Stipsi o stitichezza

Stipsi o stitichezzaCon il termine stipsi o stitichezza, si definisce una difficoltà nell’evacuazione delle feci, sottolineandone la frequenza in un numero inferiore a 3 nell’arco della settimana.

Classificazione

Va subito detto che esistono 2 tipi di stipsi, la più comune è quella data dal rallentamento del transito intestinale, mentre l’altra è causata dall’incapacità parziale o totale di evacuare.

La prima è chiamata stipsi da propulsione, mentre la seconda è detta stipsi da espulsione.

Parlando di stitichezza non possiamo relegare questa definizione solamente al numero degli svuotamenti intestinali e quindi dell’ampolla rettale nell’arco della settimana, ma dobbiamo porre l’attenzione anche allo sforzo necessario per ottenere lo svuotamento, alla sensazione di incompleta liberazione e alla consistenza delle feci, generalmente dure e frammentate (caprine).

Non dobbiamo farci ingannare dalle alterazioni occasionali della frequenza intestinale, può succedere infatti che il cambiamento delle proprie abitudini, del luogo (ad esempio in un posto di vacanza), dell’alimentazione o della salute psico-fisica, possa causare una modificazione della regolarità intestinale.

Non dobbiamo neanche farci ingannare dalle avvisaglie di blandi dolori nella pre-evacuazione e/o nel post-evacuazione, così come dalla necessità di compiere piccoli sforzi per svuotare l’ampolla rettale…….queste situazioni rientrano in un quadro di normalità, finché non eccedono in maniera esponenziale nei loro segni e nei loro sintomi.

Stipsi o stitichezzaIl paziente stitico è tale nel momento in cui la sua difficolta nell’evacuazione è costante, sia nella prassi della vita quotidiana, sia nei cambiamenti saltuari.

I sintomi della stipsi o stitichezza

I sintomi della stipsi aggiunti all’incapacità nell’evacuazione e alla netta riduzione della sua frequenza, si caratterizzano per una digestione lenta e difficoltosa, per una sensazione di gonfiore addominale e di pesantezza, che può sfogare addirittura in crampi e dolori addominali.

Il paziente può lamentare dolori da sforzo e dolori anali durante l’evacuazione, con una difficoltà nello svuotare completamente l’ampolla rettale.

La stipsi può generalizzare il quadro sintomatologico, fino ad arrivare ad una condizione di malessere generale.

Le cause

Le cause della stipsi sono veramente molte pertanto è necessario inquadrare  gli aspetti che generano il problema a tutto tondo…….vediamoli insieme.

Nelle prime congetture eziologiche, si può pensare alla diminuzione del transito intestinale, sia per aspetti meccanici, come la riduzione del lume intestinale, o per la presenza di un dolicocolon, o per dei cattivi rapporti anatomici come in un addome ptosico, dove addirittura può cambiare il corretto assetto delle valvole intestinali, tra cui la primaria in questo caso è la valvola ileocecale.

Stipsi o stitichezzaAltra causa importante da considerare è l’alterazione dell’equilibrio orto e parasimpatico del sistema nervoso autonomo e il tilt del sistema nervoso enterico, il quale può deficitare della sinergia dei neurotrasmettitori, in particolar modo della serotonina, deputata anche al funzionamento della muscolatura del colon.

Il sistema di drenaggio addominale, sia vascolare che linfatico, può mettere il paziente nella condizione di sviluppare una stipsi, perché è deputato al riassorbimento dei liquidi del bolo fecale nel colon e quindi compartecipante alla consistenza delle feci stesse.

Non va dimenticato l’importanza dell’alimentazione che deve essere equilibrata nell’assunzione di fibre e di liquidi, rispetto alla proporzione nell’ingerenza del resto dell’approvvigionamento di carboidrati e proteine, così come dev’essere in equilibrio nell’assunzione dei pasti durante la giornata, evitando di alternare grosse pause di digiuno a pasti regolari.

Il fattore emotivo e il ciclo sonno-veglia, possono essere delle concause nell’alterazione della funzionalità intestinale, per cui uno stato di stress, o una riduzione del fisiologico riposo, possono causare un’alterazione dell’equilibrio neurovegetativo, andando a causarne una stipsi.

