La terapia vibropercussoria

L’articolo di oggi introduce un argomento di sicuro interesse per molti pazienti e addetti ai lavori: la terapia vibropercussoria.

Cos’è la terapia vibropercussoria?

Le onde meccaniche trasferiscono energia, attivando la perturbazione dell’onda stessa e mettendo in comunicazione tra di loro le cellule del tessuto a cui viene applicata la vibrazione.

Appare da subito chiaro che la grossa capacità riconosciuta a questa terapia, è quella di mobilizzare delle cellule, che sarebbero in altro modo difficili da mettere in risonanza con delle tecniche manuali comuni.

La terapia vibropercussoria ottimizza la sua applicazione scegliendo la frequenza giusta da applicare ad un tessuto, per ottenere la massima efficacia di movimentazione cellulare in superficie o in profondità e per interagire con sistemi di varia natura e genere.

Vediamo insieme quali sono:

  • il sistema neurologico riflesso, creando una risposta di causa-effetto.
  • il sistema meccanico-articolare
  • il sistema muscolare
  • il tessuto connettivo (tendini, legamenti, capsule articolari, fascia)
  • il sistema vascolo-linfatico
  • il sistema viscerale
  • il sistema metabolico

terapia vibropercussoria 02I benefici della terapia vibropercussoria

I benefici che si possono avere sono molti e propio perché agisce su vari sistemi in maniera indipendente o sinergica, riesce ad ottenere:

  • una mobilità superficiale e/o profonda dei tessuti con cui impatta l’onda meccanica pressoria
  • una modulazione del tono muscolare
  • un miglioramento del trofismo muscolare
  • un miglioramento del metabolismo osseo
  • una variazione dello stato del dolore
  • un cambiamento della viscosità sanguigna, della fluidità e pertanto dell’ossigenazione dei tessuti.

Tutto questo si traduce con la possibilità di rimettere in  movimento varie strutture del corpo umano, aumentandone la capacità di migliorare i meccanismi vitali di autoregolazione e di autoguarigione.

I campi di applicazione

I campi di applicazione della terapia vibropercussoria sono molteplici e con possibilità di interazione multipla, pertanto troverà impiego in patologie:

  • articolari (mobilitazioni articolari e recupero dei range di movimento, mobilizzazione delle fibrocartilagini e ricondizionamento dei tessuti capsulo-legamentosi)
  • muscolari (ricondizionamento del tono muscolare, miglioramento del suo trofismo cellulare, ottimizzazione delle sinergie tra catene muscolari agoniste/antagoniste)
  • neurologiche (modulazione del dolore neuropatico, stimolazione neurologica periferica, attivazione degli archi riflessi neurologici)
  • fluidiche (riduzione delle stasi venose e linfatiche locali, miglioramento dell’afflusso sanguigno per effetto iperemizzante)
  • viscerali (migliorando il movimento del contenuto del tubo digerente, favorendo il deflusso del contenuto nei dotti e ottimizzando l’azione degli organi emuntori).

terapia vibropercussoria 03La terapia vibropercussoria può esser applicata con vari strumenti, di varia forma e grandezza, ma devono avere delle caratteristiche comuni, ovvero quelle di generare delle onde meccaniche pressorie, con delle frequenze modulabili ma stabili.

terapia vibropercussoria 04La loro stabilità deve essere garantita nonostante possa variare la superficie di contatto e la forza di applicazione del manipolo sul tessuto di contatto.

Il manipolo adoperato può aver varie forme e coprire superfici più o meno ampie, in maniera da adattare il fascio delle onde meccaniche per una propagazione il più possibile precisa, colpendo il tessuto in maniera oculata.

La terapia vibropercussoria è una metodica terapeutica che aumenta le capacità del professionista sanitario, di interagire con le patologie in maniera diretta, integrandosi perfettamente con i protocolli di cura farmacologici, fisioterapici e osteopatici già consolidati, rendendo più performanti e veloci le interazioni curative.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

Camminare fa bene alla schiena?

Sono molti i pazienti che mi chiedono se camminare fa bene alla schiena.

