Il busto per il mal di schiena lombare si o no

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 01 Ho parlato molte volte del mal di schiena lombare, diverso per eziologia: artrosi, discopatie degenerative, sciatalgie, cruralgie, spondilolistesi, blocchi articolari acuti, instabilità vertebrale.

Ho più volte analizzato come queste diverse condizioni scatenano un percorso patologico con dolori di intensità variabili e in alcuni casi gravemente invalidanti anche nelle più banali attività di vita quotidiana, come camminare, stare in piedi, allacciarsi le scarpe, piegarsi in avanti, fare una torsione.

Non è raro che il dolore sulla zona lombare possa irradiarsi sul gluteo, sulla coscia, alle volte scendendo fino al piede.

Non ho mai argomentato però sull’utilizzo del busto per aiutare la risoluzione di una lombalgia e visto che molti dei miei pazienti ne hanno fatto uso, o me ne chiedono indicazioni, ho deciso di parlarvene cercando di dare dei consigli di massima sulle indicazioni di utilizzo nelle varie circostanze, a seconda delle caratteristiche dei vari modelli.

Affrontiamo l’argomento per ogni singola eziopatogenesi.

artrosiARTROSI

L’artrosi è una patologia degenerativa che riduce la mobilità e la funzionalità di uno o più segmenti vertebrali lombari.

Il dolore peggiora dopo una lunga pausa di riposo e migliora con la ripresa del movimento già dopo alcune decine di minuti.

Questa condizione non riesce ad essere aiutata dall’utilizzo di un busto lombare, perché ne ridurrebbe ulteriormente il movimento, ma ha bisogno di trattamenti fisioterapici mirati ad ottimizzare i metameri vertebrali, in una sinergia di movimento rispetto all’intero compartimento vertebrale e a quello sacro-iliaco.

DISCOPATIE DEGENERATIVE

Le discopatie degenerative si manifestano in varie misure.

Nei casi dove il disco si disidrati, facendo perdere la normale altezza di distanziamento tra una vertebra e l’altra, l’utilizzo di un busto di scarico può essere molto utile.

Il busto in questione dovrà estendersi su tutta la colonna con un doppio scarico che vedrà nelle sue estremità un appoggio sulle creste iliache del bacino e uno sulle spalle a livello del cingolo scapolare, con un supporto semirigido dato dalla presenza di stecche metalliche, per rendere il busto capace di non perdere la forma di scarico ed essere allo stesso sufficientemente malleabile per non bloccare del tutto i movimenti.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 05Questo tipo di busto avrà degli ancoraggi elastici e regolabili, con un stretch capace di aumentarne la rigidità.

Il busto non andrà assolutamente portato tutto il giorno, ma verrà indossato per un’ora sul finire della mattinata e per un’ora e mezza a fine pomeriggio, in maniera da supportare le vertebre, senza far perdere il tono muscolare al paziente.

Devo ricordare che la muscolatura oltre che avere il compito di guidare i movimenti, ha la funzione di sostenere la colonna vertebrale, evitando che collassi su se stessa contrastando la forza di gravità, pertanto è importantissimo non perdere il tono muscolare.


SCIALTALGIE E CRURALGIE DA ERNIE DISCALI

Che si parli di sciatalgia o di cruralgia da ernia discale, il paziente manifesta un dolore irradiato lungo il dermatomero corrispondente alla radice compressa, con un’irritazione associata del nervo.

In questo caso ci troviamo di fronte ad un’infiammazione tanto acuta quanto dolorosa con sintomi parestetici (formicolio, bruciore, etc.) e nei casi più gravi ci sarà un’associazione di segni motori quali la perdita di forza, di tono muscolare o la comparsa di crampi.

In questo caso è importantissimo ridurre l’infiammazione nel minor tempo possibile e mettere a riposo la parte, riducendo la mobilità del segmento lombare.

L’utilizzo del busto è un ottimo ausilio per aiutare la recessione del processo flogistico.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 06Il busto che verrà utilizzato sarà in stecche e stoffa, con un’estensione di area pari all’intero tratto lombare e alla zona alta del bacino, preferendolo con la presenza di cinghie regolabili nella compressione.

