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10 cose che (forse) non sai sul sistema immunitario

Se non fosse per il sistema immunitario nessuno sopravvivrebbe a lungo: questa linea di difesa ci protegge infatti non solo da ospiti sgraditi come virusbatteri e parassiti, ma anche dalle nostre stesse cellule, mutate a causa di malattie come il cancro.

Di ELISABETTA INTINIFocus.it

In queste settimane, complice l’ondata stagionale di influenza, il sistema immunitario è stato spesso chiamato in causa e anche un po’ ingiustamente denigrato(e proprio nel pieno della battaglia, il cui sintomo è la febbre): ecco allora alcuni fatti sorprendenti, spesso poco noti, che ve lo faranno apprezzare di più.

1. È DISTRIBUITO IN TUTTO IL CORPO. 

La fitta rete di sorveglianza del sistema immunitario comprende una serie di organi deputati alla produzione di globuli bi (milza, midollo osseo, linfonodi, tonsille, timo – una piccola struttura nella parte anteriore del torace), tessuti e cellule circolanti, messi in comunicazione tra loro dai vasi linfatici.

Le cellule immunitarie sono distribuite anche in tutti i tessuti del corpo, che raggiungono grazie alla circolazione sanguigna: con un dispiegamento di forze così massiccio, è difficile per un patogeno passare inosservato.

2. LE SUE ARMI DI PUNTA SI TROVANO NEL SANGUE.

Nell’arsenale di cellule che fanno da guardia all’organismo si distinguono soprattutto fagociti e linfociti.

I primi, che si sviluppano nel midollo osseo, costituiscono una prima linea difensiva aspecifica (non specifica) e inglobano nel loro citoplasma le molecole estranee che, lasciate libere di circolare, potrebbero creare problemi. Cellule simili con le stesse funzioni si ritrovano anche in organismi molto elementari.

I patogeni che riescono a superare questa prima barriera incontrano una difesa specializzata: i linfociti sono capaci di generare e modificare gli anticorpi che riconoscono antigeni specifici sulla superficie dei patogeni, e di neutralizzarli. Soltanto nei vertebrati si è sviluppato questo secondo livello di difesa “su misura”.

3. FU DESCRITTO PER LA PRIMA VOLTA 2.400 ANNI FA. 

Lo storico greco Tucidide, descrivendo un’epidemia di peste che aveva colpito Atene nel 430 a.C., annotò come le persone già contagiate una volta e sopravvissute non si ammalassero più: «Coloro che si erano salvati dall’epidemia […] conoscevano già quelle sofferenze e per se stessi non avevano più nulla da temere; il contagio infatti non colpiva mai due volte la stessa persona, almeno non in forma così forte da risultare mortale».

Questo principio fu sfruttato nel 1796 dal medico britannico Edward Jenner per sviluppare la prima forma di immunizzazione mediante un vaccino: quello contro il vaiolo. I contadini che entravano in contatto con forme di vaiolo bovino o equino risultavano infatti immuni alla versione umana del virus.

Il virus del vaiolo umano in un'illustrazione 3D

Il virus del vaiolo umano in un’illustrazione 3D

4. LA MILZA È UN CENTRO NEVRALGICO. 

Senza milza si può vivere, tuttavia questo organo posto tra lo stomaco e il diaframma è uno snodo importante per le cellule del sistema immunitario. Possiamo immaginarla come una sorta di linfonodo gigante in cui vengono prodotti nuovi globuli bianchi, ci si disfa di quelli vecchi e si mettono in comunicazione quelli già in circolo.

5. RECLUTA ANCHE ORGANI “INUTILI”. 

Avete forse sentito parlare dell’appendice come organo vestigiale, così chiamato perché a lungo considerato un relitto evolutivo – ossia un inutile residuo dell’evoluzione che spesso si infiamma e va asportato.

Pare tuttavia che questa piccola struttura sia importante per mantenere in equilibrio e ben assortita la flora batterica intestinale, soprattutto quando i “batteri buoni” risultano in minoranza.

Alcune cellule immunitarie scoperte di recente nell’appendice, chiamate cellule linfoidi innate, aiutano a ripopolare l’intestino di batteri buoni e a contenere eventuali infezioni senza che si propaghino tra un tessuto e l’altro.

6. PUÒ INFLUENZARE LE INTERAZIONI SOCIALI. 

La convinzione che cervello e sistema immunitario fossero isolati e non in comunicazione l’uno con l’altro è stata in parte smentita da uno studio pubblicato su Nature nel 2016.

Una molecola prodotta dalle cellule immunitarie in risposta alle infezioni, l’interferone gamma, sembra avere un ruolo determinante nei comportamenti sociali di molti animali, dagli zebrafish (il Danio rerio, un piccolo pesce d’acqua dolce) ai topi.

In laboratorio, sui topi, quando questa molecola viene bloccata gli animali divengono meno socievoli. Ripristinandola, la socialità torna a livelli normali. Le relazioni sociali sono il veicolo principale di diffusione dei patogeni: l’ipotesi è che l’interferone gamma abbia incoraggiato la socialità nel corso dell’evoluzione, aiutando i patogeni a diffondersi ma anche il nostro sistema immunitario a fortificarsi.

