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Aracnoidite

Con il termine di aracnoidite si descrive uno stato di infiammazione del tessuto aracnoideo che avvolge le strutture neurologiche quali il cervello e il midollo spinale.

aracnoidite infiammazioneAnatomia

L’aracnoide è una struttura che fa parte delle meningi e si interpone tra altri due foglietti meningei, individuati nella dura madre e nella pia madre.

L’aracnoide e la pia madre sono tra loro in stretta relazione perché connesse tramite tessuto connettivo e per tale motivo possono essere chiamate in maniera unitaria con il nome di leptomeningi.

L’aracnoide e con essa il sistema dei foglietti meningei, tappezzano la parte interna tanto della scatola cranica, tanto del canale vertebrale.

Tra l’aracnoide e la pia madre si crea uno spazio, chiamato spazio subaracnoideo, dove vi è contenuto il liquido cefalo-rachideo.

L’aracnoide è formata da tessuto connettivo fibroso ricco di collagene ed elastina ed è scarsamente vascolarizzata ed innervata.

aracnoidite anatomiaL’aracnoidite è una patologia con tendenza alla cronicizzazione; non se ne ha un’origine eziologica sufficientemente chiara e proprio per questo è difficile associarne una cura mirata.

Sono pochi i casi in cui l’aracnoidite coinvolge la porzione cerebrale e midollare; nella stragrande maggioranza delle volte la porzione maggiormente interessata è la radice spinale nel tratto intravertebrale/foraminale.

L’aracnoidite si forma per delle risposte infiammatorie che scatenano reazioni edematose nelle radici spinali, le quali possono evolvere se non bloccate per tempo, in un’alterazione del tessuto radicolare stesso, apportando danni alle cellule e mutandone le loro conformazioni.

L’aracnoidite può addirittura ostacolare la normale circolazione del liquido cefalo-rachideo, causando dolori vertebrali e cefalee.

L’aracnoidite adesiva è la forma più complessa, può avere un’ulteriore evoluzione nell’aracnoidite ossificante, mettendo il paziente a rischio di gravi disabilità.

ARACNOIDITE 2I sintomi della aracnoidite

I sintomi sono legati alla formazione di tessuto cicatriziale e di aderenze secondarie, che possono sfociare in forme sopra accennate di aracnoiditi adesive, a carico dei nervi contenuti nel canale vertebrale.

Questo comporta la comparsa di nevriti irritative/compressive e ancor peggio di deficit neurologici.

Tra i sintomi neurologici legati alla sensibilità, troviamo la comparsa di parestesie, sensazione di caldo, di freddo, formicolii, dolore pungente, dolore urente, percezioni vibratorie cutanee superficiali e profonde.

A livello motorio, il paziente può lamentare alterazioni del tono
muscolare, con riduzione della forza e della resistenza alla richiesta di contrazione di un muscolo specifico o di una catena muscolare, finanche ad arrivare ad un danno di funzione del sistema propriocettivo di controllo e coordinamento.

aracnoidite 3Possono manifestarsi delle contratture antalgiche riflesse e delle alterazione nella risposta dei R.O.T (riflessi osteo- tendinei).

Il tutto si traduce in una difficoltà nel compiere gesti banali di attività quotidiana, arrivando persino a non riuscire a mantenere un corretto assetto vertebrale nelle posture erette e sedute.

Se l’aracnoidite coinvolge non solamente le strutture
neurologiche radicolari ma anche il midollo vertebrale, si possono manifestare delle disfunzioni gravi dei sistemi viscerali di funzionamento, perdendo la funzione di equilibrio dei sistemi attivanti e di controllo neurovegetativi, comportando dei non feedback nei riflessi corti viscerali e in quelli viscero somatici.

Le cause

causeLe cause che possono portare all’aracnoidite non sono ben chiare, in alcuni casi si può affermare che l’eziologia è sconosciuta e possono variare con una multifattorialità che spazia da:

  • reazioni avverse all’introduzione erronea di farmaci per via diretta, anziché nello spazio epidurale, alla porzione più intima delle leptomeningi
  • nella somministrazione di mezzi di contrasto come nella mielografia
  • alla presenza di virus e batteri, introdotti attraverso il circolo ematico o in ambienti non perfettamente sterili durante interventi di chirurgia vertebrale
    come conseguenza di ernie discali cronicizzate e dal nucleo erniato disidratato e indurito
  • come conseguenza della stenotizzazione del canale vertebrale, soprattutto se a carico dei tessuti molli anziché osteo-articolari
    per la presenza di emorragie non tempestivamente tamponate e drenante.

Diagnosi della aracnoidite

aracnoidite anamnesiPer diagnosticare l’aracnoidite è fondamentale procedere con un’attenta anamnesi, capace di individuare la storia clinica del paziente, inquadrandola sia sotto un aspetto sintomatologico e sia nello storico di eventi patologici, di cure e somministrazioni farmacologiche effettuate e di eventuali interventi chirurgici subiti.

I test clinici saranno di grande importanza per evidenziare segni di nevrite periferica o centrale, in relazione ai movimenti indotti e richiesti ed ai riflessi condizionati stimolati.

L’elettroneurografia può essere un esame di valido supporto nel rilevare sindromi neurologiche periferiche irritative.

Nel caso si voglia valutare la presenza di ossificazioni aracnoidee, l’esame maggiormente indicato sarà la TC, perché è in grado di studiare con maggior attenzione la presenza di calcificazioni e/o addensamenti sensibili alle radiazioni.

L’RM con contrasto può essere un supporto diagnostico importante nello studio del segmento vertebrale in rapporto ai tessuti neurologici contenuti.

Come trattare l’aracnoidite

ChirurgiaIl trattamento dell’aracnoidite non ha ad oggi un protocollo terapeutico comprovato, pertanto si tende ad assistere il paziente riducendo i sintomi, recuperando ed ottimizzando le funzioni residue nelle attività di vita quotidiana, lavorando sulla propriocettività e sull’adattamento posturale.

Diventa importante studiare degli ausili che possano concorre nell’efficienza del paziente allo svolgere delle proprie attività, senza incrementare i sintomi caratteristici della patologia.

L’intervento chirurgico di disimbrigliamento del sistema nervoso coinvolto nell’aracnoidite, non sempre è possibile e qualora sia applicabile, non assicura un miglioramento stabile nel tempo.

L’aracnoidite è una patologia importante che può arrecare danni considerevoli alla salute del paziente, proprio per questo all’insorgere dei primi sintomi ci si deve rivolgere allo specialista di riferimento, per bloccare il processo infiammatorio ed edematoso.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l!articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Ernia iatale e reflusso gastro esofageo

Anatomia

L’ ernia iatale è una traslazione di una porzione dello stomaco dalla cavità addominale verso la cavità toracica, il tutto attraversando un punto anatomico ben preciso, che si chiama iato esofageo.

Ernia Iatale_01Lo iato esofageo si posiziona sul diaframma e stabilisce l’unione tra l’esofago e lo stomaco.

Spesso all’ernia iatale si può associare il reflusso gastro esofageo, va sottolineato però che è una probabilità e non una costante causa effetto dell’ernia iatale stessa.

Ernia Iatale_02L’ ernia iatale è classificata principalmente in tre categorie:

  • ernia iatale da scivolamento
  • ernia iatale da rotolamento
  • ernia iatale mista.

Andiamo ad analizzarle insieme.

L’ ernia iatale da scivolamento e sicuramente la più diffusa, non è permanente, risultando in alcuni casi transitoria per posizione e volume.

C’è uno scivolamento della parte alta dello stomaco nel torace e spesso si sposta dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto a seconda del tipo di sforzo compiuto o di posizione che il paziente assume.

Ernia Iatale_03L’ ernia iatale da rotolamento vede la porzione superiore della grande curvatura dello stomaco fare una rotazione e un rotolamento portando la giunzione gastroesofagea, dalla zona addominale verso la cavità toracica, una porzione del fondo dello stomaco quindi passerà nel torace.

E’ un’ernia molto più stabile perché si incarcera passando il diaframma all’interno del torace stesso.

Nell’ernia iatale mista troviamo un’unione delle componenti delle due ernie viste prima, quindi avremo sia il fondo dello stomaco che rotola dalla parte addominale verso la cavità toracica e sia la giunzione gastro esofagea che migra all’interno del torace.

Fattori di rischio

Le cause primarie dell’ernia iatale sono alterazioni di pressione addominale, alterazione dell’equilibrio delle pressioni tra torace e addome, obesità, gravidanze, lassità del tessuto connettivo, scarsità del tessuto collagene , colpi di tosse, sforzi addominali intensi, prolungati o improvvisi, fumo di sigaretta, alterazione del rapporto idratativo, alimenti che aumentano i fattori ossidativi, cure farmacologiche e non che possono alterare la qualità dei tessuti.