Partiamo dalla domanda

E’ una domanda frequente che scaturisce dal fatto che sempre più persone utilizzano la camminata veloce per attivare il metabolismo, bruciare calorie, riattivare il proprio corpo e mantenersi in forma, rompendo la routine quotidiana fatta da ore e ore di sedentarietà, passata dietro una scrivania, oppure davanti al pc o alla televisione.

Iniziamo con il dire che qualunque attività rimetta in movimento il nostro corpo è benvenuta.

Continuiamo dicendo che più il corpo umano aumenta la propria età biologica e più ha bisogno di movimento.

Sottolineiamo il fatto che il movimento è vita.

Insistiamo sul concetto che la macchina umana ha bisogno di attivare le articolazioni e di stimolare la produzione di liquido sinoviale, di mantenere un buon tono-trofismo muscolare, di stimolare la circolazione passiva venosa e linfatica, di eliminare le tossine del catabolismo.

Ma allora camminare fa bene alla colonna vertebrale?

No camminare non ha effetto sulla salute della colonna vertebrale o almeno non in maniera diretta.

Ma questa affermazione è tanto vera quanto non esattamente corretta.

SchienaVediamo di spiegare il perché.

La colonna vertebrale è fatta di molteplici metameri chiamati vertebre, diversi per conformazione, a seconda del segmento esaminato; non a caso la colonna è stata divisa in una porzione cervicale, una dorsale e una lombare, avendo come limiti periferici la base occipitale e l’osso sacro.

Le vertebre hanno un’architettura biomeccanica che da una specificità di movimento propria nei tre piani dello spazio.

Sono mantenute da un sistema capsulare e legamentoso che danno congruenza ai rapporti articolari, consentendone sia la stabilità che la mobilità.

La muscolatura coinvolta

La muscolatura della colonna vertebrale è organizzata in un sistema dritto ed obliquo, superficiale e profondo, che serve sia a mantenere un’assetto posturale antigravitario bilanciato e sia a creare una dinamica sinergica nei movimenti adattativi e dinamici.

Pertanto la colonna vertebrale ha bisogno di un movimento mirato e preciso che possa esaudire le necessità di elasticità, di articolarità e di trofismo, sia ad un livello specifico che nei segmenti di gruppo.

Camminare fa bene alla schienaE’ allo stesso modo vero che, la colonna vertebrale è legata al cingolo scapolare e pelvico e che tali cingoli collaborano in maniera attiva allo schema del passo per bilanciare la propulsione e la spinta, mantenendo il baricentro ottimale del soggetto, in maniera tale da sviluppare un lavoro sinergico tra le catene muscolari, soprattutto del piano sagittale e orizzontale, con degli adattamenti mirati che si sviluppano sul piano frontale.

Quindi camminare mette in movimento oltre che l’arto inferiore, anche il cingolo pelvico e in controadattamento il cingolo scapolare, attivando nel mezzo l’intera colonna vertebrale per portare il movimento dal bacino alle scapole e quindi alle braccia.

Questo tipo di meccanismo si accentua maggiormente se si allunga la falcata, sviluppando un passo lungo e non necessariamente veloce.

L’allenamento

L’allenamento alla deambulazione inoltre è uno stimolo importante per mantenere attivo il tono muscolare della cerniera dorso-lombare, lombo-sacrale, e della cintura pelvica, stimolando in maniera particolare la muscolatura tonica antigravitaria.

GinnasticaE’ quindi vero che se voglio ottenere un allenamento che abbia degli effetti mirati alla colonna vertebrale, devo impegnarmi ad eseguire dei movimenti specifici vertebrali, con lo scopo di aumentarne l’articolarità, di ottenere uno stretching della muscolatura ed una potenziamento dei muscoli inerenti.

E’ vero che la camminata veloce ha un effetto ottimo per attivare il metabolismo, bruciare calorie, riattivare il proprio corpo.

E’ vero che il camminare con un passo lungo, ha comunque un’influenza parziale ma buona sul benessere della colonna vertebrale, per mezzo dell’attivazione del cingolo pelvico e scapolare.

