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Alluce valgo: sintomi, diagnosi e cura

Alluce_Valgo_01L’alluce valgo è tra le più comuni patologie del piede: si tratta di una disfunzione dovuta allo spostamento verso l’esterno della base dell’alluce.

Anatomia del piede

Il piede è una struttura anatomica che interagisce con la superficie di appoggio, organizzando le proprie articolazioni per espletare una parte statica e dinamica, in maniera sincrona e coordinata.

Manifesta una perfezione anatomica per mezzo di molteplici articolazioni, strutture muscolari e legamentose, capaci di interagire tra di loro con un’armonia unica; ha 3 macro aree divise in:

  • Retropiede
  • Mesopiede
  • Avampiede

Alluce_Valgo_02Il retropiede ha il compito di scaricare il peso del corpo al suolo.

L’avampiede ha un doppio ruolo:

  • di spinta nella fase del passo, utilizzando come motore primario l’alluce
  • di adattamento fine del piede al terreno rispetto alla superficie di appoggio.

Il mesopiede deve coordinare il retropiede e l’avampiede creando una relazione di intenti, per mezzo della porzione centrale degli archi plantari interni ed esterni.

Il piede gioca un ruolo fondamentale nel movimento, nella statica in posizione eretta e nella postura, ed è proprio per questo che ogni sua alterazione, stabilizzata nel tempo in maniera strutturale e non funzionale, rischia di creare gravi squilibri al corpo del paziente sia localmente che a distanza.

Alluce_Valgo_03L’alluce valgo è una deviazione dell’asse del 1º dito del piede rispetto al metatarso, coinvolgendo l’ articolazione metatarso-falangea.

Il primo dito devia verso il bordo esterno del piede avvicinandosi in maniera eccessiva al secondo dito, mentre l’articolazione prima citata andrà a spostarsi verso il bordo interno del piede.

Questo cambiamento anatomico porta oltre ad una modificazione diretta dell’alluce, anche il possibile abbassamento della volta plantare interna, che scenderà verso il pavimento, una deviazione del secondo dito e una perdita di altezza della volta plantare trasversa, con la conseguente discesa dell’arco metatarsale.

L’articolazione metatarso-falangea vedrà sviluppare una deformazione che porterà ad un rossore della cute, un gonfiore, una dolenzia e nei casi più gravi una rigidità dell’articolazione del primo dito, con conseguente cambiamento della meccanica articolare, nella fase di spinta durante il passo e nell’adattamento fine del piede rispetto al terreno di appoggio.

Sintomatologia dell’alluce valgo

I sintomi inizialmente non sono presenti e si affacciano ma mano che la situazione perdura o evolve.

Alluce_Valgo_04Da una condizione di asintomatologia si passa nel tempo ad attacchi acuti di dolore e infiammazione della zona sporgente ovvero dell’articolazione metacarpo-falangea che si gonfia e si infiamma, creando una capsulite e nei casi più gravi anche una tendinite.

Quando la condizione di alluce valgo instaurerà una limitazione della funzione articolare ci sarà una ripercussione sulla postura di tutto il piede sia nella fase statica che in quella dinamica ovvero durante il passo e nella corsa.

La cute della protuberanza osteoarticolare è spesso soggetta a sfregamento e per questo può andare incontro ipercheratosi, con un ispessimento della pelle con gonfiore associato.

Alluce_Valgo_05Il cambiamento della pelle può provocare una lacerazione della cute stessa e callosità che alterano la sensibilità del piede portandolo ad assumere posture scorrette per sfuggire il dolore.

Non è raro vedere che lo stesso alluce valgo produca una deviazione delle dita vicino, il secondo dito in maniera particolare, che si adattano per far spazio all’invasione di territorio del primo dito.

Cause dell’alluce valgo

L’alluce valgo generalmente si manifesta in età adulta per situazioni congenite o acquisite.

Alluce_Valgo_06Tra le varie cause possiamo trovare:

  • familiarità
  • predisposizione
  • piattismo del piede di tipo statico, dinamico o combinato
  • forma infiammatoria artritica
  • scarpe inadeguate perché eccessivamente strette in punta
  • scarpe con il tacco alto
  • gotta
  • lunghezza eccessiva del primo dito.

Diagnosi

Alluce_Valgo_07

Per la diagnosi l’esame visivo potrebbe essere sufficiente ma è solo per merito di una radiografia che possiamo valutare un angolo preciso di deviazione metacarpo falangea.

Risulta molto utile anche l’esame baropodometrico perché ci permetterà di stabilire qual è la posizione del piede in appoggio o durante il passo, individuando i difetti di carico e su quali zone si concentrano.

Trattamento dell’alluce valgo

Lo possiamo dividere in due grosse categorie:

  • conservativo
  • chirurgico

Conservativo

E’ utile l’utilizzo del giaccio quando l’articolazione del primo sarà infiammata, si farà attenzione ad utilizzare calzature adeguate, si utilizzeranno plantari che sostengano la volta plantare interna e trasversa dandogli la miglior forma possibile, ma senza rendere ipotonica la muscolatura inerente e tutori per raddrizzare e mantenere un buon asse tra il metacarpo e la prima falange.

Alluce_Valgo_08Nel trattamento è importante adoperarsi con la terapia manuale osteopatica per riallineare le articolazioni del piede in rapporto agli arti inferiore, al bacino e alla colonna vertebrale.

Ci deve essere poi il recupero fisioterapico per il riequilibrio muscolare delle catene del piede, dell’arto inferiore e del bacino.

Quando sarà necessario verranno utilizzati farmaci antinfiammatori o antidolorifici, per ridurre il processo infiammatorio stesso e il dolore, in modo da non alterare la dinamica del passo e la postura del segmento scheletrico.

Chirurgico

Alluce_Valgo_09Nel campo della chirurgia le modalità di intervenire sono diverse e si rifanno alla persona, allo stato di salute generale, al tipo di attività fisica che esercita, all’ attività ludica a cui si dedica.

Gli interventi chirurgici possono mostrare delle complicanze che nella maggior parte dei casi sono associate a rigidità del primo dito, ci possono essere poi delle forme infiammatorie reattive e ulteriori deviazioni di assi meccanici articolari.

Dobbiamo voler bene ai nostri piedi…prestiamoci attenzione!

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Condropatia Femoro Rotulea

La condropatia femoro rotulea è una patologia a carico della cartilagine di rivestimento della rotula.

Condropatia Femoro Rotulea 01Anatomia

La cartilagine rotulea si riduce per eventi degenerativi o traumatici, spesso le due condizioni si associano come conseguenza nel tempo, di un rapporto causa effetto tra un trauma e una degenerazione o viceversa.

La patologia si manifesta con dolore nella zona rotula, associata a crepitio o scroscio durante il movimento del ginocchio, che il paziente stesso riferisce come una sensazione di sfregamento rumoroso durante la flessione e l’estensione.

Il ginocchio è un’articolazione formata da 3 parti ossee di cui la rotula è la porzione che ha il compito di gestire l’asse di funzionamento del quadricipite, prima che si inserisca sulla zona di aggancio tibiale denominata tuberosità tibiale.

Condropatia Femoro Rotulea 02Il femore e la tibia non sono perfettamente allineate tra di loro e per tanto non lo è neanche il quadricipite; se lo considerassimo nelle sue porzioni di giunzione osteotendinee, questo creerebbe un disassiamento e una sublussazione ogni qualvolta si facesse un movimento, facendo perdere forza ed efficacia.

Quindi possiamo affermare che la rotula crea un aggiustamento dinamico correttivo durante l’articolarità tra femore e tibia.