In questo caso il busto ha il merito di ridurre la mobilità nei 3 piani dello spazio, con una limitazione che sarà direttamente proporzionale alla compressione voluta dall’azione degli stretch.

Il busto verrà indossato per la metà delle ore mattutine, per la metà delle ore pomeridiane e per le ore serali antecedenti al riposo notturno.

Nelle ore in cui il busto non verrà indossato, il paziente è invitato a non compiere sforzi e movimenti esagerati, mentre le attività maggiormente faticose, potranno essere in parte concesse quando il busto verrà indossato.


BLOCCO ARTICOLARE ACUTO (“IL COLPO DELLA STREGA”)

Il blocco articolare acuto, che molti conoscono con il nome di colpo della strega, è un blocco di uno o più segmenti vertebrali in una posizione squilibrata e assolutamente non neutra, che viene mantenuta dallo stato di forte contrattura muscolare, alimentata dal riflesso del dolore stesso.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 07In questo caso è fondamentale ridurre la tensione muscolare e rimettere in equilibrio statico e dinamico le vertebre in blocco.

L’utilizzo del busto può essere un aiuto efficace, se utilizzato con un criterio ben specifico di supporto alla terapia.

E’ consigliato un busto in stecche e stoffa, con un’estensione di area pari all’intero tratto lombare fino alla zona alta del bacino, che non sia necessariamente dotato di stretch per la compressione graduale.

Lo scopo è di mettere a riposo la muscolatura vertebrale dallo stato di tensione eccessiva, in maniera tale che riducendo l’effetto sulla contrattura, il terapeuta possa mobilizzare con più facilità le vertebre in disfunzione.

Il busto se utilizzato per circa un’ora prima dell’intervento manipolativo e un’ora dopo l’intervento, aiuta a svincolare il paziente dallo stato di eccessivo squilibrio muscolare, tipico del blocco articolare acuto.

Al di la del capitolo manipolativo, il busto descritto può essere usato per massimo un’ora la mattina al risveglio, per poi indossarlo nuovamente a fine mattinata e nuovamente nel finale delle ore pomeridiane, sempre in un slot temporaneo di circa 1 ora, in maniera da alternare il riposo muscolare e la riduzione del dolore, con una ripresa graduale della funzionalità vertebrale.


INSTABILITA’ VERTEBRALE

L’instabilità vertebrale è una condizione articolare-legametosa che non consente una stabilità di posizione e di movimento per una perdita di solidità articolare.

Il paziente può manifestare lombalgie e/o radicoliti irritative che si vanno ad acuire proprio con l’aumento dell’attività fisica.

Il busto per il mal di schiena lombare si o no 08Il busto in questa situazione può essere molto utile se utilizzato durante le attività fisiche e nelle situazioni in cui il paziente sia costretto a mantenere la posizione eretta per lungo tempo.

Il busto che verrà utilizzato sarà in stecche e stoffa, con un’estensione di area pari all’intero tratto lombare fino alla zona medio-alta del bacino e sarà da preferire se con la regolazione della compressione per merito dello stretch sulle doppie cinghie.

Lo scopo è quello di stabilizzare il segmento lombare e sacro-iliaco, aumentando la compressione esterna tramite il busto, sostenendo in parte l’articolazione da quello che è il deficit osteo-legamentoso, evitando di creare dei movimenti eccessivi per la loro natura biomeccanica.

Abbiamo visto come e in quali casi l’utilizzo di un busto può essere di aiuto nella risoluzione di un problema vertebrale.

Non dobbiamo dimenticare che la diagnosi precisa è fondamentale e sarà proprio lei a guidare il percorso terapeutico più appropriato in ogni dettaglio.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Il dito a martello nel piede

il dito a martello nel piede feat 01Il dito a martello nel piede è un disturbo a carico dell’articolazione interfalangea distale, la quale si deforma assumendo un atteggiamento di flessione che, rispetto all’insieme dei segmenti falangei, crea una forma a z, radiograficamente apprezzabile.

Anatomia del dito a martello nel piede

il dito a martello nel piede feat 02Generalmente tale deformazione interessa maggiormente il 2°, il 3°, il 4° dito e può manifestarsi come dimorfismo singolo o associato ad una valgizzazione dell’alluce e/o ad un piattiamo dell’arco interno del piede, che porta alla predisposizione dell’ accavallamento del dito a martello sulle falangi contigue.

