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Distorsione di caviglia

Distorsione_caviglia_01La distorsione di caviglia è comunemente indicata per identificare una perdita di congruenza articolare tra la porzione del collo del piede e i malleoli.

Tipi di distorsione di caviglia

Vengono identificate due tipologie distorsive di massima:

  • esterna (la più frequente)
  • interna (più rara)

In realtà per distorsione di caviglia si intende qualunque tipo di movimento che possa alterare i rapporti articolari nei 3 piani dello spazio, a scapito delle componenti legamentose, capsulari e muscolo-tendinee.

Chiaramente alcune tipologie di distorsioni saranno a carico esclusivo di eventi traumatici importanti, alle volte addirittura di tipo fratturativo, ed è per questo che la categoria di massima viene suddivisa in STORTA ESTERNA e STORTA INTERNA di caviglia.

Il Piede

Cerchiamo prima di capire a grandi linee come è composto il piede, la sua articolarità rispetto alla gamba e che funzione svolge.

Il piede è diviso in 3 grandi porzioni:

  • Retropiede (zona posteriore del piede)
  • Mesopiede (zona centrale del piede)
  • Avampiede (zona anteriore del piede)

Distorsione_caviglia_02Queste 3 zone servono a scaricare il peso del corpo a terra, ad ammortizzare il carico statico e dinamico per via degli archi plantari, a trasferire la meccanica deambulatoria consentendo la massima spinta durante il passo.

Il piede si deve articolare rispetto alla gamba per merito della giunzione articolare tra l’astragalo e la pinza malleolare.

L’astragalo è l’osso più alto della zona del retropiede.

La pinza malleolare è la porzione articolare formata dalla parte terminale distale dell’osso peroneale e da quella dell’osso tibiale.

Come ogni articolazione, anche quella tra l’astragalo e la pinza malleolare è protetta, contenuta e guidata da legamenti, capsula articolare e muscoli, soprattutto quelli brevi (corti), sia quelli lunghi con una relazione tendinea importante.

Le distorsioni di caviglia possono avvenire per vari motivi e sono molti i fattori che la predispongono.

I traumi hanno un ruolo determinante e infatti spesso l’attività sportiva diventa una causa primaria.

E’ vero però che anche la predisposizione genetica ad una lassità dei tessuti molli e ad una formazione di tessuto connettivo meno resistente, predispone la caviglia and un cedimento strutturale nei movimenti di lateralità e rotazione associati.

Fattore importante per la salvaguardia dell’articolazione è il tono muscolare capace di tenere salde ma mobili, le articolazioni della caviglia stessa e del mesopiede.

Distorsione_caviglia_03Fondamentale diventa il sistema propriocettivo articolare che comunica con il cervello la posizione e le accelerazioni delle articolazioni rispetto ai fattori spazio-tempo;

il messaggio si trasmette per via midollare e ha un doppio feedback, ovvero dà una relazione immediata riflessa muscolare e una di adattamento volontario.

Nella distorsione di caviglia, l’astragalo (osso del retropiede incastonato nella pinza malleolare) fa un movimento esagerato rispetto alla sua normale capacità, tanto da creare un’ allargamento dello spazio intermalleolare, creando quella che si chiama diastasi della pinza malleolare.

Distorsione_caviglia_04A seconda di quanto sia stato esagerato il movimento distorsivo, si possono creare dei danni alle strutture legamentose, andando da un semplice stiramento (elongazione), ad una lesione parziale o totale delle fibre che li costituiscono.

La capsula articolare va incontro a stiramento creando un’infiammazione intrarticolare che genera gonfiore.

La comparsa di tumefazione si ha nel momento in cui lo stiramento causa una lacerazione dei tessuti, favorendo la fuoriuscita di sangue, che si espande nei tessuti contigui, fino a quando il gonfiore stesso ne blocca la fuoriuscita per aumento della pressione.

La muscolatura inerente andrà in spasmo di contrattura per difesa dell’articolazione e per riflesso condizionato dal dolore.

Le articolazioni perdono congruità nei rapporti articolari diretti con le strutture perimetriche e indiretti con le articolazioni con cui condividono fulcri di movimento.

La storta acuta di caviglia è la più violenta, ma non di rado si rivolgono a noi pazienti che, anche senza eventi traumatici, lamentano distorsioni manifeste nella banalità dei movimenti quotidiani, come camminare o salire e scendere dei gradini.

Il problema della storta di caviglia è che la cronicizzazione della stessa, porta i tessuti a diventare lassi e a non supportare più il contenimento articolare necessario per avere il giusto sostegno e la giusta solidità nelle attività deambulatorie quotidiane.

Le distorsioni di caviglia sono classificabili in vari gradi a seconda del danno di stiramento o di lesione parziale o totale stella strutture legamentose fino a poter arrivare al danno fratturativo delle componenti ossee.

Distorsione_caviglia_05La diagnosi

La diagnosi prevede come sempre un esame clinico che si baserà sull’ispezione visiva alla ricerca di zone di gonfiore e di tumefazione, sulla ricerca dei punti di dolore nelle zone critiche a carico delle strutture legamentose, della capsula articolare, dei muscoli e dei loro relativi tendini.

Si faranno dei test clinici sulla stabilità articolare, sulla valutazione dei range di movimento e sulla presenza di lassità dei tessuti molli, fino alla stima di eventuali sublussazioni provocate.

A seguire saranno indicati esami diagnostici di tipo radiografico per vedere l’integrità delle parti ossee, scongiurando eventuali danni fratturativi.

Esame ecografico per valutare lo stato di salute dei tessuti molli, in particolare dei legamenti articolari.

La RM che studia l’integrità di tutte le strutture conviventi nell’ articolazione e per l’articolazione, in maniera da poterle valutare ad ampio raggio e in maniera minuziosa.

