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Sindrome di Osgood Schlatter

La sindrome di Osgood Schlatter è una patologia che riguarda i giovani in età pre-adolescenziale e adolescenziale.

Osgood_Schlatter_01Manifestazione della sindrome di Osgood Schlatter

Si manifesta con una degenerazione a livello della tuberosità tibiale, nel punto di aggancio del tendine rotuleo, manifestando dolore e riduzione della capacità funzionale e motoria.

Vediamo di spiegarla in maniera più semplice.

Nell’età dell’accrescimento le strutture ossee sono soggette a modificazioni per permettere lo sviluppo dello scheletro che deve andare di pari passo con quello del resto del corpo.

Osgood_Schlatter_02Le cartilagini di accrescimento guidano la crescita dello scheletro, queste sono dei segmenti specifici dove l’astuccio osseo (periostio) è interrotto e infarcito di cartilagine, per dare la possibilità programmata dalla genetica e dai fattori ambientali, di seguire delle linee precise di sviluppo.

Molte di queste cartilagini di accrescimento ospitano punti di aggancio tendinei, legamentosi o entrambi, subendo forze di trazione o compressione.

Può succedere che le tensioni sviluppate nella zona delle cartilagini di accrescimento siano eccessive, tanto da creare delle perturbazioni nella vitalità del tessuto cellulare generando infiammazione e degenerazione.

Nel morbo di Osgood Schlatter succede esattamente questo, ovvero la tensione sviluppata dal tendine rotuleo, trazionato dal muscolo quadricipite, sull’aggancio della tuberosità tibiale, diventa eccessiva se sottoposta a carichi ripetuti ed e sovradosati, tanto da non essere sopportati dalla resistenza delle cellule periostali e cartilaginee che le devono subire.

Osgood_Schlatter_03Da qui si sviluppa una degenerazione locale associata spesso ad un’infiammazione della giunzione osteo-tendinea.

La struttura ossea prende un aspetto sfrangiato e disomogeneo causando la perdita di compattezza del tessuto stesso.

La tuberosità tibiale pertanto tenterà di reagire modificando la propria consistenza e creando uno spuntone osseo sovra dimensionato, come se volesse avvicinarsi alla zona di origine dei carichi per diminuirne la tensione compensandola.

Soggetti interessati dalla sindrome di Osgood Schlatter

L’epidemiologia vede maggiormente colpiti gli adolescenti in fase di accrescimento con un’età critica tra i 10 e i 15 anni.

La popolazione maschile è maggiormente interessata alla patologia rispetto a quella femminile.

Spesso la patologia si manifesta in maniera bilaterale, quasi mai contemporaneamente.

L’insorgenza del morbo di Osgood Schlatter è favorito sicuramente da una predisposizione genetica, ma anche e soprattutto da attività fisiche che vedono un impegno importante delle masse muscolari quadricipitali, dove le accelerazioni e le decelerazioni facciano parte del corredo di gioco e i saltelli siano li a completare le caratteristiche di allenamento.

Osgood_Schlatter_04La diagnosi

La diagnosi vede l’uso di varie metodiche:

  • rx
  • esame ecografico
  • rm

L’RX ci da la possibilità di valutare le alterazioni della tuberosità tibiale nel momento in cui la patologia ha già fatto il suo effetto sulle cellule ossee modificandone il profilo e la consistenza.

L’esame ecografico ci permette di valutare l’insorgenza della malattia nel momento in cui viene intaccata la cartilagine di accrescimento e quindi di accorgersi dell’insorgenza dello stadio primario dell’alterazione patologica tessutale.

La RM valuta lo stato in essere del tendine rotuleo nel momento in cui ci sia un’infiammazione ed eventualmente un edema associato, nella zona di inserzione ossea.

La diagnostica per immagini ovviamente deve essere di supporto all’ esame clinico e raccolta dati, rispetto alla situazione che ci si propone al momento della visita.