Quindi la colonna vertebrale è una struttura complessa che necessità di un’attenzione specifica, ma essendo l’albero strutturale dell’apparato locomotore, vive di influenze dirette e semidirette in quasi ogni attività della nostra quotidianità.

Sarebbe un ottimo proposito riuscire a dedicarsi del tempo ogni giorno, ma i ritmi serrati delle nostre vite ci remano spesso contro, pertanto sapere cosa ci fa bene e cosa ha più effetto per le nostre esigenze, permette di ottimizzare gli sforzi nel poco tempo a disposizione.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

 

Protesi di spalla, cosa c’è da sapere

Per protesi di spalla si intende la rimozione e la sostituzione dei capi articolari danneggiati della spalla, nelle componenti della testa dell’omero e nella maggior parte dei casi della glena omerale, utilizzando delle componenti artificiali.

Quando prenderla in considerazione?

Si prende in considerazione la protesizzazione chirurgica, quando la spalla risulta fortemente limitata nei movimenti, associandosi ad una forte componente dolorosa e quando qualunque trattamento conservativo, abbia fallito nell’intento di regressione della patologia.

L’articolazione della spalla è composta dalla gleno-omerale ovvero dalla testa dell’omero e dalla glena, situata nella porzione esterno-laterale della scapola, dall’articolazione acromion-clavicolare composta dalla clavicola che si articola con l’acromion nella porzione supero-laterale della scapola e dall’articolazione sterno-clavicolare, tra clavicola e sterno.

Protesi di spalla 02   Queste 3 articolazioni vere convivono con due articolazioni finte di scorrimento, chiamate sottodeltoidea e scapolotoracica, che hanno il compito di ottimizzare, in maniera sinergica, i movimenti della spalla nei 3 piani dello spazio.

La stabilità e il sostegno dell’articolazione è garantita nella sua interezza dai muscoli, dai tendini e dai legamenti che circondano la spalla stessa.

Nella protesizzazione di spalla viene sostituita solamente una delle articolazioni sopra elencate ovvero l’articolazione gleno-omerale.

Il primo intervento di protesi di spalla fu eseguito negli anni ’50 negli stati uniti, in quei casi dove il paziente aveva riportato delle gravi fratture articolari superiori omerali.

Nel tempo i materiali delle protesi sono nettamente migliorati e i casi in cui l’intervento viene effettuato, sono aumentati per specie e condizioni.

Protesi di spalla 03Si è notato con l’esperienza dei molti anni di protesizzazione, che il paziente trova un netto beneficio nella riduzione del dolore e riesce a recuperare un movimento autonomo nell’affrontare le normali esigenze di vita quotidiana, ma va detto che la neo articolazione non crea una super spalla, pertanto va gestita con la consapevolezza che va incontro ad usura e che la media della sua durata si aggira tra i 15 e i 20 anni.

Pertanto l’eccessiva attività può accelerare questa usura e può portare il paziente troppo presto all’intervento di revisione della protesi, nel caso in cui l’impianto si mobilizzi all’interno dell’osso stesso o diventi dolorosa.

Proprio per questo la maggior parte dei chirurghi sconsiglia di sollevare pesi superiori a 5-10 Kg, o di effettuare sport ed attività fisiche ad alto impatto articolare per il resto della vita dopo l’intervento chirurgico.

Quando viene presa in considerazione la possibilità di sostituzione protesica dell’articolazione gleno-omerale?

Protesi di spalla 04Quando il paziente mostra una forte limitazione articolare che incide nei gesti di vita quotidiana come pettinarsi, lavarsi il viso, mettersi una giacca o una maglietta, raggiungere degli oggetti posizionati in alto al di sopra della testa.

Questa forte limitazione articolare deve associarsi ad un dolore da moderato o grave, che si presenta non solamente nel movimento della spalla, ma anche a riposo e durante le ore di sonno.

Immancabilmente il paziente lamenterà una notevole perdita di fora e uno stato di contrattura periarticolare.

Protesi di spalla 05In ultimo, per arrivare a prendere in considerazione la possibilità di sostituzione protesica della spalla, bisogna accertarsi del fallimento di ogni tipo di cura conservativa che passi attraverso la farmacologia, le infiltrazioni e la fisioterapia, lasciando il paziente e il medico sguarniti di ulteriori possibilità terapeutiche.

