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Alluce valgo: sintomi, diagnosi e cura

Alluce_Valgo_01L’alluce valgo è tra le più comuni patologie del piede: si tratta di una disfunzione dovuta allo spostamento verso l’esterno della base dell’alluce.

Anatomia del piede

Il piede è una struttura anatomica che interagisce con la superficie di appoggio, organizzando le proprie articolazioni per espletare una parte statica e dinamica, in maniera sincrona e coordinata.

Manifesta una perfezione anatomica per mezzo di molteplici articolazioni, strutture muscolari e legamentose, capaci di interagire tra di loro con un’armonia unica; ha 3 macro aree divise in:

  • Retropiede
  • Mesopiede
  • Avampiede

Alluce_Valgo_02Il retropiede ha il compito di scaricare il peso del corpo al suolo.

L’avampiede ha un doppio ruolo:

  • di spinta nella fase del passo, utilizzando come motore primario l’alluce
  • di adattamento fine del piede al terreno rispetto alla superficie di appoggio.

Il mesopiede deve coordinare il retropiede e l’avampiede creando una relazione di intenti, per mezzo della porzione centrale degli archi plantari interni ed esterni.

Il piede gioca un ruolo fondamentale nel movimento, nella statica in posizione eretta e nella postura, ed è proprio per questo che ogni sua alterazione, stabilizzata nel tempo in maniera strutturale e non funzionale, rischia di creare gravi squilibri al corpo del paziente sia localmente che a distanza.

Alluce_Valgo_03L’alluce valgo è una deviazione dell’asse del 1º dito del piede rispetto al metatarso, coinvolgendo l’ articolazione metatarso-falangea.

Il primo dito devia verso il bordo esterno del piede avvicinandosi in maniera eccessiva al secondo dito, mentre l’articolazione prima citata andrà a spostarsi verso il bordo interno del piede.

Questo cambiamento anatomico porta oltre ad una modificazione diretta dell’alluce, anche il possibile abbassamento della volta plantare interna, che scenderà verso il pavimento, una deviazione del secondo dito e una perdita di altezza della volta plantare trasversa, con la conseguente discesa dell’arco metatarsale.

L’articolazione metatarso-falangea vedrà sviluppare una deformazione che porterà ad un rossore della cute, un gonfiore, una dolenzia e nei casi più gravi una rigidità dell’articolazione del primo dito, con conseguente cambiamento della meccanica articolare, nella fase di spinta durante il passo e nell’adattamento fine del piede rispetto al terreno di appoggio.

Sintomatologia dell’alluce valgo

I sintomi inizialmente non sono presenti e si affacciano ma mano che la situazione perdura o evolve.

Alluce_Valgo_04Da una condizione di asintomatologia si passa nel tempo ad attacchi acuti di dolore e infiammazione della zona sporgente ovvero dell’articolazione metacarpo-falangea che si gonfia e si infiamma, creando una capsulite e nei casi più gravi anche una tendinite.

Quando la condizione di alluce valgo instaurerà una limitazione della funzione articolare ci sarà una ripercussione sulla postura di tutto il piede sia nella fase statica che in quella dinamica ovvero durante il passo e nella corsa.

La cute della protuberanza osteoarticolare è spesso soggetta a sfregamento e per questo può andare incontro ipercheratosi, con un ispessimento della pelle con gonfiore associato.

Alluce_Valgo_05Il cambiamento della pelle può provocare una lacerazione della cute stessa e callosità che alterano la sensibilità del piede portandolo ad assumere posture scorrette per sfuggire il dolore.

Non è raro vedere che lo stesso alluce valgo produca una deviazione delle dita vicino, il secondo dito in maniera particolare, che si adattano per far spazio all’invasione di territorio del primo dito.

Cause dell’alluce valgo

L’alluce valgo generalmente si manifesta in età adulta per situazioni congenite o acquisite.

Alluce_Valgo_06Tra le varie cause possiamo trovare:

  • familiarità
  • predisposizione
  • piattismo del piede di tipo statico, dinamico o combinato
  • forma infiammatoria artritica
  • scarpe inadeguate perché eccessivamente strette in punta
  • scarpe con il tacco alto
  • gotta
  • lunghezza eccessiva del primo dito.

Diagnosi

Alluce_Valgo_07

Per la diagnosi l’esame visivo potrebbe essere sufficiente ma è solo per merito di una radiografia che possiamo valutare un angolo preciso di deviazione metacarpo falangea.

Risulta molto utile anche l’esame baropodometrico perché ci permetterà di stabilire qual è la posizione del piede in appoggio o durante il passo, individuando i difetti di carico e su quali zone si concentrano.

Trattamento dell’alluce valgo

Lo possiamo dividere in due grosse categorie:

  • conservativo
  • chirurgico

Conservativo

E’ utile l’utilizzo del giaccio quando l’articolazione del primo sarà infiammata, si farà attenzione ad utilizzare calzature adeguate, si utilizzeranno plantari che sostengano la volta plantare interna e trasversa dandogli la miglior forma possibile, ma senza rendere ipotonica la muscolatura inerente e tutori per raddrizzare e mantenere un buon asse tra il metacarpo e la prima falange.