Le cause

La causa che sviluppa un dito a martello è da ricercare nella perdita di funzione del tendine estensore, il quale per un evento traumatico, per una lesione, per uno stiramento o per un disallineamento rispetto all’asse articolare, smette di funzionare correttamente, favorendo il comparto dei muscoli flessori falangei nel piegare il dito e mantenendo questa posizione in maniera stabile.

il dito a martello nel piede feat 03L’eccessiva lunghezza del dito può essere un’ulteriore causa di dimorfismo, nel momento in cui il piede è costretto, per causa di forza maggiore, a vivere buona parte della giornata nella scarpa.

In questo caso la calzatura stretta porta le articolazioni interfalangee a recuperare spazio attraverso la triplice flessione, con partenza dalla metatarso-falangea.

L’artrite reumatoide è una delle patologie associate, che può creare deformità a martello, secondariamente alla degenerazione articolare e alla sua conseguente deformazione.

Il piede cavo è una condizione frequente di predisposizione allo sviluppo del dito a martello, mentre il piattiamo della volta plantare interna, può portare ad un possibile accavallamento del dito rispetto alle falangi contigue.

il dito a martello nel piede feat 04L’utilizzo di calzature dalla punta stretta, rigide e con un tacco pronunciato oltre il dovuto, non sono assolutamente comode per la corretta postura del piede e possono favorire la predisposizione alla deformità del piede.

Sono presenti anche dei pazienti dove lo sviluppo del dito a martello si manifesta senza causa apparente (forma idiopatica), ma generalmente associata ad una predisposizione alla lassista capsulo-legamentosa, che non collabora nel mantenimento dell’asse articolare, rispetto alle leve tendinee.

Nella condizione ortopedica che stiamo oggi descrivendo, l’estensione del dito risulterà impossibile in maniera attiva e con il passare del tempo si mostrerà sempre più rigido anche nel tentativo di un’estensione passiva.

Una problematica frequentemente comune nel dito a martello del piede, è lo sviluppo di dolore, callosità e nei casi più esasperati, di ulcerazione, per il conflitto e l’attrito dell’articolazione interfalangea distale con la scarpa chiusa.

Non è raro che il paziente lamenti una metatarsalgia sul segmento del dito a martello, per il cambio di angolazione che inevitabilmente si presenta nell’asse osteo-articolare del dito in questione.

il dito a martello nel piede feat 05La diagnosi del dito a martello nel piede

La diagnosi del dito a martello e semplice perché evidente nella sua manifestazione, pertanto sarà sufficiente una visita specialistica con un attento esame obiettivo, supportato da una radiografia che dia l’immagine dello stato di salute articolare interfalangea e lo stato anatomico in essere del piede nella sua globalità.

Può essere molto utile richiedere uno studio baropodometrico statico e dinamico, per valutare l’appoggio del piede nelle diverse condizioni e capire se ci possano essere delle alterazioni sugli archi plantari, che predispongano ad un’evoluzione del cattivo posizionamento del dito.

Il trattamento

Il trattamento del dito a martello parte dalla gestione del piede nella quotidianità, utilizzando delle scarpe comode, morbide nella loro struttura e dalla pianta larga.

Nei casi in cui le volte plantari siano alterate, sarà proficuo utilizzare dei plantari che possano compensarle, rialzandole o scaricandole, in maniera da non sovraccaricare le teste metatarsali e le falangi, sia nella loro porzione articolare, che nelle sinergie muscolo-tendinee.

il dito a martello nel piede feat 06La fisioterapia incentrata al riequilibrio del piede rispetto all’intero arto inferiore, rispetto al bacino e a alla relazione vertebrale, associata ad una mobilizzazione automa, sarà utile e necessaria, per evitare lo sviluppo di rigidità articolari e deformazioni articolari maggiori.