7. ALCUNE SUE CELLULE “KILLER” DIVENTANO “BUONE” NEL CORSO DELLA GRAVIDANZA. 

I linfociti natural killer (le cellule più aggressive del sistema immunitario) presenti nell’utero materno svolgono l’insospettabile funzione di balie nelle prime settimane di gestazione, sostenendo il feto con la produzione di specifici fattori di crescita.

Illustrazione: il virus ebola all'attacco del sistema immunitario.

Illustrazione: il virus ebola all’attacco del sistema immunitario.

8. LE CELLULE PAC-MAN NEUTRALIZZANO I TUMORI INFANTILI.

Alcuni scienziati dell’Università di Stanford hanno scoperto che una proteina espressa sulla superficie delle cellule, chiamata CD47, interagisce con i macrofagi (i fagociti che inglobano, come un pac-man, i patogeni nella prima linea di difesa) inviando loro un segnale di “non belligeranza”.

Alcune cellule tumorali ingannano il sistema immunitario producendo grandi quantità di CD47, supplicando così i macrofagi di non mangiarli. Quando si riesce a bloccare farmacologicamente questo segnale, i macrofagi possono eliminare le cellule tumorali, riducendo la necessità di terapie con elevati effetti collaterali.

9. PUÒ ESSERE INGANNATO PER COMBATTERE IL DIABETE. 

Gli scienziati del MIT hanno dimostrato che incapsulando cellule pancreatiche umane in biomateriali derivati dalle alghe, e trapiantandole su pazienti affetti da diabete di tipo 1, il sistema immunitario non le attacca, e la loro capacità di produrre insulina rimane immutata.

10. HA UNA MEMORIA DA ELEFANTE. 

Il sistema immunitario può ricordare un’infezione anche a decenni di distanza: i pazienti sopravvissuti alla prima epidemia di ebola nella Repubblica Democratica del Congo, risultano ancora immuni all’infezione dopo oltre 41 anni dal contagio. Questa “capacità di ricordare” è dovuta a un ristretto gruppo di linfociti che sopravvivono anche 10 volte più a lungo degli altri, specializzandosi nel riconoscere il patogeno alla successiva ricomparsa.

 

Cellule del pancreas riprogrammate contro il diabete

Non è mai troppo tardi per cambiare vita e imparare un nuovo mestiere, anche per le cellule del pancreas.

Sono le cellule che normalmente non producono insulina, infatti, possono essere riprogrammate per farlo, in maniera da rimpiazzare le cellule colpite dal diabete.

Lo dimostra l’esperimento pubblicato sulla rivista Nature dai ricercatori dell’Università svizzera di Ginevra: in una prima assoluta, sono riusciti a convertire cellule pancreatiche umane in ‘fabbriche’ di insulina che, trapiantate nei topi, hanno tenuto a bada il diabete per sei mesi.

“Le cellule umane sono state molto efficienti, i topi non hanno più mostrato i segni della malattia”, afferma il coordinatore dello studio, Pedro Herrera.

Il suo gruppo ha ottenuto questo risultato usando cellule pancreatiche umane di tipo alfa e gamma (che normalmente non producono insulina come fanno invece le cellule di tipo beta): prelevate da donatori sani e diabetici, le cellule sono state riprogrammate ‘accendendo’ due geni chiave (Pdx1 e MafA) per la secrezione di insulina.

In seguito sono state raggruppate (formando strutture simili alle isole di Langerhans in cui si sviluppano le cellule beta) e poi sono state impiantate in topi diabetici.

“Come previsto, quando le cellule umane sono state rimosse, i topi sono tornati a essere diabetici”, spiega Herrera.

“Abbiamo ottenuto – aggiunge – lo stesso risultato usando sia cellule da donatori diabetici che da sani e questo dimostra che la loro plasticità non è intaccata dalla malattia.

Inoltre questo funziona nel lungo periodo: sei mesi dopo il trapianto, le cellule modificate e aggregate in isole hanno continuato a secernere insulina umana in risposta ad alti livelli di glucosio”.

“E’ un risultato molto importante che dimostra la potenziale plasticità di cellule pancreatiche umane, non-beta – commenta Livio Luzi, docente di endocrinologia all’Università Statale di Milano

Occorre però molta cautela nel considerare la possibilità che tali risultati siano traslabili all’uomo nel breve-medio termine”.

“Si tratta di un filone di ricerca entusiasmante, attivo da alcuni anni, e che con questa ricerca compie un passo molto importante in vista di un suo potenziale uso nei pazienti diabetici”, commenta il presidente della Società italiana di diabetologia (Sid) Francesco Purrello.

In questi soggetti, sottolinea, “spesso non solo sono carenti le beta cellule, ma aumenta il numero di alfa cellule, il cui prodotto, l’ormone glucagone, esercita un effetto opposto: aumenta la glicemia.

Avere la possibilità di riprogrammare una corretta massa beta e alfa cellulare, è certamente una prospettiva di grande interesse.

Fonte: ANSA