Sintomi

L’ ernia iatale può essere asintomatica ma nel momento in cui non lo fosse, i sintomi possono includere vari campi di manifestazione.

Ernia Iatale_04Per un’ernia iatale sintomatica possiamo trovare un reflusso gastro esofageo come prima accennato, può manifestarsi una pirosi ovvero un dolore urente retrosternale, possiamo trovare delle manifestazioni di rigurgito ed eruttazione, delle forme di extrasistole quindi un un battito cardiaco prematuro e possiamo trovare una condizione di disfagia ovvero la sensazione sgradevole durante la deglutizione di passaggio difficoltoso del cibo dalla faringe, condizione definita di bolo faringeo.

Nei casi dove l’ernia iatale sia molto grande, si possono manifestare delle difficoltà respiratorie dovute al cambiamento del movimento diaframmatico nell’atto inspiratorio ed espiratorio.

In alcune casi può comparire l’asma dove la restrizione bronchiale è data dagli acidi gastrici che risalgono nella porzione alta del torace e della gola, venendo poi inalati nelle vie aeree e creando infiammazione bronchiale.

Ci può essere anche un’irritazione della gola e un’ irritazione delle corde vocali con un abbassamento e/o un cambiamento del tono della voce stessa.

Si può verificare una reazione infiammatoria della faringe e della laringe.

Si può presentare una modificazione delle cellule dell’esofago creando delle metaplasie ovvero dei cambiamenti cellulari reversibili denominati epitelio di Barret o esofago di Barret.

Ernia Iatale_05Abbiamo quindi capito che molti di questi sintomi sono causati dal passaggio di acido gastrico nell’esofago per la cattiva continenza dello iato esofageo stesso, per un rapporto anatomico alterato tra il diaframma e i suoi pilastri, lo stomaco, l’esofago e il cattivo rapporto del punto di inversione delle pressioni.

Diagnosi

Per la diagnosi sono varie le strade:

  • Ernia Iatale_06RX con il mezzo di contrasto per lo studio del tratto superiore del tubo digerente.
    Il problema di questa tecnica diagnostica è che non sarà possibile analizzare il cambiamento di cellule ne il prelievo delle stesse, non sarà possibile valutare la tridimensionalità dell’ernia iatale e non ultimo, l’utilizzo del mezzo di contrasto.
  • Ernia Iatale_07Gastroscopia il cui vantaggio è quello di catalogare da subito
    il tipo di ernia iatale individuata.
    Permette di prelevare pezzetti di tessuto per analizzarli nel caso in cui si noti una conformazione atomo biologica modificata e potenzialmente patologica.
    Anche l’utilità di controllare lo stato dell’esofago ed un potenziale danno cellulare prodotto dall’ eventuale presenza di reflusso gastro esofageo.

Trattamento.

Il trattamento si svolge su più fronti:

  • Farmacologico, sono varie le categorie di farmaci che vengono utilizzati per ridurre l’effetto dell’ acidità gastrica.
    Si usano antiacidi di barriera che inibiscono la secrezione gastrica così come si possono utilizzare farmaci che favoriscono lo svuotamento gastrico quindi il passaggio dell’acido gastrico dallo stomaco verso il duodeno.
  • La cura dell’alimentazione mirerà a ridurre le calorie, i grassi, l’alcol e tutte quelle sostanze che aumentano e favoriscono l’acidità dello stomaco.
  • Ernia Iatale_08Postura. Sarà importante durante il riposo nelle ore notturne o più in generale nella posizione sdraiata, mettere un cuneo che vada a rialzare la parte della cervicale e del torace in modo da non favorire il ritorno degli acidi gastrici verso le vie toraciche superiori.
    Le posture, sia in posizione eretta che in quella seduta, devono evitare di volgere verso l’accentuazione della cifosi, perché la chiusura in avanti della colonna vertebrale, favorirà l’ernia iatale nella sua evoluzione.
  • Ernia Iatale_09Trattamenti manipolativi che mirano a migliorare e coordinare il movimento tra il diaframma, il torace e l’addome, aggiustandone tra di loro sia la cinetica che il rapporto di pressione.
    Va da sé che per fare questo bisognerà ottimizzare la postura tra le catene anteriori e le catene posteriori e il meccanismo di equilibrio delle meccaniche respiratorie.
  • Intervento chirurgico. Nei casi dove ci sia pericolo eccessivo e massivo del paziente, li dove nessun altro trattamento mostra un’efficacia nel tempo e nella cura, la chirurgia può essere l’unica alternativa.
    Gli interventi oggi utilizzati sono di vario genere:
    Riportare l’ernia nella cavità addominale, liberare il fondo dello stomaco nei rapporti di contiguità, eseguire una plastica dei pilastri diaframmatici, mettere in opera una plastica antireflusso con varie tecniche adattabili nel migliore dei modi alla conformazione dei pazienti.

 

Epicondilite e epitrocleite

La bella stagione e la ripresa dell’attività sportiva porta spesso con se il riaffacciarsi di fastidi e patologie legate al movimento. Tra queste, per tutti gli amanti del tennis, golf e sempre di più del padel, troviamo l’epicondilite e l’epitrocleite.

Definizione di epicondilite e epitrocleite

L’epicondilite e l’epitrocleite sono patologie ortopediche di tipo infiammatorio, a carico di due gruppi muscolari importanti dell’avambraccio impegnati nel triplice rapporto tra il segmento mano, avambraccio, braccio.

Epicondilite e epitrocleite06Le epicondiliti sono notoriamente conosciute come gomito del tennista e le epitrocleiti come gomito del golfista.

Le patologie infiammatorie sono a carico della struttura tendinea o in relazione alla giunzione muscolare o in relazione alla giunzione ossea, nei casi più gravi addirittura ad entrambe.

Il dolore si manifesta lateralmente al gomito nell’epicondilite e medialmente al gomito nell’ epitrocleite.

Epicondilite e epitrocleite 05Non di rado questi dolori si irradiano distalmente andando verso il polso, nei casi più seri si può associare l’ interessamento di una o più dita della mano ed alterazione della sensibilità e della dolorabilità.

Le cause

Le cause che sviluppano epicondiliti ed epitrocleiti sono molte ma le più frequenti sono dovute ad alterazione della postura dell’arto superiore.

Per postura dell’arto superiore si intende la relazione tra la spalla il gomito il polso e la mano nei tre pani dello spazio, spesso con conflitto dorso-cervicale associato.

La spalla e la scapola devono orientare l’arto superiore, il gomito deve adattare il movimento e il polso e la mano sono effettrici del movimento fine e calibrato.

Il braccio e l’avambraccio devono essere in equilibrio rispetto a un piano di rotazione interno ed esterno.

La postura diventa importante per poter far si che l’equilibrio dei muscoli intrarotatori ed extrarotatori del braccio e pronatori e supinatori dell’avambraccio possano fare un lavoro in sincrono.

Epicondilite e epitrocleite 04Anche la flessione e l’estensione del polso diventa fondamentale per poter utilizzare al meglio la muscolatura e l’articolarità dell’avambraccio e quindi del gomito, senza dimenticare che anche la mano gioca su un equilibrio di archi come fosse il piede con la volta plantare, per poter creare un accomodamento nella presa degli oggetti e nell’adattare la mano e le dita alla presa.

Epicondilite e epitrocleite 03Se solo pensiamo e notiamo la postura mantenuta nel stare seduti ad una scrivania, lavorando con il mouse e la tastiera del computer, noteremo che la posizione del soggetto sarà squilibrata verso la rotazione interna e la flessione.

I muscoli ad inserzione epitrocleidea sono flessori e pronatori, i muscoli ad inserzione epicondiloidea sono estensori e supinatori.

È altresì vero che insieme agli squilibri muscolari statici e dinamici, queste patologie infiammatorie possono essere innescate anche da traumi e microtraumi ripetuti manifesti anche sotto forma di vibrazioni profonde e continue, errori di impugnatura (per grandezza e peso) con associata prensione prolungata.

Non è raro trovare associati segni neurologici periferici sia di tipo parestetico, con alterazione della sensibilità, sia di tipo motorio con riduzione della forza e della resistenza muscolare.

Questo può avvenire dopo tempo dall’insorgenza della patologia ortopedica a causa del condizionamento del tessuto neurologico implicato per rapporto di vicinanza.

La diagnosi dell’ epicondilite e epitrocleite

La diagnosi principale viene fatta con esame ecografico, ma non di rado vengono effettuate radiografie per esaminare eventuali calcificazioni insorte o di risonanze magnetiche per lo studio dei tessuti molli, capsule articolari, legamenti, tendini e muscoli nel dettaglio.