Per la regolarità intestinale è fondamentale l’attività fisica e il movimento in generale, perché sono in grado di favorire il transito intestinale anche in maniera indiretta; non sono pochi i casi in cui il paziente allettato, si ritrova a dover far fronte a periodi associati di stitichezza.

Il coordinamento sinergico della muscolatura diaframmatica, addominale e del pavimento pelvico, è importante per garantire una mobilità del transito intestinale indotto e un corretto svuotamento dell’ampolla rettale.

Anche la presenza di virus e batteri intestinali, possono alterare la regolarità del transito intestinale, alternando periodi di diarrea a periodi di stipsi.

Spesso i pazienti che soffrono di stitichezza ricorrono all’utilizzo di farmaci o di composti naturali, che stimolano lo svuotamento intestinale, ma nel lungo periodo, l’utilizzo costante di questi rimedi, può creare una dipendenza sia organica che psicologica, portando il paziente all’incapacità di assolvere autonomamente a questa necessità.

Non va assolutamente dimenticato che alcuni tipi di farmaci, assunti per altri motivi di salute, possono avere come controindicazione la riduzione della motilità intestinale e favorire la stipsi.

Gli antidepressivi, i neurolettici, i farmaci a base di morfina ed altri ancora, concorrono a determinare un rallentamento della funzionalità intestinale.

La diagnosi della stipsi o stitichezza

anamnesiPer effettuare una diagnosi di stipsi è necessario eseguire un’attenta anamnesi, dove verranno indagate la frequenza della defecazione, la dolorabilità nell’evacuazione, la presenza di gonfiore addominale, lo studio dell’alimentazione e le abitudini del paziente nel perseguire un’attività fisica giornaliera, cosi come la regolarità del ciclo sonno-veglia.

Bisogna indagare lo stato psico-emotivo, lo stato di benessere generale e l’eventuale presenza di affezioni batterico-virali.

L’esame obiettivo sarà mirato in primis alla palpazione dell’addome, monitorandone un’eventuale stato di rigidità e di dolenzia, per poi sincerarsi della capacità del soggetto alla corretta funzionalità della muscolatura diaframmatica, addominale e del pavimento pelvico.

Gli accertamenti strumentali possono aiutare nella diagnosi, attraverso molteplici esami:

  • studio radiografico della motilità intestinale attraverso l’assunzione di marcatori radiopachi
  • manometria ano-rettale (un catetere sonda che stimola la parete del retto, valutandone la contrazione delle pareti)
  • cinedefecografia (studio radiografico con mezzo di contrasto dell’ampolla rettale durante la defecazione)
  • colonscopia ed esame bioptico, per valutare sia il lume intestinale, che lo stato di salute delle sue pareti.

Nella biopsia può essere anche prelevato e studiato un campione delle fibre neurologiche che trasmettono l’impulso di motilità e contrazione del colon-retto.

  • analisi delle feci mirate a valutare l’eventuale presenza di sangue, di virus o di batteri.

Come trattare la stipsi o stitichezza

Stipsi o stitichezzaIl trattamento della stipsi diventa un’attività terapeutica vera e propria solamente nel caso in cui la stitichezza sia cronica e conclamata.

Il primo approccio alla problematica è quello di modificare le abitudini alimentari, aumentando l’apporto di liquidi fino a 2/3 litri al giorno e l’apporto di fibre naturali, che possono essere aumentate con integratori di fibre idrosolubili e probiotici.

Va assolutamente ricordato e raccomandato di non aumentare la quantità di fibre, se non viene integrata l’assunzione di liquidi, altrimenti si può ottenere l’effetto contrario a quello desiderato.

Insieme alla correzione della dieta alimentare è assolutamente necessario incrementare l’attività fisica, volta ad aumentare il metabolismo e a rafforzare la tonicità, almeno della parete addominale e della zona pelvica.

Non sono rare le indicazioni di ginnastiche propriocettive del pavimento pelvico, per allenare il paziente nella spinta necessaria allo svuotamento dell’ampolla rettale.

Stipsi o stitichezzaLa fisioterapia e l’osteopatia, possono aiutare il paziente intervenendo con delle manovre mirate a favorire il transito addominale e ad ottimizzare le pressioni addomino-pelviche, così come possono essere favorevoli nella gestione della ptosi viscerale e di quello che ne consegue, sia sulla valvola ileocecale, che sugli angoli colici, cosi come nel tratto distale del sigma-retto.