Osgood_Schlatter_05Evoluzione e trattamento della sindrome di Osgood Schlatter

La patologia tende a risolversi spontaneamente con la fine del picco di accrescimento osseo, che orientativamente avviene intorno ai 16 anni nei ragazzi e ai 14 anni nelle ragazze, è vero però che nel frattempo vengono utilizzati approcci mirati a ridurre al minimo la presenza della patologia.

Verrà rispettato un periodo di riposo dall’attività sportiva evitando di mettere in stress il ginocchio tramite la contrazione muscolare esponenziale del quadricipite.

Nei casi maggiormente acuti viene utilizzato lo scarico dell’arto tramite l’ausilio delle stampelle.

L’utilizzo del ghiaccio è proposto come antinfiammatorio naturale ripetendolo più volte al giorno, con l’intento di freddare la parte senza mai arrivare al congelamento, per evitare l’ effetto vascolare opposto.

Il piano terapeutico fisioterapico prevede l’allungamento delle masse muscolari anteriori e il loro riequilibrio rispetto ai gruppi posteriori per migliorare la sinergia contrattile dell’arto inferiore.

Osgood_Schlatter_06Verranno fatti anche esercizi minimi di rinforzo muscolare in isometrica, ovvero senza attivare l’articolarità del ginocchio, per mantenere un tono basale del quadricipite e un trofismo adeguato , in modo tale che nel momento in cui verrà autorizzato la ripresa al pieno carico, il peso e la cinetica deambulatoria non gravi completamente sull’articolazione e sulla tuberosità tibiale.

Il piano terapeutico osteopatico invece verterà sul ricercare il miglior assetto dei fulcri articolari che possano compensare il lavoro del ginocchio, verrà pertanto riequilibrato il bacino, le anche e l’appoggio in scarico dei piedi per garantire un appoggio confortevole richiedendo il minimo sforzo.

Verrà messa in campo una terapia che migliori il metabolismo dei tessuti ed elimini le tossine infiammatorie che infarciscono il tessuto osseo e quello tendineo nel loro punto di giunzione.

Verrà cercato il miglior bilanciamento legamentoso e del tessuto connettivo fasciale, in maniera da ridurre al minimo le forze di tensione che possano condizionare lo stato di tensione muscolare.

Nelle terapie farmacologiche è previsto l’utilizzo di farmaci antinfiammatori e antidolorifici pensando ad una posologia che sia sostenibile da un bambino-adolescente.

Osgood_Schlatter_07Non è da sottovalutare l’utilizzo di un tutore che preservi il tendine rotuleo dai carichi statici e dinamici nel rapporto osseo di inserzione sulla tuberosità tibiale.

Nei casi più gravi e resistenti si può arrivare al trattamento chirurgico, dove la tuberosità tibiale verrà rimodellata e pulita dalle alterazioni ossee sviluppate dall’evoluzione patologica.

Nel momento in cui la patologia venisse sottovalutata e non arginata si potrebbe arrivare alla frattura del terzo superiore della tibia per indebolimento dell’osso stesso.

Il morbo di Osgood Schlatter è sicuramente difficile da vivere in un’età giovanile, perché limita le attività ricreative e mette il soggetto in una condizione di dolore quasi costante, ma se fatta una buona diagnosi precoce e accertato lo stadio evolutivo patologico, può guarire senza lasciare alcuna conseguenza futura.

Lasciamo che i nostri figli vivano questa patologia come una pausa di riposo, dove forzare i tempi di rientro non produce nessun effetto benevolo, anzi rischia di cronicizzare i sintomi già esistenti.

Una pausa imposta può esser sfruttata facendo aumentare il desiderio di rientrare nel proprio mondo di fisicità e sport.

Epicondilite e epitrocleite

La bella stagione e la ripresa dell’attività sportiva porta spesso con se il riaffacciarsi di fastidi e patologie legate al movimento. Tra queste, per tutti gli amanti del tennis, golf e sempre di più del padel, troviamo l’epicondilite e l’epitrocleite.

Definizione di epicondilite e epitrocleite

L’epicondilite e l’epitrocleite sono patologie ortopediche di tipo infiammatorio, a carico di due gruppi muscolari importanti dell’avambraccio impegnati nel triplice rapporto tra il segmento mano, avambraccio, braccio.