Epicondilite e epitrocleite 02È fondamentale condurre un buon test biomeccanico-clinico per capire dove le strutture siamo squilibrate nel trasferimento del movimento tridimensionale tra la spalla il gomito e la mano.

Il trattamento

La terapia deve mirare a ridurre in tempi rapidi l’infiammazione utilizzando le varianti possibili a disposizione, ghiaccio, riposo, farmaci, infiltrazioni, terapie fisiche.

Epicondilite e epitrocleite 01Passata la fase acuta è importante rimuovere la causa, posture errate, sollecitazioni meccaniche, effetti vibratori esterni, sovraccarichi, costrizioni, cattive impugnature etc.

Nei casi più estremi si può arrivare alla chirurgia con intenti diversi a seconda del tipo di intervento pensato e attuato sul paziente.

Sarà cura dello specialista poi ristabilire il giusto equilibrio delle aree articolari e dei tessuti muscolo-tendinei nella loro corretto rapporto di movimento, elasticità e tonicita.

Non ultimo va indicata la giusta strada per poter prevenire il ripetersi di situazioni simili, mediante esercizi e attenzioni mirate alla giusta gestione del proprio fisico rispetto all’ ambiente di vita quotidiano.

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Salute, Cura, Sport, Prevenzione

Salute Cura Sport Prevenzione 01Come si mantiene un corpo in salute? La patologia che ci colpisce in che modo può essere curata?

Lo sport può curare una malattia? Curare è meglio di prevenire o la prevenzione è la miglior cura?

Lo sport può avere un ruolo nella multidisciplinarieta della prevenzione?

Salute Cura Sport Prevenzione 02Iniziamo con il dire che il corpo umano è una macchina perfetta che nasce e sviluppa la sua struttura e le sue funzioni in maniera coordinata e continua.

Nel momento in cui la persona conclude la fase di sviluppo, parte il rafforzamento in ogni suo aspetto: scheletrico, muscolare, cardiaco, polmonare, cognitivo, intestinale, immunitario etc etc.

Quando anche la fase di rinforzo termina si ha un periodo di stabilità dove si gode dello stato di efficienza guadagnato, questo periodo durerà per anni e sarà più o meno lungo a seconda della condizione in cui ci si arriva.

Salute Cura Sport Prevenzione 03Come in tutte le cose belle purtroppo c’è anche qui un risvolto meno piacevole, il corpo incomincia a perdere capacità, resistenza e inizia il lento decadimento.

La macchina umana è progettata per avere un inizio così come una fine, è il naturale corso delle cose e non può essere cambiato.

La patologia quindi è l’altra faccia della salute, ma non per questo dobbiamo farci scoraggiare.

Salute Cura Sport Prevenzione 04Proprio perché siamo coscienti di questo dualismo dobbiamo sfruttare la conoscenza e il sapere in nostro possesso per aumentare il ciclo della vita nella sua durata e soprattutto nella sua qualità.

La patologia è una perdita della normale anatomia e del suo funzionamento al punto tale da creare delle disarmonie complesse che rompono l’equilibrio dello schema di funzionamento e del mantenimento del miglior stato di salute.

La patologia la possiamo affrontare in vari modi:

  • cercare di recuperare l’anatomia originaria, confidando nella capacità di rigenerazione (li ove sia possibile) o di cambiamento autonomo rispetto a stimoli costanti e prolungati
  • modificando l’anatomia in maniera da eliminare il fattore patologico ma lasciando la capacità di avere una funzione consona alla struttura che era in origine
  • sostituendo l’anatomia malandata con un artificio studiato dalla scienza, simile ma mai del tutto uguale, il tutto per mezzo della chirurgia e nei casi estremi della protesizzazione
  • recuperare la funzione di ciò che sta lavorando male o ha smesso di funzionare del tutto, tramite macchinari, farmaci, terapie manuali di tipo fisioterapiche o osteopatiche.

Salute Cura Sport Prevenzione 05

Lo specialista sanitario, per curare un paziente, deve essere competente e capace di fare una raccolta dati (anamnesi) con la quale idealizzare la causa del problema, attuare un insieme di test clinici e dove sia necessario affiancarli con indagini diagnostiche e di laboratorio in modo da dare un nome e cognome (diagnosi) alla patologia che affligge il soggetto, scartando le varie ed eventuali diagnosi secondarie.

Salute Cura Sport Prevenzione 06

Una volta individuata la patologia in essere, bisogna applicare una cura che sia mirata al recupero dell’anatomia ove sia possibile e della funzione in maniera totale o almeno parziale, in modo da ritrovare lo stato di salute.

La prognosi, ovvero la previsione sull’evoluzione della condizione in essere, sarà proporzionale al grado di danno con cui il paziente si presenta, in base al tipo di patologia diagnosticata, se acuta, cronica o degenerativa e in base ai mezzi che si hanno a disposizione, terapie farmacologiche, terapie manuali, terapie chirurgiche.

Lo sport che ruolo ha?

Sicuramente non può essere una cura, perché come abbiamo capito, per guarire una persona bisogna lavorare con accortezza e attenzione alle condizioni modificate che si avventano sull’equilibrio dell’individuo.

Salute Cura Sport Prevenzione 07Lo sport ha però il compito di mantenere attivo una macchina umana su vari distretti, cardiaco, polmonare, metabolico, muscolare, articolare, psicologico, etc.

Lo sport è quella attività che è necessaria per non far decadere il corpo e per mantenere attivo lo stato di benessere.

Lo sport è fondamentale nel periodo della crescita e nel periodo dell’anzianità, ancor di più che nei decenni intermedi, perché nelle prima e ultima fase della vita il corpo ha una necessità di svilupparsi con vigore per poi mantenersi nelle sue molteplici funzioni.

Attenzione però a non esagerare.

Salute Cura Sport Prevenzione 08Lo sport così com’ è fruttuoso e nobile può essere logorante se portato al limite, classico è vederne la differenza tra uno di tipo ludico e uno agonistico, dove l’estremizzazione porta ad usura e alla predisposizioni a danni immediati e/o futuri.

Nel caso in cui lo sport sia estremizzato diventa lui stesso una causa di patologie soprattutto di tipo ortopedico, ma può coinvolgere anche campi ben diversi come quello cardiaco, vascolare, polmonare, etc.

Lo sport deve essere il nostro compagno di vita ma tenendo presente che non può in nessun caso sostituirsi alla cura sanitaria; deve essere di supporto allo stato di mantenimento e miglioramento della vita quotidiana, senza esasperarla, altrimenti esso stesso diverrà un fattore scatenante per alcune patologie.

Lo sport se fatto con costanza e moderazione può essere fruttuoso e virtuoso anche come partner della prevenzione.

Salute Cura Sport Prevenzione 09

La prevenzione è un canale che comprende il campo sanitario,

il quale programma una serie di controlli generali in condizione di normalità e specifici nel caso non cui il soggetto sia stato colpito da patologia o li dove ci sia una predisposizione a sviluppare o evolvere una malattia.

La prevenzione è fatta anche di buone abitudini quotidiane, come l’alimentazione, il riposo, la gestione dello stress, etc. etc.

Lo sport rientra nel concetto di prevenzione perché proprio per il movimento che fa compiere alla macchina umana, riduce i fattori di rischio legati all’alimentazione, mantiene più reattiva la muscolatura dando sostegno allo scheletro umano, migliora le capacita cardio polmonari, interagisce con il processo digestivo, stimola il sistema vascolare e linfatico, aiuta il ciclo sonno veglia e in alcune situazioni alza la soglia del dolore percepito.

Per concludere, le patologie meritano l’attenzione dello specialista sanitario, per diagnosticare, per curare e per indicare la strada della salute.

Lo sport fatto con regolarità e non esasperato ha un ruolo attivo nel mantenimento della salute e nella prevenzione e pertanto…….

buono sport a tutti!!!

 

Rotula bipartita

Rotula bipartita 01La rotula bipartita è una patologia a carico del ginocchio, che si caratterizza per una mancata fusione di uno (o più di uno) dei nuclei di ossificazione, rispetto all’unità primaria della rotula stessa.

La rotula è un osso definito sesamoide, il più grande nel contesto del corpo umano, che si posiziona anteriormente all’articolazione femoro-tibiale del ginocchio, contenuto in un sistema crociato formato dal tendine del muscolo quadricipite, dal tendine rotuleo e dai reticoli laterali e mediali della rotula.

Ha il compito di ottimizzare la funzione del muscolo quadricipite, rispetto ad un asse apparentemente svantaggioso, che si sviluppa tra la diafisi femorale e quella tibiale.

La rotula bipartita non è una patologia molto frequente, si stima che possa arrivare ad un massimo del 6% della popolazione e nella maggior parte dei casi il suo riscontro è totalmente fortuito, in virtù del fatto che è pressoché asintomatica; solamente il 2% di chi ne è affetto, riferisce una sintomatologia che conduce il paziente a visita dallo specialista.

