidratazione
  • processi infiammatori
  • rallentamento del fulso urinario
  • aumento della concentrazione di composti insolubili favorenti i calcoli renali
  • alterazione del ph urinario inferiore a 5
  • carenza di acido citrico
  • disfunzione ormonale in eccesso legata alla tiroide e alla paratiroidi
  • abuso di integratori quali sali minerali e vitamine
  • infezioni batteriche delle vie urinarie.

A seconda delle innumerevoli cause che possono portare alla formazione di calcoli, abbiamo delle classificazioni identificative diverse.

Calcoli renali 03La loro classificazione è importante per poter ottimizzare la cura del paziente, mirata sia a ridurre la concentrazione dei sali coinvolti nella precipitazione, sia ad aumentare le sostanze che inibiscono la precipitazione stessa.

La classificazione è divisa in:

  • calcica (ossalto di calcio // fosfato di calcio // ossalto di calcio e fosfato di calcio)
  • urica (acido urico // urato di calcio)
  • mista (ossalto di calcio // fosfato di calcio // acido urico)
  • infettiva.

Ma qual’è l’iter diagnostico dei calcoli renali?

Calcoli renali 04Si può procedere in vari modi:

  • esami ematochimici per valutare i fattori di tossicità del rene e la presenza di eventuali infezioni sistemiche
  • esami delle urine per studiare l’eventuale presenza di tracce ematiche, di batteri, o cristalli calcifici
  • analisi del calcolo renale nel momento in cui ci si accorga della sua espulsione attraverso la minzione
  • esame ecografico per studiare lo stato anatomico del rene e delle vie urinarie, avendo modo di valutare la presenza dei calcoli nella loro grandezza e nel loro alloggiamento
  • l’urografia endovenosa, un esame a raggi x, che utilizza il mezzo di contrasto per evidenziare le vie urinarie
  • l’esame tc con mezzo di contrasto (uro-tc), richiesto nei casi in cui si decida di valutare in maniera minuziosa la condizione anatomo-patologica di reni, ureteri e vescica, con la possibilità di analizzarne la funzione, nell’espulsione del mezzo di contrasto, attraverso le vie urinarie.

Calcoli renali 05Una volta elaborata una diagnosi corretta e completa, non solo sulla presenza di calcoli renali, ma anche sul tipo di formazioni litiasiche e sullo stato in essere dei reni, delle vie urinarie e della vescica, in merito all’eventuale presenza di stenosi, infezioni ed infiammazioni, si potrà procedere con una cura mirata alla risoluzione del patologia.

Il trattamento prevede numerosi approcci, diversi per metodica e interazione con il paziente.

Qualora i calcoli siano piccoli tanto da poter essere eliminati attraverso la minzione, la cura sarà prettamente farmacologica, in supporto al paziente durante la fase di espulsione del calcolo, somministrando farmaci antinfiammatori, antidolorifici, antispastici e antibiotici nel caso ci sia associata un’infezione batterica delle vie urinarie.

Calcoli renali 06Nelle situazioni in cui i calcoli siano vicini al centimetro o di dimensioni superiori, bisogna intervenire con metodiche mirate a distruggere o asportare il calcolo… vediamo di cosa si tratta.

  • Litotripsia extracorporea ad onde d’urto

Utilizza onde ad ultrasuono che colpiscono il calcolo, frantumandolo e consentendone l’espulsione a posteriori, attraverso la minzione.

Dato che il trattamento può risultare alquanto fastidioso, può essere supportato da antinfiammatori e antidolorifici.

Nel caso in cui i calcoli siano grandi, può essere richiesto più di una seduta.

  • Nefrolitotomia percutanea

Viene utilizzata in quei casi in cui la litotripsia extracorporea ad onde d’urto non possa essere praticabile, come ad esempio nei pazienti obesi.

Viene effettuata una piccola incisione percutanea per introdurre il nefroscopio, fino a raggiungere il rene, frantumando il calcolo per mezzo laser e avendo così modo di asportandolo direttamente.