La cura

Distorsione_caviglia_06La cura nelle prime fasi dell’acuzia prevede l’immobilizzazione e lo scarico da terra dell’arto in questione, l’utilizzo di una benda compressiva elastica in modo da ridurre lo stravaso per aumento della pressione dall’esterno, l’applicazione di ghiaccio come antinfiammatorio.

La cura nelle fasi post acuzia pone l’ attenzione sulla diminuzione dello stato infiammatorio, sul drenaggio dell’edema e della tumefazione eventualmente presente.

Distorsione_caviglia_07Sarà necessario l’utilizzo di un tutore o di un bendaggio funzionale, la scelta cambia a seconda della gravità dell’evento distorsivo, per tenere a riposo l’articolazione e i suoi tessuti molli e favorirne l’eventuale cicatrizzazione.

Lo scarico dell’arto inferiore a terra potrà variare con l’utilizzo di una stampella o due, per un periodo mutevole a seconda dell’entità del danno.

Si comincerà da subito a lavorare sul mantenimento del tono muscolare con esercizi isometrici per non creare stress all’articolazione.

Si manterrà l’articolarità minima consentita per evitare l’irrigidimento articolare, ma prestando attenzione a non riprodurre i parametri che hanno innescato la distorsione e senza mettere in stress i tessuti molli danneggiati e precedentemente individuati per via delle indagini strumentali.

Distorsione_caviglia_08La cura nella cronicizzazione dell’instabillità, prevede il completo recupero articolare, il miglioramento massimo del tono trofismo muscolare, l’equilibrio delle catene muscolari, la ricerca di eventuali compensi articolari instauratisi nell’immediato.

Questi possono manifestarsi sia sul piede stesso e sulle volte plantari, cosi come nella zona metatarsale e sulla dinamica di spinta del primo dito del piede durante la fase del passo, fino ad arrivare a portare compensi nella zona del ginocchio, in particolare sul cavo popliteo, sulla zona meniscale, per i cambiamenti di asse e di meccanica che il ginocchio potrebbe manifestare, fino ad arrivare alla zona del bacino con la sinfisi pubica e con l’articolazione sacro iliaca, per poi trovare ulteriori possibilità di accomodamento instaurato sulla colonna vertebrale.

Recupero propriocettivo articolare mirato ad integrare lo stato di equilibrio della zona lesa insieme al potenziamento di quello dell’intero arto inferiore, del bacino e della cerniera lombo sacrale.

La chirurgia permette la riparazione del danno legamentoso nel caso in cui ci sia rottura totale e instabilità articolare severa manifesta.

Può procede anche all’utilizzo di mezzi di sintesi ossei nel momento in cui si presenti una frattura.

L’uso di terapie farmacologiche in fase di cronicizzazione non ha grosse indicazione perché il problema è maggiormente a carico della funzione da recuperare.

Come abbiamo potuto capire, la distorsione di caviglia è un evento traumatico molto delicato che va affrontato con cura e attenzione.

La fisioterapia e l’osteopatia la fanno da padrona per poter riportare l’articolazione coinvolta, ad uno stato di buona salute, evitando la ricaduta con recidivanti.

Recuperare e riattivare l’articolazione sarà un beneficio per la caviglia ma anche per tutto il resto del corpo!

Il piede cavo

piede cavo 01Il piede cavo è una conformazione alterata dell’arco plantare, che mostra un eccesso di curva della volta interna, aumentandone l’altezza oltre misura, con uno spostamento dell’equilibrio di appoggio sulla porzione laterale del calcagno e del mesopiede.

Il piede cavo è la conformazione diametralmente opposta al piede piatto (argomento di cui ho parlato in uno dei miei precedenti articoli https://www.ambrogioperetti.it/piede-piatto/).

piede cavo 02Al piede cavo, si associa un’alterazione della biomeccanica statica e dinamica, che comporta una traslazione del calcagno in atteggiamento di varismo, dovuto allo spostamento di carichi nella porzione più laterale e un atteggiamento a griff delle dita dei piedi, che cercano di recuperare un meccanismo di adattamento e di ammortizzazione di competenza della volta plantare interna, oltre che di quella trasversale.

Queste alterazioni di forma e di funzione comportano con il passare del tempo anche un accorciamento o una deviazione di asse dei tendini.

Il tendine d’Achille tende a lavorare non più in asse ma traslato esternamente.

I tendini dei muscoli flessori plantari lunghi delle dita tendono ad accorciarsi, così come i tendini degli estensori dorsali metacarpo-falangei.

piede cavo 03La stessa fascia plantare con il passare del tempo, subisce una fibrotizzazione ed una retrazione, riducendo ancor più il ruolo ammortizzante della volta plantare interna.

Il piede cavo, strutturandosi sempre di più nel tempo, comporta un retrazione della catena muscolare del polpaccio, con uno squilibrio che si trasmetterà alle sinergie muscolari tra catene agoniste e antagoniste dell’intero arto inferiore, per arrivare ad un accomodamento che potrà essere ricercato addirittura nel sistema scheletrico del bacino e della colonna vertebrale.

Il piede cavo generalmente ha una partenza asintomatica, ovvero nella fase di sviluppo del dimorfismo plantare, i tessuti molli muscolo-tendinei e capsulo-legamentosi, sono ancora sufficientemente elastici da adattarsi con facilità alla deviazione dei carichi e alla perdita parziale del sistema di ammortizzamento della volta plantare interna.

piede cavo 04Il paziente diventa sintomatico nel momento in cui la cronicità del piede cavo, si associa ad una degenerazione e/o ad un invecchiamento dei tessuti molli, che fibrotizzando, perdono le loro capacità di compenso, attivando altresì segnali nocicettivi e feedback propriocettivi alterati, instaurando delle contratture antalgiche riflesse.