Epicondilite e epitrocleite06Le epicondiliti sono notoriamente conosciute come gomito del tennista e le epitrocleiti come gomito del golfista.

Le patologie infiammatorie sono a carico della struttura tendinea o in relazione alla giunzione muscolare o in relazione alla giunzione ossea, nei casi più gravi addirittura ad entrambe.

Il dolore si manifesta lateralmente al gomito nell’epicondilite e medialmente al gomito nell’ epitrocleite.

Epicondilite e epitrocleite 05Non di rado questi dolori si irradiano distalmente andando verso il polso, nei casi più seri si può associare l’ interessamento di una o più dita della mano ed alterazione della sensibilità e della dolorabilità.

Le cause

Le cause che sviluppano epicondiliti ed epitrocleiti sono molte ma le più frequenti sono dovute ad alterazione della postura dell’arto superiore.

Per postura dell’arto superiore si intende la relazione tra la spalla il gomito il polso e la mano nei tre pani dello spazio, spesso con conflitto dorso-cervicale associato.

La spalla e la scapola devono orientare l’arto superiore, il gomito deve adattare il movimento e il polso e la mano sono effettrici del movimento fine e calibrato.

Il braccio e l’avambraccio devono essere in equilibrio rispetto a un piano di rotazione interno ed esterno.

La postura diventa importante per poter far si che l’equilibrio dei muscoli intrarotatori ed extrarotatori del braccio e pronatori e supinatori dell’avambraccio possano fare un lavoro in sincrono.

Epicondilite e epitrocleite 04Anche la flessione e l’estensione del polso diventa fondamentale per poter utilizzare al meglio la muscolatura e l’articolarità dell’avambraccio e quindi del gomito, senza dimenticare che anche la mano gioca su un equilibrio di archi come fosse il piede con la volta plantare, per poter creare un accomodamento nella presa degli oggetti e nell’adattare la mano e le dita alla presa.

Epicondilite e epitrocleite 03Se solo pensiamo e notiamo la postura mantenuta nel stare seduti ad una scrivania, lavorando con il mouse e la tastiera del computer, noteremo che la posizione del soggetto sarà squilibrata verso la rotazione interna e la flessione.

I muscoli ad inserzione epitrocleidea sono flessori e pronatori, i muscoli ad inserzione epicondiloidea sono estensori e supinatori.

È altresì vero che insieme agli squilibri muscolari statici e dinamici, queste patologie infiammatorie possono essere innescate anche da traumi e microtraumi ripetuti manifesti anche sotto forma di vibrazioni profonde e continue, errori di impugnatura (per grandezza e peso) con associata prensione prolungata.

Non è raro trovare associati segni neurologici periferici sia di tipo parestetico, con alterazione della sensibilità, sia di tipo motorio con riduzione della forza e della resistenza muscolare.

Questo può avvenire dopo tempo dall’insorgenza della patologia ortopedica a causa del condizionamento del tessuto neurologico implicato per rapporto di vicinanza.

La diagnosi dell’ epicondilite e epitrocleite

La diagnosi principale viene fatta con esame ecografico, ma non di rado vengono effettuate radiografie per esaminare eventuali calcificazioni insorte o di risonanze magnetiche per lo studio dei tessuti molli, capsule articolari, legamenti, tendini e muscoli nel dettaglio.

Epicondilite e epitrocleite 02È fondamentale condurre un buon test biomeccanico-clinico per capire dove le strutture siamo squilibrate nel trasferimento del movimento tridimensionale tra la spalla il gomito e la mano.

Il trattamento

La terapia deve mirare a ridurre in tempi rapidi l’infiammazione utilizzando le varianti possibili a disposizione, ghiaccio, riposo, farmaci, infiltrazioni, terapie fisiche.

Epicondilite e epitrocleite 01Passata la fase acuta è importante rimuovere la causa, posture errate, sollecitazioni meccaniche, effetti vibratori esterni, sovraccarichi, costrizioni, cattive impugnature etc.