  • Ureteroscopia

E’ una metodica che vede l’utilizzo dell’uretroscopio, in tutte quelle situazioni dove il calcolo rimanga bloccato nell’uretere, senza possibilità di proseguire il suo tragitto.

Il chirurgo una volta raggiunto il calcolo, può provare ad asportarlo o nel caso non ci riesca, provvederà a frantumarlo attraverso il laser.

In alcuni casi si rende necessario l’utilizzo di uno stent, per facilitare il passaggio dei frammenti del calcolo in vescica.

  • Chirurgia a cielo aperto

chirurgiaSi utilizza solamente in quei pazienti ove il calcolo sia eccessivamente grande e dalla forma irregolare.

In questo caso viene fatto un accesso chirurgico retroperitoneale, con l’intento di asportare in maniera diretta il calcolo dalla sede che lo ospita.

Essendo un intervento non privo di complicanze secondarie, il suo utilizzo è estremamente razionalizzato a quei pazienti che non hanno la possibilità di utilizzare strade alternative.

Una volta riusciti ad eliminare il calcolo, il paziente dovrà essere informato sul tipo di litiasi, per procedere con una dieta adeguata a contrastare la formazione futura di calcoli simili.

Sarà altrettanto importante bere un quantitativo di acqua sufficiente ad evitare la precipitazione dei sali minerali e ad ottimizzare il flusso delle urine nella minzione.

Altra raccomandazione sarà quella di effettuare ecografie renali preventive, per monitorare l’eventuale neoformazione di calcoli renali.

I calcoli renali sono subdoli e possono arrecare problemi di salute non indifferenti.

L’alimentazione sana, un corretto stile di vita e la prevenzione, possono aiutarci a prevenirli o a gestirli nella maniera migliore, evitandoci brutte sorprese.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

Sarcopenia

Sarcopenia_hq_01Con questo termine si definisce la perdita di massa muscolare e conseguentemente della forza, con la comparsa di atrofia e una diminuzione della qualità biologica del tessuto stesso.

Nella sarcopenia si ha una progressiva perdita di fibre muscolari sostituite da tessuto adiposo di riempimento, che di conseguenza porta ad una degenerazione della giunzione neuromuscolare (ovvero della porzione neurologica dedicata, che sotto stimolo attiva il muscolo) e conseguentemente ad una atrofia muscolare con manifesta riduzione del volume.

Sarcopenia_hq_02Il muscolo e quindi le fibre muscolari, diventano più fragili e soggette, con frequenza aumentata, a danni anatomici da elongazione e lacerazione per eccesso di carico e stiramento eccentrico.

Si manifesta con:

  • la comparsa di debolezza
  • minor resistenza allo sforzo prolungato
  • deficit nello sforzo massimale
  • diminuzione dell’equilibrio causato dalle alterazioni delle sinergie muscolari
  • deambulazione rallentata
  • riduzione dei movimenti fini e coordinati.

Sarcopenia_hq_03Il tutto evolve verso una riduzione delle normali attività di vita quotidiana.

La perdita progressiva di funzione porta ad un aumento di sedentarietà e cambiamenti del tono dell’umore, condizioni per le quali non viene favorito l’allenamento muscolare quotidiano e costante.

La perdita di massa muscolare crea un danno diretto alla struttura scheletrica perchè viene a mancare il sostegno attivo, aumentando i carichi diretti sui tessuti osteoarticolari e cartilaginei, creando carichi eccessivi anche alle strutture legamentose.

Si perde l’equilibrio tra i gruppi muscolari agonisti e antagonisti a svantaggio delle sinergie necessarie durante le attività motorie.

La perdita di massa muscolare riduce anche l’integrazione con il ricambio biologico del tessuto osseo favorendone l’osteoporosi.

Le contratture muscolari possono comparire con maggior facilità, le tensioni capsulo legamentose e gli impingment articolari sono maggiori.

La sarcopenia può incominciare a manifestare le prime avvisaglie in maniera lenta nel decennio tra i 40 e i 50 anni, per poi proseguire con un aumento di sviluppo dopo i 60 anni in maniera esponenziale, rapportandosi all’età del soggetto, alla qualità biologica dei tessuti dello stesso, al tipo di massa muscolare basale e al tipo di alimentazione che conduce.