I sintomi più comuni che il paziente riporta sono:

  • rigidità del piede, delle dita e della caviglia
  • dolore nella zona della fascia plantare
  • fascite planare
  • dolore nella zona calcaneare infero-esterna
  • tallonite
  • dolore nella zona legamentosa del malleolo peroneale
  • sviluppo di dita ad artiglio o a martello, con la presenza di callosità nella zona dorsale interfalangea
  • instabilità della caviglia con tendenza a fare distorsioni esterne
  • aumento della faticabilità nel mantenere a lungo la posizione eretta
  • aumento della faticabilità fino alla comparsa del dolore nelle attività di deambulazione o di corsa, specie se in pendenza
  • tendiniti su uno o più tendini dei compatimenti direttamente coinvolti nella biomeccanica del piede.

causeIl piede cavo ha principalmente 3 categorie eziologiche:

  • congenito
  • adattativo
  • idiopatico

La forma congenita vede insita una familiarità, che trasmette per ereditarietà la conformazione anatomica caratteristica del piede cavo.

La forma idiopatica, è definita tale perché non c’è una causa apparente o riconducibile allo sviluppo di tale dimorfismo.

La forma adattativa è la conseguenza di eventi traumatici o patologici che obbligano il piede a cercare un compenso, anche se in una forma sbagliata.

La forma adattativa può insorgere a seguito di:

  • traumi soprattutto di tipo fratturativi, con deformazioni non recuperabili e/o anchilosi
  • forme artritiche deformanti
  • patologie neurologiche che comportano spasticità muscolare periferica
  • l’utilizzo eccessivo e prolungato di calzature strette e dal tacco alto.

piede cavo 06La diagnosi del piede cavo è ben oggettivatile al semplice esame obiettivo, ma è comunque molto importante fare una più che attenta anamnesi, per capire le condizioni che possono aver portato al cavismo del piede, quando ha iniziato a manifestarsi, quando si è instaurato e quanto va ad inefficiare nella vita del paziente, se valutato all’interno delle attività di vita quotidiana e nelle attività ludico-sportive.

La ricerca di segni e sintomi, è importante per studiare lo stato di gravità della patologia e la facilità di iperattivazione del dolore.

E’ importantissimo osservare anche la stabilità articolare sia nelle zone di passaggio tra retropiede, mesopiede e avampiede, sia la rigidità articolare associata a quella dei tessuti molli di competenza diretta e indiretta.

piede cavo 07Risulta molto utile richiedere un esame baropodometrico, sia statico che dinamico, per analizzare la postura del piede e l’impronta dell’appoggio al suolo, nelle attività congrue alla vita quotidiana.

L’esame radiografico e/o quello di RM, verranno richiesti nel momento in cui è ritenuto importante valutare lo stato di salute del piede, sia dal punto di vista odsteo-articolare, che dei tessuti molli muscolo-tendinei e capsulo-legamentosi.

Esami neurologici specifici potranno essere richiesti, in supporto ad una diagnosi primaria di patologia neurologica, con effetti di spasticità muscolare periferica.

ecografiaAnche l’ecografia può entrare in campo, dal momento in cui sia richiesto un’esame che focalizzi l’attenzione sui tessuti periarticolari e sulla muscolatura nella sua integrità e nello stato di salute.

Il trattamento prevede una serie di approcci, che abbracciano molteplici strategie.

E’ importante ridurre le rigidità articolari del piede, che si instaurano sempre più prepotentemente con il passare degli anni, in maniera tale da mantenere funzionali le articolazioni e la capacità di trasmettere i carichi biomeccanici dal retropiede, al mesopiede, fino all’avampiede.

Allo stesso modo è necessario elasticizzare le strutture tendinee ottimizzando le tensioni muscolari, per equilibrare le catene muscolari agoniste-antagoniste, sia del polpaccio che dell’intero arto inferiore.

Vanno scaricate le zone di tensione legamentose e capsulari-articolari, che per deformazione della posizione anatomica, subiscono dei carichi in elongazioni, rendendo instabile l’articolazione stessa.

E’ di grande aiuto utilizzare un plantare di scarico, per mettere a riposo la muscolatura cavizzante del piede e permettere alla fascia plantare di diminuire la tensione.

Gli esercizi propriocettivi statici e dinamici, permettono di allenare la risposta posturale adattativa, nel meccanismo di reazione muscolare ai carichi dissipati in appoggio.

Nei casi in cui il piede cavo sia dovuto a una o più cause di quelle precedentemente illustrate, è importante cercare di ridurre gli effetti patologici che costringono il piede al dimorfismo in cavismo.

I pazienti che non non trovano nessun giovamento dalle terapie convenzionali, possono essere sottoposti a terapia chirurgica.

Gli interventi di chirurgia hanno strade diverse a seconda dei tessuti o delle strutture che vogliono essere ricondizionate.

  • tessuti molli

Si può intervenire sui tessuti molli, cercando di modificare gli assi tendinei, legamentosi, o stabilizzando le capsule articolari.

Sono della stessa famiglia di intervento, anche gli allungamenti tendinei come quello del tendine d’Achille, o della fascia plantare.

  • osteotomia

L’osteotomia è un intervento che mira alla riduzione di porzioni di tessuto osseo, per creare delle nuove angolazioni anatomiche, capaci di recuperare un forma più congrua rispetto alla normalità.

  • artrodesi

È un’operazione di stabilizzazione articolare, con l’obiettivo di fondere una più articolazioni, per eliminare la possibilità di fare movimento su quei fulcri specifici e trasferire i carichi sulle articolazioni contigue.

La scelta del tipo d’intervento chirurgico sarà valutata dal chirurgo competente, che studierà la deformità, la natura che ne ha caratterizzato l’evoluzione, la cronicizzazione e le disabilità che affligge il paziente.

Ovviamente l’intervento chirurgico di qualunque tipo esso sia, prevede un periodo di recupero riabilitativo, per diminuire i postumi operatori ed ottimizzare i risultati, rispetto ad un quadro di sintomatologia e di recupero delle funzioni articolari, muscolo-tendinee e capsulo-legamentose, inquadrate in un contesto di ottimizzazione dei feedback propriocettivi e nocicettivi.