Nei casi in cui nessuna terapia sia in grado di alleviare il dolore del paziente e di recuperare una sufficiente autonomia deambulatoria e di appoggio, si potrà procedere con la strada dell’intervento chirurgico, volto a raddrizzare il dito a martello.

il dito a martello nel piede feat 07Ovviamente nel periodo a seguire l’intervento chirurgico, sarà necessario procedere ad un recupero riabilitativo delle funzioni, evitando che si possano sviluppare delle rigidità post operatorie.

Non ultimo nella gestione del dito a martello, sarà necessario curare e guarire eventuali lesioni cutanee, qualora si dovessero manifestare.

Il dito a martello non può essere considerato una patologia, ma il suo dimorfismo articolare e tendineo, può risultare fastidioso, se non addirittura invalidante, nelle più banali attività deambulatorie e nell’equilibrio dell’appoggio bipodalico del paziente.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Neuroma di Morton

Il neuroma di Morton è una patologia dolorosa della parte anteriore del piede, a carico della zona di giunzione tra i nervi plantari e i nervi interdigitali.

Conosciamo meglio il Neuroma di Morton a partire dall’anatomia

I primi passano in prossimità dei metatarsi, i secondi si diramano dall’altezza delle teste metatarsali, ramificandosi verso le due dita contigue.

neuroma di morton 02Il nervo, ma più precisamente la guaina del nervo, tende a fibrotizzare, ispessendosi e sviluppando una protuberanza tondeggiante, all’altezza delle teste metatarsali, alle volte sensibile anche al tatto e alla mobilizzazione.

Il nervo più colpito è quello posizionato tra il 3° e 4° dito (3° spazio intermetatarsale), dove il volume delle teste metatarsali è maggiore.

Proprio per la biforcazione che il nervo interdigitale subisce, il dolore si irradierà sulla faccia laterale del 3°dito e quella mediale del 4°dito.

Non è assolutamente da escludere che il neuroma di Morton si possa sviluppare anche nel 2° e nel 4° spazio intermetatarsale.

Quali sono i sintomi del Neuroma di Morton?

I sintomi che il paziente lamenta possono essere:

  • dolore
  • bruciore
  • intorpidimento
  • formicolio

I 4 segni sopra citati si estendono dal punto dove si sviluppa il neuroma, andando ad irradiarsi anteriormente, lungo il decorso dei nervi interdigitali; difficilmente si ripercuotono a ritroso, ovvero verso la pianta dl piede.

neuroma di morton 03Alle volte viene riferita la sensazione di avere un corpo estraneo nella scarpa.

I sintomi inizialmente vengono lamentati durante la deambulazione, durante lo svolgimento di un’attività fisica, quando il paziente sta molto in piedi, quando mette le scarpe con il tacco, oppure scarpe strette in punta, mentre nella cronicizzazione patologica i disturbi si manifestano anche a riposo.

La comparsa dei sintomi è graduale, così come la loro intensificazione, il tutto dovuto all’aumento progressivo della fibrotizzazione della guaina del nervo in questione.

Le teste dei metatarsi sono la parte più voluminosa delle ossa metatarsali e pertanto occupano spazio a scapito dei tessuti limitrofi con cui convivono.

I fattori scatenanti

Il processo di fibrotizzazione può essere causato da molteplici fattori che agiscono singolarmente o si associano tra di loro.

neuroma di morton 04Vediamo quali possono essere:

  • sfregamento del nervo sulle teste metatarsali
  • compressione del nervo tra i tessuti molli e le teste metatarsali
  • aumento del tessuto fibroso limitrofo
  • piede piatto
  • dita a martello
  • appiattimento della volta plantare trasversa
  • microtraumi ripetuti
  • sollecitazioni ripetute
  • utilizzo eccessivo delle scarpe con il tacco
  • utilizzo eccessivo delle scarpe strette in punta
  • presenza di callosità importanti nell’area metatarsale.

Come si diagnostica il neuroma di Morton?

Come sempre è fondamentale un’anamnesi attenta, che raccolga i dati sia sintomatologici, sia della modalità della manifestazione del dolore, sia dei fattori possibili scatenanti nel tempo a lungo termine che nella giornata.

Validi sono i test utilizzati per scatenare in maniera specifica i sintomi patologici, oppure esami palpatori che possano valutare la presenza di masse anomale nello spazio intermetatarsale o la presenza di uno scatto alla mobilizzazione.