I carichi compressivi e di trazione sulla rotula sono eccessivi per sperare che da sola possa mantenere una corretta posizione nel movimento di scivolamento e traslazione, pertanto viene guidata e trattenuta dal bordo condiloideo femorale esterno, che è maggiormente sviluppato e dai legamenti alari che trattengono la rotula rispetto ai due condili femorali, assicurandone il corretto movimento ma anche il mantenimento della giusta posizione all’aumentare della forza di trazione del quadricipite.

Come guida al movimento della rotula rispetto al femore, troviamo una cresta sulla faccia interna della stessa, che si alloggia in uno spazio tra i condili femorali (gola intercondiloidea), direzionando il movimento della rotula quando è trazionata dal quadricipite durante la flessione del ginocchio.

La faccia interna della rotula, cosi come ogni porzione articolata, è rivestita di cartilagine, con il compito di proteggere la porzione ossea, di favorirne lo scivolamento e di ridurne gli attriti.

Condropatia Femoro Rotulea 03La condropatia femoro rotulea si sviluppa nel momento in cui si crea ripetutamente una disarmonia durante il movimento articolare di piegamento del ginocchio e del suo ritorno all’estensione, associato ai movimenti minori di accomodamento in rotazione interna ed esterna.

La cartilagine per effetto compressivo sui condili femori e sui bordi della gola intrecondiloidea, subirà una modificazione da sfregamento e da compressione che danneggerà l’integrità della cartilagine stessa, andandola a fissurare lungo la sua superficie, rovinandone l’integrità.

Da qui la comparsa del rumore durante il movimento e il dolore sulla zona rotulea.

Condropatia Femoro Rotulea 04Il dolore da cosa è dato?

Il dolore è dato dai nocicettori intrarticolari che vengono attivati dall’aumento della sensibilità ossea non più correttamente ricoperta e protetta dalla cartilagine, dal gonfiore e dall’infiammazione che si manifesta nella zona periarticolare per irritazione dei tessuti molli capsulari e sinoviali.

Anche i menischi stentano a mantenere la stessa funzionalità, perché nel momento in cui la rotula perde la sua normale funzione, i condili femorali creeranno un movimento di adattamento sulla tibia e i menischi cercheranno di compensare come possono, andando a determinare un risentimento sulla porzione della capsula articolare interna a e sul legamento collaterale interno.

La diagnosi clinica vede un test primario della rotula e del suo stato di salute, a cui sarà necessariamente associato una valutazione clinica dei menischi, della capsula articola e del legamento collaterale interno.

Condropatia Femoro Rotulea 05Diagnosi della condropatia femoro rotulea

Nella diagnostica per immagini sarà possibile valutare la situazione con una risonanza magnetica che ci mostrerà lo stato in essere della rotula nella sua posizione, nel rapporto di vicinanza rispetto alla gola intercondiloidea, lo stato in essere della cartilagine e dei tessuti periarticolari di cui abbiamo parlato prima, evidenziando o meno uno stato infiammatorio ed edematoso.

La cura prevede a livello farmacologico l’utilizzo di antinfiammatori non steroidei, eventualmente associati ad infiltrazioni di acido ialuronico, per ridurre l’infiammazione e aumentare la viscosità articolare.

Si può applicare del ghiaccio quando il gonfiore del ginocchio risulta evidente o per scopo preventivo dopo un’attività fisica prolungata.

Condropatia Femoro Rotulea 06La fisioterapia e l’osteopatia possono migliorare in maniera importante lo stato in essere del ginocchio nella condizione di condropatia, perché riescono a recuperare l’equilibrio muscolare del quadricipite rispetto alla catena posteriore dei muscoli ischiocrurali, possono far ritrovare una sinergia dell’anca rispetto al bacino e all’aspetto posturale vertebrale, in maniera da scaricare il ginocchio e la rotula da atteggiamenti di flessione accentuata.

Riescono ad equilibrare il lavoro della rotula rispetto ai legamenti interessati, rispetto alla capsula articolare e ai menischi, in maniera tale da recupera una qualità di movimento esaustivo nelle attività di vita quotidiana.

Possono ridurre il gonfiore dell’articolazione drenando la parte linfatica o vascolare venosa, che ha congestionato l’articolazione.

La condropatia femoro rotulea è un danno anatomico degenerativo che non regredisce, ma possiamo gestirla nel migliore dei modi per far sì che si stabilizzi e che non continui la sua corsa patologica oltre modo rispetto allo stato naturale di invecchiamento della persona.

Lussazione acromion-claveare

Lussazione acromion-claveare 02 La lussazione acromion-claveare è una condizione di perdita della congruità articolare tra la porzione laterale della clavicola e il segmento acromiale della scapola.

Lussazione acromion-claveare 02Anatomia

I due segmenti sopra citati costituiscono l’articolazione acromion-claveare, necessariamente funzionale per la meccanica articolare della spalla, coordinandone la rotazione, l’elevazione, l’abduzione e aggiustandone il movimento in maniera adattativa.

La spalla per poter funzionare bene nella complessità dei suoi movimenti, necessita della sinergia di 5 articolazioni, di cui 3 biomeccanicamente vere e 2 di scorrimento; l’articolazione acromion-claveare è un’articolazione vera che fa parte del quintetto.

Lussazione acromion-claveare 03I capi articolari acromion-claveari sono rivestiti di cartilagine, con una distanza fisiologica tra di loro di circa 11-13 mm. e il loro equilibrio articolare è garantito da una serie di legamenti che ne conferiscono stabilità sia statica che dinamica:

  • leg.acromion-clvicolare (il fascio superiore e posteriore sono particolarmente importanti)
  • leg.conoide
  • leg.trapezoide.

Nell’evento lesivo, il profilo articolare mostrerà una deformazione anatomica più o meno rilevante, associata ad un dolore locale intenso, che irradierà nella zona deltoidea e del trapezio, manifestando una limitazione articolare nei movimenti ampi di elevazione, di abduzione e rotazione.

Classificazione della lussazione acromion-claveare

La lussazione in questione ha una classificazione ben precisa che utilizza la scala di valutazione di ROCKWOOD, associando il quadro anatomopatologico a quello radiografico.

La classificazione vede ben 6 differenziazioni lesive:

  • Tipo I: Clavicola non sollevata rispetto all’acromion
    • Legamenti acromion-clavicolari: lievemente stirati
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): intatti
    • Capsula Articolare: intatta
    • Muscolo Deltoide: intatto
    • Muscolo Trapezio: intatto
  • Tipo II: Clavicola sollevata ma non oltre il bordo superiore dell’acromion
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): elongati
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: lievemente distaccato
    • Muscolo Trapezio: lievemente distaccato
  • Tipo III: Clavicola sollevata oltre il bordo superiore dell’acromion ma con una distanza coraco-clavicolare minore del doppio rispetto al normale (< 25 mm)
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): rotti
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: distaccato
    • Muscolo Trapezio: distaccato
  • Tipo IV: Clavicola lussata posteriormente
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): rotti
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: distaccato
    • Muscolo Trapezio: distaccato
  • Tipo V: Clavicola considerevolmente sollevata con una distanza coraco-clavicolare più del doppio rispetto al normale (> 25 mm)
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): rotti
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: distaccato
    • Muscolo Trapezio: distaccato
  • Tipo VI: Clavicola lussata inferiormente al di sotto del tendine congiunto (rara)
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): rotti
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: distaccato
    • Muscolo Trapezio: distaccato

I sintomi della lussazione acromion-claveare

La sintomatologia, come accennavamo precedentemente, è caratterizzata nella fase acuta dell’evento traumatico, dalla comparsa di dolore nella zona articolare che si va ad esacerbare sia alla palpazione, sia durante i movimenti passivi e ancor peggio in quelli attivi.