In questo articolo abbiamo imparato che il piede cavo è una deformazione dell’arco plantare dall’eziologia variabile, che porta sia ad un’alterazione anatomica, che ad un cattivo funzionamento del piede stesso.

La sua conformazione nella maggior parte delle situazioni non è reversibile, pertanto va mantenuto elastico e funzionale sia nella sua struttura, che in rapporto all’intero arto inferiore e all’adattamento della colonna vertebrale, bacino incluso.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il dito a martello nel piede

il dito a martello nel piede feat 01Il dito a martello nel piede è un disturbo a carico dell’articolazione interfalangea distale, la quale si deforma assumendo un atteggiamento di flessione che, rispetto all’insieme dei segmenti falangei, crea una forma a z, radiograficamente apprezzabile.

Anatomia del dito a martello nel piede

il dito a martello nel piede feat 02Generalmente tale deformazione interessa maggiormente il 2°, il 3°, il 4° dito e può manifestarsi come dimorfismo singolo o associato ad una valgizzazione dell’alluce e/o ad un piattiamo dell’arco interno del piede, che porta alla predisposizione dell’ accavallamento del dito a martello sulle falangi contigue.

Le cause

La causa che sviluppa un dito a martello è da ricercare nella perdita di funzione del tendine estensore, il quale per un evento traumatico, per una lesione, per uno stiramento o per un disallineamento rispetto all’asse articolare, smette di funzionare correttamente, favorendo il comparto dei muscoli flessori falangei nel piegare il dito e mantenendo questa posizione in maniera stabile.

il dito a martello nel piede feat 03L’eccessiva lunghezza del dito può essere un’ulteriore causa di dimorfismo, nel momento in cui il piede è costretto, per causa di forza maggiore, a vivere buona parte della giornata nella scarpa.

In questo caso la calzatura stretta porta le articolazioni interfalangee a recuperare spazio attraverso la triplice flessione, con partenza dalla metatarso-falangea.

L’artrite reumatoide è una delle patologie associate, che può creare deformità a martello, secondariamente alla degenerazione articolare e alla sua conseguente deformazione.

Il piede cavo è una condizione frequente di predisposizione allo sviluppo del dito a martello, mentre il piattiamo della volta plantare interna, può portare ad un possibile accavallamento del dito rispetto alle falangi contigue.

il dito a martello nel piede feat 04L’utilizzo di calzature dalla punta stretta, rigide e con un tacco pronunciato oltre il dovuto, non sono assolutamente comode per la corretta postura del piede e possono favorire la predisposizione alla deformità del piede.

Sono presenti anche dei pazienti dove lo sviluppo del dito a martello si manifesta senza causa apparente (forma idiopatica), ma generalmente associata ad una predisposizione alla lassista capsulo-legamentosa, che non collabora nel mantenimento dell’asse articolare, rispetto alle leve tendinee.

Nella condizione ortopedica che stiamo oggi descrivendo, l’estensione del dito risulterà impossibile in maniera attiva e con il passare del tempo si mostrerà sempre più rigido anche nel tentativo di un’estensione passiva.

Una problematica frequentemente comune nel dito a martello del piede, è lo sviluppo di dolore, callosità e nei casi più esasperati, di ulcerazione, per il conflitto e l’attrito dell’articolazione interfalangea distale con la scarpa chiusa.

Non è raro che il paziente lamenti una metatarsalgia sul segmento del dito a martello, per il cambio di angolazione che inevitabilmente si presenta nell’asse osteo-articolare del dito in questione.

il dito a martello nel piede feat 05La diagnosi del dito a martello nel piede

La diagnosi del dito a martello e semplice perché evidente nella sua manifestazione, pertanto sarà sufficiente una visita specialistica con un attento esame obiettivo, supportato da una radiografia che dia l’immagine dello stato di salute articolare interfalangea e lo stato anatomico in essere del piede nella sua globalità.

Può essere molto utile richiedere uno studio baropodometrico statico e dinamico, per valutare l’appoggio del piede nelle diverse condizioni e capire se ci possano essere delle alterazioni sugli archi plantari, che predispongano ad un’evoluzione del cattivo posizionamento del dito.

Il trattamento

Il trattamento del dito a martello parte dalla gestione del piede nella quotidianità, utilizzando delle scarpe comode, morbide nella loro struttura e dalla pianta larga.

Nei casi in cui le volte plantari siano alterate, sarà proficuo utilizzare dei plantari che possano compensarle, rialzandole o scaricandole, in maniera da non sovraccaricare le teste metatarsali e le falangi, sia nella loro porzione articolare, che nelle sinergie muscolo-tendinee.

il dito a martello nel piede feat 06La fisioterapia incentrata al riequilibrio del piede rispetto all’intero arto inferiore, rispetto al bacino e a alla relazione vertebrale, associata ad una mobilizzazione automa, sarà utile e necessaria, per evitare lo sviluppo di rigidità articolari e deformazioni articolari maggiori.

Nei casi in cui nessuna terapia sia in grado di alleviare il dolore del paziente e di recuperare una sufficiente autonomia deambulatoria e di appoggio, si potrà procedere con la strada dell’intervento chirurgico, volto a raddrizzare il dito a martello.

il dito a martello nel piede feat 07Ovviamente nel periodo a seguire l’intervento chirurgico, sarà necessario procedere ad un recupero riabilitativo delle funzioni, evitando che si possano sviluppare delle rigidità post operatorie.

Non ultimo nella gestione del dito a martello, sarà necessario curare e guarire eventuali lesioni cutanee, qualora si dovessero manifestare.

Il dito a martello non può essere considerato una patologia, ma il suo dimorfismo articolare e tendineo, può risultare fastidioso, se non addirittura invalidante, nelle più banali attività deambulatorie e nell’equilibrio dell’appoggio bipodalico del paziente.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Neuroma di Morton

Il neuroma di Morton è una patologia dolorosa della parte anteriore del piede, a carico della zona di giunzione tra i nervi plantari e i nervi interdigitali.