Inutile dire che va assolutamente cercato di tenere sotto controllo l’equilibrio psico-fisico e il ciclo sonno veglia, evitando il più possibile forti periodi di stress e carenze di sonno prolungate.

E’ importante aiutare il paziente nella gestione dei farmaci, cercando di evitare l’uso costante dei lassativi, per scongiurare l’induzione del silenzio intestinale al naturale stimolo della defecazione.

Per quanto riguarda invece l’utilizzo dei farmaci che hanno come controindicazione le manifestazioni di stitichezza, va stimolato il paziente ad ottimizzare tanto l’alimentazione quanto l’introduzione di una regolare attività fisica.

Nei casi ostinati di stipsi si può ricorrere all’utilizzo di farmaci che aiutino ad aumentare la motilità intestinale, ma sempre coadiuvati dalle strategie fino a qui illustrate.

La stipsi è un problema che affligge una grossa fetta della popolazione e in una percentuale maggiore la sfera femminile, creando disagio nella vita quotidiana, fino ad arrivare ad un malessere generalizzato.

Conoscere la stitichezza nelle sue innumerevoli sfaccettature, ci consente di affrontarla meglio e con più successo.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Discopatia

Con il termine discopatia si indica in maniera aspecifica, un’alterazione degenerativa del disco intervertebrale.

Anatomia

Il disco intervertebrale è un’ammortizzatore naturale a forma di cuscinetto discoide, posto tra una vertebra e l’altra, che ha il compito di accompagnare il movimento della colonna vertebrale e allo stesso tempo di mitigare i carichi generati dalla forza di gravità, da una parte del peso corporeo, dai sovraccarichi esterni (come ad esempio borse, zaini etc.), dal modificarsi delle leve e dal cambiamento delle curve vertebrali.

Il disco intervertebrale è costituito da tessuto fibrocartilagineo ed è diviso in due macro strutture:

  • il nucleo polposo che ha una forma sferica ed ha un contenuto gelatinoso composto per circa l’80% di acqua e mucopolissacaridi.

Il nucleo polposo ha il compito di ammortizzare e dissipare i carichi vertebrali adattandosi alle forze compressive nei movimenti dinamici vertebrali e nell’adattamento posturale statico

  • l’anulus fibroso che è costituito da fibre proteiche con alta percentuale di collagene 1/2 e di condrociti.

È composto da anelli concentrici che si dispongono attorno al nucleo polposo con una disposizione crociata del tessuto.

L’anulus fibroso ha il compito di assecondare le traslazioni del nucleo, di assorbire e assecondare lo scarico vertebrale sul nucleo polposo e di contenere il movimento vertebrale insieme al compartimento capsulo-legamentoso.

Discopatia 02I dischi intervertebrali sviluppano un’altezza media pari a circa il 25% dell’altezza complessiva della colonna vertebrale, ma questo dato è variabile il base alla disidratazione, ovvero alla perdita di liquidi nel complesso discale durante l’arco della giornata e alla capacità di reidratazione degli stessi per effetto osmotico nel momento in cui la colonna è in posizione di scarico.

Va assolutamente detto che i dischi intervertebrali nel tempo perdono qualità viscoelastiche e la capacità di reidratarsi, sia per un processo di naturale invecchiamento, sia per la ripetizione di microtraumi, sovraccarichi e disfunzioni vertebrali.

Pertanto la discopatia è una condizione il più delle volte inevitabile nel proseguo dell’invecchiamento della persona, ma non è assolutamente detto che debba causare sintomatologia dolorose, mentre può essere una condizione predisponente a patologie vertebrali di varia natura.

Discopatia e…

Come dicevamo il termine discopatia è generico nella sua definizione ma con esso si può preannunciare una serie di problemi del disco ben identificabili……vediamoli insieme.

Discopatia 03Con il termine discopatia si può associare:

  • disidratazione discale con perdita di altezza del muro verticale
  • bulging discale
  • fissurazione discale
  • protusione discale
  • ernia discale
  • discite

Ognuna di queste condizioni può creare un’affezione patologica che difficilmente sarà isolata, ma si assocerà ad alterazione di tipo osteo-articolare, radicolare, neurologica, vascolare, muscolare, dando vita a quadri anatomopatologici ben più complessi.

Quindi che sintomi si possono associare ad una discopatia?