Conseguentemente a quanto detto, la diagnosi di rotula bipartita viene elaborata nella stragrande maggioranza dei casi, in concomitanza di esami casuali inerenti al ginocchio, per indagare patologie indipendenti a carico dell’articolazione stessa.

Rotula bipartita 02La rotula bipartita ha una classificazione specifica, che viene catalogata in base al posizionamento del frammento rotuleo non ossificato:

  • bipartitismo di tipo 1

mancata ossificazione del polo inferiore (5%)

  • -bipartitismo di tipo 2

mancata ossificazione del polo laterale (20%)

  • bipartitismo di tipo 3

mancata ossificazione del polo supero-laterale (75%)

Va aggiunto che in una sottoclassificazione, lo stato in essere della patologia, può differenziarsi tra una bipartizione della rotula o in una tripartizione, a seconda di quanti sono i nuclei di ossificazione che non portano a termine il loro sviluppo all’interno del contesto osseo sesamoideo.

Rotula bipartita 03Generalmente la rotula bipartita è asintomatica, ma nei casi in cui dovesse venire a manifestare dei segni patologici, il paziente riferirebbe:

  • dolore nella zona anteriore del ginocchio
  • limitazione nella flessione e nell’estensione articolare in prossimità dei gradi estremi
  • presenza di gonfiore associato a dolenzia, nella zona perirotulea
  • riduzione della forza e della resistenza dei muscoli della coscia.

Questa serie di sintomi comporta una riduzione di funzione dell’articolazione del ginocchio, con una perdita delle capacità ordinarie e ludiche, non totalmente invalidanti, ma sufficientemente fastidiose al punto tale da dover ricorrere allo specialista.

La patogenesi della rotula bipartita è da imputare alla mancata ossificazione dei nuclei di accrescimento cartilaginei in relazione con l’unità primaria rotulea, come avevamo accennato all’inizio dell’articolo.

Le cause della mancata ossificazione possono riscontrarsi in:

  • eventi traumatici
  • infarto vascolare della zona
  • trazioni muscolo-tendinee e legamentose eccessive
  • alterazioni del metabolismo
  • la combinazione dei fattori sopra citati.

Se il paziente è asintomatico, il riscontro della bipartizione rotulea è del tutto fortuito ed avviene in concomitanza di esami articolari, richiesti per delle patologie associate al ginocchio del tutto indipendenti.

Rotula bipartita 04Nel caso in cui invece il paziente manifesti un disagio patologico, è bene procedere ad una visita specialistica, dove in appoggio all’esame obiettivo, verranno richieste delle indagini diagnostiche per valutare la presenza del distacco parcellare rotuleo e lo stato in essere dell’osso sesamoide, rispetto alle strutture muscolo-tendinee e legametose.

dolore-ginocchioGli esami di supporto sono l’RX e la TC, che ci permettono di valutare con attenzione lo stato anatomico osseo, mentre l’esame RM, ci permetterà di valutare la presenza del bipartitismo rotuleo, in relazione ai tessuti molli ad esso annessi.

La rotula bipartita viene messa in trattamento solamente nei casi in cui sia sintomatica e invalidante nelle attività di vita quotidiana.

Il primo approccio e di natura farmacologica e fisioterapica.

A livello farmacologico vengono utilizzati farmaci antinfiammatori della categoria FANS, con l’intento di ridurre l’infiammazione e l’edema concomitante.

Possono essere associati farmaci antidolorifici e molecole antiedemigene per limitare la soglia di dolorabilità e interrompere l’arco riflesso che induce alla contrattura antalgica riferita.

L’antiedemigeno ha il compito di ridurre l’edema e con esso diminuire l’effetto compressivo sui compartimenti periarticolari rotulei, migliorando l’escursione articolare e lo scorrimento delle catene miofasciali.

Rotula bipartita 06La fisioterapia ha il ruolo di recuperare le capacità motorie e funzionali dell’articolazione del ginocchio e di recuperare le capacità tonico-trofiche della muscolatura associata, che otterranno il massimo del beneficio, se associate ad un allenamento propriocettivo, mirato ad aumentare le risposte integrate dei meccanocettori articolari.

Sempre nell’ambito fisioterapico, la sintomatologia associata alla rotula bipartita, può essere affrontata grazie  all’utilizzo di terapie antinfiammatorie e biostimolanti, mediante l’utilizzo di apparecchiature dedicate.

Nel caso in cui i protocolli sopra indicati, non sortiscano l’effetto sperato, sarà necessario ricorrere alla chirurgia per via artroscopia o per accesso a cielo aperto.

chirurgiaIn entrambi i casi l’intento sarà indirizzato in 3 possibili direzioni:

  • escissione del frammento rotuleo
  • lisi del retinacolo rotuleo
  • distacco dell’area inserzionale del vasto laterale.

Ovviamente il tipo di intervento chirurgico sarà indirizzato in base alla categoria di appartenenza della bipartizione rotulea.

Per quanto riguarda la scelta del tipo di intervento, se in artroscopia o a cielo aperto, si protende a scegliere la via artroscopica, per ridurre gli effetti del danno chirurgico, ma non sempre sarà una scelta possibile, perché la complessità dell’intervento può far protendere il chirurgo ad una accesso a cielo aperto, operando con maggior sicurezza e con un campo di azione maggiore.

L’intervento chirurgico, di qualsivoglia natura, avrà la necessità di sottoporre il paziente ad un periodo di riabilitazione, in grado di ottimizzare il recupero articolare, muscolare, propriocettivo e di eliminare gli effetti dell’atto chirurgico stesso.

La rotula bipartita è una patologia generalmente silente, che difficilmente pone il paziente in una condizione di crisi, ma nel caso in cui dovesse manifestare una sintomatologia, ha la possibilità di risoluzione, intervenendo su vari fronti e con una percentuale di successo molto alta.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

Condropatia Femoro Rotulea

La condropatia femoro rotulea è una patologia a carico della cartilagine di rivestimento della rotula.

Condropatia Femoro Rotulea 01Anatomia

La cartilagine rotulea si riduce per eventi degenerativi o traumatici, spesso le due condizioni si associano come conseguenza nel tempo, di un rapporto causa effetto tra un trauma e una degenerazione o viceversa.

La patologia si manifesta con dolore nella zona rotula, associata a crepitio o scroscio durante il movimento del ginocchio, che il paziente stesso riferisce come una sensazione di sfregamento rumoroso durante la flessione e l’estensione.

Il ginocchio è un’articolazione formata da 3 parti ossee di cui la rotula è la porzione che ha il compito di gestire l’asse di funzionamento del quadricipite, prima che si inserisca sulla zona di aggancio tibiale denominata tuberosità tibiale.

Condropatia Femoro Rotulea 02Il femore e la tibia non sono perfettamente allineate tra di loro e per tanto non lo è neanche il quadricipite; se lo considerassimo nelle sue porzioni di giunzione osteotendinee, questo creerebbe un disassiamento e una sublussazione ogni qualvolta si facesse un movimento, facendo perdere forza ed efficacia.

Quindi possiamo affermare che la rotula crea un aggiustamento dinamico correttivo durante l’articolarità tra femore e tibia.

I carichi compressivi e di trazione sulla rotula sono eccessivi per sperare che da sola possa mantenere una corretta posizione nel movimento di scivolamento e traslazione, pertanto viene guidata e trattenuta dal bordo condiloideo femorale esterno, che è maggiormente sviluppato e dai legamenti alari che trattengono la rotula rispetto ai due condili femorali, assicurandone il corretto movimento ma anche il mantenimento della giusta posizione all’aumentare della forza di trazione del quadricipite.

Come guida al movimento della rotula rispetto al femore, troviamo una cresta sulla faccia interna della stessa, che si alloggia in uno spazio tra i condili femorali (gola intercondiloidea), direzionando il movimento della rotula quando è trazionata dal quadricipite durante la flessione del ginocchio.

La faccia interna della rotula, cosi come ogni porzione articolata, è rivestita di cartilagine, con il compito di proteggere la porzione ossea, di favorirne lo scivolamento e di ridurne gli attriti.

Condropatia Femoro Rotulea 03La condropatia femoro rotulea si sviluppa nel momento in cui si crea ripetutamente una disarmonia durante il movimento articolare di piegamento del ginocchio e del suo ritorno all’estensione, associato ai movimenti minori di accomodamento in rotazione interna ed esterna.

La cartilagine per effetto compressivo sui condili femori e sui bordi della gola intrecondiloidea, subirà una modificazione da sfregamento e da compressione che danneggerà l’integrità della cartilagine stessa, andandola a fissurare lungo la sua superficie, rovinandone l’integrità.