Conosciamo meglio il Neuroma di Morton a partire dall’anatomia

I primi passano in prossimità dei metatarsi, i secondi si diramano dall’altezza delle teste metatarsali, ramificandosi verso le due dita contigue.

neuroma di morton 02Il nervo, ma più precisamente la guaina del nervo, tende a fibrotizzare, ispessendosi e sviluppando una protuberanza tondeggiante, all’altezza delle teste metatarsali, alle volte sensibile anche al tatto e alla mobilizzazione.

Il nervo più colpito è quello posizionato tra il 3° e 4° dito (3° spazio intermetatarsale), dove il volume delle teste metatarsali è maggiore.

Proprio per la biforcazione che il nervo interdigitale subisce, il dolore si irradierà sulla faccia laterale del 3°dito e quella mediale del 4°dito.

Non è assolutamente da escludere che il neuroma di Morton si possa sviluppare anche nel 2° e nel 4° spazio intermetatarsale.

Quali sono i sintomi del Neuroma di Morton?

I sintomi che il paziente lamenta possono essere:

  • dolore
  • bruciore
  • intorpidimento
  • formicolio

I 4 segni sopra citati si estendono dal punto dove si sviluppa il neuroma, andando ad irradiarsi anteriormente, lungo il decorso dei nervi interdigitali; difficilmente si ripercuotono a ritroso, ovvero verso la pianta dl piede.

neuroma di morton 03Alle volte viene riferita la sensazione di avere un corpo estraneo nella scarpa.

I sintomi inizialmente vengono lamentati durante la deambulazione, durante lo svolgimento di un’attività fisica, quando il paziente sta molto in piedi, quando mette le scarpe con il tacco, oppure scarpe strette in punta, mentre nella cronicizzazione patologica i disturbi si manifestano anche a riposo.

La comparsa dei sintomi è graduale, così come la loro intensificazione, il tutto dovuto all’aumento progressivo della fibrotizzazione della guaina del nervo in questione.

Le teste dei metatarsi sono la parte più voluminosa delle ossa metatarsali e pertanto occupano spazio a scapito dei tessuti limitrofi con cui convivono.

I fattori scatenanti

Il processo di fibrotizzazione può essere causato da molteplici fattori che agiscono singolarmente o si associano tra di loro.

neuroma di morton 04Vediamo quali possono essere:

  • sfregamento del nervo sulle teste metatarsali
  • compressione del nervo tra i tessuti molli e le teste metatarsali
  • aumento del tessuto fibroso limitrofo
  • piede piatto
  • dita a martello
  • appiattimento della volta plantare trasversa
  • microtraumi ripetuti
  • sollecitazioni ripetute
  • utilizzo eccessivo delle scarpe con il tacco
  • utilizzo eccessivo delle scarpe strette in punta
  • presenza di callosità importanti nell’area metatarsale.

Come si diagnostica il neuroma di Morton?

Come sempre è fondamentale un’anamnesi attenta, che raccolga i dati sia sintomatologici, sia della modalità della manifestazione del dolore, sia dei fattori possibili scatenanti nel tempo a lungo termine che nella giornata.

Validi sono i test utilizzati per scatenare in maniera specifica i sintomi patologici, oppure esami palpatori che possano valutare la presenza di masse anomale nello spazio intermetatarsale o la presenza di uno scatto alla mobilizzazione.

Sempre di fondamentale aiuto sono le indagini strumentali, capaci di farci vedere le alterazioni anatomiche e la presenza della fibrotizzazione della guaina del nervo.

neuroma di morton 05Gli esami comunemente utilizzati sono:

  • l’ecografia
  • la risonanza magnetica.

Va detto che l’ecografia e le radiografie sono utilizzate anche nei casi dove la patologia in questione sia dubbia e sia necessario valutare delle diagnosi differenziali che possano manifestare sintomi simili.

neuroma di morton 06Queste patologie differenti ma simili per sintomatologia possono essere:

  • borsiti
  • capsuliti
  • fratture da stress
  • microfratture
  • osteocondrosi metatarsali
  • forme artrosiche o artritiche.

La terapia del neuroma di Morton ha molte possibili alternative da utilizzare.

Può essere trattato in maniera conservativa, oppure con intervento chirurgico.

Vediamo quali sono le varie alternative:

  • neuroma di morton 07antinfiammatori e/o antidolorifici
  • infiltrazioni locali ecoguidate di vario genere e varia natura come collagenasi, cortisone, antinfiammatori non steroidei, terapie queste che hanno funzioni differenti, ma con l’obiettivo comune di ridurre il volume e la fibrosità del neuroma
  • radiofrequenza ablativa che tramite il riscaldamento, con corrente alternata, della punta metallica introdotta, provoca una piccola bruciatura che distrugge il tessuto ove applicato
  • fisioterapia per mobilizzare il nervo, ridurre le fibrosità, eliminare l’infiammazione, recuperare il trofismo dei tessuti molli, supportare l’appoggio del piede a terra, migliorando la funzione degli archi plantari trasverso e mediano.

La chirurgia dà il suo grosso contributo nel momento in cui le terapie conservative falliscano o non diano il beneficio preventivato.

L’intervento chirurgico percorre due direzioni differenti tra di loro, valide entrambe a seconda di quale sia la causa scatenante del neuroma di Morton.

La neurectomia prevede l’asportazione di tessuto fibroso dal nervo interdigitale sofferente.

La decompressione chirurgica, ha l’obiettivo di aumentare lo spazio circostante al nervo in questione, per ridurre gli effetti irritativi infiammatori.

Come prevenire?

Abbiamo capito quali possono essere le cure utilizzate per affrontare la patologia di oggi, ma cerchiamo anche di capire come prevenire la manifestazione del neuroma di Morton.