Sarcopenia_hq_04La riduzione della massa muscolare può avere come concause la riduzione dell’equilibrio ormonale, così come l’ accumulo in eccesso di proteine ossidate e le modificazioni cellulari del tessuto stesso.

La sarcopenia fa pare del progressivo invecchiamento della persona per il trascorrere del tempo, non si può evitare ne tantomeno fermare, però è vero che ci sono delle attività e delle abitudini che la possono favorire e velocizzare, come la sedentarietà, la cattiva alimentazione, l’incostanza e la pigrizia nella gestione quotidiana della macchina umana.

L’unico fattore ad oggi registrato e concomitante nello sviluppo della sarcopenia nel tempo è il minor peso corporeo alla nascita.

Mediamente la sarcopenia vede una perdita di massa muscolare del 5% ogni 10 anni, che detto tra noi non sono per nulla pochi.

Come fare una diagnosi di sarcopenia?

Il primo elemento necessario è la raccolta di dati riferiti dal paziente in modo da poter avviare un’anamnesi dettagliata.

È necessario fare un esame obiettivo per valutare le capacità funzionale del paziente e i deficit presenti.

Sarcopenia_hq_05La precisione nella diagnosi può essere ottenuta con un’indagine diagnostica chiamata DEXA (assorbimetria a raggi X a doppia energia), vale a dire un esame che valuta varianti tra di loro diverse e che nella sarcopenia studia il peso corporeo in relazione alla massa magra e alla massa grassa del soggetto.

La DEXA può essere anche utilizzata per lo studio della massa ossea nella patologia specifica dell’osteoporosi.

Sarcopenia_hq_06La dose di radiazioni utilizzata in questo tipo di esame è discretamente bassa ed è per questo che si può ripetere l’esame anche a breve distanza.

Lo studio DEXA però deve essere associato ad un test di velocità di camminata per valutare la resistenza muscolare allo sforzo.

Il test e l’esame DEXA darà una valutazione specifica della sarcopenia e la percentuale di massa muscolare persa.

Sarcopenia_hq_07E quali sono i valori specifici di riferimento per stabilire l’effettiva presenza di sarcopenia?

  • riduzione della massa muscolare di almeno due unità sotto il valore medio riscontrato nei giovani adulti
  • velocità di camminata inferiore ai 2,8 metri al secondo
  • la forza nella presa della mano inferiore ai 30kg nell’uomo e a 20kg nella donna.

La terapia per questa patologia non prevede un grosso impegno farmacologico, perché al momento non ci sono cure definite e concordate degne di nota.

Si valutano terapie di tipo ormonali ma non sono ancora considerati protocolli condivisi.

Sarcopenia_hq_08Molto più valutati sono i rimedi naturali basati sull’esercizio fisico e sulla corretta alimentazione.

L’esercizio fisico deve esser fatto con costanza dalle 2 alle 3 volte a settimana cercando di impostare il lavoro sul recupero della forza e sull’aumento della resistenza allo sforzo.

L’attività muscolare deve essere completa almeno per quanto riguarda i gruppi maggiori sia di sostegno che dinamici.

Sarcopenia_hq_09L’alimentazione vede una dieta ricca di proteine e minerali e ridotta nell’apporto di grassi e zuccheri.

La fisioterapia ha la possibilità e la capacità di recuperare la miglior postura e di ritrovare gli equilibri muscolari rendendo economico l’uso dell’apparato locomotore.

L’osteopatia ha il compito di stabilire il miglior assetto vertebrale, la miglior integrazione tra i cingoli pelvici e scapolari, riducendone al minimo lo sforzo muscolare da dover compiere nelle attività minime.

Sarcopenia_hq_10L’osteopatia ha la possibilità di migliorare la funzione viscerale del tratto digerente per ottimizzare l’assorbimento e il metabolismo.

La sarcopenia purtroppo non è evitabile ma può essere invece evitabile lo sviluppo delle complicanze da essa scaturite .

Non trascuriamoci e rimarremo più giovani rispetto a quello che la nostra anagrafe dice.