Sempre di fondamentale aiuto sono le indagini strumentali, capaci di farci vedere le alterazioni anatomiche e la presenza della fibrotizzazione della guaina del nervo.

neuroma di morton 05Gli esami comunemente utilizzati sono:

  • l’ecografia
  • la risonanza magnetica.

Va detto che l’ecografia e le radiografie sono utilizzate anche nei casi dove la patologia in questione sia dubbia e sia necessario valutare delle diagnosi differenziali che possano manifestare sintomi simili.

neuroma di morton 06Queste patologie differenti ma simili per sintomatologia possono essere:

  • borsiti
  • capsuliti
  • fratture da stress
  • microfratture
  • osteocondrosi metatarsali
  • forme artrosiche o artritiche.

La terapia del neuroma di Morton ha molte possibili alternative da utilizzare.

Può essere trattato in maniera conservativa, oppure con intervento chirurgico.

Vediamo quali sono le varie alternative:

  • neuroma di morton 07antinfiammatori e/o antidolorifici
  • infiltrazioni locali ecoguidate di vario genere e varia natura come collagenasi, cortisone, antinfiammatori non steroidei, terapie queste che hanno funzioni differenti, ma con l’obiettivo comune di ridurre il volume e la fibrosità del neuroma
  • radiofrequenza ablativa che tramite il riscaldamento, con corrente alternata, della punta metallica introdotta, provoca una piccola bruciatura che distrugge il tessuto ove applicato
  • fisioterapia per mobilizzare il nervo, ridurre le fibrosità, eliminare l’infiammazione, recuperare il trofismo dei tessuti molli, supportare l’appoggio del piede a terra, migliorando la funzione degli archi plantari trasverso e mediano.

La chirurgia dà il suo grosso contributo nel momento in cui le terapie conservative falliscano o non diano il beneficio preventivato.

L’intervento chirurgico percorre due direzioni differenti tra di loro, valide entrambe a seconda di quale sia la causa scatenante del neuroma di Morton.

La neurectomia prevede l’asportazione di tessuto fibroso dal nervo interdigitale sofferente.

La decompressione chirurgica, ha l’obiettivo di aumentare lo spazio circostante al nervo in questione, per ridurre gli effetti irritativi infiammatori.

Come prevenire?

Abbiamo capito quali possono essere le cure utilizzate per affrontare la patologia di oggi, ma cerchiamo anche di capire come prevenire la manifestazione del neuroma di Morton.

E’ importante utilizzare scarpe dalla pianta comoda che non stringano in punta, cosi come è importante che non si utilizzino le scarpe con il tacco per tante ore consecutive e per lunghi periodi, in maniera da non sottoporre a eccessivo stress di carico, la zona dell’avampiede e dei metatarsi.

neuroma di morton 08Bisogna assolutamente evitare che il piede si irrigidisca nelle sue porzioni articolari.

Si deve stare attenti alla corretta funzione degli archi plantari sia nella statica che nella dinamica del paziente, suonando un campanello di allarme nelle condizioni di piede piatto, di piede cavo e nelle malformazioni delle dita a martello.

L’attività fisica è sempre consigliata, cosi com’è consigliata l’attenzione nell’utilizzo di scarpe adatte a dissipare i carichi ripetuti e potenzialmente lesivi nelle zone del piede più a rischio.

La percentuale di guarigione è molto alta e le alternative di cura sono molte, questo però non deve dare motivo di farci cogliere impreparati.

Abbiamo tutte le possibilità di vivere al meglio la nostra quotidianità e l’attività fisica, godiamoci la nostra salute.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Caldo e freddo nelle patologie ortopediche

Ovvero tutto quello che avreste voluto sapere ma non avete mai osato chiedere su come usare il caldo e il freddo nelle patologie ortopediche.

caldo e freddo nelle patologie ortopediche

Terapia del caldo e del freddo

Spesso si sente parlare di terapia del caldo e del freddo, ovvero la tipica borsa dell’acqua calda o del ghiaccio, utilizzate come termoterapie esogene, ma non sempre si conoscono bene quali siano le condizioni che portano alla scelta di una o dell’altra, in base alla problematica che il paziente ha e i sintomi che se ne associano.