E’ importante utilizzare scarpe dalla pianta comoda che non stringano in punta, cosi come è importante che non si utilizzino le scarpe con il tacco per tante ore consecutive e per lunghi periodi, in maniera da non sottoporre a eccessivo stress di carico, la zona dell’avampiede e dei metatarsi.

neuroma di morton 08Bisogna assolutamente evitare che il piede si irrigidisca nelle sue porzioni articolari.

Si deve stare attenti alla corretta funzione degli archi plantari sia nella statica che nella dinamica del paziente, suonando un campanello di allarme nelle condizioni di piede piatto, di piede cavo e nelle malformazioni delle dita a martello.

L’attività fisica è sempre consigliata, cosi com’è consigliata l’attenzione nell’utilizzo di scarpe adatte a dissipare i carichi ripetuti e potenzialmente lesivi nelle zone del piede più a rischio.

La percentuale di guarigione è molto alta e le alternative di cura sono molte, questo però non deve dare motivo di farci cogliere impreparati.

Abbiamo tutte le possibilità di vivere al meglio la nostra quotidianità e l’attività fisica, godiamoci la nostra salute.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Il piede diabetico

piede diabetico 01Oggi parleremo del piede diabetico

Cos’è il piede diabetico?

Il piede diabetico è una complicanza del diabete, il quale se mal gestito o poco reattivo alle cure mediche e al regime alimentare appropriato, può creare dei danni di natura neurologica periferica (neuropatia) e arteriosa (arteriopatia) all’arto inferiore e in primis al piede.

L’arteriopatia è una condizione pericolosa per lo stato di salute del tessuto biologico interessato, perché si riduce in maniera più o meno importante, l’afflusso di sangue arterioso e con esso l’ossigenazione e il nutrimento cellulare.

La neuropatia comporta un’alterazione della sensibilità, causando parestesie, se non peggio anestesie, delle zone colpite, alterando la soglia del dolore e rendendo il paziente pericolosamente esposto a traumi di cui non ne avvisa in maniera corretta il danno.

Inoltre la neuropatia porta ad un’inefficienza di attivazione della contrazione muscolare, riducendone il tono, la forza e la reattività muscolare, scaturendo una serie di cattivi compensi sia nell’appoggio plantare del piede, che nella fase deambulatoria, con una perturbazione dello schema del passo e dell’adattamento posturale della colonna vertebrale.

piede diabetico 02Ma le conseguenze arteriopatiche e neuropatiche che esiti possono portare ad un paziente?

Il paziente è pericolosamente esposto a traumi, lacerazioni, ustioni, ferite e vesciche, che avranno un tempo di guarigione abnormemente lento, con una maggiore esposizione ad infezioni locali.

La riduzione del tono-trofismo muscolare e la cattiva attivazione della contrazione muscolare, comporta un cattivo appoggio del piede a terra e conseguentemente dello schema del passo, con lo sviluppo di una serie di patologie compressive e deformanti a carico dei metatarsi, delle dita del piede e delle volte plantari.

Sarà quasi una diretta conseguenza, veder evolvere retrazioni delle strutture tendinee e capsulo legamentose, così come della fascia plantare stessa.

Il cattivo apporto vascolare arterioso, rinforzato dalla neuropatia segmentaria, può portare alla comparsa di una claudicatio intermittentis, che il paziente gestirà con il riposo e con la riduzione dello sforzo, sia nel mantenere la postura eretta che nella deambulazione.

La cattiva circolazione sanguigna arteriosa, creerà delle alterazioni cellulari e del sistema linfatico che causeranno delle desquamazioni cutanee, con lesioni ulcerative, andando incontro ad infezioni e ad una cattiva e inefficace cicatrizzazione.

Nei casi più gravi si assisterà alla comparsa di gangrena di una o più porzioni periferiche, che possono causare, se non curate a dovere, un rischio di setticemia, costringendo il paziente a subire un’amputazione del segmento come atto terapeutico estremo.

Qual’è la causa del piede diabetico?

La causa del piede diabetico è il diabete stesso, in qualunque forma si possa manifestare, se mal gestito dal punto di vista farmacologico e se non tutelato da un corretto regime alimentare e da un’attività fisica che riesca a contenere l’accumulo di glucosio nel sangue.

Ci sono dei casi in cui la terapia farmacologica perde di effetto nel tempo e pertanto va costantemente monitorata la relazione farmaco-malattia, andando a limare e ottimizzare l’uso dei diversi famaci e del dosaggio necessario.

piede diabetico 03La diagnosi

La diagnosi di base è quella per ricercare valori alterati di glucosio nel sangue tramite esami ematochimici, valutando la curva glicemica con il carico orale di glucosio e con lo studio dell’emoglobina glicata.

Insieme a questo sarà necessario fare un doppler dei vasi profondi e superficiali dell’arto inferiore e un’elettromiografia periferica per lo studio della conduzione nervosa rispetto alle placche motrici muscolari di riferimento.

L’esame clinico con ispezione della cute, cercando desquamazioni, lesioni, ulcerazioni, alterazioni del colore, della temperatura e la valutazione della sensibilità cutanea e della capacità contrattile muscolare, aiuterà a fare una diagnosi di piede diabetico.

alimentazione farmaciIl trattamento del piede diabetico

Il trattamento vede come terapia primaria, l’assunzione farmacologica, mirata a ridurre i valori glicemici nel sangue, ma come accennavamo in precedenza, sarà importante condurre una vita sana con attività fisica costante e un regime alimentare ad hoc.

Nella prevenzione delle complicanze del piede diabetico, sarà importantissimo evitare la comparsa di infezioni, cercando di correre subito ai ripari nel caso di lacerazioni, e ulcerazioni cutanee.

Sarà utile evitare l’instaurarsi di compensi abnormi e non funzionali nell’appoggio plantare e durante la fase del passo, cosi come risulterà importante lavorare per mantenere un bon tono trofismo dell’arto ed evitare un’irrigidimento dei tessuti molli capsulo-legamentosi-tendinei, scongiurandone l’anchilosi articolare.

terapiaNel caso in cui il paziente dovesse subire un’ amputazione segmentale o totale del piede, risulterà fondamentale curare con la massima attenzione la ferita chirurgica, controllandone la guarigione ed evitando che si possa infettare.