Malattia di Crohn

Malattia di Crohn 01La malattia di Crohn è una patologia infiammatoria di tipo cronico, a carico del sistema gastrointestinale.

Potrebbe presentarsi su uno più tratti dell’intero sistema gastrointestinale, ovvero dalla bocca all’ano, ma la sua manifestazione è nettamente prevalente nell’ultima porzione dell’intestino tenue e del colon.

L’infiammazione cronica recidivante caratteristica di questa patologia, comporta dei danni al tessuto che degenerano in fistole, ascessi, stenosi, cicatrizzazioni patologiche con la presenza di aderenze.

E’ abbastanza comune notare che nell’area della porzione di intestino colpito, ci si può imbattere nell’alternanza di tratti di tessuti patologici e tratti di tessuto sano.

La malattia di Crohn è asintomatica nelle fasi iniziali di sviluppo, per poi manifestarsi con la presenza di dolore addominale, crampi, che topograficamente possono migrare dalla zona mediale ventrale a quella più laterale, ovvero in corrispondenza dell’area intestinale colpita, con la comparsa di diarrea diurna e notturna, protratta a lungo (fin oltre le 4 settimane), presenza di sangue e/o pus nelle feci, perdita di peso.

Malattia di Crohn 02Non è raro che tutta questa sintomatologia possa presentarsi associata a febbricola, soprattutto nelle ore serali e/o dolori poliarticolari.

Le cause sullo sviluppo della malattia di Crohn sono ad oggi incerte.

La sua insorgenza è multifattoriale e tra le cause, si da valore ad una reazione autoimmunitaria eccessiva nei confronti di determinati antigeni, il tutto correlato da una predisposizione genetica, anche se la malattia di Crohn, non può essere catalogata tra la malattie genetiche, ne tantomeno tra quelle ereditarie.

E’ stato visto che ci sono dei fattori sensibili alla malattia quali:

  • l’alterazione della flora batterica
  • il fumo di sigaretta
  • la cattiva alimentazione
  • l’abuso di alcol

La diagnosi della malattia di Crohn in alcuni casi è del tutto casuale, proprio perché nelle fasi iniziali dello sviluppo della patologia si è esenti da sintomi, pertanto il suo riscontro è del tutto fortuito e inquadrato in circostanze diagnostiche preventive o di contorno ad altre patologie.

Malattia di Crohn 03Nei casi in cui si manifestino i sintomi prima indicati, legati alla clinica patologica inerente al Crohn, gli esami diagnostici a disposizione sono molti e di vario genere:

  • gli esami del sangue e delle feci, permettono di valutare sia la presenza di fattori infiammatori e immunitari abnormi, sia la presenza di sangue e/o di materiale purulento nelle feci.
  • la colonscopia e l’esofagogastroduodenoscopia, sono i due esami endoscopici che permettono di esaminare una grande fetta del tubo digerente, visualizzando in maniera diretta lo stato anatomico in essere dei tessuti interni, con la possibilità di prelevare uno o più campioni, nel caso sia necessario fare un’analisi cellulare biologica.
  • l’enteroscopia con videocapsula, è un’altra metodica molto utile, permettendo di analizzare quel tratto di intestino tenue, non raggiungibile con la metodica endoscopica classica sopra accennata.

Malattia di Crohn 04Questo tipo di esame permette di visualizzare tramite micro-videocamera l’intero tubo intestinale, ma non ne permette nessun prelievo per eventuale esame bioptico.

  • l’entero RM e l’entero TC, sono esami di diagnostica per immagini che si avvalgono di mezzo di contrasto, somministrato sia per via endovenosa che per via orale, in grado di valutare lo stato infiammatorio del tessuto colpito da patologia, la presenza di danno anatomico, delle complicanze varie ed eventuali e l’evoluzione vascolare del danno per captazione del mezzo di contrasto stesso.
  • l’esame ecogrfico addomino-pelvico permette di avere una visone di massima del pacchetto intestinale, che mira a valutare la presenza di complicanze correlate, o di monitorare in maniera semplice e non invasiva, l’andamento delle cure sul paziente.