Alluce_Valgo_08Nel trattamento è importante adoperarsi con la terapia manuale osteopatica per riallineare le articolazioni del piede in rapporto agli arti inferiore, al bacino e alla colonna vertebrale.

Ci deve essere poi il recupero fisioterapico per il riequilibrio muscolare delle catene del piede, dell’arto inferiore e del bacino.

Quando sarà necessario verranno utilizzati farmaci antinfiammatori o antidolorifici, per ridurre il processo infiammatorio stesso e il dolore, in modo da non alterare la dinamica del passo e la postura del segmento scheletrico.

Chirurgico

Alluce_Valgo_09Nel campo della chirurgia le modalità di intervenire sono diverse e si rifanno alla persona, allo stato di salute generale, al tipo di attività fisica che esercita, all’ attività ludica a cui si dedica.

Gli interventi chirurgici possono mostrare delle complicanze che nella maggior parte dei casi sono associate a rigidità del primo dito, ci possono essere poi delle forme infiammatorie reattive e ulteriori deviazioni di assi meccanici articolari.

Dobbiamo voler bene ai nostri piedi…prestiamoci attenzione!

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Aderenze

Oggi parleremo di aderenze che, pur non essendo delle patologie propriamente dette, possono comunque rappresentare una alterazione dello stato di benessere e di equilibrio.

Cosa sono le aderenze?

Le aderenze cicatriziali sono dei processi di rimaneggiamento del tessuto biologico cellulare, a seguito di eventi lesivi.

Sono formate da un complesso fibroso cicatriziale, come conseguenza di processi riparativi, per danni subiti da eventi esterni (traumi lesivi, interventi chirurgici, cure radianti) o interni (infiammazioni, infezioni).

Si formano nella stessa modalità delle cicatrici e con un’ organizzazione cellulare del tutto simile.

Le aderenze uniscono una struttura lesionata ad altri tessuti e/o ad organi ben distinti, ma strettamente contigui tra di loro.

Possono svilupparsi in ogni parte del corpo, ma alcune zone sono maggiormente predisposte, come ad esempio: il mediastino, l’addome, la pelvi e le capsule articolari, alterando tessuti come il peritoneo, i legamenti, gli epiplon, le guaine e la fascia, ovvero le strutture connettive di rivestimento e giunzione.

La sintomatologia

I sintomi che le aderenze possono innescare sono di vario genere, a seconda degli apparati coinvolti.

Il paziente può avvertire dolore, spasmi e senso di compressione in maniera frequente o persistente.

Il dolore può causare una contrattura antalgica riflessa, rispetto al dermatomero che viene coinvolto nel fare da ponte all’afferenza del messaggio nocicettivo.

Se l’aderenza interferisce con un organo, il paziente può andare incontro a delle disfunzioni, con manifestazioni di vere e proprie patologie collaterali.

Le conseguenze delle aderenze

aderenze 02Vediamo quali potrebbero essere le conseguenze nei distretti più importanti.

Nelle aderenze addominali:

  • difficoltà nella digestione
  • crampi addominali
  • gonfiori addominali
  • colite
  • stitichezza
  • occlusione intestinale.

Nelle aderenze pelviche:

  • ciclo doloroso
  • dispareunia
  • aumento delle probabilità di infertilità
  • aumento delle probabilità di gravidanza extrauterina.

Nelle aderenze mediastiniche (torace):

  • alterazione del ritmo cardiaco
  • alterazione della contrattilità cardiaca
  • alterazione del funzionamento delle valvole cardiache
  • dolore retrosternale
  • senso di affaticabilità precoce
  • debolezza.

Nei tessuti dell’apparato locomotore:

  • contratture
  • riduzione della funzionalità contrattile muscolare
  • riduzione della resistenza allo sforzo
  • parestesie
  • rigidità articolare
  • perdita di mobilità
  • alterazione delle catene muscolari sinergiche
  • alterazione delle posture
  • gonfiori ed edemi vascolo/linfatici.

Dal quadro sintomatologico che si rispecchia nei sistemi maggiori toraco-adomino-pelvici e dell’apparato locomotore, si evince che le aderenze possono coinvolgere aspetti anatomici di relazione, la capacità funzionale, l’innervazione di competenza, il sistema fluidico e il sistema muscolo scheletrico tanto nella dinamica, quanto nel suo adattamento posturale.

Quali sono le cause?

causeLe cause come abbiamo precedentemente detto sono attivate da esiti di insulti lesivi di varia origine:

  • traumi lesivi
  • traumi contusivi
  • interventi chirurgici
  • infiammazioni
  • patologie autoimmunitarie
  • ischemie tessutali
  • infezioni
  • terapie radianti.

Queste situazioni creano un danno al tessuto colpito, attivandone un processo di riparazione.

L’aderenza si genera non tanto per il processo di riparazione in se, ma per un’indiscriminata rigenerazione cellulare sostitutiva, che non si adopera in maniera specifica solamente sulla struttura danneggiata, ma si estende anche ai tessuti e agli organi contigui.

La diagnosi

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione.

L’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la comparsa di sintomi, le relazioni dirette e indirette con la zona dove si presenta l’aderenza e la comparsa di adattamenti posturali nei tre piani dello spazio.

ecografiaGli esami che danno la certezza della presenza e della consistenza dell’aderenza nella regione addomino-pelvica è la laparoscopia esplorativa, mentre nel segmento toracico, risulterà utile avere un supporto di diagnostica per immagini tramite esame TC o RM.