Nei casi più estremi si può arrivare alla chirurgia con intenti diversi a seconda del tipo di intervento pensato e attuato sul paziente.

Sarà cura dello specialista poi ristabilire il giusto equilibrio delle aree articolari e dei tessuti muscolo-tendinei nella loro corretto rapporto di movimento, elasticità e tonicita.

Non ultimo va indicata la giusta strada per poter prevenire il ripetersi di situazioni simili, mediante esercizi e attenzioni mirate alla giusta gestione del proprio fisico rispetto all’ ambiente di vita quotidiano.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Lesione slap nella spalla

Per lesione slap si definisce una lacerazione della parte superiore del cercine glenoideo, che stando alla definizione, interessa la porzione antero-posteriore.

Il cercine glenoideo è una fibrocartilagine che circonda la glena scapolare, ottimizzando il rapporto articolare tra la testa dell’omero e la glena stessa, stabilizzando l’articolazione in sinergia con la capsula e i legamenti articolari, riducendo il rischio di lussazione.

La porzione superiore del cercine glenoideo, offre un ancoraggio ad una porzione del tendine del capo lungo del bicipite.

Le lesioni slap sono state catalogate con molteplici varianti; ne enunceremo 10 di esse, ma va detto che le prime 4 sono quelle che maggiormente vengono riscontrate e che hanno un meccanismo patogenico più comune.

  • Lesione slap 01tipo 1:

Sfaldamento degenerativo della porzione superiore del cercine glenoideo, senza segni di di distacco, ne di di perdita di congruità con la porzione inserzionale del capo lungo del bicipite.

  • tipo 2:

Distacco antero-superiore, o postero-superiore, o antero-postero-superiore  del cercine glenoideo e di una porzione dell’inserzione tendine del capo lungo del bicipite, con conseguente instabilità della spalla.

  • tipo 3:

Lesione a manico di secchio del cercine glenoideo, senza interessamento tendineo dell’aggancio del capo lungo del bicipite.

  • Lesione slap 02tipo 4:

Lesione a manico di secchio associata ad una lacerazione parziale dell’ancoraggio della porzione del capo lungo dl bicipite.

  • tipo 5:

Lesione di Bankart ovvero una lesione della porzione antero-inferiore del cercine, associata ad una lesione di tipo 2.

  • tipo 6:

Lesione di una porzione della parte superiore del cercine, con distacco dell’ancoraggio del capo lungo del bicipite.

  • tipo 7:

Lesione slap 03Distacco della porzione superiore del cercine glenoideo e del tendine del capo lungo del bicipite

  • tipo 8:

Estensione della lesione slap posteriormente oltre misura.

  • tipo 9:

Lesione slap che si estende su tutto il perimetro del cercine glenoideo.

  • tipo 10:

Lesione di bankart inversa, ovvero lesione della porzione postero-inferiore del cercine glenoideo.

Come abbiamo visto le lesioni slap per la loro differente natura, oltre che ad eventi traumatici, hanno dei fattori di rischio che ne potenziano la patogenesi quali:

  • i fattori di invecchiamento biologici legati all’età
  • le lassità capsulo-legamentose congenite, o acquisite dopo eventi traumatici
  • i movimenti ripetuti, con elevazione del braccio sopra la linea della spalla e della testa.

Nel quadro sintomatologico, il dolore nella zona periarticolare, si associa ad una limitazione dei movimenti e ad una perdita di forza nell’esecuzione del gesto voluto, alle volte associato a degli scrosci.

Lesione slap 04I movimenti che risultano maggiormente deficitari nella lesione slap sono:

  • l’abduzione semplice
  • l’abduzione al di sopra della linea della spalla
  • l’abduzione associata alla massima extrarotazione
  • l’abduzione associata all’estensione del braccio
  • l’extrarotazione semplice
  • l’intrarotazione del braccio, associata alla retropulsione.

Più la lesione slap è complessa e maggiori sono i movimenti singoli o associati deficitari, o impossibilitati nella loro esecuzione.