Lussazione acromion-claveare 05Il dolore oltre ad essere localizzato, tende ad irradiarsi sulla zona del trapezio, del collo, del deltoide e del pettorale alto (al disotto del bordo clavicolare), portando il paziente ad adottare un’atteggiamento di difesa antalgica che si presenterà con il braccio addotto, adeso al torace, con la spalla risalita verso l’alto e con il capo leggermente inclinato dalla parte del lato leso.

La mobilità tende a diminuire in maniera proporzionale in base al tipo di lesione che il paziente riporta nella lussazione e i piani articolari che saranno coinvolti maggiormente, saranno quelli dell’elevazione, dell’abduzione e delle rotazioni.

Si evidenzia un gonfiore di tipo edematoso più o meno marcato, a seconda del tipo di lussazione che il paziente ha subito.

Lussazione acromion-claveare 06La lussazione acromion-claveare è catalogata tra gli infortuni più frequenti della spalla negli sport da contatto o da impatto, dove un trauma diretto sulla scapola, sulla clavicola, o indiretto tramite la leva omerale, possono creare una lesione da elongazione o da rottura delle componenti legamentose precedentemente citate, arrecando un’instabilità e una perdita di congruità dei capi articolari.

E’ possibile riscontrarla anche negli incidenti stradali, dove la cintura di sicurezza nel suo arresto, crea una compressione violenta direttamente nella zona della clavicola, diversante dalla scapola che invece rimane libera.

 

La diagnosi

La diagnosi verrà fatta dopo un’attenta anamnesi, cercando di capire il tipo di trauma che il paziente ha subito e il meccanismo lesivo a cui è andato incontro.

Lussazione acromion-claveare 07L’esame obiettivo valuterà la conformazione o meglio la deformazione articolare manifesta, associandola a test di valutazione del dolore indotto, della mobilità passiva dell’articolazione acromion-clavicolare stessa, con il caratteristico segno del tasto del pianoforte (applicando una spinta verticale sulla clavicola nella sua porzione distale, ci sarà inizialmente un abbassamento della stessa, per poi risalire oltre misura al termine della pressione imposta).

Va studiata la perdita di funzione del braccio nei vari piani articolari, sia in un movimento indotto che nel movimento attivo richiesto al paziente.

Importantissima sarà la valutazione correlata di indagini radiografiche specifiche, per valutare la congruità articolare tra acromion e clavicola distale, cosi come sarà importantissimo il supporto diagnostico tramite indagine RM, che valuterà lo stato anatomico delle strutture muscolo-tendinee e capsulo-legametose articolari e periarticolari, associate o meno a versamenti edematosi di tipo infiammatorio o vascolare lesivo.

Il trattamento della lussazione acromion-claveare

Il trattamento della lussazione acromion-claveare sarà di tipo conservativo o di tipo chirurgico, a seconda della classificazione lesiva di cui fa parte.

Le tipologie 1 e 2 faranno un trattamento di tipo conservativo.

Le tipologie di tipo 4,5,6 avranno un approccio terapeutico di tipo chirurgico.

Lussazione acromion-claveare 08La tipologia 3 è quella più controversa perché essendo una lesione di tipo borderline, può ottenere dei buoni risultati sia con un approccio conservativo che chirurgico.

Il trattamento di tipo conservativo avrà una linea terapeutica su più fronti.

Il paziente utilizzerà da subito un tutore per circa 3 settimane, che imporrà una spinta cranio caudale per abbassare la clavicola, mentre la scapola viene retroposta e il braccio mantenuto in sospensione.

E’ importante valutare il corretto posizionamento del tutore, con effetto di riduzione della lussazione mediante esame radiografico, che andrà poi ripetuto a distanza di 7 giorni, per assicurarsi che il ripristino della congruenza articolare sia stato mantenuto.

Il tutore ha chiaramente il compito, oltre che di riposizionare i capi articolari in maniera congrua, di mettere a riposo l’articolazione, velocizzando i tempi di ripresa delle strutture capsulo-legamentose.

Sarà importante utilizzare ghiaccio e antinfiammatori per ridurre gli effetti dell’infiammazione in maniera veloce.

La fisioterapia ha un ruolo fondamentale per la riduzione dell’edema, per la risoluzione delle contratture antalgiche riflesse attivate dal dolore, per il riequilibro delle catene agoniste-antagoniste, per il ripristino del completo ROM articolare e il recupero della forza e della resistenza muscolare.

Lussazione acromion-claveare 09Il trattamento chirurgico che sia a cielo aperto o in artroscopia, ha lo scopo di rendere l’articolazione acromion-claveare nuovamente stabile, ripristinandone il profilo articolare in maniera stabile.

Va specificato che l’approccio chirurgico si differenzia su un evento acuto e su una condizione di cronicità.

Nell’approccio chirurgico in fase acuta, la stabilizzazione può avvenire attraverso l’innesto di placche, viti e fili direttamente sull’articolazione, oppure tramite l’ancoraggio dei legamenti coraco-clavicolari.

Nel caso di un’instabilità cronica, dove persiste uno slivellamento apprezzabile e sintomatico, con la persistenza del dolore associato alla perdita di forza, per un tempo superiore alle 3 settimane dal primo intervento riparativo, la strada chirurgica si differenzia  nella strategia di intervento, che propenderà non più alla riparazione, bensì alla ricostruzione della stabilità legamentosa dell’articolazione sul piano frontale e trasversale, il più possibile simile alla normale anatomia.

Lussazione acromion-claveare 10Dopo l’atto chirurgico sia di tipo acuto che cronico, sarà fondamentale sottoporre il paziente a un percorso riabilitativo, volto alla risoluzione del dolore, dell’edema post operatorio, per poi proseguire nel recupero articolare passivo, fino a restituire al paziente la capacità di articolare la spalla in maniera autonoma, stabilizzandola con un tono-trofismo muscolare capace di guidare l’articolazione in maniera congrua, offrendo allo stesso tempo una protezione alle sollecitazioni meccaniche.

Come abbiamo visto, la lussazione acromion-claveare, ha vari gradi di classificazione e in base al tipo di lesione, il recupero del paziente avrà un iter diverso per tempi e complessità di intervento.

Com’è ormai chiaro dalla lettura dell’articolo, la tempestività di intervento e la precisione nella diagnosi è fondamentale per ottimizzare la guarigione ed accelerare i tempi di ripresa della funzionalità sia nelle attività di vita quotidiana che in quelle sportive.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Aderenze

Oggi parleremo di aderenze che, pur non essendo delle patologie propriamente dette, possono comunque rappresentare una alterazione dello stato di benessere e di equilibrio.

Cosa sono le aderenze?

Le aderenze cicatriziali sono dei processi di rimaneggiamento del tessuto biologico cellulare, a seguito di eventi lesivi.

Sono formate da un complesso fibroso cicatriziale, come conseguenza di processi riparativi, per danni subiti da eventi esterni (traumi lesivi, interventi chirurgici, cure radianti) o interni (infiammazioni, infezioni).

Si formano nella stessa modalità delle cicatrici e con un’ organizzazione cellulare del tutto simile.

Le aderenze uniscono una struttura lesionata ad altri tessuti e/o ad organi ben distinti, ma strettamente contigui tra di loro.

Possono svilupparsi in ogni parte del corpo, ma alcune zone sono maggiormente predisposte, come ad esempio: il mediastino, l’addome, la pelvi e le capsule articolari, alterando tessuti come il peritoneo, i legamenti, gli epiplon, le guaine e la fascia, ovvero le strutture connettive di rivestimento e giunzione.

La sintomatologia

I sintomi che le aderenze possono innescare sono di vario genere, a seconda degli apparati coinvolti.

Il paziente può avvertire dolore, spasmi e senso di compressione in maniera frequente o persistente.

Il dolore può causare una contrattura antalgica riflessa, rispetto al dermatomero che viene coinvolto nel fare da ponte all’afferenza del messaggio nocicettivo.