A seguire sarà necessario preparare il paziente all’utilizzo di ortesi di vario genere (a seconda del tipo di amputazione subita), in grado di ricondizionare la funzione del piede nonostante la perdita di un un suo segmento

Il diabete è una patologia subdola che si evolve in maniera spesso silente, pertanto estremamente pericolosa.

Il piede diabetico può essere una conseguenza del diabete, pertanto non va assolutamente sottovalutata la comparsa dei primi sintomi.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

 

 

 

 

Piede piatto

Il piede piatto è una caduta della zona interna del piede, che si abbassa verso il piano di appoggio, ovvero verso il pavimento, nel momento in cui la persona sta in piedi.

Piede piatto 01La parte interna del piede può scendere completamente fino a toccare terra, o in parte e questo determina lo stato di importanza del piede piatto.

L’arco plantare interno smette di funzionare perdendo la sua capacità di sostenere, di ammortizzare il peso del corpo e perde la dinamica del carico.

Il piede ha 3 archi plantari, due longitudinali e uno trasverso, con il ruolo di ammortizzare e scaricare a terra il peso del corpo quando si è fermi in posizione eretta e le forze di taglio, di compressione e di torsione, durante la fase del passo.

Il tutto avviene mettendo in relazione le articolazioni del piede, la muscolatura e i legamenti che ne fanno parte.

Piede piatto 02I 3 archi plantari sono così organizzati:

  • l’arco plantare esterno che va dal calcagno alla base del 5° metatarso
  • l’arco plantare interno che va dal calcagno alla base del 1° metatarso
  • l’arco plantare trasverso che va da dalla base del 1° metatarso alla base del 5° metatarso.

Le volte plantari servono anche a mettere in comunicazione tra di loro le 3 zone di suddivisione del piede.

Piede piatto 03Le tre zone di cui parliamo sono:

  • retropiede, la zona posteriore che da sola scarica a terra circa l’80% del peso corporeo
  • mesopiede, la zona di mezzo che serve ad attuare il passaggio dallo scarico del peso corporeo al movimento, trasferendolo dal retropiede all’avampiede
  • avampiede, la zona di spinta nella fase finale del passo, che permette all’altro piede di avanzare e andare a sua volta a poggiare sul tallone.

Questo resoconto semplificato della biomeccanica segmentale, ci fa intuire che organizzazione perfetta e affascinante abbia, ma quanto allo stesso tempo sia delicata e predisposta a cambiamenti patologici.

Non va dimenticato che il piede ha delle correlazioni indirette ma di stretto rapporto con l’adattamento del ginocchio in primis e dell’anca a seguire, fino ad arrivare alla relazione con il bacino e la zona lombare.

Vanno spese delle parole per fare un distinguo tra piede piatto nel bambino e nell’adulto.

Piede piatto 04Sono due piedi piatti differenti.

Nell’adulto la situazione è strutturata ma può essere resa più funzionale, ovvero la si può in minima parte correggere, oppure stabilizzare evitando i peggioramenti che il tempo e il cambiamento biologico ci impongono.

Nel bambino (parlando di una fascia di età fino ai 4-5 anni) si ha una conformazione cutanea e di tessuto adiposo, che potrebbe nascondere la vera conformazione del piede e inoltre il suo tono muscolare postulare segmentale deve ancora ben stabilizzarsi, per cui nella prima fascia di età del bimbo, bisogna stare molto attenti a giudicare un piede dall’essere piatto o semplicemente immaturo per sviluppare correttamente una forma e una struttura.

L’errore di valutazione potrebbe portare a prendere dei provvedimenti non necessari se non addirittura controproducenti.

Torniamo adesso a parlare del piede piatto nell’adulto.

Esiste una differenza tra il piede piatto strutturale e il piede piatto funzionale e vale la pena accennarla, perché è una differenza sostanziale anche nell’affrontare una cura e una gestione del piede.

Piede piatto 05Il piede piatto funzionale si manifesta nel momento in cui la volta plantare interna cede per una problema di cattivo aggiustamento tra articolazioni, muscoli e legamenti, ma che riesce a recuperare la sua forma coerente se liberato dai compiti biomeccanici e dal peso del copro.

Il piede piatto strutturato invece si ha nel momento in cui la porzione interna cede, si abbassa e nonostante venga scaricato dalle responsabilità meccaniche di adattamento al peso e al passo, non ritorna alla sua normale forma ma rimane piatto.

Anche mobilizzandolo manualmente recupera con grande difficoltà e solo parzialmente, la volta plantare interna.

Pertanto possiamo dire che il piede piatto funzionale lavora male ma ancora svolge parzialmente il suo compito se commisurato all’arco interno, mentre il piede piatto strutturale perde la funzione quasi nella sua totalità, mettendo in crisi tutti gli adattamenti di relazione.

La sintomatologia

Il piede piatto ha molti stati di sintomatologia, sia locali che a distanza… andiamo a vedere quali sono:

  • Piede piatto 06tendiniti e capsuliti nella zona del mesopiede e del tendine d’Achille
  • metatarsalgia
  • ascite plantare secondaria
  • tallonite
  • affaticamento allo sforzo
  • cattivo drenaggio con possibilità di gonfiori perimalleolari sia interni che esterni
  • Piede piatto 07predisposizione alla lassità legamentosa dei compartimenti articolari
  • crampi muscolari sia nella zona del piede quanto della gamba, che possono salire fino all’altezza del ginocchio
  • cattivo assetto posturale
  • stress del ginocchio sulla zona interna
  • predisposizione al valgismo del ginocchio
  • predisposizione all’alluce valgo
  • esposizione di una protuberanza ossea nella zona mediale del piede dolente alla palpazione e allo sfregamento
  • alterazione del bacino e della zona lombare bassa con la possibile manifestazione di lombalgia diffusa
  • asimmetrico consumo della suola della scarpe.