Nell’apparato locomotore, a livello delle articolazioni, sarà possibile fare ricorso ad un’artroscopia esplorativa, mentre per i tessuti molli, muscolari, legamentosi, fasciali, sarà utile avvalersi di un’esame ecografico o di una RM, consentendo di acquisire un quadro anatomico sufficientemente chiaro.

Il trattamento delle aderenze

Il trattamento delle aderenze viene indicato nei casi in cui siano sintomatiche e dove siano la causa dello sviluppo di patologie correlate, come precedente abbiamo visto.

L’approccio terapeutico prevede, ove sia possibile, la rimozione chirurgica (adesiolisi), cercando di limitare il più possibile l’area lesiva chirurgica, per evitare il ripetersi dell’iperfibrotizzazione riparativa, che riproporrebbe la formazione di nuove aderenze.

Per questo motivo nelle cavità addobbino-pelviche si farà un accesso in via laparoscopica e nella cavità toracica per via toracoscopica.

artroscopia ginocchioLe aderenze dell’apparato locomotore, avranno un approccio diverso; le articolazioni saranno trattate in atroscopia, mentre i tessuti molli periarticolari, tendinei, fasciali di giunzione, saranno affrontati per mezzo di fisioterapia, che mirerà l’intervento ad elasticizzare il più possibile sia le aderenza stesse, che i tessuti influenzati in maniera diretta dalle aderenza.

La terapia farmacologica ha effetto solamente per tamponare il dolore del momento, o per distendere le pareti dei visceri nella situazione di spasmo, ma è chiaro che la condizione ottimale per il recupero dello stato di salute è la rimozione dell’aderenza e la liberazione delle strutture.

Le aderenze non sono delle patologie in quanto tali, ma delle alterazioni del processo di riparazione che possono complicare lo stato di benessere e di equilibrio tra tessuti e tessuti, tra tessuti ed organi e tra organi ed organi, pertanto vanno individuate ed affrontate per evitare che creino la base di patologie secondarie.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Stenosi cervicale

La stenosi cervicale è una riduzione del volume del canale midollare, zona intima della colonna vertebrale che ospita l’alloggiamento del midollo spinale, la porzione di emergenza delle radici nervose anteriori e posteriori (per il trasporto delle informazioni motorie e sensitive), il pacchetto vascolare arterioso e venoso di relazione.

Stenosi_cervicale_01La stenosi cervicale si può manifestare in un segmento specifico della cervicale o su più segmenti vertebrali.

Può presentarsi per una modificazione congenita, per un trauma importante, per forme benigne o meno di neoformazioni, per patologie artritiche, per una degenerazione della porzione ossea, per discopatie, per alterazioni legamentose, per cambiamenti posturali.

Tralasciando la parte di malformazione congenita, traumatica, tumorale, le quali meritano un articolo a se, parliamo adesso dell’eziopatogenesi degenerativa.

Stenosi_cervicale_02Il canale midollare ha una sua ampiezza predefinita che deve mantenere il suo volume interno al variare della posizione e del movimento del segmento vertebrale.

Il canale vertebrale viene circoscritto dalle lamine vertebrali, dalle porzioni interne articolari, dai peduncoli, dalla porzione posteriore del corpo vertebrale, dal legamento longitudinale posteriore, dai legamenti gialli e dalla porzione posteriore del disco intervertebrale.

Quali sono le cause del restringimento?

  • Artrosi cervicale
  • Ernia cervicale
  • Fibrosi dei legamenti gialli
  • Osteofitosi interna
  • Verticalizzazione del segmento cervicale

Molte di queste eziopatogenesi sono la naturale conseguenza dell’usura che il tempo ci riserva con l’andare avanti dell’età, va però specificato che possono essere più importanti e rischiose se l’evoluzione è aumentata da fattori predisponenti di vita quotidiana e di attività lavorative.

Una nota di interesse è rispetto all’ernia discale.

Il danno del disco ha molteplici variabili e il suo affacciarsi nel canale midollare sarà più o meno grave a seconda del volume dell’ernia, alla sua posizione e se sia un’ernia molle perché ancora idratata o un ernia dura perché disidratata e fibrotizzata.

Che sintomi si possono manifestare?

Stenosi_cervicale_03La sintomatologia varia per tipo di dolore e per zona di manifestazione:

  • Dolori neurologici periferici che possano associarsi ad alterazione della sensibilità, della forza e del trofismo muscolare stesso, con distretti di manifestazione che variano a seconda del metamero coinvolto, andando dalla zona nucale alle braccia, alle scapole
  • Alterazione della vitalità neurologica per compressione diretta del midollo con estensione della manifestazione mielopatica dalla porzione cervicale a scendere verso i tratti della colonna più bassi all’aumentare della gravità della pressione, causando riduzione della forza e diminuzione della massa muscolare, alterazione della sensibilità, bruciore, intorpidimento, difficoltà nella coordinazione del movimento
  • Dolore cervicale locale e irradiato a seconda dello stato di tensione e contrattura antalgica muscolare. Il dolore aumenterà al movimento e diminuirà velocemente a riposo
  • Rigidità al movimento, non di rado si può associare una tensione sottonucale, giramenti di testa e nausee
  • Si può riscontrare il segno di Lhermitte, ovvero una sensazione di scarica elettrica che si irradia dal collo lungo la colonna vertebrale durante la flessione in avanti del capo e della cervicale. Questo segno indica la presenza di una sofferenza midollare dove vengono coinvolte le radici posteriori dei nervi spinali.