Il trattamento prevede l’approccio alla malattia in maniera polivalente.

Lo scopo è quello di bloccare lo stato di infiammazione nel suo momento di acuzia, per evitare che possa evolvere in una cronicità oltremodo dannosa, controllando allo stesso tempo la sua progressione.

Malattia di Crohn 05A livello farmacologico si può agire su più fronti:

  • antinifiammatori steroidei
  • immunosoppressori
  • farmaci biologici della famiglia degli anticorpi monoclonali, per bloccare selettivamente l’infiammazione
  • gli antibiotici nel caso sia necessario trattare complicanze di tipo infettivo suppurativo.

Qualora le terapie farmacologiche non avessero dato l’effetto sperato, si può ricorrere alla chirurgia, con lo scopo di asportare il tessuto irreparabilmente danneggiato, pericoloso per il rischio di complicanze locali e sistemiche.

La resezione chirurgica non esclude il fatto che la patologia possa nuovamente ripresentarsi, anche nella stessa area di intervento.

Nella malattia di Crohn la terapia stessa è fondamentale ed è importante capire che va inquadrata in due ambiti distinti ma di stretta interazione, ovvero la cura dell’effetto della patologia e la gestione delle possibili complicanze future.

Come abbiamo capito il Crohn può essere gestito con efficacia e consentendo al paziente di fare una vita qualitativamente soddisfacente, ma se la situazione dovesse sfuggire di mano, i danni organici potrebbero diventare pesanti e multifattoriali.

Sarà di fondamentale importanza l’accuratezza nella diagnosi e il seguire con attenzione e costanza lo stato della malattia, sia nel momento della sintomatologia, sia nella gestione temporale.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

Spondilolisi – Spondilolistesi

La spondilolistesi è una patologia vertebrale caratterizzata dallo scivolamento di una vertebra rispetto ad un’altra.

Spondilolisi_08Le due vertebre interessate sono inquadrate all’interno di un sistema chiamato unità vertebrale.

L’ unità vertebrale è costituita da una vertebra, un disco intervertebrale e una vertebra di appoggio.

Nella spondilolistesi viene considerato lo spostamento della vertebra disassiata rispetto alla vertebra sottostante di appoggio.

Le listesi possono essere di diverso posizionamento e in base a questo avranno una denominazione e una casistica differente:

  • Anterolistesi, la vertebra scivola in avanti rispetto alla vertebra sottostante
  • Retrolistesi, la vertebra scivola indietro rispetto alla sottostante
  • Laterolistesi, la vertebra scivola lateralmente rispetto alla sottostante

Spondilolisi_07Lo scivolamento vertebrale viene catalogato oltre che per la posizione, anche per il grado di spostamento che ha e se è stabile o instabile rispetto al movimento del segmento vertebrale di cui fa parte.

Generalmente le vertebre interessate sono le ultime due del gruppo lombare, ovvero L4 oppure L5, ma non è escluso che possano trovarsi ovunque in caso di forti degenerazioni anatomiche, traumi od eventi fratturativi.

La spondilolistesi per essere presente deve associarsi ad una spondilolisi, ovvero la perdita di rapporto anatomico (rottura) dell’istmo.

L’istmo è la zona di giunzione tra le superfici articolari superiori e inferiori di una vertebra, le articolazioni servono a guidare una parte consistente del movimento vertebrale.

I casi in cui non c’è rottura dell’istmo sono legati al cambiamento del piano articolare delle articolazioni e della loro massa ossea che sarà, in questo caso, aumentata rispetto al normale dimensionamento.

Spondilolisi_06La spondilolisi esiste quando c’è una lesione totale dell’istmo, situazione che si manifesta generalmente per un’ alterazione dei nuclei di ossificazione durante il periodo di crescita e sviluppo, pertanto la vertebra risulta integra ma più debole e soggetta a distacco nel momento in cui sia sottoposta a un’ ipersollecitazione ripetuta.

Non è da escludere che l’istmo possa distaccarsi anche per fratture da trauma o da stress.