Se l’aderenza interferisce con un organo, il paziente può andare incontro a delle disfunzioni, con manifestazioni di vere e proprie patologie collaterali.

Le conseguenze delle aderenze

aderenze 02Vediamo quali potrebbero essere le conseguenze nei distretti più importanti.

Nelle aderenze addominali:

  • difficoltà nella digestione
  • crampi addominali
  • gonfiori addominali
  • colite
  • stitichezza
  • occlusione intestinale.

Nelle aderenze pelviche:

  • ciclo doloroso
  • dispareunia
  • aumento delle probabilità di infertilità
  • aumento delle probabilità di gravidanza extrauterina.

Nelle aderenze mediastiniche (torace):

  • alterazione del ritmo cardiaco
  • alterazione della contrattilità cardiaca
  • alterazione del funzionamento delle valvole cardiache
  • dolore retrosternale
  • senso di affaticabilità precoce
  • debolezza.

Nei tessuti dell’apparato locomotore:

  • contratture
  • riduzione della funzionalità contrattile muscolare
  • riduzione della resistenza allo sforzo
  • parestesie
  • rigidità articolare
  • perdita di mobilità
  • alterazione delle catene muscolari sinergiche
  • alterazione delle posture
  • gonfiori ed edemi vascolo/linfatici.

Dal quadro sintomatologico che si rispecchia nei sistemi maggiori toraco-adomino-pelvici e dell’apparato locomotore, si evince che le aderenze possono coinvolgere aspetti anatomici di relazione, la capacità funzionale, l’innervazione di competenza, il sistema fluidico e il sistema muscolo scheletrico tanto nella dinamica, quanto nel suo adattamento posturale.

Quali sono le cause?

causeLe cause come abbiamo precedentemente detto sono attivate da esiti di insulti lesivi di varia origine:

  • traumi lesivi
  • traumi contusivi
  • interventi chirurgici
  • infiammazioni
  • patologie autoimmunitarie
  • ischemie tessutali
  • infezioni
  • terapie radianti.

Queste situazioni creano un danno al tessuto colpito, attivandone un processo di riparazione.

L’aderenza si genera non tanto per il processo di riparazione in se, ma per un’indiscriminata rigenerazione cellulare sostitutiva, che non si adopera in maniera specifica solamente sulla struttura danneggiata, ma si estende anche ai tessuti e agli organi contigui.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione.

L’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la comparsa di sintomi, le relazioni dirette e indirette con la zona dove si presenta l’aderenza e la comparsa di adattamenti posturali nei tre piani dello spazio.

ecografiaGli esami che danno la certezza della presenza e della consistenza dell’aderenza nella regione addomino-pelvica è la laparoscopia esplorativa, mentre nel segmento toracico, risulterà utile avere un supporto di diagnostica per immagini tramite esame TC o RM.

Nell’apparato locomotore, a livello delle articolazioni, sarà possibile fare ricorso ad un’artroscopia esplorativa, mentre per i tessuti molli, muscolari, legamentosi, fasciali, sarà utile avvalersi di un’esame ecografico o di una RM, consentendo di acquisire un quadro anatomico sufficientemente chiaro.

Il trattamento delle aderenze

Il trattamento delle aderenze viene indicato nei casi in cui siano sintomatiche e dove siano la causa dello sviluppo di patologie correlate, come precedente abbiamo visto.

L’approccio terapeutico prevede, ove sia possibile, la rimozione chirurgica (adesiolisi), cercando di limitare il più possibile l’area lesiva chirurgica, per evitare il ripetersi dell’iperfibrotizzazione riparativa, che riproporrebbe la formazione di nuove aderenze.

Per questo motivo nelle cavità addobbino-pelviche si farà un accesso in via laparoscopica e nella cavità toracica per via toracoscopica.

artroscopia ginocchioLe aderenze dell’apparato locomotore, avranno un approccio diverso; le articolazioni saranno trattate in atroscopia, mentre i tessuti molli periarticolari, tendinei, fasciali di giunzione, saranno affrontati per mezzo di fisioterapia, che mirerà l’intervento ad elasticizzare il più possibile sia le aderenza stesse, che i tessuti influenzati in maniera diretta dalle aderenza.

La terapia farmacologica ha effetto solamente per tamponare il dolore del momento, o per distendere le pareti dei visceri nella situazione di spasmo, ma è chiaro che la condizione ottimale per il recupero dello stato di salute è la rimozione dell’aderenza e la liberazione delle strutture.

Le aderenze non sono delle patologie in quanto tali, ma delle alterazioni del processo di riparazione che possono complicare lo stato di benessere e di equilibrio tra tessuti e tessuti, tra tessuti ed organi e tra organi ed organi, pertanto vanno individuate ed affrontate per evitare che creino la base di patologie secondarie.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Instabilità vertebrale

Parliamo oggi dell’instabilità vertebrale. Leggiamo insieme cos’è e come si può trattare.

Cos’è l’ instabilità vertebrale?

Dolore schienaL’instabilità vertebrale è una perdita di congruenza articolare tra la vertebra interessata e quella di appoggio sottostante, causata da molteplici fattori, ognuno dei quali crea un’ ipermobilità rispetto a quanto le sarebbe richiesto nei movimenti anche minimi, su uno o più piani dello spazio.

L’eccesso patologico di movimento può presentarsi sia con un corretto assetto vertebrale, oppure associarsi ad un male allineamento, alle volte tanto nella posizione statica (posturale) che dinamica.

Uno degli esempi più noti di instabilità vertebrale è la spondilolistesi, argomento da me già trattato in precedenza ( https://ambrogioperetti.it/spondilolisi-spondilolistesi/ ).

L’ipermobilità può esse distinta in due macro sistemi:

  • micro instabilità vertebrale, dove la vertebra è correttamente allineata nella posizione statica, ma sviluppa dei micromovimenti che si sommano al normale range articolare di cui è capace.
  • macro instabilità vertebrale, la vertebra non è più correttamente allineata, ma risulta slittata rispetto alla sottostante di appoggio.

Lo scivolamento generalmente avviene anteriormente e in percentuale ridotta posteriormente.

La traslazione vertebrale viene catalogata in gradi, a seconda della percentuale di spostamento con cui si mostra

  1. Grado 1: da 0 a 25%
  2. Grado 2: dal 25 al 50%
  3. Grado 3: dal 50 al 75%
  4. Grado 4: oltre il 75%

Il dolore

DoloreL’instabilità vertebrale provoca mal di schiena generalizzato nell’area dove l’ipermobilità è presente, associata o meno ad una nevralgia periferica, nel qual caso la radice nervosa venga irritata dal cambiamento di posizione e dall’eccessiva trazione della vertebra e dei suoi tessuti molli inerenti.

Può manifestarsi sia durante il movimento che nella postura eretta, semplicemente per resistere al carico del peso del paziente in concomitanza con la forza di gravità.

Si riscontra una rigidità muscolare dovuta alla presenza di contratture riflesse, una limitazione articolare nei fulcri vertebrali limitrofi, ed una riduzione delle capacità funzionali nelle attività di vita quotidiana.

I sintomi dell’ instabilità vertebrale

Nelle fasi iniziali i sintomi sono lievi, ma di natura poco chiara, ovvero il paziente si ritrova ad affrontare il mal di schiena o addirittura blocchi articolari acuti, senza cause apparenti, vale a dire senza sforzi eccessivi o senza assumere posture errate, ma per semplici e banali movimenti, il più delle volte di tipo abitudinario.

La sintomatologia algica tende ad aumentare nel tempo in maniera progressiva, con manifestazioni dolorose sempre più intense ed a intervalli via via più frequenti, fino a rendere complicato eseguire anche i movimenti più banali, come piegarsi in avanti, estendersi, ruotare il busto, inclinarsi lateralmente, mantenere le posizioni erette e/o sedute per più tempo consecutivamente.