Stenosi_cervicale_04Come si definisce la gravità di questa patologia?

La gravità si stabilisce rispetto ai tipi di sintomi manifesti, più la patologia coinvolgerà la porzione neurologica, più sarà importante lo stato di avanzamento della stenosi cervicale.

Anche qui va sottolineato che i sintomi neurologici periferici a carico delle radici nervose locali, sono ad uno step di tolleranza, rispetto ai sintomi midollari ben più gravi, che possono coinvolgere anche il tronco e gli arti inferiori.

Quali sono gli esami diagnostici utilizzati?

La diagnosi della stenosi del canale midollare vede come esame principe la RM del segmento cervicale, capace di analizzare i tessuti molli discali, legamentosi, midollari e radicolari nel loro stato di salute anatomico rispetto alla dimensione del canale midollare nelle sue varie porzioni descritte all’inizio dell’articolo.

Stenosi_cervicale_05Anche l’esame TC ha un’ottima valenza per studiare lo stato in essere soprattutto della struttura ossea che compone il canale midollare e lo stato di sviluppo di osteofiti articolari.

Può risultare utile anche un esame elettromiografico per vedere la capacità di attivazione e di risposta delle placche motrici periferiche.

Sarà necessario fare un’attenta analisi dei riflessi osteotendinei e della loro risposta, sia se inibiti tanto se iperattivati.

Quale tipo di terapia può essere applicata?

La stenosi del canale cervicale può essere approcciata in molti modi e può combinare contemporaneamente una o più terapie tra di loro. A livello farmacologico vengono spesso utilizzati antinfiammatori, preferibilmente fans, quando si ha la necessità di combattere l’infiammazione locale sviluppatasi, ma in alcune situazioni non è da escludere l’utilizzo di cortisonici quando sia utile ridurre la componente edematosa che l’infiammazione stessa può esacerbare.

Possono essere usati i miorilassanti quando si sviluppano contratture e tensioni muscolari, per via del dolore e del cattivo compenso muscolare.

Non sono pochi i casi dove si ricorre agli antidolorifici per ridurre la soglia percepita e la soglia di attivazione del dolore.

La fisioterapia e l’osteopatia sono molto utili quando la stenosi è causata dalla presenza compressiva di tessuti molli, discopatie o artrosi delle faccette articolari.

Riescono ad applicare terapie manuali capaci di mantenere attivo il trofismo biologico dei nervi periferici interessati e mantenere uno stato di efficienza della muscolatura, la quale andrebbe incontro a ipotrofia da riduzione dell’attività fisica e dalla deficitaria innervazione motoria.

La fisioterapia così come l’osteopatia sono necessarie per mantenere efficienti le funzioni vertebrali e creare i giusti compensi necessari per deviare le linee dinamiche e di carico della zona stenotica.

Nei casi più gravi non è da escludere l’intervento chirurgico per decomprimere la zona midollare, in tutte quelle situazioni dove la stenosi sia di tipo duro e quindi irriducibile, con manifestazioni cliniche importanti e rischi di denervazione o di mielopatie.

La stenosi del canale cervicale è una patologia molto seria ma può essere diagnosticata in tempo, tanto da gestirla nel migliore dei modi e rallentare o bloccare il suo percorso patologico. Il nostro corpo ci invia messaggi di disagio cercando di comunicarci qualcosa, diamo ascolto ai nostri sintomi e non trascuriamoli, è il modo più efficace per prevenire e curare le affezioni che nel corso della vita si affacciano.

Protrusioni ed ernie discali…quali sono le differenze e cosa comportano

La protrusione e l’ernia discale sono entrambe delle patologie che colpiscono la struttura del disco intervertebrale, alterandone la forma, le caratteristiche biologiche e le funzioni.

ernia_discale_01La protusione è l’anticamera dell’ernia discale ed entrambe sono l’evoluzione patologica di un disco intervertebrale che subisce forze di compressione, di trazione, di torsione e di sovraccarico, tanto da rovinarne la struttura, portandola oltre la normale degenerazione e quindi ad un danno patologico.

È vero che possono insorgere anche per eventi traumatici, ma la percentuale di danno da cattivo utilizzo rispetto ad eventi violenti, gioca nettamente in favore del primo.

Entriamo adesso nello specifico.

ernia_discale_02Il disco intervertebrale è una struttura fibrocartilaginea con una porzione centrale chiamata nucleo polposo e una porzione di contenimento chiamata anulus fibroso.

Il nucleo polposo trattiene una altissima concentrazione di liquido acquoso, più dell’80%, ed è una massa di tipo gelatinosa costituita da mucopolissacaridi.

L’ anulus fibroso deve contenere il nucleo polposo, fungere da punto di unione tra la vertebra soprastante e quella sottostante, mitigare le forze di trazione e torsione nei tre piani dello spazio ed è costituita da fibre proteiche con alta percentuale di collagene 1 / 2 e di condrociti.