Un problema isolato discale può darmi una sintomatologia?

Il disco intervertebrale ha un’ innervazione sensitiva nelle porzioni più esterne dell’anulus fibroso, con una particolare attività nella zona postero laterale.

Discopatia 04Questa innervazione consente di recepire il dolore nel momento in cui la porzione anatomica sopra indicata dell’anulus fibroso, sia messa sotto stress meccanico-compressivo in maniera costante, o subisca un processo flogistico-infettivo come nella discite.

La discopatia può inoltre generare dolore in varie situazioni:

  • riduzione del lume di passaggio del forame di coniugazione, con impegno dell’uscita del nervo, nell’intersegmento tra una vertebra e l’altra e del suo pacchetto vascolare arterio-venoso
  • sovraccarico dei corpi vertebrali con possibilità di incorrere in un processo algodistrofico vertebrale di tipo MODIC
  • nevrite di passaggio tipo lombosciatalgia o cervicobrachialgia, per irritazione compressiva da erniazione del nucleo polposo
  • stenosi del canale vertebrale per erniazione del nucleo polposo con riduzione del lume del canale vertebrale
  • irritazione del compartimento articolare, per perdita della sinergia tra la biomeccanica vertebrale e l’accomodamento discale
  • contrattura muscolare come risultato di un riflesso antalgico nelle situazioni sopra annoverate.

Discopatia 05I dolori che si possono presentare in tutte queste situazioni, sono dolori che possono variare da una topografia localizzata, puntiforme o a fascia, fino ad irradiarsi sul dermatomero rispondente alla radice nervosa eventualmente coinvolta.

Nel caso il paziente soffra di sintomi legati alla stenotizzazione, potranno manifestarsi crampi muscolari associati a riduzione della forza e della resistenza durante le attività fisiche.

Come precedentemente scritto, le cause della discopatia sono da imputare al fatto che i dischi intervertebrali nel tempo, possano perdere qualità viscoelastiche e la capacità di reidratarsi, sia per un processo di invecchiamento, sia per la ripetizione di microtraumi, sovraccarichi e disfunzioni vertebrali.

Discopatia 06I dischi intervertebrali, hanno un ruolo importante nella biomeccanica vertebrale, perché non solo ammortizzano i carichi naturali e i sovraccarichi esterni, ma diventano dei veri e propri fulcri di movimento sia nei gesti singoli ,che in quelli combinati nei 3 piani dello spazio.

La cattiva sinergia vertebrale con un’alterazione delle curve di cifosi e lordosi, associata ad un’alterato rapporto di congruità tra il corpo vertebrale e le faccette articolari, è una delle cause primarie di degenerazione discale precoce e quindi di discopatia.

Come si fa una diagnosi di discopatia?

L’esame obiettivo è fondamentale per indagare sia la corretta mobilità vertebrale, che il giusto accomodamento delle curve vertebrali.

Sono molto importanti anche i test clinici che servono a far emergere segni d’impotenza funzionale e dolorabilità, a seconda delle condizioni patologiche che si associano alla dicopatia.

Fondamentali sono le indagini diagnostiche strumentali quali RX ed RM, in grado di dare un chiaro quadro dello stato anatomico in essere.

L’RX permettere di monitorare lo spazio interdiscale e le alterazioni sia delle curve vertebrali, che delle porzioni articolari, mentre l’RM consentirà di indagare nello specifico lo stato in essere del disco intervertebrale, sia nella sua forma, sia nella sua idratazione, sia nello stato di integrità dell’anulus fibroso, sia nella dislocazione del nucleo polposo, sia nel rapporto discale in merito al forame di coniugazione, alla radice nervosa e al canale vertebrale.

Come si approccia una discopatia a livello terapeutico?

Va subito detto che il disco intervertebrale è una struttura anatomica che non può rigenerarsi, pertanto la discopatia va gestita, sia per evitare che possa essere la concausa di patologie associate, sia per evitare che possa peggiorare con il passare del tempo e creare un’instabilità vertebrale.

L’utilizzo di farmaci hanno l’intento di diminuire lo stato infiammatorio e le contratture antalgiche associate, rompendo il circolo vizioso dell’impotenza funzionale.

Valido può risultare anche l’utilizzo ad intermittenza, poche ore nell’arco della giornata, di busti, collari cervicali e correggi postura, in maniera da scaricare le forze compressive, mettendo a riposo i dischi intervertebrali stessi.