Le cause

Instabilità vertebrale 03Le cause variano su 3 fronti principali:

  • degenerativo, per alterazioni di consistenza, idratazione, volume ed altezza del disco intervertebrale e/o per degenerazione artrosica o artritica delle faccette articolari
  • congenito per dimorfismo delle cartilagini di accrescimento come nel caso della spondilolisi  e spondilolistesi e/o per alterazione del tessuto connettivo delle capsule articolari e dei legamenti intervertebrali e/o per modificazioni anatomo-funzionali della muscolatura vertebrale.
  • traumatico per danno lesivo fratturativo vertebrale, nelle aree di ancoraggio alle zone articolari.

Instabilità vertebrale 04

Queste 3 cause possono presentarsi singolarmente o associarsi tra di loro, amplificando la gravità dell’instabilità vertebrale.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la comparsa di sintomi algici nel mantenere le diverse posture, sul piano sagittale e frontale, in stazione eretta, seduta e semiflessa, associandola alla contrazione-rilasciamento della muscolatura inerente.

E’ importante analizzare la meccanica vertebrale, cercando di cogliere la presenza o meno di ipermobilità anomala, valutando lo stato del tono e del trofismo muscolare e la presenza o meno di radicoliti irritative periferiche.

Di grandissimo aiuto saranno le indagini diagnostiche per immagini:

  • RX
  • RM
  • TC

le quali consentiranno di valutare lo stato in essere delle strutture vertebrali nel loro insieme discale, osteoarticolare, capsulare, legamentoso, muscolare.

Negli studi da imaging, dove sia necessario valutare ogni minimo dettaglio, si possono utilizzare RX ed RM in carico e/o dinamiche, che scandiranno la presenza o meno di ipermobilità vertebrali nelle varie condizioni.

Il trattamento dell’ instabilità vertebrale

Instabilità vertebrale 06Negli stadi iniziali il trattamento è di tipo conservativo, adoperando farmaci che riducano il dolore, l’infiammazione, la tensione muscolare riflessa e l’ eventuale comparsa di radicoliti irritative.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno il compito di ristabilire, il corretto funzionamento vertebrale, migrando la meccanica articolare verso i fulcri associati che coadiuvano i movimenti nei tre piani dello spazio, ridistribuendo in maniera corretta, tanto i carichi statici quanto quelli dinamici e ottimizzando le sinergie muscolari che danno equilibrio e stabilità alla colonna vertebrale.

Può essere di aiuto l’utilizzo di busti elastici con supporti in stecche, da utilizzare per poche ore al giorno e in quelle attività che mettono in crisi il paziente .

Instabilità vertebrale 07Qualora i trattamenti sopra indicati siano di poca efficacia e il paziente non riesca a trovare un giovamento duraturo nel tempo, sarà necessario ricorrere alla chirurgia vertebrale, stabilizzando la parte ipermobile, tramite l’applicazione di barre e viti, per fissare la vertebra interessata ai segmenti superiori ed inferiori, riportando una solidità articolare per ancoraggio limitrofo.

Nei casi in cui sia presente anche una radicolite irritativa resistente, la stabilizzazione vertebrale viene integrata dall’applicazione di uno spaziatore (cage) e nei casi più violenti con segni di danno neurologico, anche da una laminectomia decompressiva.

Questi tipi di interventi chirurgici permettono al paziente un recupero dello stato di salute e una remissione della sintomatologia abbastanza veloce, ma prevedono un percorso riabilitativo per integrare al meglio l’impianto, recuperando l’abilità funzionale, il corretto assetto posturale statico e dinamico, in sinergia con l’equilibrio delle catene muscolari.

L’instabilità vertebrale porta il paziente ad uno stato di malessere che può essere progressivo ed invalidante, ma la corretta diagnosi, meglio ancora se precoce, permette di adoperare varie soluzioni di cura, per affrontare la patologia e avere una remissione dei sintomi, recuperando uno stato ottimale di funzione e resistenza alle attività di vita quotidiana.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Sindrome del canale di Guyon

Prima di entrare nel merito della sindrome del canale di Guyon, permettetemi una piccola introduzione.

Cos’è il canale di Guyon?

Il canale di GUYON è uno spazio anatomico del carpo, compreso tra l’osso pisiforme, l’apofisi unciniforme dell’uncinato e il legamento piso-uncinato.

In questo segmento ben delimitato, c’è il passaggio del nervo ulnare e del suo pacchetto vascolare.

Cosa fa il nervo ulnare?

Il nervo ulnare è un nervo misto sensitivo/motorio, che origina dalle radici inferiori del segmento cervicale.

Sindrome del canale di Guyon 01La componente sensitiva innerva la cute palmare mediale della mano, la faccia palmare del 5° dito, la parte mediale del 4° dito e manda dei rami destinati all’innervazione del gomito.

La componente motoria della mano innerva tutti i muscoli dell’eminenza ipotenar (ad eccezione del muscolo palmare breve), i muscoli interossei, il 3° e 4° muscolo lombricale, l’adduttore del pollice e il capo profondo del flessore breve del pollice dell’eminenza tenar.

Nell’avambraccio, sempre a livello motorio, innerva il flessore ulnare del carpo e la parte mediale del flessore profondo delle dita.


La sintomatologia

Sindrome del canale di Guyon 02I sintomi possono essere prevalentemente sensitivi, prevalentemente motori, oppure misti.

La differenza di queste 3 situazioni è data dalla compressione-irritazione del ramo motorio, sensitivo, o di entrambi, del nervo ulnare.

Nella compromissione del ramo motorio, il paziente lamenta perdita di forza, di resistenza, di mobilità fine articolare, comparsa di crampi, presenza di ipotonia muscolare con riduzione del volume associato, di tutta o di una parte della muscolatura intrinseca della mano, precedentemente descritta.

Nella compromissione sensitiva, l’area dell’eminenza ipotenar e del 4°-5° dito, come descritto precedentemente nella presentazione del nervo ulnare, soffrirà di parestesie o di ipoestesie, a cui si potranno associare dolori che avranno un andamento acuto o cronico a seconda dell’evoluzione della patologia per gravità e tempo di evoluzione.

Sindrome del canale di Guyon 03Le cause che possono portare alla sindrome del canale di Guyon, sono da ricercare su molteplici fattori:

  • alterazioni ossee (osteotifi ed esostosi)
  • artrosi
  • ispessimento del legamento piso-uncinato
  • traumi distorsivi del polso
  • fratture del polso
  • formazioni cistiche
  • alterazioni vascolari dell’arteria ulnare
  • compressione da parte dei tessuti muscolo-tendino-legamentosi limitrofi
  • artrite reumatoide
  • patologie dismetaboliche del tessuto connettivo.

Sindrome del canale di Guyon 04 Sindrome del canale di Guyon 05

Tutte le condizioni eziologiche sopra citate, arrecano uno stato di compressione, di irritazione, di ipossia, del nervo ulnare, provocandone una reazione patologica dalla sintomatologia precedentemente descritta.


La diagnosi della sindrome del canale di Guyon

La diagnosi vede la necessità di fare una raccolta dati indirizzata a capire se ci siano stati dei traumi, il tipo di attività lavorativa o sportiva condotta dal paziente, se ci siano dei disordini dismetabolici o se siano presenti in famiglia casi di patologie autoimmunitarie che possano riportare ad una connettivite o ad una condizione di artrite reumatoide.

Va sempre fatta attenzione a non confondere una sindrome del canale di Guyon, con una cervicobrachialgia C8-T1 (cervicali inferiori), scaturite da un’ernia discale o da un intrappolamento del forame di coniugazione, casi questi che potrebbero dare una sintomatologia molto simile alla patologia che stiano studiando nell’articolo di oggi.