Il disco intervertebrale, oltre ad avere il compito di ammortizzare i carichi della colonna vertebrale, assolve anche alla funzione di movimento, formando degli assi attorno ai quali potersi muovere in sinergia con la biomeccanica delle articolazioni vertebrali.

Ma il danno al disco intervertebrale come avviene al di fuori di un violento evento traumatico?

ernia_discale_03Il cambiamento delle normali curve vertebrali di cifosi e lordosi, l’aumento dell’effetto compressivo, l’aumento esagerato di peso corporeo e il sovraccarico di movimenti che si spostano per percentuale dalle strutture articolari al disco intervertebrale, porta questa struttura a fissurarsi, ovvero a rompere le fibre dell’ anulus fibroso, favorendo una strada di migrazione del nucleo dal centro verso la periferia.

La protusione è la condizione in cui il nucleo migra dalla porzione centrale del disco intervertebrale, verso l’ esterno, utilizzando la strada aperta dalla fissurazione delle fibre dell’ anulus stesso, ma rimane ancora frenata dalla periferia estrema del disco intervertebrale.

L’ernia discale è l’ evoluzione della protusione del disco e si affaccia fuori dalla linea di limitazione discale.

L’ernia del disco è catalogata in molti modi a seconda del suo stato e della sua posizione, pertanto può essere:

  • mediana
  • paramediana
  • laterale (intraforaminale)
  • contenuta
  • migrata
  • idratata
  • disidratata
  • sovra radicolare
  • sotto radicolare.

Tutte queste differenze di forma, di posizione e di consistenza vanno prese in considerazione per poter applicare la cura al meglio.

I dischi intersomatici protrusi o erniati hanno la stessa sintomatologia?

Assolutamente no.

Le protusioni discali generalmente sono asintomatiche perché per la loro condizione di alterazione anatomica, non sono in grado di attivare il sistema nocicettivo, né sul piano radicolare né strutturale, ma le condizioni che portano il disco a protrudere, possono essere esse stesse la causa di dolore con impingement e compressione delle faccette articolari, sfaldamento delle cartilagini articolari, formazione di stravaso di liquidi nel piatto vertebrale di appoggio, riduzione del lume di passaggio dei forami di coniugazione e delle loro radici nervose di competenza.

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L’ernia discale invece è tutta un’altra storia.

La fuoriuscita del nucleo dal limite periferico massimo discale, fa sì che essa si possa andare a posizionare nell’aria interna del canale midollare o nel forame di coniugazione, appoggiandosi e comprimendo la radice nervosa.

Nei casi più fortunati l’ernia è mediana, ovvero centrale rispetto a canale midollare e non tocca nessuna delle due radici, ma può creare un danno da stiramento del legamento longitudinale posteriore che passa tra le vertebre e i dischi, nella porzione posteriore dei corpi vertebrali.

La sintomatologia

ernia_discale_05La sintomatologia più comune è quella della radicolite compressiva irritativa, che siamo comunemente portati a conoscere nella sua forma di lombo-sciatalgia, lombo-cruralgia e cervicobrachialgia.

L’ernia discale è particolarmente acuta nella sintomatologia radicolare se si posiziona nel forame di coniugazione (intraforaminale), perché la sua posizione riduce di molto la possibilità di movimento della radice nervosa, arrecandone un’ irritazione importante.

ernia_discale_06Da una problematica radicolare ci si può spostare ad una stenosi molle del canale, nel momento in cui un’ernia voluminosa riduca il lume del canale midollare stesso creando una patologia compressiva sul midollo o sulla cauda equina, a seconda del livello vertebrale di cui stiamo parlando. In quel caso spesso la ritroviamo migrata rispetto all’ area discale di appartenenza.

Ultima classificazione che può dare valore alla sintomatologia è l’idratazione o la disidratazione della porzione del nucleo erniato, perché questo determina la rigidità dell’ernia stessa e la possibilità di spostarsi ulteriormente aumentando il suo volume.

La diagnosi

Importante sarà fare una diagnosi clinica scrupolosa, utilizzando testi clinici per lo studio delle articolazioni e dei dischi intervertebrali, in parallelo con la valutazione neurologica dei segmenti coinvolti nelle ernie e nelle problematiche associate delle protusioni discali.

ernia_discale_07Fondamentale è l’esame di risonanza magnetica che fotografa lo stato dei tessuti discali nei confronti dei piatti vertebrali, del canale midollare, dei forami di coniugazione e ovviamente delle radici nervose.

La radiografia può solo dare un’idea dello spazio tra una vertebra e l’altra facendo immaginare la condizione discale di intermezzo, ma non è un esame diagnostico specifico per il disco intervertebrale.

La tc può essere richiesta al posto della risonanza magnetica nel caso in cui il paziente abbia delle controindicazioni ad eseguirla (pacemaker, mezzi di sintesi incompatibili, schegge metalliche, etc.), o nel caso si voglia vedere con minuziosità il rapporto del disco rispetto alle strutture osteo/articolari, piuttosto che rispetto alle strutture neurologiche perimetriche.