La fisioterapia, l’osteopatia e la stessa attività fisica, hanno il compito di migliora l’assetto vertebrale, sia nell’unità vertebrale (vertebra-disco-vertebra), che tra le curve di cifosi e lordosi, così come hanno il compito di ottimizzare il movimento vertebrale nei 3 piani dello spazio e ridurre le fibrosità capsulo-legamentose; non va dimenticato che è di grande importanza ricercare un equilibrio muscolare tra catene agoniste e antagoniste, migliorandone anche i rapporti neurologici di feedback tra i meccanocettori associati.

Abbiamo quindi capito che la discopatia è una condizione di invecchiamento e degenerazione imprescindibile, legata all’invecchiamento biologico della persona, ma che può subire un’accelerazione gravemente patologica, per tutta una quella serie di concause di cui abbiamo parlato, pertanto non dobbiamo assolutamente trascurare la condizione di equilibrio dell’intera colonna vertebrale e ottimizzarne sempre la sua funzionalità, limitando, ove fosse possibile, l’aumento di peso corporeo e di carichi esterni elevati.

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Sindrome di Baastrup

Cos’è la sindrome di Baastrup?

SINDROME DI BAASTRUP 01La sindrome di BAASTRUP è un’affezione ortopedica a carico delle apofisi spinose vertebrali, generalmente con interessamento degli ultimi segmenti L3-L4-L5.

Si riscontra nel paziente un aumento morfologico di queste porzioni ossee, le quali subiscono un sovraccarico sia posizionale che biomeccanico.

Le apofisi spinose tendono ad avvicinarsi troppo tra di loro al punto tale di toccarsi e sfregare durante il movimento di estensione dorsale o addirittura nell’atteggiamento di lordosi statica.

Le apofisi spinse sono il segmento maggiormente posteriore della vertebra ed hanno il compito di fornire un aggancio sia a strutture legamentose e sia a componenti muscolari, per stabilizzare e guidare il movimento della colonna.

SINDROME DI BAASTRUP 02

La condizione ortopedica normalmente non riscontra ulteriori dimorfismi discali o dei forami intervertebrali se la sindrome è di tipo primaria, mentre nelle condizioni secondarie si può combinare ad anterolistesi e/o degenerazioni discali, con diminuzione dei volumi verticali.

Nello sviluppo in fase di accrescimento, qualora siano presenti delle megapofisi spinose, si possono creare delle vere e proprie articolazioni tra una spinosa e l’altra, con addirittura la formazione di pseudocartilagini e di sierose.

Nei casi più gravi di sindrome di Baastrup sviluppatesi nel tempo, si può assistere alla comparsa di pseudo-articolazioni e lo sviluppo di borse sierose o borse mucose perilocali, come effetto adattativo compensatorio anatomopatologico, di un contatto ed uno sfregamento del tutto anomalo.

Generalmente questa patologia si riscontra nei soggetti anziani, ma non può essere esclusa in quei pazienti che per lavoro, attività ludiche o sportive, stressano la colonna vertebrale in iperestensione posteriore. 

Sintomatologia

SintomiLa sindrome di Baastrup è asintomatica nelle fasi iniziali, per poi arrecare dolore puntiforme nella zona di contatto delle apofisi spinose interessate dall’impingment, creando un’irritazione delle corticali ossee, oppure una borsite delle sierose, che si sono venute a formare come condizione anatomopatologica precedente indicata.

Il dolore può cambiare da puntiforme a fascia con irradiazione perilocale, nei casi in cui siamo coinvolte più strutture recettoriali nella zona limitrofa alle apofisi spinose embricate.

Generalmente si associa una contrattura antalgica riflessa che limita il movimento vertebrale, creando una sensazione di impotenza funzionale e di rigidità.

Durane la fase acuta, il impaziente tende ad assumere una posizione di verticalizzazione o addirittura di cifosi lombare, per sfuggire al contatto posteriore vertebrale e diminuirne l’irritazione.

Se la patologia persiste nel tempo si può instaurare una condizione di sarcopenia, con la perdita parziale di fibre muscolari sostituite da tessuto adiposo.

Nei casi più gravi il paziente può incorrere nella frattura spontanea delle apofisi spinose coinvolte.