Al momento del distacco le vertebre possono continuare a mantenere il loro corretto rapporto anatomico, ma se verranno concentrati carichi dinamici o posturali, le vertebre potranno scivolare tra di loro in maniera più o meno evidente creando la spondilolistesi.

Generalmente la spondilolisi è asintomatica e se manifesta dolore non è per la perdita di rapporto dell’istmo ma per le comuni cause rappresentate in una lombalgia oppure, se di interesse radicolare, a carico del disco e/ o della radice nervosa.

Le cause della spondilolistesi sono molteplici, vediamole insieme:

  • congenita
  • traumatica diretta
  • traumatica ripetuta
  • ipersollecitazioni
  • frattura cruenta
  • frattura da stress
  • alterazioni del massiccio articolare
  • alterazione dei piani articolari

Spondilolisi_05La sintomatologia varia per tipologia, intensità e perdita delle funzioni basilari.

  • dolore discale per compressione disidratazione e trazione del disco stesso, rispetto a i due piatti vertebrali disallineati tra di loro.
    I corpi vertebrali, a causa del loro spostamento e della perdita di asse, non sono più in grado di ridistribuire correttamente i carichi sul disco intervertebrale, andando a creare una discopatia
  • Spondilolisi_04si può generare una protusione per la lacerazione dell’anulus fibroso, che se evolverà in ernia discale con compressione della radice nervosa, scatenerà una lombosciatalgia.
  • il restringimento del forame di coniugazione porterà la comparsa di radicolite di tipo irritativa o vascolare
  • la riduzione del canale midollare per ghigliottinamento, spesso associata ad ispessimento dei legamenti gialli, è causa di stenosi con una sintomatologia manifesta ad entrambi gli arti inferiori che associano parestesie, perdita di forza e riduzione dell’autonomia maggiormente durante la deambulazione.
  • lombalgia a carico delle faccette articolari per compressione e/o trazione delle componenti legamentose e capsulari.

La diagnosi in questa patologia vede come protagonista l’ indagine radiografica.

Una RX lombare in proiezione laterale e obliqua è in grado di evidenziare sia la presenza di sopoindilolistesi, con il suo grado di manifestazione e sia la lesione dell’istmo con il famoso segno del collare canino.

Spondilolisi_03Nel caso di presenza della patologia, un’ulteriore step diagnostico è dato dall’ esecuzione delle RX dinamiche lombari in massima flessione e in massima estensione per valutare se la spondilolistesi tenda ad essere stabile o mobile nei suoi movimenti limite.

Molto utile è anche la RM che studia la vita della patologia vertebrale in relazione al disco intervertebrale, al canale midollare e agli spazi ospitanti le radici nervose.

Può essere inclusa anche la TC nel pacchetto degli esami diagnostici, ma non è un esame di prima scelta a meno che il paziente non si presenti in ospedale per un pronto soccorso da trauma importante o incidente subito e serva un esame urgente.

Spondilolisi_02Lo studio della postura e della sintomatologia legata agli esami clinico diagnostici sono molto importanti, perché possono accendere la spia della presenza di spondilolistesi e consigliare la strada diagnostica per immagini di controllo.

La cura che approccia la patologia si sceglie in base al grado con sui si presenta lo scivolamento vertebrale.

Tendenzialmente è conservativa e mira alla gestione della vertebra nel contesto della postura e della sua funzione nella dinamica quotidiana, ma se il grado di slittamento è eccessivamente importante e si associano segni neurologici periferici pericolosi, si prospetta la stabilizzazione vertebrale chirurgica, dove si impianteranno nella colonna dei mezzi di sintesi di contenimento e spaziatura.

Spondilolisi_01Tornando alla terapia conservativa è importante far capire e insegnare al paziente come gestire la propria colonna, quali sono i movimenti da evitare e quali quelli da favorire, far mantenere un buon tono muscolare di base con uno slancio maggiore verso i gruppi antagonisti allo scivolamento vertebrale stesso.

La spondilolistesi va recuperata nella sua funzione rispetto a tutta la colonna vertebrale ma anche rispetto al bacino e alle anche, per sopperire all’interno del gruppo osteoarticolare, la mancanza di stabilità e di controllo del movimento della singola vertebra patologica.