Sindrome del canale di Guyon 06Anche il gomito, per merito della sindrome del tunnel cubitale, può creare confusione nella diagnosi della patologia di Guyon.

Sarà quindi importantissimo essere attenti nell’utilizzo dei test clinici e nel supporto delle indagini diagnostiche, che potranno variare dalla semplice RX, all’utilizzo di RM, TC, ecografia, elettromiografia, fino ad arrivare al consulto di analisi di laboratorio.


La cura

La cura della sindrome di Guyon, prevede un approccio multidisciplinare, che si avvarrà della farmacologia per merio di categorie diverse di molecole a seconda della causa che avrà portato alla patologia:

  • antinfiammatori non steroidei
  • cortisone
  • antiedemigeni
  • antidolorifici
  • integratori per il sistema nervoso periferico.

La fisioterapia sarà utilissima, alle volte determinante, nella remissione della sintomatologia, utilizzando tecniche di disimbrigliamento del sistema nervoso periferico per mezzo di manipolazioni neurodinamiche.

Si potranno utilizzare metodiche di mobilizzazione ed elasticizzazione dei tessuti legamentosi e dei tessuti molli adiacenti.

Saranno utili le tecniche di drenaggio nel caso sia presente un accumulo di liquidi vascolo-linfatici, nella zona di passaggio del nervo ulnare.

Risulterà necessario adoperare delle procedure di recupero del tono/trofismo della muscolatura intrinseca della mano, così come sarà fondamentale recupera la propriocettività e la giusta sensibilità del territorio interessato dal nervo ulnare nella mano.

Sindrome del canale di Guyon 07Non è assolutamente da escludere l’intervento chirurgico, con l’apertura del canale del nervo ulnare e disimbrigliamento del nervo stesso, in tutti quei casi ove ogni approccio terapeutico conservativo sia risultato inefficace o instabile nel raggiungimento e nel mantenimento dello stato di buona salute del paziente.

La sindrome del canale di Guyon non è una patologia grave, ma può risultare molto fastidiosa e debilitante nello svolgimento delle attività quotidiane, ma con la giusta diagnosi e la cura adeguata, la si può risolvere in maniera brillante.


La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Herpes zoster – Fuoco di Sant’Antonio

Herpes zoster - Fuoco di Sant'Antonio L’ HERPES ZOSTER, comunemente soprannominato FUOCO DI SANTANTONIO, è una patologia infettiva derivante dal virus della varicella (VARICELLA-ZOSTER).

Questo virus, già presente per avvenuto contagio, all’interno dell’individuo, ma tenuto a bada dal sistema immunitario, si riattiva manifestandosi con una sintomatologia tipica.

Conosciamo meglio l’Herpes zoster – Fuoco di Sant’Antonio

Quando la varicella passa, il virus non sparisce rimanendo latente e vivo all’interno dell’organismo, locandosi soprattutto nei neri periferici del sistema nervoso.

Vuol dire che nonostante siano molti gli anticorpi dedicati a tenere sotto controllo il virus della varicella e ad evitarne la sua moltiplicazione, il nostro organismo non riesce a debellarlo del tutto.

Generalmente il virus della varicella trova ospitalità nei gangli sensitivi delle radici spinali dorsali del midollo spinale, cosi come anche nei nervi cranici.

Raramente lo si trova collocato nelle corna anteriori delle radici spinali (quindi nella parte motoria), in questa situazione, potrebbe manifestarsi una paralisi dell’area innervata dai nervi interessati.

La presenza virale può associarsi ad una o più strutture neurologiche contemporaneamente.

Un virus dormiente

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioIl virus può rimanere sopito nei tessuti citati per lungo tempo, alle volte per tutta la vita, senza mai manifestare la patologia erpetica, oppure scatenare la sua evoluzione patologica.

Il virus della varicella si rimette in moto, quando le difese immunitarie diminuiscono, in presenza di stress, affaticamento fisico e/o mentale, alterazione del ciclo sonno-veglia, cattiva alimentazione, un’eccessiva e dannosa esposizione al sole.

Ancora, per patologie concomitanti, dopo abuso di alcuni tipi di farmaci, quali cortisone, immunosoppressori, chemioterapici etc.

La manifestazione dell’Herpes zoster – Fuoco di Sant’Antonio

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioIl paziente con herpes zoster, manifesta, a livello cutaneo, delle chiazze rosse, che con il passare dei giorni si trasformavano in vescicole, associando queste manifestazioni cutanee a prurito e dolore.

Le vescicole con il passare dei giorni si trasformeranno in pustole contenente pus, per poi evolvere nella fase di guarigione con la formazione di crosticine riparative.

Solitamente le vescicole si presentano lungo il decorso del nervo dove il virus della varicella si è nascosto e rifugiato.

Non è assolutamente raro che il dolore compaia prima delle manifestazioni cutanee, cosi come non è raro che perduri a lungo (parecchi mesi), dopo la risoluzione delle lesioni cutanee.

Si instaurerà quella che viene chiamata nevralgia post-erpetica, molto fastidiosa, alle volte invalidante per lo svolgimento delle normali attività di vita quotidiana.

L’eruzione cutanea può essere molto dolorosa, acuta, urente, pulsante, trafittiva, lancinante e può associarsi a febbre, mal di testa, dolori gastrici, sensibilità alla luce.

L’area corporea dove si manifesta maggiormente la patologia dell’herpes zoster è il tronco, dando un’ irradiazione antero-posteriore su un emilato del torace, ma va specificato che può investire ogni area cutanea del corpo.

L’Herpes zoster oftalmico

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioSecondariamente per casistica, può colpire il viso e in particolare modo gli occhi, in quest’ultimo caso si parlerà di herpes zoster oftalmico.

L’herpes zoster oftalmico è particolarmente pericoloso perché può causare dei danni permanenti all’occhio, pregiudicandone la funzione visiva.

Il fuoco di Sant’Antonio è una patologia che può presentarsi a qualunque età, ma è da considerarsi tipica negli adulati, affacciandosi maggiormente nella fascia di età degli anziani.

Il fatto di aver manifestato la patologia erpetica una volta, non ci mette assolutamente al riparo da eventuali manifestazioni analoghe nel corso della vita, pertanto c’è la possibilità del suo ripetersi.

La patologia in questione può essere trasmissibile solamente a persone che non hanno contratto l’infezione da varicella, oppure con i soggetti non vaccinati nella specificità.

Come avviene il contagio?

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioIl contagio avviene attraverso il liquido contenuto nelle vescicole, dove è presente il virus attivo della varicella e il paziente non è da considerarsi contagioso ne prima delle manifestazioni cutanee-vescicolari, ne dopo la riparazione cutanea con crosticine cicatriziali.

Ovviamente i soggetti a rischio che vengano a contatto con la parte infettiva dell’herpes zoster, non svilupperanno la patologia erpetica ma bensì la varicella.

Successivamente, nel corso degli anni, per tute la concause sopra indicate, potranno eventualmente manifestare il fuoco di Sant’Antonio.

L’herpes zoster viene diagnosticato da prima con un’ispezione visiva di facile interpretazione, per essere eventualmente confermata tramite le analisi di laboratorio, con la ricerca delle immunoglobuline specifiche della varicella nel sangue, per presenza e quantità.

Come si cura la patologia l’Herpes zoster – Fuoco di Sant’Antonio?

Herpes zoster - Fuoco di Sant'AntonioIl trattamento prevede l’utilizzo di antinfiammatori e analgesici per ridurre il dolore del paziente.

Le lesioni cutanee, devono essere ben pulite e asciutte, applicando dei bendaggi che prevengano lo sfregamento con gli indumenti e la trasmissibilità casuale del contatto con il liquido delle vescicole.