La sintomatologia descritta può manifestarsi in maniera saltuaria, per poi essere quasi costante od onnipresente, nell’evolversi e nel protrarsi della condizione patologica.

Le cause della sindrome di Baastrup

SINDROME DI BAASTRUP 03Come indicato precedentemente la condizione di sviluppo della sindrome di Baastrup parte da una crescita anomala di megapofisi spinose, perlopiù del segmento lombare inferiore.

L’iperplasia delle spinose, se associate alla condizione di lordosi lombare, come il normale adattamento posturale vorrebbe, o peggio ancora nelle condizioni di iperlordosi e se sovraccaricate da movimenti ripetuti in estensione dorsale o da sovraccarichi vertebrali, produce uno sfregamento anomale delle corticali ossee interessate, dando il via alla manifestazione di segni e sintomi quali quelli precedentemente descritti.

L’avanzare dell’età è una forte condizione predisponente, così come tutti quei cambiamenti di morfologia della curva lombare con accentuazione dei gradi di concavità posteriore.

Diagnosi

SINDROME DI BAASTRUP 04La diagnostica per immagini è sicuramente la strada più veloce e più sicura per diagnosticare la sindrome di Baastrup, perché sia attraverso l’RX, la RM e la TC, è possibile valutare la morfologia delle apofisi spinose e la presenza di un contatto anomale tra di esse.

l’RX DINAMICA ha l’ulteriore vantaggio di stabilire l’embricazione tra i segmenti posteriori vertebrali nel movimento di estensione della colonna, così come ha la capacità di monitorare il distanziamento delle apofisi durante il movimento di flessione anteriore, su una colonna elastica o su una colonna rigida.

L’esame RM ha il merito di valutare nei dettagli la presenza di sarcopenia o lo stato di infiammazione e degenerazione dei tessuti perivertebrali posteriori.

L’esame TC ha la capacità di individuare in maniera minuziosa lo stato di salute ossea e la presenza di esiti fratturativi anche minimi.

Il tutto chiaramente va associato ad un esame obiettivo che mira a valutare l’esacerbazione del dolore, la rigidità nel movimento vertebrale e lo stato di contrattura muscolare.

Il trattamento della sindrome di baastrup

farmaciLa terapia che si prevede nella sindrome di Baastrup è inizialmente di tipo farmacologica, utilizzando composti con capacità di ridurre l’infiammazione come i fans e i miorilassanti che hanno lo scopo di attenuare lo stato di contrattura muscolare.

Nel caso in cui il dolore abbia ormai assunto uno stato di cronicità con andamento permanente, si opterà per l’utilizzo di antidolorifici o di blocchi neurologici periferici locali.

A livello chirurgico si potrà optare per una rimozione dell’esostosi nelle porzioni marginali delle apofisi spinose coinvolte nella sindrome.

La fisioterapia ha il ruolo di elasticizzare la colonna vertebrale e di creare quei compensi biomeccanici capaci di ottimizzare i carichi delle linee d forza sia nella statica che nella dinamica, svincolando la colonna lombare stessa.

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La zoppia nel segno del Trendelenburg

zoppia trentelenburgLa zoppia nel segno del TRENDELENBURG, è un’indicazione clinica riferita ad una zoppia dell’anca.

Come si manifesta la zoppia nel segno del Trentelenburg?

Si manifesta con una deambulazione anomala, nel momento in cui il paziente sta in appoggio monopodico durante il trasferimento di carico da un’emilato all’altro, nell’esecuzione della fase del passo.

Il segno del Trendelenburg può avere una rilevanza sia ortopedica che neurologica e non è assolutamente raro avere una concomitanza di fattori, che fanno insorgere tale zoppia come combinazione di causa effetto.

L’andatura nel segno del Trendelenburg, si caratterizza per l’accentuazione, in maniera del tutto anomala, di un movimento laterale del bacino dal lato del deficit ed una caduta dell’emibacino controlaterale al segmento in disfunzione.

Cause

Il motivo di questa zoppia è riscontrato in un indebolimento dei muscoli abduttori dell’anca, in particolar modo dei muscoli piccolo e medio gluteo e in parte ridotta del muscolo tensore della fascia lata.