La scelta tra la terapia del caldo e del freddo può non essere così scontata.

Cerchiamo allora di fare chiarezza e dare dei consigli semplici ed utili.

CuteLa prima cosa che dobbiamo imparare è che queste due terapie, agiscono sui vasi sanguigni, vasocostringendoli nel caso del freddo e vasodilatandoli nel caso del caldo.

In entrambi i casi il microcircolo subisce un cambiamento.

Il freddo ha anche il merito di ridurre la sensibilità locale e quindi di desensibilizzare la zona dove viene applicato.

Già questa prima indicazione ci porta a fare dei ragionamenti sulla scelta applicativa.

Come dicevamo le patologie a carattere ortopedico/traumatologico, sono differenti tra di loro e alcune di esse beneficiano del caldo e altre del freddo.

Quando usare il caldo

caldo e freddo nelle patologie ortopedicheIl caldo con la sua reazione vasodilatatrice, ha un effetto metabolico, migliorando l’afflusso di sangue e con esso di ossigeno e di nutrimenti, rendendosi utile nelle patologie di origine artrosica, dove la rigidità articolare soprattutto dopo le ore notturne, ovvero al risveglio mattutino, o dopo molte ore passate ferme nella stessa posizione, come ad esempio nello stare seduti in auto per un lungo viaggio, riscontra una rigidità articolare associata ad un dolore localizzato, per la riduzione della produzione di liquido sinoviale all’interno dell’articolazione.

La terapia del caldo ha moti vantaggi anche nel ridurre lo stato di tensione muscolare ed attenuare le contratture muscolari o le retrazioni.

Anche per quello che riguarda i tessuti molli capsulo-legamentosi, il calore aiuta a ridurre lo stato di fibrosità e di retrazione.

Un esempio tipico è la rigidità articolare, dove le capsule articolari ed i legamenti, che spesso hanno rapporto di contiguità con la membrana articolare, fibrotizzano, riducendo la capacità biologica tessutale e creando retrazioni che limitano il movimento articolare.

Il calore aumentando la capacità vascolare, può essere di supporto anche alle lesioni dei tessuti, dov’è necessario un apporto di sostanze nutritive ematiche e di ossigeno, per avviare e consolidare il processo di guarigione.

Quando usare il freddo.

freddo nelle patologie ortopedicheIl freddo ha un effetto di vasocostrizione ed è fortemente indicato nelle infiammazioni attive, dove vanno limitate il prima possibile le tumefazioni e gli stravasi edematosi per un’iperemia locale, che comporta l’aumento di calore locale e un arrossamento della parte.

Il ghiaccio ha anche la capacità di ridurre il dolore, desensibilizzando la zona di applicazione del freddo, diminuendo l’effetto del circolo vizioso che si crea tra dolore ed effetto vascolare neurovegetativo.

Sempre per effetto vasocostrittivo, il freddo diventa un terapia di attacco fondamentale nelle situazioni di edema per lesione dei vasi venosi periferici.

La terapia del freddo è pertanto indicata negli eventi traumatici da impatto o distorsivi, dove il paziente riporta gonfiore, edema, comparsa di ematomi, dolore acuto al movimento e alla palpazione.

Per cercare di essere semplici nelle indicazioni sull’utilizzo del caldo e del freddo, andrò a fare un elenco delle indicazioni e controindicazioni di entrambe le applicazioni.

Indicazioni e controindicazioni

Utilizzo del caldo indicazioni:

  • contrattura muscolare
  • retrazione muscolare
  • strappo muscolare in fase riparativa
  • artrosi
  • artrite in fase silente
  • rigidità articolare
  • fibrosità dei tessuti molli capsulo-legamentosi
  • dolore di tipo muscolare.

Utilizzo del caldo controindicazioni:

  • strappo muscolare in fase acuta
  • infiammazioni
  • edema
  • ematoma
  • artrite in fase attiva.

Utilizzo del freddo indicazioni:

  • strappo muscolare in fase acuta
  • infiammazioni
  • edema
  • ematoma
  • artrite in fase attiva
  • dolore di tipo infiammatorio

Utilizzo del freddo controindicazioni:

  • contrattura muscolare
  • retrazione muscolare
  • strappo muscolare in fase riparativa
  • artrosi
  • artrite in fase silente
  • rigidità articolare
  • fibrosità dei tessuti molli capsulo-legamentosi.