Sono efficacemente utilizzati, farmaci antivirali se assunti nelle primissime ore dalla manifestazione eruttiva cutanea.

Nel caso si sia sviluppata una nevralgia post-erpetica, la cura che verrà somministrata sarà quella comune ad ogni altra tipo di nevralgia.

Verranno associate cure fisioterapiche mirate al disimbrigliamento del nervo nei suoi punti critici di passaggio, migliorandone la sintomatologia algica riflessa e le contratture associate.

L’herpes zoster (fuoco di Sant’ Antonio) è una patologia che mette a dura prova chi ne viene colpito, fortunatamente con le giuste cure e la tempestività dei trattamenti, si può limitarne gli effetti e la pericolosità.

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Dorsalgia

Dorsalgia-01La dorsalgia è un dolore nella zona centrale della colonna vertebrale, ovvero del segmento che va dai trapezi medi fino alla fine della gabbia toracica.

Viene comunemente distinta come il dolore della zona interscapolare, perché di tutto il segmento dorsale, è quello maggiormente posto sotto stress, ma sarebbe riduttivo associarlo solamente a quel tratto.

Il segmento dorsale o toracico, è una porzione della colonna vertebrale, che unisce la zona cervicale e quella lombare.

È composta da 12 vertebre, inframezzate dai dischi intervertebrali e alle quali si agganciano le 12 paia di costole, creando insieme allo sterno, la gabbia toracica.

Dorsalgia-02La gabbia toracica ha rapporti con lo stretto toracico superiore, con il muscolo diaframma, con il cuore, con i polmoni, con l’esofago, con l’aorta toracica, con una porzione del fegato e dello stomaco, con gli angoli colici, con la milza e vede affacciarsi i poli superiori dei reni e le ghiandole surrenali.

Non va dimenticato che le articolazioni costo-vertebrali anteriori hanno una rapporto diretto con la catena gangliare neurologica autonoma ortosimpatica, mentre il canale vertebrale contiene il midollo con i nuclei inerenti.

Pertanto possiamo dire che il tratto vertebrale di cui parliamo oggi ha un’enorme rapporto con la vita neurologica autonoma delle relazioni vascolari, respiratorie, viscerali, muscolari.

La postura della persona vede il segmento toracico come un punto di equilibrio e di coordinamento delle lordosi cervicali e lombari.

La zona dorsale ha il compito di sostenere i movimenti dei segmenti a monte e a valle, distribuendo i carichi di linee di forze nei 3 piani dello spazio, ovvero in flessione ed estensione, in rotazione ed in inclinazione laterale.

Ciò sta a significare che il dorso deve essere sufficientemente mobile, ma allo stesso tempo garantire una stabilità di sostegno alla gabbia toracica, agli organi in esso contenuti e alle lordosi cervicali e lombari.

Queste considerazioni sono valide sia nella posizione eretta e sia nel posture da seduto.

Le cause

Alla domanda su quali fattori possano manifestare il dolore della zona dorsale, vien da se capire che le cause possono essere tante e inquadratili su molteplici aspetti.

Cerchiamo di capirli insieme:

  • artrosi delle faccette articolari
  • discopatia degenerativa
  • ernia discale
  • chiusura dei forami di coniugazione
  • ernia intraspongiosa
  • compressione vertebrale
  • ipercifosi
  • scoliosi
  • disequilibrio respiratorio diaframmatico e dei muscoli accessori respiratori intercostali
  • osteoporosi con esiti lesionali vertebrali
  • fratture da compressione
  • nevrite segmentaria
  • innervazione riflessa viscerale

Dorsalgia-03Come notiamo le cause che innescano il dolore dorsale sono svariate e per semplificarle  le possiamo racchiudere in un capitolo osseo, un capitolo discale, un capitolo neurologico, un capitolo posturale, un capitolo respiratorio e uno viscerale.

I sintomi

I sintomi della dorsalgia si manifestano nella zona di mezzo della colonna vertebrale, ovvero dalle spalle fino alla fine del costato, generalmente si concentrano nella zona tra le scapole e possono essere centrali oppure decentrati nella parte destra o sinistra, con un dolore puntiforme o irradiato.

Quando il sintomo è scaturito da un problema di postura, generalmente la posizione di anteriorizzazione acuisce il dolore, mentre l’estensione dorsale da una sensazione  paragonabile al bruciore che genera un sollievo nell’immediatezza, per poi trasformarsi in una riduzione della forza nel mantenere le spalle aperte fino a dare una percezione di contrattura muscolare e di dolore latente.

Dorsalgia-04Spesso si può associare un’ acutizzazione durante un atto inspiratorio profondo se il problema è puramente a carico della zona vertebrale, oppure ad un atto inspiratorio minimo se il problema è causato dall’aggancio della costola rispetto alla vertebra inerente.

La sintomatologia nocicettiva si può acuire da fermo, durante il movimento, o può essere presente in entrambi i casi.

Se il dolore è causato da un collegamento viscerale (fegato, stomaco, milza, pancreas, polmone, cuore, esofago, angolo colico), si manifesta un malessere generale di organo a cui si associa un dolore di riferimento, su precise mappe dermatomeriche della zona dorsale, quasi sempre decentrate, come un cono d’ombra del viscere di rappresentanza.

Nel caso di una dorsalgia di provenienza neurovegetativa, la zona di interesse midollare vertebrale viene attivata anche da movimenti o compressioni, con origine lontano dalla zona del dolore dorsale.

La diagnosi

Nella diagnosi è importante fare un’ analisi postulare, per accertarsi se il carico vertebrale sia corretto, o esagerato nel caso sia presente un’ ipercifosi o una scoliosi rigida e strutturata.

L’esame clinico permette di valutare la mobilità e l’esacerbazione del dolore durante la richiesta di movimento attivo e passivo nei 3 piani dello spazio.

Dorsalgia-05Fondamentale è il supporto di indagini diagnostiche come sostegno alla diagnosi:

  • RX colonna nelle proiezioni sagittali e frontali che possono essere richieste sia in carico che in fuori carico
  • RM dorsale per valutare lo stato anatomico delle strutture discali e radicolari del segmento e quindi indagare la presenza di un’ eventuale ernia discale e la compromissione delle radici nervose
  • TC dorsale per valutare la presenza di lesioni della struttura vertebrale o per studiare la grandezza del canale midollare e la conformazione delle faccette articolari.
  • MOC per apprezzare lo stato di salute dell’osso, rispetto alla massa cellulare che lo compone e l’eventuale rischio di frattura nel caso sia presente l’osteoporosi.Dorsalgia-06
  • RX MORFOLOGICA per analizzare il rapporto volumetrico vertebrale rispetto all’intero segmento nella percentuale destinata alla singola vertebra.

Il trattamento

Il trattamento vede la possibilità di agire su più fronti.

A livello farmacologico saranno usati antinfiammatori, ai quali si possono associare dei miorilassanti, in maniera da ridurre il tono muscolare, limitare le contratture e lo stato di tensione locale.

Gli analgesici possono essere molto utili per ridurre il circolo del dolore e le sue conseguenze sul movimento, sulla postura, sulla forza e sulla resistenza.

Sarà importante affrontare una cura farmacologica e delle indicazioni di gestione, nel caso sia presente un quadro osteoporotico.

Dorsalgia-07 La fisioterapia e l’osteopatia sono di fondamentale importanza per ristabilire i giusti assetti vertebrali sia a livello locale, sia nell’inquadramento generale della postura , combattendo eventualmente la presenza di ipercifosi, cosi come la presenza di un dorso piatto, contrastando una scoliosi, la quale nel caso non fosse più corregibile, bisognerà almeno evitare che si irrigidisca.