La cura

ernia_discale_08L’approccio terapeutico per la protusione si basa sulla fisioterapia, sull’osteopatia e sulla ginnastica, per mantenere un buon equilibrio delle curve posturali tra lordosi e cifosi con un tono muscolare capace di sostenere le articolazioni tanto nella statica quanto nella dinamica.

Bisogna ripristinare e mantenere gli equilibri tra le catene muscolari anteriori, posteriori e rotatorie.

E’ importante mantenere elastici i legamenti che stabilizzano le vertebre tra di loro e in generale le articolazioni cardine dei cingoli pelvici e scapolari.

Nell’ernia discale la terapia sì basa sulla gravità dell’ernia nei rapporti con le radici nervose o con il midollo / cauda equina.

Si passa dalle terapie mirate a ricreare spazio tra le articolazioni e i forami di coniugazione vertebrali, a quelle di mobilizzazione del nervo interessato nel suo percorso, al drenaggio dei tessuti peri locali, al cambiamento di assetto vertebrale per scaricare la zona colpita, all’utilizzo di busti di scarico per la zona lombare o collari morbidi o semi rigidi cervicali.

ernia_discale_09Nei casi più gravi si può arrivare all’intervento chirurgico per asportare il nucleo erniato non più gestibile nella fisiologia del paziente.

In ogni situazione diventa fondamentale stare attenti allo stile di vita e alle norme di buon utilizzo della propria colonna nei movimenti quotidiani e durante il riposo.

La terapia farmacologica è sempre di supporto a stati acuti e vede l’utilizzo di antinfiammatori, miorilassanti e o antidolorifici.

Può essere molto efficace, se utilizzata insieme alle altre terapia precedentemente descritte, l’ozonoterapia per migliorare il trofismo biologico e ridurre lo stato infiammatorio basale locale.

ernia_discale_10Adesso che abbiamo capito le differenze tra protusione ed ernia discale, dobbiamo solamente stare attenti a prevenirle e nel caso siano comparse, a gestirle al meglio per mantenere uno stato di efficienza nella vita di tutti i giorni.

Cervicobrachialgia

La cervicobrachialgia é una patologia di tipo neurologico/ortopedico che comporta uno stress del plesso nervoso periferico brachiale.

La patologia può portare ad un’infiammazione, un’irritazione, una compressione (spesso si associano tra di loro) delle vie neurologiche, caricando la radice sensitiva, motoria od entrambe.

Il plesso brachiale è una porzione del sistema nervoso periferico che riunisce varie radici nervose, provenienti dal canale vertebrale nella porzione della cervicale medio bassa.

Cervicobrachialgia_02Le radici che formano il plesso brachiale sono C5-6-7-8-T1 e parzialmente C4 e T2, che anastomizzano con le radici di C5 e T1.

Solamente per ricordare: la lettera C sta per indicare cervicale e la T per toracica, il segmento cervicale è formato da 7 vertebre con dischi intervertebrali di interposizione che partono dall’unità vertebrale C2-3 a scendere.

Il plesso brachiale quindi parte dalla cervicale per distendersi sul territorio della spalla, braccio, avambraccio e mano, facendosi carico di trasmettere un messaggio motorio dal centro di comando cerebrale alla periferia e di riportare al comando centrale tutti gli stimoli sensitivi periferici.

Il plesso brachiale si riunisce in tronchi e fasci da cui poi si diramano i vari nervi specifici per territorio e competenza.

Il plesso nervoso di cui stiamo parlando ha delle zone critiche anatomiche di passaggio dove rischia di subire compressione o trazioni irritative che ne minano lo stato di salute.

La cervicobrachialgia può essere a estensione parziale o completa, ovvero si può manifestare in una porzione del territorio che va dalla cervicale, passando per la spalla, fino alla mano oppure, o su tutto il distretto innervato.

Cervicobrachialgia_03Si può presentare una cervicalgia, dolore sulla zona cervicale e limitazione articolare nei movimenti di rotazione, inclinazione laterale e di flessioneestensione.

Si manifestano stati di contrattura muscolare, alle volte anche diffusa e non è raro che il paziente associ sensi di nausea e sbandamenti.

Nel percorso del plesso brachiale che va dalla cervicale, passando per la spalla, per il gomito, fino ad arrivare alla mano, si possono manifestare alterazioni della sensibilità, come formicolii, bruciori, alterazioni della temperatura percepita, e alterazioni della sensibiltà propria, ovvero una diminuzione o un aumento di cosa viene percepito a contatto della nostra pelle.

Si possono presentare alterazioni muscolari, con una perdita di forza, una diminuzione della resistenza, la comparsa di crampi e contratture.

La cervicobrachialgia ha molteplici cause, diverse tra di loro ma con risultatati simili nella sintomatologia e spesso diversi nell’evoluzione.

Cervicobrachialgia_04Vediamole insieme:

  • ernia discale
  • riduzione dei forami di coniugazione
  • riduzione degli spazi intervertebrali
  • artrosi
  • artrite
  • osteofitosi intracanalare
  • stenosi del canale vertebrale
  • alterazioni vascolari arteriose e/o venose
  • restrizione dei punti di passaggio del decorso del plesso brachiale (es. stretto toracico superiore)
  • degenerazione o denervazione del nervo interessato.