Da qui la comparsa del rumore durante il movimento e il dolore sulla zona rotulea.

Condropatia Femoro Rotulea 04Il dolore da cosa è dato?

Il dolore è dato dai nocicettori intrarticolari che vengono attivati dall’aumento della sensibilità ossea non più correttamente ricoperta e protetta dalla cartilagine, dal gonfiore e dall’infiammazione che si manifesta nella zona periarticolare per irritazione dei tessuti molli capsulari e sinoviali.

Anche i menischi stentano a mantenere la stessa funzionalità, perché nel momento in cui la rotula perde la sua normale funzione, i condili femorali creeranno un movimento di adattamento sulla tibia e i menischi cercheranno di compensare come possono, andando a determinare un risentimento sulla porzione della capsula articolare interna a e sul legamento collaterale interno.

La diagnosi clinica vede un test primario della rotula e del suo stato di salute, a cui sarà necessariamente associato una valutazione clinica dei menischi, della capsula articola e del legamento collaterale interno.

Condropatia Femoro Rotulea 05Diagnosi della condropatia femoro rotulea

Nella diagnostica per immagini sarà possibile valutare la situazione con una risonanza magnetica che ci mostrerà lo stato in essere della rotula nella sua posizione, nel rapporto di vicinanza rispetto alla gola intercondiloidea, lo stato in essere della cartilagine e dei tessuti periarticolari di cui abbiamo parlato prima, evidenziando o meno uno stato infiammatorio ed edematoso.

La cura prevede a livello farmacologico l’utilizzo di antinfiammatori non steroidei, eventualmente associati ad infiltrazioni di acido ialuronico, per ridurre l’infiammazione e aumentare la viscosità articolare.

Si può applicare del ghiaccio quando il gonfiore del ginocchio risulta evidente o per scopo preventivo dopo un’attività fisica prolungata.

Condropatia Femoro Rotulea 06La fisioterapia e l’osteopatia possono migliorare in maniera importante lo stato in essere del ginocchio nella condizione di condropatia, perché riescono a recuperare l’equilibrio muscolare del quadricipite rispetto alla catena posteriore dei muscoli ischiocrurali, possono far ritrovare una sinergia dell’anca rispetto al bacino e all’aspetto posturale vertebrale, in maniera da scaricare il ginocchio e la rotula da atteggiamenti di flessione accentuata.

Riescono ad equilibrare il lavoro della rotula rispetto ai legamenti interessati, rispetto alla capsula articolare e ai menischi, in maniera tale da recupera una qualità di movimento esaustivo nelle attività di vita quotidiana.

Possono ridurre il gonfiore dell’articolazione drenando la parte linfatica o vascolare venosa, che ha congestionato l’articolazione.

La condropatia femoro rotulea è un danno anatomico degenerativo che non regredisce, ma possiamo gestirla nel migliore dei modi per far sì che si stabilizzi e che non continui la sua corsa patologica oltre modo rispetto allo stato naturale di invecchiamento della persona.

Esercizi per la spalla

Esercizi_spalla_01Nell’articolo della scorsa settimana ho parlato della sindrome da conflitto subacromiale.

Ho introdotto la patologia inquadrandola dal punto di vista anatomico, sintomatologico, eziologico, diagnostico e come viene approcciato nei vari capitoli sanitari (farmacologico, riabilitativo e chirurgico).

Oggi andrò ad esporvi come poter affrontare in maniera autonoma il ricondizionamento di salute della spalla qualora si possa fare a meno dell’aiuto di un professionista sanitario o nel caso ci sia bisogno di mantenere quello che i protocolli di medicina hanno ottenuto con le loro cure.

Vi ricordo brevemente che la spalla è composta da 5 articolazioni, 3 propriamente dette (articolazioni vere) e 2 articolazioni funzionali (articolazioni false).

Le 3 articolazioni propriamente dette sono:

  • l’articolazione gleno omerale (tra la testa dell’omero e la scapola – porzione della glena)
  • l’articolazione acromion clavicolare (tra la clavicola e la scapola – porzione dell’acromion)
  • l’articolazione sterno clavicolare (tra lo sterno e la clavicola)

Le 2 articolazioni fisiologiche sono:

  • l’articolazione sottodeltoidea
  • l’articolazione scapolo toracica

Esercizi_spalla_02I movimenti che la spalla può compiere sono:

  • elevazione anteriore (flessione)
  • elevazione posteriore (estensione)
  • abduzione (elevazione laterale)
  • adduzione (depressione mediale)
  • rotazione esterna
  • rotazione interna
  • circonduzione

La scala dei movimenti elencati è complessa, soprattutto perché vede la necessità di armonizzare e rendere corali, la sincronizzazione delle 5 articolazioni che entrano in gioco e della colonna vertebrale, la quale deve coadiuvare i movimenti nei sui valori più elevati.

Gli esercizi che sto per mostrarvi sono divisi in:

  • esercizi di stretching e di recupero articolare
  • esercizi per il ripristino del trofismo e del tono muscolare.

Gi esercizi di stretching vengono messi in un capitolo unico perchè una spalla patologica vede spesso congiunti gli accorciamenti muscolari alla perdita di articolarità, pertanto è ottimale coniugarli per ottenere un risultato bivalente ed efficace.

Vediamoli insieme:

ESERCIZI DI STRETCHING E DI RECUPERO ARTICOLARE

Esercizi_spalla_031) dalla posizione eretta poggio la mano sinistra su di un tavolo inclinando il busto in avanti.

Il braccio destro è penzoloni perpendicolarmente al pavimento.

Faccio un movimento di circonduzione del braccio destro in moto rotatorio

  • 5 volte in senso orario per 30 secondi
  • 5 volte in senso antiorario per 30 secondi

Questo esercizio aiuta a decoaptare la testa dell’omero rispetto alla gleno omerale

Esercizi_spalla_04

2) con la mano sinistra prendo il mio gomito destro, portando il braccio ad 80° medializzandolo.

  • 3 volte, mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio permette l’apertura dello spazio gleno scapolare postero-laterale e la traslazione esterna della scapola sul torace

Esercizi_spalla_053) mi siedo su uno sgabello con rotelle di fianco ad un tavolino basso.

Posiziono la mano destra sul piano di appoggio e mantengo il braccio dritto

Scendo con il busto in avanti mentre con il sedere vado in dietro per mezzo dello sgabello, in maniera da aprire lo spazio tra i torace e la spalla.

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio mi consente di aumentare l’elevazione anteriore della spalla in maniera passiva, evitando di creare compensi e di aumentare le contratture muscolari.

Esercizi_spalla_064) apro il braccio a 90° e poggio la mano sulla parete per fare punto fisso, il gomito è esteso e il busto è in posizione perfettamente frontale.

Mantenendo la posizione invariata della mano e del braccio, faccio una torsione del busto dal lato opposto come mostrato dalla freccia.

  • 3 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio permette l’apertura dello spazio gleno omerale mediale e l’avvicinamento della scapola alla linea mediale della colonna vertebrale

Esercizi_spalla_075) posiziono i palmi delle mani su entrambi i fianchi, subito sopra i glutei, da questa posizione avvicino i miei gomiti tra di loro e apro le spalle portandole indietro.

  • 4 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 30 secondi

Questo esercizio permette di aprire lo spazio anteriore delle spalle e di aumentarne l’elasticità capsulare e legamentosa, creando una sinergia con l’estensione della colonna vertebrale.

Esercizi_spalla_086) dalla fase 1 dove mi posiziono lateralmente alla parete, con la mano in appoggio sul muro, passo alla fase 2 dove porto il braccio ad alzarsi lateralmente, mentre il mio fianco tende ad avvicinarsi al muro di appoggio (come indicato dalle frecce rosse)

  • 4 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 40 secondi

Questo esercizio permette di aprire lo spazio gleno omerale inferiore e di coadiuvare il movimento a bascula della scapola rispetto all’estensione vertebrale.

Esercizi_spalla_097) mi posiziono sdraiato sul fianco con il braccio sinistro in appoggio a 90° rispetto al busto.

Con la mano destra afferro il polso sinistro e facendo perno sul gomito, faccio ruotare il braccio sia in senso orario che antiorario.

  • 3 volte in senso orario mantenendo la posizione massima raggiunta per 40 secondi.
  • 3 volte in senso antiorario mantenendo la posizione massima raggiunta per 40 secondi.

Questo esercizio permette di mobilizzare la testa dell’omero sia in rotazione esterna, quanto in rotazione interna, stabilizzando la scapola.

Esercizi_spalla_108) dalla posizione supina, con la mano destra del braccio dolorante, impugno l’apice del bastone e faccio aderire il gomito al busto, mantenendo un angolo di 90° tra braccio ed avambraccio.