Il deficit di forza e di resistenza dei muscoli abduttori dell’anca prima citati, può essere indotto da diversi fattori che agiscono in maniera singola o combinata:

  • contrattura muscolarezoppia trentelenburg cause
  • elongazione e/o lacerazione delle fibre muscolari
  • irritazione, neuropatia dismetabolica o stupor del nervo gluteo superiore
  • esiti della poliomielite
  • distrofia muscolare

Questi fattori possono essere di natura primaria o essere concausa di fattori scatenanti come:

  • gli eventi traumatici che causano una lussazione dell’anca associata ad una frattura dell’acetabolo
  • i postumi dell’intervento di protesizzazione dell’articolazione coxo-femorale
  • uno stupor da stiramento del nervo gluteo superiore
  • un’irritazione del nervo sopra citato, per compressione dei punti di passaggio inerenti ai forami di coniugazione di L4 ed L5, del grande frame ischiatico, della loggia sopra piriforme
  • una discinesia dei muscoli stabilizzatori dell’anca
  • uno sforzo eccessivo della muscolatura degli abduttori dell’anca.

zoppia trentelenburg 03La diagnosi della zoppia nel segno del Trentelenburg

Nella ricerca della zoppia secondo il segno del Trendelenburg, l’anamnesi è il punto di partenza per raccogliere i dati sulla presenza e lo sviluppo di patologie, che ne possano innescare segni e sintomi di relazione all’articolazione coxo-femorale, ai muscoli abduttori dell’anca e al nervo grande gluteo.

L’esame obiettivo dello specialista mira ad effettuare una serie di test e valutazioni, che mettono alla prova la stabilità dell’anca, la sua corretta articolarità, l’attivazione muscolare e la resistenza allo sforzo (il test del Trendelenburg prevede che il paziente, flettendo l’anca sana in avanti e mantenendola tale per almeno 15 secondi, non riesca a mantenere i fianchi paralleli tra di loro, notando un’abbassamento dell’emilato sano).

rx bacino protesiLe indagini strumentali quali rx, rm, ecografia ed elettromiografia, possono aiutare a valutare nel dettaglio lo stato anatomico della struttura osteo-articolare, lo stato in essere dei muscoli abduttori dell’anca e la capacità di trasmissione del messaggio neurologico periferico motorio alla placca motrice, nel contesto dell’attivazione muscolare.

Le analisi di laboratorio possono essere molto utili, se il deficit dei muscoli finora citati, rientra in quadro più ampio di nevrite dismetabolica o di distrofia muscolare.

Il trattamento della zoppia nel segno del Trendelenburg

Il trattamento della zoppia nel segno del Trendelenburg ha approcci diversi, che stabiliscono il percorso di cura differentemente dalle eziologie che ne hanno scatenato la comparsa.

Può essere da subito consigliato un ausilio temporaneo per scaricare il peso del corpo e migliorare la deambulazione, utilizzando uno o due bastoni canadesi, in maniera tale da non affaticare le articolazioni delle anche e quelle di scarico per compenso, quali le ginocchia e le articolazioni vertebro-sacrali nel passaggio iliaco.

Nel caso sia presente anche uno stato infiammatorio, sarà utile fare ricorso a farmaci antinfiammatori perlopiù FANS.

Solamente nel caso sia presente uno stato edematoso infiammatorio rilevante, si potrà far uso di corticosteroidi.

fisioterapia ancaLa fisioterapia ha un ruolo rilevante nella gestione della zoppia affrontata, andando ad ottimizzare la performance biomeccanica articolare dell’anca, liberandola in maniera multiplanare ed elasticizzando le componenti tendineo-legamentose di riferimento.

Sarà fondamentale anche migliorare la funzione vertebrale ed i punti critici di passaggio neurologici, sia nelle radici che compongono il nervo gluteo superiore, sia nel percorso che affrontano per arrivare ad innervare il muscolo piccolo-medio gluteo e il tensore della fascia lata.

fisioterapia recuperoIl recupero del tono e del trofismo dei muscoli abduttori dell’anca, è strettamente necessario per rendere l’articolazione dell’anca stabile durante la deambulazione.

Non ultimo sarà necessario recuperare uno schema propriocettivo adeguato, per ottimizzare la corticalizzazione motoria in quelle che sono le normali attività deambulatorie.

Abbiamo imparato che la zoppia nel segno di Trendelenburg, ha una variabilità di concause ben definite e che se affrontate nella maniera corretta, può ottenere una stabile risoluzione.

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