Chiaramente diventa fondamentale cercare di prevenire le complicanze future che la spondilolistesi predispone per le sue caratteristiche, bisogna controllare ed evitare i danni discali, radicolari e morfologici sia dei piani articolari, soprattutto delle vertebre di appoggio, che dei corpi vertebrali.

La spondilolistesi equivale ad avere una frattura vertebrale che non si ripara, ma se ben gestita e curata permette di avere una vita comune senza eccessive rinunce fisiche.

L’acqua

L’acqua è un elemento fondamentale per la vita.

E fondamentale per l’esistenza della vita sulla terra e lo è ancora di più per la sopravvivenza dell’essere umano in un contesto di equilibrio biochimico.

acqua 02Il nostro corpo è composto di acqua per un percentuale di circa il 60-65 % del peso corporeo nei maschi adulti, 50-55% nelle donne, con una percentuale variabile in eccesso nei bambini (fino al 75%) e in difetto negli anziani.

L’acqua è coinvolta nella quasi totalità delle funzioni che l’organismo necessità per il suo corretto funzionamento.

Le sue proprietà nel contesto biochimico umano, variano su molteplici fronti:

  • è un solvente sia per i composti organici che quelli inorganici
  • dissocia gli elettroliti
  • ha capacità termoregolatrici
  • coadiuva le funzioni metaboliche
  • coadiuva le reazioni chimiche cellulari.

L’acqua svolge dei ruoli primari nelle funzioni organiche e nel mantenimento dell’equlibrio omeostatico.

  • è la principale molecola del sangue, pertanto è di fondamentale importanza per il trasporto dei nutrienti e dell’ossigeno, così come è assolutamente necessaria per il drenaggio dei cataboliti e quindi delle scorie, seguendo le vie ematiche venose e linfatiche, per poi essere espulsi attraverso gli organi emuntori
  • è un termoregolatore che agisce nella gestione della temperatura corporea, sia in un rapporto endogeno che esogeno
  • è necessaria per la corretta digestione, partendo dall’assimilazione, fino ad arrivare alla formazione delle feci
  • è un elemento di equilibrio nel sistema articolare, muscolare, fasciale, ma allo stesso tempo è anche un garante dell’ottimizzazione delle funzioni ammortizzanti, elastiche e di scorrimento del sistema muscolo-scheletrico
  • è la componente fondamento nel mantenere il corretto equilibrio pressorio all’interno dei singoli organi, aiutandoli a mantenere la forma e la consistenza della propria struttura e mitigando le forze deformanti e compressive.

acqua 03Appare subito chiaro di quanto sia importante mantenere un equilibrio nel rapporto tra acqua introdotta e quella eliminata……il rapporto a perdere si chiama disidratazione.

La disidratazione può essere acuta, dovuta ad eventi alimentari e fisici particolari e combinati, come per esempio un trekking faticoso di molte ore in una giornata calda e afosa, oppure cronica, per una carenza alimentare distratta nell’assunzione di acqua……ci sono dei pazienti che addirittura dimenticano di bere nell’arco della giornata, o che assumono acqua per meno di mezzo litro al giorno.

acqua 04Il bilanciamento idrico perde il suo equilibrio già da una percentuale di diminuzione del 2%.

Questo sta a significare he i rapporti tra liquidi assunti e quelli consumati, necessita di una stabilità compensatoria in pareggio pressoché costante.

La perdita del rapporto idrico tra il 2 e il 5% porta degli scompensanti quali:

  • maggiore stanchezza,
  • perdita di concentrazione
  • mal di testa alle volte associato a senso di nausea e vertigini
  • tachicardia
  • affaticamento del muscolo cardiaco
  • cambiamento peggiorativo del tono dell’umore
  • crampi muscolari
  • stitichezza
  • secchezza delle fauci
  • secchezza oculare
  • secchezza cutanea
  • calcoli renali
  • possibilità di aumento delle infezioni locali o sistemiche
  • disturbi dell’apparato osteo-articolare

Se la disidratazione arriva ad una soglia del 7% il soggetto può addirittura avere delle allucinazioni, mentre nei casi di grave disidratazione, con una perdita di liquidi pari al 10%, il soggetto rischia il coma.