Con la mano sinistra impugno l’altra estremità del bastone

Spingo il bastone con l’arto sinistro verso destra, come indicato dalla freccia.

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio mi aiuta a migliorare il movimento di rotazione esterna dell’omero stabilizzando la scapola rispetto al torace.

Esercizi_spalla_119) afferro un bastone con entrambe i palmi delle mani rivolte in avanti.

Con il braccio destro sano, spingo il bastone lateralmente a me e verso l’alto, come descritto dalla direzione della freccia. trascinando il braccio sinistro dolente e poco mobile, anch’esso verso l’alto.

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi

Questo esercizio mi permette di ricondizionare il movimento di abduzione, in maniera assistita, per migliorarne l’articolarità con il minimo impegno muscolare.

Esercizi_spalla_1210) afferro l’apice del bastone con il palmo della mano destra, ovvero con la mano del braccio dolente, mentre con la mano sinistra prendo la parte inferiore del bastone.

Alzo il bastone frontalmente a me e verso l’alto, come indicato dalla freccia.

  • 5 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 45 secondi.

Questo esercizio mi permette di ricondizionare il movimento di elevazione anteriore, in maniera assistita, per migliorare l’articolarità con il minimo impegno muscolare.

Esercizi_spalla_1311) impugno con la mano destra del braccio dolente un asciugamano portando il braccio dietro la schiena sopra la zona glutea.

La mano sinistra afferra l’altro capo dell’asciugamano e lo solleva sopra la spalla come mostrato nella figura.

Con la mano sinistra estendo il braccio verso il soffitto trascinando il braccio destro nella stessa direzione come mostrato dalla freccia.

  • 4 volte mantenendo la posizione massima raggiunta per 30 secondi

Questo esercizio mi permette di migliorare il movimento di rotazione interna del braccio associandola alla migrazione della scapola verso la zona mediale vertebrale, su di un piano frontale.


Dopo aver lavorato sul recupero dell’elasticità muscolare e dell’articolarità, passiamo adesso ad analizzare gli esercizi per il ripristino del trofismo e del tono muscolare.

ESERCIZI PER IL RIPRISTINO DEL TROFISMO E DEL TONO MUSCOLARE

Esercizi_spalla_141) dalla posizione supina inizio con la posizione 1, le braccia sono aperte a 90° rispetto al busto e i gomiti ben appoggiati alla superficie di contatto.

Da qui faccio un movimento per passare in maniera sequenziale alla posizione 2 e poi alla 3.

  • 20 volte ripetendo la sequenza senza interruzioni.

Questo esercizio mi permette di riattivare la muscolatura rotatoria specifica per l’omero, facendo lavorare le sue fibre muscolari nei range maggiori.

Esercizi_spalla_152) parto dalla posizione 1, supino e con le braccia lungo i fianchi, per arrivare alla posizione 2 con le braccia estese al massimo delle loro possibilità e i palmi delle mani rivolti uno verso l’altro.

  • 20 volte ripetendo la sequenza senza interruzioni

Questo esercizio mi permette di attivare a muscolatura per l’elevazione anteriore, scaricando parzialmente la funzione vertebrale, ma recuperando una coordinazione motoria sinergica coinvolgendo tutte e 5 le articolazioni della spalla.

Esercizi_spalla_163) sono seduto con la schiena ben eretta e le braccia lungo i fianchi.

Nella fase 1 porto le braccia a 90° frontalmente per poi proseguire nella fase 2 ad una elevazione completa delle braccia fin sopra la testa, con i palmi delle mani che si guardano tra di loro.

  • 20 volte ripetendo la sequenza senza interruzioni.

Questo esercizio mi permette di attivare la muscolatura per l’elevazione anteriore delle braccia mettendo in relazione la muscolatura intrinseca con quella vertebrale, ma riducendo al minimo i compensi eventuali che potrebbero manifestarsi sulla cerniera lombo sacrale.

Esercizi_spalla_174) parto seduto con le braccia posizionate lungo i fianchi e la schiena bene eretta.

Alzo le braccia per arrivare fin sopra la testa, facendo attenzione al movimento delle mani, le quali devono essere con i palmi rivolti verso il basso quando le braccia si trovano ad un’altezza di 90°, per poi essere con i palmi rivolti tra di loro nel momento della massima estensione delle braccia.

  • 20 volte ripetendo la sequenza senza interruzioni.

Questo esercizio mi permette di attivare la muscolatura per l’elevazione laterale delle braccia, mettendo in relazione la muscolatura intrinseca con quella vertebrale, ma riducendo al minimo i compensi eventuali che potrebbero manifestarsi sulla cerniera lombo sacrale.

Esercizi_spalla_185) utilizzo un elastico per esercizio fisico, che fisso su un punto di ancoraggio a scelta.

Nella posizione di partenza della fase 1, sto in posizione eretta, la mano afferra l’elastico e il gomito è flesso a 90° con il braccio aderente al busto.

Nella fase 2 porto il gomito posteriormente contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio mi aiuta a migliorare il trofismo e ad aumentare il tono muscolare per gli estensori posteriori della spalla, sfruttando il coordinamento della scapola nel medializzare verso la colonna vertebrale.

Esercizi_spalla_196) utilizzo un elastico per esercizio fisico che fisso su un punto di ancoraggio a scelta.

Nella posizione di partenza della fase 1, sto in posizione eretta, la mano afferra l’elastico e il gomito è flesso a 90° con il braccio aderente al busto.

Nella fase 2 porto il polso e l’avambraccio verso il gomito opposto, contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio mi aiuta a migliorare l’attività muscolare dei gruppi rotatori interni, con specificità maggiore per il segmento gleno omerale.

Esercizi_spalla_207) utilizzo un elastico per esercizio fisico che fisso su un punto di ancoraggio a scelta.

Nella posizione di partenza della fase 1, sto in posizione eretta, la mano afferra l’elastico e il gomito è flesso a 90° con il braccio aderente al busto.

Nella fase 2 porto il polso e l’avambraccio verso l’esterno, continuando a mantenere il gomito aderente al busto, con un angolo di 90°, contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio mi aiuta a migliorare l’attività muscolare dei gruppi rotatori esterni, con specificità maggiore per il segmento gleno omerale.

Esercizi_spalla_218) sono in posizione eretta con le braccia lungo i fianchi, impugnando un capo dell’elastico con la mano, mentre l’altro capo lo tengo bloccato dal piede omolaterale, come nella figura della fase 1.

Nella fase 2 piego il gomito portando la mano verso la spalla, contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio serve per attivare la muscolatura dei flessori del gomito, sincronizzandoli con i fissatori della scapola.

Esercizi_spalla_229) sono in posizione eretta, con una mano afferro il capo di un elastico per esercizio fisico, alzando il gomito fino all’orecchio e portando la stessa mano dietro la nuca.

Con l’altra mano afferro l’altro capo dell’elastico, accorciando la presa quanto basta per dare una giusta tensione di resistenza all’elastico, portando la mano dietro la schiena, come mostrato nella figura della fase 1.

Nella fase 2 mantengo la mano dietro la schiena ferma, creando un punto fisso, mentre l’altro braccio fa un estensione di gomito, contrastando la resistenza che l’elastico mi offre.

  • 20 volte

Questo esercizio serve ad attivare i muscoli degli estensori del gomito, sincronizzandoli con i fissatori della spalla impegnati nella stabilizzazione in elevazione.

Esercizi_spalla_2310) sono in posizione eretta e con entrambe le mani afferro i due capi degli elettici da esercizio fisico.

Con i piedi blocco la porzione centrale dell’elastico e porto le braccia all’altezza delle spalle tenendo i gomiti flessi a 90° come mostrato nella figura della fase1.

Nella fase 2 estendo entrambe le braccia verso l’alto cecando di avvicinarle in maniera sincrona alla testa ed estendendo al massimo i gomiti.

  • 20 volte

Questo esercizio serve a migliorare la funzione muscolare degli elevatori delle spalle e nel contempo di aumentare la capacità di stabilità delle spalle stesse in armonia con le scapole.

Abbiamo esaminato più di venti esercizi per il recupero della funzionlità della spalla, sia a livello articolare, sia nel recupero muscolare.

L’articolazione della spalla ha un’importanza enorme per poter compiere i gesti usuali della quotidianità.

Non trascuriamola, abbiamo le possibilità di curarla per bene, con impegno, costanza e un po di spirito di sacrificio.

Diamoci da fare!

Neuroma di Morton

Il neuroma di Morton è una patologia dolorosa della parte anteriore del piede, a carico della zona di giunzione tra i nervi plantari e i nervi interdigitali.