Anche la stabilità della spalla viene compromessa, mettendo a rischio lo stato di salute delle strutture capsulo-legmentose e muscolari, che interagiscono in maniera sinergica nella biomeccanica articolare.

Lesione slap 05Il dolore tende a localizzarsi nella zona anteriore o antero-laterale della spalla, che corrisponde sia alla sede della lesione del cercine glenoideo, sia alla zona di aggancio del capo lungo del bicipite brachiale, anche se non è raro trovare una migrazione del dolore nella zona posteriore della spalla che può estendersi fino al margine ascellare.

Il dolore oltre che essere presente durante i movimenti, sopratutto quelli che al di là della linea delle spalla, o peggio ancora, al di sopra della testa, può comparire anche durante le ore notturne se il paziente si corica dal lato dell’articolazione sofferente, mandando in compressione la testa omerale contro la cavità glenoidea e traslandola in superiorità.

La lesione slap può essere il risultato di un trauma della spalla, come una caduta sul braccio teso, un trauma diretto, una lussazione, una trazione violenta con il braccio in abduzione ed extrarotazione, un’iperestensione della spalla non coordinata con la contenzione tonica riflessa della muscolatura inerente, ma nella maggior parte dei casi, il cercine glenoideo si lesiona anche solo per il normale processo di invecchiamento della persona.

Il processo di invecchiamento è quasi sempre associato ad una degenerazione delle strutture tendinee, legamentose e cartilaginee, per cui il cercine glenoideo che sviluppa una fissurazione, ha un percorso di perdita di funzione e di dolorabilità che rimane sopito, per poi manifestarsi in maniera subdola e progressivamente invalidante.

Lesione slap 06Il sovraccarico funzionale è un’altro fattore determinante nello sviluppo della lesione, perché la ripetitività del gesto nelle condizioni di stress funzionale, porta ad una lacerazione anzitempo del cercine stesso.

Può interessare sia gli sportivi che utilizzano un movimento ripetitivo del braccio sopra la linea della spalla e peggio ancora della testa, associata ad extrarotazione, elevazione ed abduzione del braccio stesso.

Anche alcune categorie professionali possono essere interessate da questa tipologia di lesione, se utilizzano un movimento combinato come sopra descritto.

Le tendinopatie delle componenti stabilizzatrici della spalla (cuffia dei rotatori) e del capo lungo del bicipite, possono portare ad una slap, sia per il cattivo centramento della testa omerale rispetto alla glena, sia per il rapporto patologico che si può instaurare con l’aggancio del capo lungo lungo del bicipite brachiale sulla porzione cercinea glenoidea.

Lesione slap 07Nella diagnosi di lesione slap, l’anamnesi è il punto di partenza per poter identificare la presenza o meno di un trauma, così come il resoconto dei sintomi raccontati dal paziente, le compromissioni nello svolgimento delle attività di vita quotidiane e il tipo movimento che viene richiesto alla spalla sia nell’ambito lavorativo che ludico, rispetto alle caratteristiche di una lesione slap.

L’esame obiettivo dello specialista mira ad effettuare una serie di test che mettono alla prova la funzione della spalla sia nei movimenti attivi che passivi in rispondenza dell’esacerbazione del dolore e della resistenza articolare nell’attivazione muscolare congrua alla ricerca del movimento specifico.

Per quanto riguarda la diagnostica per immagini, risultano utili sia le immagini RX che quelle di RM.

L’RX di spalla ha il compito di valutare lo stato in essere delle strutture articolari, sia a livello della testa omerale che della glena scapolare, osservando l’eventuale presenza di artrosi, la riduzione degli spazi articolari, o la mal posizione della testa omerale in relazione ai regolari rapporti articolari scapolari e clavicolari.

Lesione slap 09La RM invece valuta lo stato anatomico sia del cercine glenoideo, sia delle strutture muscolo-tendinee e capsulo-legametose della spalla.

Nel caso la RM non sia in grado di fornire un’immagine sufficientemente chiara sullo stato anatomico del cercine glenoideo, si può richiedere un’ artro-risonanza con mezzo di contrasto, capace di valutare in minuzioso dettaglio, la consistenza del cercine e non solo.