I segnali della disidratazione possono comparire in maniera soggettiva e con delle avvisaglie sfumate già in un rapporto negativo dello 0,5%.

L’essere umano ha dei segnali che indicato l’entrata in riserva di acqua.

acqua 05La sete è ovviamente l’allert più diretto, ma non bisogna fidarsi di questo unico messaggio, perché molte persone hanno un senso della sete ridotto, ovvero non sentono il bisogno di bere.

La secchezza della bocca e delle labbra è un segnale forte di richiesta di idratazione, mentre un segnale certo della richiesta di idratazione è dato dal colore delle urine.

Proprio il colore delle urine ci indica se i reni passano da un rapporto normale di pre-filtrato a quello di filtrato e quindi di escrezione, oppure se sta cercando di trattenere liquidi per metterli a disposizione dell’intera macchina umana.

In base a queste considerazioni, il colore delle urine devono essere maggiormente trasparenti o al massimo giallo paglierino (ovvero urine chiare), viceversa se le urine sono scure, di un colore intenso, alle volte addirittura simili al colore del tè, vuol dire che stiamo in netta riserva idrica e abbiamo assolutamente bisogno di reintegrare liquidi.

acqua 06Ma quanta acqua dobbiamo bere?

Non c’è uno standard valido per tutte le persone, anche se la media si posiziona sui 2 litri di acqua al giorno, ma i rapporti necessari di liquidi variano a seconda della struttura della persona, dal tipo di alimentazione che fa, dell’attività fisica che compie durate la giornata, del rapporto di funzione degli organi emuntori, della temperatura basale del proprio corpo e via dicendo.

 

Secondo l’Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare (European Food Safety Authority, EFSA) le percentuali di acqua necessaria sono riassunte in questa tabella:

neonati sino a sei mesi di vita:

100 mL/kg al giorno

per i bambini:

  • tra 6 mesi e un anno di età: 800-1000 mL/giorno,
  • tra 1 e 3 anni di vita: 1100-1300 mL/giorno,
  • tra i 4 e gli 8 anni di età: 1600 mL/giorno;
  • tra 9-13 anni: 2100 mL/giorno per i bambini e 1900 mL/giorno per le bambine

adolescenti, adulti e anziani:

  • femmine 2 L/giorno
  • maschi 2,5 L/giorno.

Il fabbisogno giornaliero di acqua può subire un range di variabilità addirittura del doppio dei valori indicati, se si manifestano le condizioni di maggior consumo e dispersione di liquidi.

I fattori che richiedono una maggiore integrazione di acqua sono:

  • l’alimentazione molto saporita, perché l’acqua aiuta ad eliminare i sali in eccesso
  • l’attività fisica intensa che comporta una sudorazione eccessiva, richiede un’integrazione di liquidi proporzionale alla dispersione dei liquidi stessi
  • l’aumento della temperatura corporea comporta una dispersione di liquidi direttamente proporzionale, cosa che accade anche con l’aumento della temperatura esterna
  • vomito e diarrea.

In conclusione, dobbiamo prendere coscienza di quanto sia importante l’acqua per il nostro organismo.

L’idratazione, coerente con le caratteristiche della nostra struttura fisica, della nostra età, delle attività che svolgiamo, dell’ambente in cui viviamo, è la garanzia di uno stato di buona salute.

Attenzione però a non confondere la necessità di integrare acqua con l’assunzione di liquidi in generale.

acqua 09L’acqua ha delle caratteristiche proprie che aiutano le attività biochimiche e fisiologiche di cui abbiamo parlato, mentre per liquidi in generale si intende qualunque tipo di bevande, dai succhi di frutta, alle bevande gassate, a quelle alcoliche, tutti liquidi che contengono o addirittura non contengono percentuali di acqua e che hanno bisogno di essere metabolizzati.

Pertanto quando si parla di rapporto idrico e della necessità di integrare, dobbiamo pensare che abbiamo bisogno di bere acqua.

L’acqua aiuta la nostra salute e ci fa stare meglio.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.