Conosciamo meglio il Neuroma di Morton a partire dall’anatomia

I primi passano in prossimità dei metatarsi, i secondi si diramano dall’altezza delle teste metatarsali, ramificandosi verso le due dita contigue.

neuroma di morton 02Il nervo, ma più precisamente la guaina del nervo, tende a fibrotizzare, ispessendosi e sviluppando una protuberanza tondeggiante, all’altezza delle teste metatarsali, alle volte sensibile anche al tatto e alla mobilizzazione.

Il nervo più colpito è quello posizionato tra il 3° e 4° dito (3° spazio intermetatarsale), dove il volume delle teste metatarsali è maggiore.

Proprio per la biforcazione che il nervo interdigitale subisce, il dolore si irradierà sulla faccia laterale del 3°dito e quella mediale del 4°dito.

Non è assolutamente da escludere che il neuroma di Morton si possa sviluppare anche nel 2° e nel 4° spazio intermetatarsale.

Quali sono i sintomi del Neuroma di Morton?

I sintomi che il paziente lamenta possono essere:

  • dolore
  • bruciore
  • intorpidimento
  • formicolio

I 4 segni sopra citati si estendono dal punto dove si sviluppa il neuroma, andando ad irradiarsi anteriormente, lungo il decorso dei nervi interdigitali; difficilmente si ripercuotono a ritroso, ovvero verso la pianta dl piede.

neuroma di morton 03Alle volte viene riferita la sensazione di avere un corpo estraneo nella scarpa.

I sintomi inizialmente vengono lamentati durante la deambulazione, durante lo svolgimento di un’attività fisica, quando il paziente sta molto in piedi, quando mette le scarpe con il tacco, oppure scarpe strette in punta, mentre nella cronicizzazione patologica i disturbi si manifestano anche a riposo.

La comparsa dei sintomi è graduale, così come la loro intensificazione, il tutto dovuto all’aumento progressivo della fibrotizzazione della guaina del nervo in questione.

Le teste dei metatarsi sono la parte più voluminosa delle ossa metatarsali e pertanto occupano spazio a scapito dei tessuti limitrofi con cui convivono.

I fattori scatenanti

Il processo di fibrotizzazione può essere causato da molteplici fattori che agiscono singolarmente o si associano tra di loro.

neuroma di morton 04Vediamo quali possono essere:

  • sfregamento del nervo sulle teste metatarsali
  • compressione del nervo tra i tessuti molli e le teste metatarsali
  • aumento del tessuto fibroso limitrofo
  • piede piatto
  • dita a martello
  • appiattimento della volta plantare trasversa
  • microtraumi ripetuti
  • sollecitazioni ripetute
  • utilizzo eccessivo delle scarpe con il tacco
  • utilizzo eccessivo delle scarpe strette in punta
  • presenza di callosità importanti nell’area metatarsale.

Come si diagnostica il neuroma di Morton?

Come sempre è fondamentale un’anamnesi attenta, che raccolga i dati sia sintomatologici, sia della modalità della manifestazione del dolore, sia dei fattori possibili scatenanti nel tempo a lungo termine che nella giornata.

Validi sono i test utilizzati per scatenare in maniera specifica i sintomi patologici, oppure esami palpatori che possano valutare la presenza di masse anomale nello spazio intermetatarsale o la presenza di uno scatto alla mobilizzazione.

Sempre di fondamentale aiuto sono le indagini strumentali, capaci di farci vedere le alterazioni anatomiche e la presenza della fibrotizzazione della guaina del nervo.

neuroma di morton 05Gli esami comunemente utilizzati sono:

  • l’ecografia
  • la risonanza magnetica.

Va detto che l’ecografia e le radiografie sono utilizzate anche nei casi dove la patologia in questione sia dubbia e sia necessario valutare delle diagnosi differenziali che possano manifestare sintomi simili.

neuroma di morton 06Queste patologie differenti ma simili per sintomatologia possono essere:

  • borsiti
  • capsuliti
  • fratture da stress
  • microfratture
  • osteocondrosi metatarsali
  • forme artrosiche o artritiche.

La terapia del neuroma di Morton ha molte possibili alternative da utilizzare.

Può essere trattato in maniera conservativa, oppure con intervento chirurgico.

Vediamo quali sono le varie alternative:

  • neuroma di morton 07antinfiammatori e/o antidolorifici
  • infiltrazioni locali ecoguidate di vario genere e varia natura come collagenasi, cortisone, antinfiammatori non steroidei, terapie queste che hanno funzioni differenti, ma con l’obiettivo comune di ridurre il volume e la fibrosità del neuroma
  • radiofrequenza ablativa che tramite il riscaldamento, con corrente alternata, della punta metallica introdotta, provoca una piccola bruciatura che distrugge il tessuto ove applicato
  • fisioterapia per mobilizzare il nervo, ridurre le fibrosità, eliminare l’infiammazione, recuperare il trofismo dei tessuti molli, supportare l’appoggio del piede a terra, migliorando la funzione degli archi plantari trasverso e mediano.

La chirurgia dà il suo grosso contributo nel momento in cui le terapie conservative falliscano o non diano il beneficio preventivato.

L’intervento chirurgico percorre due direzioni differenti tra di loro, valide entrambe a seconda di quale sia la causa scatenante del neuroma di Morton.

La neurectomia prevede l’asportazione di tessuto fibroso dal nervo interdigitale sofferente.

La decompressione chirurgica, ha l’obiettivo di aumentare lo spazio circostante al nervo in questione, per ridurre gli effetti irritativi infiammatori.

Come prevenire?

Abbiamo capito quali possono essere le cure utilizzate per affrontare la patologia di oggi, ma cerchiamo anche di capire come prevenire la manifestazione del neuroma di Morton.

E’ importante utilizzare scarpe dalla pianta comoda che non stringano in punta, cosi come è importante che non si utilizzino le scarpe con il tacco per tante ore consecutive e per lunghi periodi, in maniera da non sottoporre a eccessivo stress di carico, la zona dell’avampiede e dei metatarsi.

neuroma di morton 08Bisogna assolutamente evitare che il piede si irrigidisca nelle sue porzioni articolari.

Si deve stare attenti alla corretta funzione degli archi plantari sia nella statica che nella dinamica del paziente, suonando un campanello di allarme nelle condizioni di piede piatto, di piede cavo e nelle malformazioni delle dita a martello.

L’attività fisica è sempre consigliata, cosi com’è consigliata l’attenzione nell’utilizzo di scarpe adatte a dissipare i carichi ripetuti e potenzialmente lesivi nelle zone del piede più a rischio.

La percentuale di guarigione è molto alta e le alternative di cura sono molte, questo però non deve dare motivo di farci cogliere impreparati.

Abbiamo tutte le possibilità di vivere al meglio la nostra quotidianità e l’attività fisica, godiamoci la nostra salute.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

La sindrome di Hoffa

La sindrome di Hoffa è un’infiammazione del cuscinetto adiposo posto dietro la rotula, occupando lo spazio tra la porzione postero-inferiore della rotula stessa, i condili femorali e la zona anteriore del piatto tibiale.

Anatomia

sindrome di hoffa 01Il cuscinetto adiposo di Hoffa è una struttura intracapsulare ma extrasinoviale, dove la sinovia articolare risale sulla parte posteriore del corpo di Hoffa ricoprendolo, prendendo rapporti con la plica infrapatellare che si estende fino alla gola intercondiloidea.

Il corpo di Hoffa è ben vascolarizzato e innervato da fibre nocicettive; queste due caratteristiche mettono il tessuto nella condizione di poter sviluppare un processo infiammatorio in piena regola.

La struttura di Hoffa può cambiare posizione, forma e volume assumendo un ruolo biomeccanico nel movimento articolare del ginocchio, mitigando la flessione, l’estensione, la traslazione e le forze compressive.

Durante i gradi di flessione dell’articolazione, arretra nella sua posizione , mentre nei gradi di estensione trasla anteriormente.

Da molti ricercatori viene anche identificato come riserva naturale di cellule staminali, per questo motivo può essere utilizzato per i trattamenti conservativi della cartilagine.

Il dolore nella sindrome di Hoffa

La sindrome di Hoffa si presenta con un dolore nella zona anteriore del ginocchio, specificatamente localizzato nella porzione retro e peri-rotulea, che si esaspera durante gli sforzi articolari di flessione ed estensione del ginocchio, ove sia richiesto un carico muscolare di rilievo, come salire e scendere le scale, fare attività sportiva che preveda corsa, salti e resistenza attiva allo sforzo.

Spesso al dolore si associano degli scrosci articolari o crepitii che possono sommarsi ad una riduzione della capacità articolare per compiere i movimenti negli ultimi gradi di flessione e un’incapacità di completare l’estensione massima.