La terapia di primo approccio scelta per la gestione della lesione slap è conservativa.

Le lesioni da invecchiamento o da sovraccarico funzionale, reagiscono abbastanza bene a questa strada terapeutica.

Verranno pertanto utilizzati:

  • farmaci antinfiammatori
  • applicazioni di ghiaccio
  • riposo articolare, che nelle situazioni più avanzate, può associarsi all’utilizzo di un tutore, variabile nel tempo, dai 15 ai 30 giorni
  • fisioterapia mirata al recupero articolare, al ricondizionamento delle sinergie muscolari, all’ottimizzazione del tono-trofismo muscolare, al miglioramento delle cooperazioni biomeccaniche tra la spalla, il cingolo scapolare, la colonna vertebrale e non ultimo, un allenamento del sistema propriocettivo articolare.

La terapia conservativa non ha la capacità di guarire la lesione del cercine glenoideo, ma ha l’intento di ridurre l’infiammazione e di ottimizzare le funzioni residue della spalla, per ottenere la massima performance possibile nelle attività di vita quotidiane.

Nel caso in cui la terapia conservativa non dovesse ottenere i risultati sperati, mantenendosi una situazione di dolore, di limitazione funzionale, di perdita di forza e resistenza, allora sarà necessario intervenire con la chirurgia.

Le indicazioni chirurgiche hanno un’elevata validità, in tutti quei pazienti di giovane età, che hanno necessità di utilizzare la spalla con un’alta performance, sia per motivi lavorativi che sportivi.

Generalmente si interviene per via artroscopica, riducendo le problematiche della cicatrizzazione nello short time e delle possibili aderenze periarticolari associate alle rigidità nel long time.

Lesione slap 10I tipi di intervento si differenziano a seconda del danno che la slap presenta.

Si può procedere con un’asportazione (DEBRIDMENT) della pozione di tessuto cercineo danneggiato, se la struttura in questione non ha un danno molto esteso, oppure se l’articolazione non mostra danni collaterali di rilievo.

La riparazione del cercine invece è un intervento più gravoso, perché prevede la sua ricostruzione tramite l’utilizzo di viti riassorbibili e di punti di sutura, pertanto verrà utilizzato nelle lesioni complesse che vedono un’area estesa e la complicanza delle strutture tendinee associate, in particolare modo dell’ancoraggio del tendine del capo lungo del bicipite.

Proprio per quest’ultimo fattore, spesso insieme alla ricostruzione del cercine glenoideo, si deve procedere ad una tenodesi, tagliando la porzione inserzionale cercinea del capo lungo del bicipite e inserendola sulla struttura ossea omerale nella prossimità, sufficientemente stabile e funzionale.

In entrambi i casi sarà necessario procedere con un periodo di riabilitazione, ma appare intuibile che nel caso dell’asportazione, il periodo di recupero sarà sufficientemente breve, ovvero già nell’arco di 45 giorni il paziente riesce a recuperare un’autonomia più che buona, per avere un risultato ottimale e altamente performante, in un lasso di tempo che difficilmente supera i 90 giorni.

Lesione slap 11Nel caso invece della ricostruzione, quasi sempre associata alla tenodesi, il periodo è decisamente più lungo, ed inizia con un tempo di immobilizzazione della spalla in tutore per i primi 30 giorni, durante il quale è consentito di lavorare sulle zone di cooperazione biomeccanica della spalla, arrivando ad una riabilitazione completa e ad un recupero soddisfacente nell’arco di 6 mesi circa, escluse complicanze.

In definitiva la lesione slap ha molteplici aspetti che ne definiscono il danno e l’impatto sul paziente.

L’inefficienza e il dolore che causa al paziente, deve essere gestito a tutto tondo, potendo intervenire sia in maniera conservativa che chirurgica, ma proprio per la complessità dell’eventuale periodo post operatorio, vale la pena provare in prima battuta un impegno terapeutico conservativo, per poi ripiegare nella chirurgia, qualora non sia abbiano ottenuti i benefici sperati.