Quali possono essere le patologie che predispongono alla protesi di spalla?

  • gravi fratture articolari
  • artrosi
  • condizioni artritiche autoimmunitarie, metaboliche o batterico/virali
  • necrosi vascolare
  • infezioni articolari

Protesi di spalla 06Tutte queste patologie possono causare dei danni articolari irreversibili, che rovinano irrimediabilmente l’articolazione nella sua forma e nella sua funzione.

Nella diagnosi, la raccolta dei dati anamnestici e l’esame obiettivo sono importanti, consentono di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quale sia lo stato di funzione della spalla, l’attivazione del dolore al movimento, alla palpazione e alla pressione, per avere un’idea della patologia in essere e dello stato della sua gravità.

Protesi di spalla 07Importantissimo sarà il supporto della diagnostica per immagini quali:

  • RX
  • RM
  • TC

per valutare sia lo stato anatomico dell’articolazione geno-omerale e sia dei tessuti muscolo-tendinei e capsulo-legamentosi inerenti.

Ma le protesi di spalla sono tutte uguali?

Esistono varie tipologie di protesi, ognuna delle quali viene pensata per adattarsi nel migliore dei modi al paziente, cercando di garantire un buon risultato nel lungo periodo.

Vediamo quali sono.

Protesi di spalla 08Protesi totale di spalla.

Comporta la sostituzione di entrambe le superfici articolari.

Se l’osso si presenta di buona qualità, il chirurgo può scegliere di utilizzare una componente omerale non cementata, mentre se l’osso si presenta degenerato e poco robusto, la componente omerale può essere impiantata con cemento.

Protesi di spalla 09Endoprotesi di spalla.

Viene sostituita solamente la testa dell’omero, pertanto questo intervento prende il nome  di emiartroplastica.

La testa omerale viene sostituita da una componente protesica metallica, costituita da uno stelo sul quale viene inserita una sfera.

L’emiartroplastica viene consigliata quando la testa omerale è gravemente degenerata ma le restanti componenti articolari sono normali.

Protesi di spalla 10Protesi di spalla di rivestimento o emicefalica.

Si procede alla sostituzione della superficie articolare della testa omerale con una protesi a cappuccio senza stelo.

Questo tipo di intervento viene preso in considerazione quando la superficie articolare glenoidea è intatta, quando il collo o la testa omerale non presentano fratture o dismorfismi, nei soggetti  giovani o molto attivi.

Questo tipo di impianto evita i rischi di usura e allentamento delle componenti convenzionali protesiche.

Da non sottovalutare il fatto che la protesi emicefalica può essere facilmente convertita in una protesi totale di spalla, nel momento in cui, per usura ulteriore della restante porzione articolare e del rivestimento metallico stesso, se ne presenti la necessità.

Protesi di spalla 11

Protesi inversa di spalla.

E’ una protesi particolare dove le convessità e le concavità articolari vengono invertite.

E’ indicata nei pazienti che presentano:

  • un grave danno anatomico della cuffia dei rotatori
  • in quei soggetti che mostrano un grave danno anatomico dell’articolazione gleno-omerale, con un cambiamento di forma non solo delle superfici articolari, ma che dell’osso nella sua qualità biologica e nelle linee di forza
  • nei pazienti che hanno subito un precedente fallimento di protesizzazione classica.

In questo tipo di intervento, il paziente può continuare ad avvertire dolore, anche se in maniera ridotta e non riacquistare un soddisfacente movimento soprattutto in abduzione.

Come procede il periodo post operatorio di recupero della funzione della neo-articolazione?