Caldo e freddo nelle patologie ortopediche si possono usare insieme?

caldo e freddo nelle patologie ortopedicheNon è assolutamente raro trovarsi nella condizione di alternare le due applicazioni di termoterapia esogena, nel qual caso il paziente passi da una situazione acuta ad una cronica, dove da una situazione di infiammazione e dolore, si passa ad una necessità di migliorare il trofismo biologico tessutale, per riparare o migliorare lo stato di salute di uno o più tessuti.

Dalla lettura di questo articolo risulta facilmente intuibile che l’utilizzo del caldo o del freddo, come valida terapia di supporto, è fruibile solo dopo una diagnosi certa, perché uno sbaglio sulla valutazione del problema riportato e del suo stato in essere, può modificare completamente la scelta sull’utilizzo di applicazioni del calore o del freddo.

E’ doveroso specificare quali siano gli errori più frequenti da parte dei pazienti nell’utilizzo del freddo e del caldo.

ghiaccio ustioniIl freddo va applicato sulla parte interessata con lo scopo di rifreddare la parte e va assolutamente evitato “l’effetto congelamento”, perché il corpo come reazione di difesa a tale evento, attiverebbe una reazione contraria alla vasocostrizione, aumentando il flusso del microcircolo con effetto vasodilatatorio.

Altro errore frequente è quello di applicare il ghiaccio direttamente sulla cute, provocando geloni, ustioni da congelamento, o lacerazioni da rimozione.

Anche nell’applicazione del caldo si può cadere in alcuni errori banali, come le ustioni da eccesso di calore e lo sviluppo di edemi per il troppo perdurare delle applicazioni con calore eccessivo sulla parte.

Il caldo e il freddo sono delle ottime termoterapie esogene, ma vanno utilizzate con attenzione per renderle efficaci ed evitare effetti collaterali indesiderati.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Protesi d’anca

La protesi d’anca è sicuramente l’intervento ricostruttivo che vanta la più alta efficacia nella risoluzione del dolore e dei problemi di movimento dei pazienti che vi si sottopongono.

Protesi d’anca

La protesizzazione articolare è uno dei passi avanti più importanti nella gestione e nel recupero della salute ortopedica, per patologie di tipo croniche, degenerative e in alcune situazioni acute.

Protesi_anca_02Non tutte le articolazioni possono essere sostituite e non tutte le articolazioni sostituibili vantano lo stesso risultato, ma le strutture che maggiormente subiscono un impianto protesico, anche, ginocchia, spalle, come soluzione estrema ad un percorso di cura che non ha portato sufficienti risultati, hanno un guadagno buono tanto da far recuperare al paziente una qualità di vita migliore e un’autosufficienza nella quotidianità.

Andiamo adesso nello specifico parlando della protesi d’anca.

Le protesi d’anca non sono tutte uguali ne per materiali, ne per forma, ne per grandezza.

Non sono neanche tutte uguali per tipologia di impianto all’interno del femore ne per alloggio nell’acetabolo del bacino.

Protesi d'ancaLa scelta di protesizzazione può essere parziale o completa decidendo di sostituire tutta l’articolazione o solamente una parte di essa.

Le condizioni che le rendono differenti sono dovute al soggetto che la riceverà, giovane, meno giovane e anziano, per tipo di patologia e per evoluzione della tecnologia di progettazione e confezionamento.

Anche le zone di accesso chirurgico possono differenziarsi, garantendo lo stesso risultato per quanto riguarda il posizionamento della protesi, ma diversi per tempi di recupero biologico del paziente rispetto al danno chirurgico che inevitabilmente si crea con l’intervento.

Le protesi d’anca non durano in eterno ma sono soggette ad usura dei materiali che la costituiscono, generalmente durano circa 25 anni se utilizzate correttamente.

La ricerca spinge per renderle sempre più longeve, stabili e di minor impatto rispetto al tessuto organico dove le si impiantano.

A chi si propone?