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Calcoli renali

Calcoli renali 01I calcoli renali, denominati in medicina anche con il nome di NEFROLITIASI o LITIASI RENALE, sono degli agglomerati di precipitati dei sali minerali come il calcio, ossalati, fosfati, acidi urici, raggruppati in formazioni solide, che si depositano nei reni.

Inizialmente abbiamo la formazione di microcristalli, i quali aumentando il loro volume, diventano dei veri e propri sassetti e quindi dei calcoli, con delle misure che possono variare da alcuni millimetri ad alcuni centimetri.

Le conformazione dei calcoli renali può diversificarsi in contorni lisci o irregolari ed in grandezza diversa, mostrandosi piccoli come granelli di sabbia, fino ad essere grandi come delle biglie, creando condizioni più o meno difficili e più o meno dolorose, nella loro espulsione.

I calcoli una volta formatisi, possono rimanere depositati nella sede renale di raccolta per un tempo non definito, per poi dislocarsi lungo il percorso delle vie urinarie, percorrendo gli ureteri, scendendo nello scavo pelvico e quindi nella vescica, fino ad essere espulsi, seguendo l’uretra attraverso la minzione.

I sintomi che il paziente può lamentare sono variabili a seconda della dimensione del calcolo, dell’irritazione che arreca nel tragitto verso l’espulsione e se associato o meno ad uno stato infettivo delle vie urinarie.

Calcoli renali 02Pertanto alcuni soggetti saranno totalmente asintomatici, mentre altri lamenteranno un dolore sordo, profondo, nella zona lombare medio-alta e nello regione della fossa iliaca, fino a poter riferire delle vere e proprie coliche renali, caratterizzate da un dolore acuto e violento nel territorio lombo / addominale prima descritto.

Quali sono le cause che possono dare il via alla formazione dei calcoli renali?

Iniziamo con il dire che la predisposizione genetica è un fattore favorente la formazione dei calcoli renali, ma ci sono delle associazioni di fattori che aumentano in maniera esponenziale la possibilità della loro comparsa:

  • riduzione dell’apporto di liquidi in particolare dell’acqua
  • il tipo di acqua che viene bevuta
  • una dieta squilibrata
  • la disidratazione
  • processi infiammatori
  • rallentamento del fulso urinario
  • aumento della concentrazione di composti insolubili favorenti i calcoli renali
  • alterazione del ph urinario inferiore a 5
  • carenza di acido citrico
  • disfunzione ormonale in eccesso legata alla tiroide e alla paratiroidi
  • abuso di integratori quali sali minerali e vitamine
  • infezioni batteriche delle vie urinarie.

A seconda delle innumerevoli cause che possono portare alla formazione di calcoli, abbiamo delle classificazioni identificative diverse.

Calcoli renali 03La loro classificazione è importante per poter ottimizzare la cura del paziente, mirata sia a ridurre la concentrazione dei sali coinvolti nella precipitazione, sia ad aumentare le sostanze che inibiscono la precipitazione stessa.

La classificazione è divisa in:

  • calcica (ossalto di calcio // fosfato di calcio // ossalto di calcio e fosfato di calcio)
  • urica (acido urico // urato di calcio)
  • mista (ossalto di calcio // fosfato di calcio // acido urico)
  • infettiva.

Ma qual’è l’iter diagnostico dei calcoli renali?

Calcoli renali 04Si può procedere in vari modi:

  • esami ematochimici per valutare i fattori di tossicità del rene e la presenza di eventuali infezioni sistemiche
  • esami delle urine per studiare l’eventuale presenza di tracce ematiche, di batteri, o cristalli calcifici
  • analisi del calcolo renale nel momento in cui ci si accorga della sua espulsione attraverso la minzione
  • esame ecografico per studiare lo stato anatomico del rene e delle vie urinarie, avendo modo di valutare la presenza dei calcoli nella loro grandezza e nel loro alloggiamento
  • l’urografia endovenosa, un esame a raggi x, che utilizza il mezzo di contrasto per evidenziare le vie urinarie
  • l’esame tc con mezzo di contrasto (uro-tc), richiesto nei casi in cui si decida di valutare in maniera minuziosa la condizione anatomo-patologica di reni, ureteri e vescica, con la possibilità di analizzarne la funzione, nell’espulsione del mezzo di contrasto, attraverso le vie urinarie.