Protesi di spalla 12Il periodo di recupero post impianto, prevede una serie di attenzioni che coinvolgono varie condizioni:

  • la gestione della ferita chirurgica, sia nel periodo della permanenza dei punti, sia nel momento di chiusura totale e rimarginazione della ferita, per evitare che si formino aderenze e che sia il più elastica possibile, in maniera da poter scorrere correttamente in relazione ai tessuti sottostanti
  • la gestione del dolore che deve essere ridotto al minimo, utilizzando antinfiammatori naturali come il ghiacciaio e farmaci antinfiammatori e/o antidolorifici, in maniera da non creare circoli viziosi di contratture antalgiche muscolari
  • Protesi di spalla 13l’utilizzo di mezzi di scarico e protezione, quali tutori appositi di posizionamento della spallail drenaggio dell’arto superiore per eliminare i gonfiori e gli edemi conseguenti all’atto chirurgico per l’impianto della protesi
  • il recupero dell’articolarità della spalla in maniera progressiva e cauta, riprestinando in contemporanea le sinergie biomeccaniche rispetto alla scapola, al gomito, al polso e alla mano
  • il recupero del tono trofismo muscolare dei muscoli inerenti la spalla, per l’attivazione in autonomia delle neo articolazione nei 3 piani dello spazio
  • il recupero delle corrette posture e attivazioni vertebrali, che possono risultare alterate nei compensi, per il prolungarsi della patologia articolare e del dolore associato
  • l’allenamento nella gestione delle attività di vita quotidiane nella maniera più vantaggiosa del paziente, rispetto alla nuova condizione articolare

l’indottrinamento nella gestione della protesi, per evitare un’usura eccessivamente precoce o il danneggiamento delle componenti protesiche impiantate.

Protesi di spalla 14Spesso il paziente pone una domanda precisa su quanto tempo sarà necessario per completare l’iter di recupero post operatorio.

Questa domanda non può avere una risposta unica; l’esito del percorso sarà totalmente personale, in base al tipo di protesi impiantata, alla patologia con cui il paziente si presenta all’intervento, all’età biologica del paziente e alla condizione fisica generale della persona.

La protesi di spalla è un intervento importante e complesso, va affrontato con pazienza e determinazione nell’impegno necessario per il recupero dell’articolazione, cercando di non forzare la guarigione, ma rispettando i tempi biologici per stabilizzare l’impianto e ricreare un rapporto di lavoro congruo con i tessuti muscolari, tendinei e capsulari.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Rinforzare la muscolatura addominale migliora la postura?

Mi trovo spesso a dover affrontare questo argomento con i miei pazienti.

La domanda è troppo generica per dare una risposta unica e universale.

La muscolatura addominale

Muscolatura addominale 02Partiamo con il dire che un luogo comune, è quello di pensare che la muscolatura addominale sia solamente individuata nei retti addominali.

In realtà per muscolatura addominale va intesa l’intera cintura muscolare che recinta l’addome nella sua interezza.

Quali sono i muscoli dell’addome.

  • muscoli retti addominali
  • muscoli trasversi
  • muscoli obliqui
  • muscolo quadrato dei lombi

Questa quartina muscolare crea una rivestimento muscolare con funzione dinamica e parzialmente posturale della zona addominale, principalmente in relazione alla colonna vertebrale, al bacino e alla zona toracica nei limiti inferiori, apportando degli aggiustamenti anche al contenuto viscerale.

Ma torniamo alla domanda iniziale

RINFORZARE LA MUSCOLATURA ADDOMINALE MIGLIORA LA POSTURA?

Muscolatura addominale 03No, rinforzare la muscolatura addominale non migliora la postura!

Non migliora la postura perché il segmento di diretto interesse, come ho accennato prima, è la zona lombare rispetto alla rampa condrocostale, rispetto alle ultime coste della gabbia toracica e rispetto ai bordi superiori del bacino.

Non migliora la postura perché la curva di lordosi lombare non riesce da sola a dare un’equilibrio dell’intera colonna.

Non migliora la postura perché troppo spesso le 5 vertebre lombari hanno delle modificazioni di curva intersegmentali, incongruenti con la biomeccanica di appoggio discale e con la funzione delle faccette articolari.

Muscolatura addominale 04E allora perché rinforzando la muscolatura addominale spesso si ottengono dei benefici per la risoluzione dei dolori lombari e lombo-sacrali?