Dorsalgia-08Di grandissima utilità sarà riequilibrare il meccanismo respiratorio, migliorando le sinergie tra il diaframma, i muscoli accessori della respirazione, l’elasticità della gabbia toracica e dell’addome.

E’ importante analizzare e correggere le malposizioni locali vertebrali e il loro cattivo funzionamento, rilanciando il movimento e migliorandone l’ articolarità.

Sarà necessario decomprimere la zona dorsale, ove richiesto, per migliorare lo scorrimento e il contenimento stesso delle strutture neurologiche, sia midollari che radicolari.

Dorsalgia-09Nel caso di un coinvolgimento viscerale, ove fossimo di fronte ad una riduzione della sua mobilità o di aderenze, sarà possibile utilizzare delle manovre manuali, tali da migliore il movimento sia passivo che autonomo.

Dorsalgia-10Non è da sottovalutare la possibilità di adoperare un busto di supporto, variandone l’utilizzo sia per numero di ore da indossare nella giornata, sia per la rigidità di sostegno e di scarico che si vuole conferire alla colonna vertebrale.

La chirurgia alle volte si rende necessaria, nel momento in cui ci siano patologie anatomiche non più gestibili e pericolose, a carico del canale midollare, dei forami di coniugazione e del disco intervertebrale.

Nel caso la colonna ceda sotto il suo stesso peso, impossibilitata a mantenere una postura accettatile, prendendo degli angoli di curva eccessivamente esagerati e quindi patologici a livello locale e globale, si potrà pensare di ricorrere ad una stabilizzazione vertebrale con staffe e viti, bloccate sulla colonna dei corpi vertebrali stessi.

Nella prevenzione delle patologie a carico del tratto dorsale, è fondamentale porre attenzione all’assetto vertebrale della postura, è importante evitare che ci sia una riduzione di mobilità e di funzione, cosi  com’è importante mantenere un tono muscolare capace di sostenere e di guidare la colonna vertebrale, pertanto fare un’attività fisica mirata e costante sarebbe di buon auspicio.

Nell’adoperarsi con i lavori da sforzo è utile saper gestire le attività mi maniera da alternare fatiche massime con lavori di minor impegno fisico, in maniera da evitare sovraccarichi e sforzi prolungati.

Anche l’alimentazione e le attività all’aria aperta possono esser un tassello della prevenzione, soprattutto in ottica osteoporosi e fragilità ossea.

Abbiamo analizzato gli aspetti più comuni della dorsalgia e come sempre, il saperne di più e acquistarne coscienza, ci permette di essere più vicini alla buona salute.

Postura

La postura è la posizione che il corpo assume nei 3 piani dello spazio, sia in posizione statica sia in movimento.

Postura_01Il piano sagittale rispetto al quale ci possiamo piegare in avanti e in dietro, il piano frontale rispetto a al quale ci possiamo inclinare lateralmente e il piano orizzontale rispetto al quale possiamo ruotare.

La postura è la risposta che noi diamo alla costante relazione che viviamo con la forza di gravità, la quale tende a richiamare verso il basso ogni tipo di oggetto, noi compresi.

La forza di gravità è per noi un’ alleata ma di contro tende a schiacciarci verso la sua fonte di attrazione, proprio per questo siamo alla costante ricerca di un compromesso per poterla sfruttare e non per diventarne vittime.

Postura_02La posizione che assumiamo va immaginata come un gioco di equilibrio tra le varie articolazioni, testa, colonna vertebrale, bacino, anche, ginocchia, piedi (elencate in ordine discendente), ma va anche ricordata la relazione tra il cingolo pelvico e quello scapolare.

Ovvero tra il segmento bacino e quello spalle, che permette di avere un accomodamento di relazione tra gli arti superiori e inferiori, utilizzando la colonna vertebrale come giunzione e la testa come timone.

Il punto dove noi scarichiamo il nostro peso è il punto di appoggio ultimo, ovvero il pavimento quando siamo in piedi fermi o camminiamo, la sedia con o senza schienale quando siamo seduti, il letto o peggio il divano quando siamo sdraiati.

Lo scarico del nostro peso rispetto ad una superficie ci da un impulso diretto all’aggiustamento posturale, sarà quindi sempre diverso a seconda di dove scarichiamo i nostri appoggi.

Sono gli stimoli esterni che danno la partenza di accomodamento della nostra posizione nello spazio che occupiamo, ma è anche vero che la postura risponde alla capacità motoria del soggetto stesso.

Ma la capacità motoria è standard per ogni individuo?

Ovviamente no ed è influenzata da moltissimi fattori, i traumi fisici come anche quelli emotivi, il corretto funzionamento dei recettori articolari, muscolari, tendinei e capsulari, la vista, l’udito, l’equilibrio, le medesime posizioni protratte nel tempo, la riduzione del tono muscolare, lo stress, il vissuto (concetto a cui mi allaccerò tra poco), un’ alterata occlusione dentale, la respirazione, l’alimentazione e non ultimo patologie intrinseche sistemiche o non, che possano influenzare la capacità adattativa del corpo.

Postura_03Possiamo dire che l’individuo è in costante adattamento e modificazione, questi cambiamenti vengono registrati ed elaborati dal cervello umano che li registra e in alcuni casi li instaura in maniera permanente, quindi ripetendo in maniera coscia o inconscia dei movimenti e delle posizioni, possono entrare a far parte di un corredo cerebrale automatizzandoli e riproponendoli in maniera automatica ed inconscia, alcuni di essi saranno corretti e fisiologici mentre altri saranno sbagliati (errori posturali) e potenzialmente patologici se prolungati e mantenuti nel tempo.

Postura_04Le patologie che possono instaurasi sono varie per entità e per importanza, segmentali o generalizzate:

  • accorciamenti muscolari con retroazioni delle catene muscolari e disequilibrio tra gruppi agonisti e antagonisti, predisposizione a contratture, stiramenti, strappi muscolari
  • alterazioni articolari con compressione delle stesse e stress cartilagineo, predisposizione alla danno e alla degenerazione delle cartilagini e quindi a seguire, la manifestazione di artrosi, alterazioni degli assi articolari (ginoccchio varo-valgo, iperesteso o in flexum, piede piatto, piede valgo etc)
  • relazioni vertebrali disfunzionali, ipercifosi, iperlordosi, scoliosi, cuneizzazioni vertebrali e queste alterazioni delle curve vertebrali possono arrivare a sviluppare patologie discali, neurologiche periferiche, interfaccettali.

Postura_05La postura va curata sia nelle varie fasi di crescita e sviluppo dell’individuo e sia nel trascorrere della vita della persona stessa, in modo tale da utilizzarla e mantenerla nella sua massima efficienza, prevenendo patologie indesiderate e inaspettate.

Uno specialista del settore sanitario deve controllare la postura del paziente e richiedere se necessario un’ indagine radiografica, coadiuvata da esami di coronamento qualora se ne presentasse la necessità, per fare la miglior diagnosi sulla causa del problema posturale in essere e programmare la miglior cura per il miglioramento e la risoluzione del problema.

Postura_06La fisioterapia è fondamentale per curare la postura, così com’è di grande aiuto l’osteopatia.

Non sono pochi i casi dove sia necessario l’utilizzo di tutori esterni di vario genere e natura, che possano mantenere la postura corretta per alcune ore, o in maniera fissa nei casi più gravi.

Nelle situazione di deviazione vertebrale importante si può arrivare addirittura all’intervento chirurgico di correzione e stabilizzazione vertebrale.

Sarà fondamentale l’impegno del paziente per migliorare e gestire in maniera autonoma la propria postura, con esercizio fisico e mirato al miglioramento delle postazioni di lavoro nell’attività quotidiana.

La postura è importante, è parte attiva della nostra salute, curiamola, dedichiamogli attenzione e i benefici che ne otterremo saranno evidenti.