Calcoli renali 05Una volta elaborata una diagnosi corretta e completa, non solo sulla presenza di calcoli renali, ma anche sul tipo di formazioni litiasiche e sullo stato in essere dei reni, delle vie urinarie e della vescica, in merito all’eventuale presenza di stenosi, infezioni ed infiammazioni, si potrà procedere con una cura mirata alla risoluzione del patologia.

Il trattamento prevede numerosi approcci, diversi per metodica e interazione con il paziente.

Qualora i calcoli siano piccoli tanto da poter essere eliminati attraverso la minzione, la cura sarà prettamente farmacologica, in supporto al paziente durante la fase di espulsione del calcolo, somministrando farmaci antinfiammatori, antidolorifici, antispastici e antibiotici nel caso ci sia associata un’infezione batterica delle vie urinarie.

Calcoli renali 06Nelle situazioni in cui i calcoli siano vicini al centimetro o di dimensioni superiori, bisogna intervenire con metodiche mirate a distruggere o asportare il calcolo… vediamo di cosa si tratta.

  • Litotripsia extracorporea ad onde d’urto

Utilizza onde ad ultrasuono che colpiscono il calcolo, frantumandolo e consentendone l’espulsione a posteriori, attraverso la minzione.

Dato che il trattamento può risultare alquanto fastidioso, può essere supportato da antinfiammatori e antidolorifici.

Nel caso in cui i calcoli siano grandi, può essere richiesto più di una seduta.

  • Nefrolitotomia percutanea

Viene utilizzata in quei casi in cui la litotripsia extracorporea ad onde d’urto non possa essere praticabile, come ad esempio nei pazienti obesi.

Viene effettuata una piccola incisione percutanea per introdurre il nefroscopio, fino a raggiungere il rene, frantumando il calcolo per mezzo laser e avendo così modo di asportandolo direttamente.

  • Ureteroscopia

E’ una metodica che vede l’utilizzo dell’uretroscopio, in tutte quelle situazioni dove il calcolo rimanga bloccato nell’uretere, senza possibilità di proseguire il suo tragitto.

Il chirurgo una volta raggiunto il calcolo, può provare ad asportarlo o nel caso non ci riesca, provvederà a frantumarlo attraverso il laser.

In alcuni casi si rende necessario l’utilizzo di uno stent, per facilitare il passaggio dei frammenti del calcolo in vescica.

  • Chirurgia a cielo aperto

chirurgiaSi utilizza solamente in quei pazienti ove il calcolo sia eccessivamente grande e dalla forma irregolare.

In questo caso viene fatto un accesso chirurgico retroperitoneale, con l’intento di asportare in maniera diretta il calcolo dalla sede che lo ospita.

Essendo un intervento non privo di complicanze secondarie, il suo utilizzo è estremamente razionalizzato a quei pazienti che non hanno la possibilità di utilizzare strade alternative.

Una volta riusciti ad eliminare il calcolo, il paziente dovrà essere informato sul tipo di litiasi, per procedere con una dieta adeguata a contrastare la formazione futura di calcoli simili.

Sarà altrettanto importante bere un quantitativo di acqua sufficiente ad evitare la precipitazione dei sali minerali e ad ottimizzare il flusso delle urine nella minzione.

Altra raccomandazione sarà quella di effettuare ecografie renali preventive, per monitorare l’eventuale neoformazione di calcoli renali.

I calcoli renali sono subdoli e possono arrecare problemi di salute non indifferenti.

L’alimentazione sana, un corretto stile di vita e la prevenzione, possono aiutarci a prevenirli o a gestirli nella maniera migliore, evitandoci brutte sorprese.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.