Ognuna di queste cause può avere come conseguenze la manifestazione di una neuropatia compressiva, irritativa, congestizia, anossica, su una o più radici del plesso brachiale, tale da far manifestare i sintomi a carico dello porzione motoria, sensitiva o di entrambe, della cervicale e dell’arto superiore.

La ricerca della cura e la prognosi sarà diversa per tempi e per modi a seconda delle cause sopra citate e per questo diventa fondamentale fare una diagnosi accurata e dettagliata sulla patologia e sulla causa che l’ha portata ad esistere.

Cervicobrachialgia_05La diagnosi viene fatta in molteplici sequenze che partono dalla raccolta dati estrapolata dal racconto del paziente, sul manifestarsi della sintomatologia nelle modalità e nei tempi della giornata, sulla nascita della sintomatologia, su tutto quello che può interferire con lo stato di salute e che possa alimentare il malessere in atto.

A questo seguiranno una batteria di test che metteranno in evidenza la condizione della cervicale e del plesso brachiale sia all’uscita del forame di coniugazione che durante il suo tragitto.

Importantissimo è anche lo studio dei riflessi osteotendinei e la valutazione neurologica dello stato di funzionamento muscolare per forza, resistenza, coordinamento e precisione nell’esecuzione.

Cervicobrachialgia_06Alla prima fase di diagnosi é consigliato proseguire con la diagnostica per immagini, che varierà tra una RX cervicale, ad una RM per valutare lo stato anatomico delle strutture discali, radicolari e in generale di tutti i tessuti molli che che vivono nello spazio esaminato dalla RM, oppure ad una TC nel caso si voglia studiare nel dettaglio lo stato osteoarticolare della regione.

Nel caso ci siano delle condizioni particolarmente sfavorevoli all’esame clinico e al diagnostico per immagini, si può rendere necessario proseguire con l’ elettromiografia, capace di valutare lo stato di salute del nervo nell’interazione con la placca motrice e la sua capacità di trasportare il messaggio neurologico.

Spesso il primo approccio a cui si ricorre è quello farmacologico dove sono molte le strade da percorrere.

Cervicobrachialgia_07Si andrà dall’uso di farmaci antinfiammatori non steroidei a quelli steroidei, all’utilizzo associato e non, di farmaci miorilassanti per detendere la muscolatura, all’uso di analgesici e antidolorifici di varie categorie.

Ovviamente l’utilizzo dei farmaci sarà scelto in base alla diagnosi fatta e alla causa individuata nello sviluppo e nel mantenimento della cervicobrachialgia.

La fisioterapia e l’osteopatia hanno un ruolo fondamentale nella cura e nella prevenzione di questa patologia, perché sono in grado di lavorare sull’apertura degli spazi articolari, sulla mobilizzazione delle strutture discali e del sistema nervoso periferico, sulla riduzione di tensione dei punti critici nel passaggio del plesso brachiale, nella capacità di drenare le zone di edema venose e linfatiche che possono aumentare in maniera patologica lo stato di tensione tessutale e articolare, sulla ricerca di mobilità dei fulcri sinergici con il segmento cervicale nel movimento combinato dei 3 piani dello spazio, nella ricerca del miglior assetto posturale statico e dinamico della persona.

Cervicobrachialgia_08Inoltre la fisioterapia e l’osteopatia sono in grado di gestire la salute del paziente con la prevenzione e la gestione dell’anatomia e della fisiologia prima che sviluppi la patologia cervicobrachialgica e l’esplosione della sua sintomatologia.

Nei casi severi dove il danno anatomico e la sua alterazione è talmente grave da non rispondere a cure farmacologiche, a interventi fisioterapici o/e osteopatici, nel momento in cui anche l’esame elettromiografico metta in risalto un danno neurologico rilevante, in quel caso si può ricorrere alla chirurgia, andando a rimuovere la causa e tutelando il segmento vertebrale dall’evoluzione della patologia.

Ovviamente un intervento chirurgico non si fa mai a cuor leggero, ma in alcuni casi è l’unica strada percorribile per ritrovare una buona salute.

La cervicobrachialgia è subdola nella sua evoluzione e aggressiva nella manifestazione della sintomatologia, ha un tempo di guarigione non sempre immediato e può condizionare la vita sociale, lavorativa, affettiva del paziente, ma con la dovuta attenzione nel fare diagnosi, con la precisione nella ricerca della causa, con il giusto programma terapeutico, si riesce a recuperare un’ottima condizione di salute e a prevenirne le ricadute.

Pubalgia

La pubalgia è un’affezione dolorosa che si estende nella zona pubica, con irradiazioni differenti per posizione ed estensione del territorio coinvolto.

Pubalgia_01La differente posizione della sintomatologia è ricollegabile in parte alla causa e in parte alla modalità con cui si instaura la pubalgia.

Cause

Della manifestazione sintomatologica ne parlerò a breve, prima cerchiamo di capire quali sono le cause scatenanti:

  • microtraumi ripetuti
  • sforzi eccessivi
  • alterazione dei piani articolari della sinfisi pubica e del bacino rispetto agli assi di movimento delle articolazioni coxo-femorali e delle vertebre dorso-lombari
  • cambiamento di tensione dei muscoli adduttori per l’arto inferiore e dei muscoli della parete addominale per il busto
  • alterazione degli equilibri tra catene muscolari agoniste e antagoniste
  • cambio di tensione del tessuto fasciale di contenimento, di giunzione e di contiguità
  • dismetabolismi
  • nevriti
  • ptosi viscerale
  • modificazione della meccanica respiratoria
  • alterazione tensiva del pavimento pelvico.