Perché aumentare la tonicità e il trofismo dei muscoli prima citati, dà un enorme beneficio in tutti quei casi dove il paziente soffra di instabilità vertebrale causata da artrosi, discopatie degenerative e da patologie vertebrali quali spondilolitesi, argomento già trattato in uno dei miei precedenti articoli ( https://ambrogioperetti.it/instabilita-vertebrale/ ).

L’aumento del tono muscolare addominale, aumenta la pressione addominale, stabilizzando il segmento vertebrale lombare, riducendone gli effetti patologici dell’instabilità vertebrale.

Le patologie

Quindi aumentare la capacità muscolare addominale è una panacea per tutte le patologie vertebrali del segmento lombare?

Purtroppo no.

Il quadro patologico lombare è molto vasto e ci sono delle situazioni dove la compressione di tale segmento è deleterio per lo stato di salute della suddetta zona.

Le ernie intraspongiose, le algodistrofie dei piatti discali, le discoprite degenerative, le ernie discali irritative e sintomatologicamente attive, subiscono un peggioramento se incontrano un aumento di pressione della zona lombare stessa.

Muscolatura addominale 06Aumentare il tono dei muscoli addominali, ha anche un effetto sul contenuto della cavità addominale, che può essere peggiorativo nei casi di diminuzione del transito intestinale e nei casi di stitichezza, inoltre ha un effetto negativo sul drenaggio venoso e linfatico sia del contenuto addominale che dei segmenti vertebrali.

Va però fatta una specifica delle 2 fasi del lavoro muscolare addominale, ovvero quando si fanno gli esercizi e quando si è a riposo con gli effetti dell’aumento del tono muscolare.

Durante l’esecuzione degli esercizi, per effetto attivo, migliora il transito intestinale del momento e quella della circolazione dei liquidi, va prestata però attenzione a come si svolgono gli esercizi stessi, perché la loro esecuzione, se fatta male e fuori controllo, può creare delle disfunzioni vertebrali, incrementando le patologie degenerative.

Allora come posso capire se il rinforzo muscolare della cintura addominale è utile al paziente?

Esami posturali e strumentali

Muscolatura addominale 07E’ necessario fare un esame posturale per inquadrare il segmento lombare, rispetto all’intero sistema vertebrale della colonna, stabilendo se la curva di lordosi è corretta e se è in sinergia per la ricerca del baricentro, per la corretta attivazione biomeccanica vertebrale segmentale e di gruppo.

E importante individuare le eventuali patologie vertebrali e diagnosticarle in base a dimorfismi, a degenerazioni discali, a patologie neurologiche radicolari o del canale vertebrale.

Può ritenersi fondamentale avvalersi di immagini diagnostiche quali rx sui piani sagittali, frontali e nel caso ci sia un sentore di instabilità vertebrale, diventa utile integrarle con rx dinamiche in massima flessione ed estensione.

La RM aiuta invece a studiare lo stato anatomico delle strutture discali, radicolari, dei legamenti longitudinali posteriori, dei legamenti gialli e l’eventuale presenza di algodistrofie dei piatti discali.

L’esame TC sarà utilizzato per verificare la presenza di stenosi dure del canale midollare, causate da dimorfismi delle faccette articolari e/o dalla formazioni di osteofiti o di esostosi perimetrali.

Concludendo, possiamo dire che il rinforzo della muscolatura addominale non risulta fruttuoso per la correzione della postura vertebrale, ma può esser utile per la gestione di una parte delle patologie vertebrali biomeccaniche e degenerative, che possono causare una sintomotalogia che volga alla cronicizzazione.

Muscolatura addominale 08Negli altri casi, è meglio cercare delle strategie terapeutiche differenti per gestire le disfunzioni del paziente, cercando poi di stabilizzarle con un’attività fisica completa, che miri a creare una buona sinergia tra tutte le componenti muscolari che abbiano rapporto con la colonna vertebrale e con i cingoli pelvici e scapolari.

Pertanto generalizzare un concetto di postura e salute, con il semplice rinforzo della muscolatura addominale, diventa eccessivamente banale, lontano dalle necessità di offrire una soluzione stabile per il recupero dello stato di benessere del paziente.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.