Le cause

sindrome di hoffa 02Tra le cause, l’ipertrofia e la fibrosi del corpo adiposo, dovute all’eccesso di utilizzo e ai microtraumi ripetuti, creano un’alterazione della mobilità del tendine rotuleo, con una conseguente resistenza nella traslazione della rotula ed un cambiamento nella meccanica di movimento della tibia rispetto all’appoggio dei condili femorali, ponendo le basi per un’infiammazione del cuscinetto adiposo di Hoffa da irritazioni, compressioni eccessive e ripetute.

La diagnosi della sindrome di Hoffa

esame obiettivoNella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la localizzazione del dolore, la funzionalità e la completezza dell’escursione articolare, soprattutto negli ultimi 10° di estensione, associandola alla comparsa del dolore e la presenza di rigidità della rotula nei movimenti di ballottamento, in presenza o meno a scrosci o crepitii.

Importante sarà anche percepire un aumento della temperatura locale del ginocchio, associato a segni di gonfiore, così come va tenuto conto delle presenza di contratture muscolari antalgiche riflesse e l’instaurarsi di atteggiamenti compensatori funzionali o posturali.

esame obiettivoDi grande aiuto sarà supportare la diagnosi clinica, tramite l’utilizzo della RM, capace sia di individuare lo stato in essere del corpo adiposo di Hoffa, sia dei sui rapporti con la capsula articolare, con le pliche sinoviali, con il tendine rotuleo e con la rotula stessa.

Il trattamento

E’ fondamentale ridurre l’infiammazione, utilizzando farmaci antinfiammatori non steroidei, associandoci l’utilizzo di ghiaccio più volte al giorno.

Nei casi in cui sia presente un edema importante, potrà essere utilizzato il cortisone come farmaco di attacco.

Di grande aiuto sarà la fisioterapia che gestirà il paziente nel ridurre i carichi di lavoro, decomprimendo il compartimento articolare anteriore del ginocchio e migliorando il tonotrofismo muscolare soprattutto del gruppo estensorio.

esercizi propiocettiviSarà molto utile utilizzare gli esercizi propriocettivi per aumentare il controllo e quindi la stabilità del ginocchio rispetto allo scarico a terra e all’appoggio de bacino sulle anche.

La chirurgia offre il suo contributo, soprattutto nei casi ove l’infiammazione abbia cronicizzato, rimanendo costantemente presente.

Gli approcci chirurgici seguono varie strade:

  • resezione totale o parziale del corpo d Hoffa
  • sinoviectomia
  • resezione di disimbrigliamento della plica infrapatellare.

Ognuna di queste tecniche porta a risultati soddisfacenti, che necessitano di un periodo di riabilitazione per recuperare l’equilibrio articolare.

La sindrome di Hoffa non è una patologia grave ma se mal curata può arrecare danni all’intera struttura del ginocchio e alla catena cinetica dell’arto inferiore.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Periostite tibiale

Che cosa è la periostite?

La periostite è una condizione patologica di infiammazione a carico del periostio.

Il periostio è la porzione più esterna dell’osso, che funge da astuccio dell’osso stesso, ad esclusione delle aree articolari e delle aree di inserzione tendinea.

E’ formato da tessuto connettivo, il quale nel processo patologico infiammatorio, subisce una trasformazione, creando delle isole di placche ossee dai contorni ben delineati, ad aspetto piatto oppure in rilievo, fino ad arrivare, nei casi più violenti e duraturi, a sviluppare delle esostosi.

Questa trasformazione ossea è causata dalla stimolazione degli osteblasti, deputati alla crescita della matrice ossea, i quali depositano materiale cellulare nella superficie più esterna dell’osso oltre che nella sua porzione strutturale intima.

La periostite tibiale è la patologia infiammatoria del periostio a carico di una od entrambe le ossa tibiali e può localizzarsi sia nella zona anteriore che posteriore della gamba.

Periostite 02Periostite acuta e cronica

La periostite può essere divisa in acuta e cronica e questa distinzione farà si che i sintomi assumeranno delle connotazioni diverse per intensità, durata e manifestazione.

Periostite acuta

La manifestazione del dolore compare in maniera rapida, alle volte violenta, con dolore che si presenta in maniera maggiore durante le attività fisiche, ma che generalmente perdurano anche a riposo.

Il dolore si attiva anche alla palpazione e alla compressione.

Vi è un aumento di calore nella zona locale della periostite, alle volte associato ad edema ed arrossamento.

Non è raro avere delle manifestazioni di aumento della temperatura corporea, soprattutto se la causa della periostite è di origine infettiva.

Periostite cronica

La sintomatologia è meno violenta, il dolore è generalmente persistente e non ha dei picchi di manifestazione.

Quando l’origine della periostite è da ricondurre ad un’aggressione patogena, il paziente può essere accompagnato da un’alterazione minima della temperatura corporea, soprattutto nelle ore serali.

Difficilmente la periostite cronica rende il soggetto inabile al movimento, ma la presenza costante del dolore in sottofondo, riduce le prestazioni fisiche per qualità, forza e resistenza, inducendo il paziente a trovare delle strategie di compenso non sempre fruttuose nel medio e lungo termine.

Periostite 03Le cause

Le cause sono molte e di vario genere.

Nella periostite tibiale i fattori scatenanti sono generalmente da ricercare nel tipo di attività sportiva che il paziente compie, nella ripetitività del gesto sportivo, nelle attrezzature utilizzate per svolgere quel tipo di sport.

E’ chiaro che non sono solamente gli sportivi a soffrire di periostite tibiale, ma anche le persone comuni e la possono sviluppare sia in ambienti di lavori predisponenti e sia nelle normali attività di vita quotidiana.

Ma vediamo insieme quali possano essere le varie cause:

  • traumi
  • microtraumi ripetuti
  • compressione prolungata o eccessiva, esempio tipico è la compressione e la pressione provocata dallo sciatore con l’appoggio della tibia sullo scarpone da sci
  • aggressioni infettive batteriche o virali
  • alterazioni della postura
  • sollecitazioni muscolari eccessive per carichi di lavoro richiesti o per alterazioni dell’equilibrio delle catene muscolari
  • alterazioni dei carichi compressivi
  • sovrappeso
  • dismetria degli arti inferiori
  • alterazione dell’appoggio e dello scarico a terra per una disfunzione di piattismo o caviamo del piede
  • calzature sbagliate durante l’attività fisica o nelle attività che prevedono delle lunghe camminate.

Diversa è la periostite causata da agenti infettivi batterici o virali.

In questo contesto l’aggressione da agente esterno può arrivare al periostio o per un evento traumatico lacerativo profondo, o per via ematica o per via linfatica.

Periostite 04Negli ultimi due casi è chiaro che ci troviamo di fronte ad un problema sistemico che vede la migrazione degli agenti patologici attraverso i sistemi circolatori e che vede il paziente coinvolto in una serie di patologie di natura diversa, che si sovrappongono tra di loro.

La diagnosi della periostite

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la localizzazione del dolore, l’eventuale presenza di edema o di arrossamenti locali, l’aumento della temperatura locale, la comparsa del dolore durante l’esecuzione di movimenti passivi, attivi e in controresistenza, la presenza di contratture muscolari antalgiche riflesse, l’instaurarsi di atteggiamenti compensatori funzionali o posturali.

RXSono assolutamente utili, nel supporto diagnostico, l’utilizzo di esami quali:

  • rx
  • rm
  • ecografia
  • esami di laboratorio per valutare i fattori ematici inerenti alla presenza di un’eventuale infezione
  • scintigrafia ossea che permette di valutare lo stato metabolico in essere della struttura colpita da infezione accertata.

Il trattamento

Nella fase acuta il paziente va messo a riposo e nel caso di una periostite tibiale, può essere utile consigliare l’uso di una stampella, per scaricare parzialmente il peso del corpo nella fase di appoggio e nella deambulazione.

FisioterapiaLa fisioterapia si rende molto utile per ridurre lo stato infiammatorio, migliorare la circolazione locale, recuperare i compensi muscolari e posturali, recuperare la forza segmentale e della catena muscolare coinvolta, rielaborare il miglior schema cinetico e biomeccanico.

Una strada molto seguita è quella di assumere antinfiammatori non steroidei, per ridurre l’infiammazione in tempi rapidi.

Nel caso di una periostite di tipo infettiva, se di origine batterica, sarà necessario somministrare una terapia antibiotica che spenga il focolaio patogeno.

Anche la chirurgia può dare il suo contributo, effettuando un incisione locale e una tolettatura chirurgica, sia nel caso di infezioni localizzate, sia nelle condizioni in cui ci sia un’edema di vecchia data, non più in grado di essere drenato.

La periostite è una patologia fastidiosa e va assolutamente evitato che cronicizzi nel tempo.

E’ facilmente diagnosticabile, com’è altrettanto semplice ricercarne la causa scatenante, pertanto sarà possibile elaborare la miglior strategia terapeutica per efficacia e tempi di remissione.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.