Come accennavamo l’orientamento nella scelta della protesi si baserà su chi deve riceverla.

Le protesi che si metteranno in età giovanile e che con tutta probabilità, saranno soggette a revisioni (sostituzione), avranno un alloggiamento che non prevederà la cementazione della protesi nello spazio di riempimento, ne l’utilizzo di una protesi con uno stelo lungo, in modo tale da facilitarne la rimozione e causare il minor danno biologico nel momento dell’estrazione per sostituzione.

Nel caso di una persona anziana si tende ad utilizzare la cementazione degli spazi periprotesici di riempimento e l’utilizzo di steli un po’ più lunghi in modo da rendere la protesi stabile il prima possibile e rimettere il paziente subito in piedi per evitare le pericolosissime complicanze dell’allettamento prolungato.

Protesi d'anca rxLe protesi vengono utilizzate nei soggetti con forte artrosi, patologie autoimmunitarie come l’artrite reumatoide e simili, in casi di patologie malformative alla nascita e nel periodo dell’accrescimento (displasia congenita dell’anca, morbo di Perthes e altre), in situazioni di frattura articolare dove l’articolazione risulti irrimediabilmente danneggiata, ai casi di collasso vascolare per patologie dismetaboliche che portano alla necrosi dei capi articolari, nelle patologie tumorali ossee (in quest’ ultima situazione verranno utilizzate delle protesi tumorali che però meritano un articolo a se).

Il post intervento

Adesso parliamo delle situazione di recupero post intervento di protesizzazione.

Le ripresa sia dagli esiti del post intervento che nell’attività di vita quotidiana, cambia molto rispetto all’età del paziente e alla causa per cui il paziente è stato operato.

In percentuale il recupero più lineare lo abbiamo sui soggetti giovani che incorrono in una frattura non stabilizzazbile della testa o del colo del femore, oppure nei soggetti giovani che dopo frattura e intervento chirurgico di stabilizzazione con mezzi di sintesi, vanno incontro a necrosi della testa del femore e quindi a protesizzazione dell’articolazione.

Protesi_anca_05In percentuale i recuperi più tortuosi sono i soggetti anziani che protesizzano per un problema di grave artrosi, con perdita di asse meccanico e di tono muscolare.

Una considerazione a se meritano le patologie autoimmunitarie perché generalmente colpiscono soggetti giovani ma con quadri di degenerazione e infiammazione cronicizzati per lungo tempo, il tutto porterà ad un recupero cauto per evitare che l’infiammazione autoimmunitaria possa creare disagi ai tessuti che ospitano la neo articolazione.

Quello di cui bisogna tenere sempre conto nel recupero post intervento è:

  • la stabilizzazione della protesi rispetto alla parte ossea di innesto
  • il drenaggio e l’eliminazione delle raccolte di liquidi vascolari e linfatici che si addensano nelle zone anatomica in essere
  • recuperare ed elasticizzare la cicatrice
  • recuperare il tono muscolare
  • riprendere la normale articolarità, non tanto della protesi in se è per se ma della protesi rispetto alle strutture articolari direttamente inerenti come il ginocchio, la sinfisi pubica, l’articolazione sacro iliaca, la zona lombare
  • recuperare gli accorciamenti muscolari e le fibrotizzazioni che in maniera maggiore o minore ogni patologia sopra citata creano per compenso.

Protesi_anca_06Va pensato che la protesi deve rimettere il paziente nella condizione di poter ristabilire il miglior rapporto rispetto al resto della struttura ortopedica, tanto in statica quanto in dinamica, perciò andrà reintegrata nello schema ottimale che meglio la fa funzionare.

Il lavoro della fisioterapia e dell’osteopatia possono migliorare in fretta il processo di recupero e guarigione perché sono in grado di lavorare sul recupero e sul reintegro delle funzioni precedentemente perse.

La farmacologia potrà invece aiutare a gestire nelle prime fasi il dolore e l’ infiammazione tipica delle giornate post intervento chirurgico.

Protesi_anca_07La protesi d’anca è un aiuto qualitativamente valido per la gestione della salute ma non dimentichiamo che meglio la utilizziamo e la integriamo con il resto della struttura ortopedica e più sarà affidabile e duratura.