La manifestazione dei sintomi va sempre analizzata in base a se il piattismo dell’arco interno sia funzionale o strutturale e se sia di uno solo piede o di entrambi.

Questo insieme di sintomi e di predisposizioni ai mutamenti degli assi articolari, vanno ricondotti al pensiero che il piede è un segmento multiarticolare e particolarmente adattativo, che necessita dell’interrelazione con tutto l’arto inferiore e col sistema lombo / sacrale / bacino, per questo un suo cambiamento morfologico e di funzione può scatenare una serie cosi grande di mutamenti e patologie associate.

Le cause

Il piede piatto ha molteplici concause:

  • Piede piatto 08predisposizione familiare
  • traumi distorsivi o fratturativi a carico del mesopiede, del retropiede o dell’avampiede
  • patologie muscolari di tipo neurologiche sia centrali che periferiche, a carico delle guaine mieliniche o delle vie di trasmissione del messaggio
  • sarcopenia, ovvero perdita di fibre muscolari per degenerazione da invecchiamento cellulare
  • l’invecchiamento biologico dei tessuti molli e articolari
  • ipotonia da riduzione dell’attività fisica o dall’eccessivo utilizzo di scarpe durante la giornata
  • scarpe inadeguate
  • patologie artritiche o artrosiche che arrecano danni alle articolazioni, viziandole nelle posizioni e riducendone il movimento
  • patologie vascolari che riducono l’apporto e il drenaggio di sangue alle strutture muscolari e legamentose, danneggiandone la qualità tessutale
  • il sovrappeso o peggio ancora, l’obesità.

La diagnosi

Per la diagnosi l’esame obiettivo è la strada diretta con cui il professionista sanitario esamina il paziente e il suo piede, tanto nella posizione anatomica di appoggio, tanto in scarico, cosi come nella palpazione, nella mobilizzazione e nel recupero della corretta posizione.

Va osservato anche come si adatta la postura del soggetto rispetto alla perdita della volta interna del piede e come si sviluppa la deambulazione durante la fase del passo.

Piede piatto 09Un esame molto valido è la baropodometria sia in statica che in dinamica, ovvero da fermo e mentre cammina, per vedere come, su uno schema computerizzato, si adatta il piede al terreno, la qualità del movimento che compie e gli assi funzionali che segue nel passaggio dal retropiede all’avampiede, la distribuzione dei pesi su entrambi i piedi e nelle loro specifiche zone.

L’ RX del piede permette di apprezzare lo stato di forma se fatta sotto carico, oppure lo stato articolare anatomico se fatta fuori carico.

La Rm diventa uno studio molto interessante se si ha la necessità di conoscere lo stato di salute dei tessuti molli muscolari, legamentosi, capsulari, ovvero di quelle strutture che hanno il compito di sostenere e rinforzare le articolazioni del piede.

In sostituzione della Rm potrebbe essere utilizzata anche un’ecografia, con lo stesso identico scopo, ma con una precisione minore di immagine e quindi di diagnosi.

L’esame TC viene utilizzato raramente e nei casi in cui vi sia un’incertezza sullo stato di salute del tessuto osseo periarticolare o intrarticolare.

La cura prevede varie strade e vari approcci.

Piede piatto 10La fisioterapia, per recuperare dove possibile la volta plantare interna e nel caso fosse possibile, ridare un assetto naturale al piede, stabilizzare il suo stato di salute ed evitare che vada incontro a rigidità e deformazione, controllare la corretta mobilità articolare.

Va mantenuta tonica la muscolatura di sostegno dell’arco plantare mediale e di questo rispetto agli altri due (l’esterno e il trasverso), come allo tesso tempo insieme alla tonicità va curata la miglior elasticità possibile.

Va assolutamente evitato che i legamenti possano cedere nel tempo ed oblungarsi maggiormente, altrimenti il piede perderebbe ulteriormente sostegno.

Piede piatto 11E’ fondamentale una ginnastica propriocettiva mirata ad allenare il sistema di adattamento del piede a terra.

Piede piatto 12L’ausilio dei plantari di sostegno è sicuramente buono ma va evitato di portarli tutto il giorno, perché è vero che il piede viene sostenuto ma non deve perdere il tono muscolare per il mantenimento autonomo dell’arco interno del piede, altrimenti verrebbe a mancare ogni minima capacità residua di svolgere i proprio ruolo in autonomia.

Pertanto almeno che il piede piatto non sia di origine strutturale e gravemente compromesso, deve alternare una fase di sostegno plantare e una di appoggio e passo libero al suolo.

Non va dimenticato che è fondamentale inquadrare il paziente nella sua postura e cercare di correggerla per portare il miglior assetto nello scarico a terra, nella dinamica del passo e poter distribuire in maniera ottimale i carichi di lavoro al piede.

Piede piatto 13La farmacologia diventa di aiuto nel momento in cui si dovesse far fronte a un’infiammazione delle strutture molli quali legamenti, tendini, articolazioni e possono essere usate componenti chimiche locali o infiltrative.

Nel caso di infiammazione cronica è molto utile approcciare il problema con l’ozonoterapia in maniera ciclica e costante.

La chirurgia vede l’entrata in scena nel momento in cui ci sia una evento traumatico che necessita di una stabilizzazione articolare, oppure quando delle patologie neurologiche vadano a viziare irreparabilmente la posizione del piede, cosi come la presenza di patologie artritiche vadano a deformare irrimediabilmente l’anatomia del segmento.

Piede piatto 14Il piede piatto è una condizione di svantaggio nel nostra quotidianità, ma adesso abbiamo tutte le nozioni per poterlo gestire al meglio, recuperare lo stato di salute e ottimizzarne il suo funzionamento.

Se curiamo i nostri piedi sicuramente ci ringrazieranno, portandoci a spasso con leggerezza.