Pubalgia_02Tutti questi cambiamenti, che come potete intuire, possono essere di natura e di relazione differente, daranno uno sviluppo potenziale della pubalgia.

La mappa del dolore si presenterà maggiormente nella zona inguinale e nel punto di giunzione pubico, mentre l’irradiazione potrà estendersi dalla porzione mediale del femore, all’angolo interno della radice della coscia, fino ad interessare la porzione del pavimento pelvico nella zona anteriore dell’emilato colpito dalla pubalgia, oppure la parta bassa dell’addome nella zona sovra pubica dove si inseriscono i retti addominali.

Pubalgia_03La manifestazione della sintomatologia può assumere delle sfumature differenti a seconda della causa riscontrata in acuto o nel cronico.

Il dolore può manifestarsi la mattina al risveglio, oppure riprendendo il movimento dopo aver mantenuto la stessa postura per parecchie ore, generalmente passa nel giro di pochi minuti per poi rimanere soffuso ma costante.

Può esacerbarsi dopo attività fisica prolungata.

Si fa sentire dopo sforzi repentini e violenti.

La pubalgia si manifesta oltre che con il dolore anche con la perdita di funzionalità, pertanto il paziente avrà una riduzione della mobilità d’anca soprattutto nell’apertura, ovvero nel movimento laterale, nell’estensione e nelle rotazioni.

Nei casi più gravi anche il camminare può creare fastidio, tanto da costringere il soggetto ad accorciare la falcata e a trasferire il peso maggiormente sull’arto controlaterale.

Potrebbe diventare fastidioso persino tossire o defecare con sforzo.

Diagnosi

Non è difficile fare una diagnosi di pubalgia per mezzo dell’esame clinico, quello che risulta complesso è capire il tipo di pubalgia e la causa primaria che la innesca.

Nella diagnosi quindi diventa fondamentale la raccolta dati nell’intervista al paziente, in modo da carpirne il momento e la modalità di insorgenza del dolore pubico, la manifestazione nella quotidianità e negli eccessi, per poi riscontrare con l’esame clinico, il parallellismo dei dolori evocati e delle limitazioni articolari, tramite l’utilizzo di test specifici.

Pubalgia_04Le indagini diagnostiche sono fondamentali e particolarmente utili risultano la radiografie del bacino e l’ecografia del pacchetto muscolare nella zona di inserzione pubica.

È molto utile anche la RM che indaga la porzione dell’anca e del bacino, ma se utilizzata come esame unico di diagnosi, si rischia di perdere la qualità visiva della struttura ossea pubica.

Nella diagnostica per immagini è importante visualizzare l’eventuale presenza di alterazioni anatomiche inerenti la sinfisi pubica, la muscolatura adduttoria, le porzioni tendinee, le articolazioni sacro iliache, la testa del femore e le strutture vertebrali lombari.

A livello muscolare va indagato se ci sia infiammazione, fibrosità, lesioni parcellari e fissurazioni, nel punto di aggancio osteo-tendineo o muscolo-tendineo o sul profilo tessutale non di giunzione.

Cura

Stabilita la causa e l’entità della pubalgia si potrà mettere in atto il piano terapeutico.

Pubalgia_05Sia in fase acuta che cronica, è necessario un periodo di riposo sufficiente a supportare le cure per il ripristino della guarigione.

Farmacologicamente si utilizzeranno prevalentemente antinfiammatori non sterioidei per spegnere l’infiammazione.

Non sono pochi i casi dove ci si aiuta con le infiltrazioni perilocali di ozono terapia, supportando il meccanismo chimico antinfiammatorio.

Pubalgia_06Fondamentale è l’utilizzo di fisioterapia con terapie strumentali mirate a scemare l’infiammazione e a migliorare il trofismo cellulare.

A seconda delle cause associate alla pubalgia, si potrà impostare il lavoro su:

  • mobilizzazione articolare per recuperare i gradi di movimento persi
  • allungamento delle catene muscolari
  • ottimizzazione del trofismo muscolare
  • inibizione muscolare con aumento del tono basale.

L’osteopatia ha un ruolo diretto nel recupero articolare inerente a:

  • sinfisi pubica e il suo centraggio in relazione all’anca
  • articolazioni sacro iliache
  • vertebre lombari
  • segmento vertebrale dorsale
  • sterno

Ha il compito migliorare la mobilità viscerale con rapporto diretto rispetto al grande e piccolo bacino, di riequilibrare la tensione del pavimento pelvico, di migliorare il tessuto fasciale di collegamento e di sostegno.

Inoltre, quello di dinamicizzare il circolo vascolare / linfatico della zona inerente alla pubalgia e di togliere le perturbazioni neurologiche periferiche che possano alterare le vie sensitive e motorie della muscolatura coinvolta nella patologia.

La pubalgia è una patologia che altera la nostra attività quotidiana e la vita sportiva.

Può risultare lunga nel suo percorso di guarigione, ma se capita e diagnosticata nella maniera corretta, guarirà con risultati eccellenti e certi.