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Sarcopenia

Sarcopenia_hq_01Con questo termine si definisce la perdita di massa muscolare e conseguentemente della forza, con la comparsa di atrofia e una diminuzione della qualità biologica del tessuto stesso.

Nella sarcopenia si ha una progressiva perdita di fibre muscolari sostituite da tessuto adiposo di riempimento, che di conseguenza porta ad una degenerazione della giunzione neuromuscolare (ovvero della porzione neurologica dedicata, che sotto stimolo attiva il muscolo) e conseguentemente ad una atrofia muscolare con manifesta riduzione del volume.

Sarcopenia_hq_02Il muscolo e quindi le fibre muscolari, diventano più fragili e soggette, con frequenza aumentata, a danni anatomici da elongazione e lacerazione per eccesso di carico e stiramento eccentrico.

Si manifesta con:

  • la comparsa di debolezza
  • minor resistenza allo sforzo prolungato
  • deficit nello sforzo massimale
  • diminuzione dell’equilibrio causato dalle alterazioni delle sinergie muscolari
  • deambulazione rallentata
  • riduzione dei movimenti fini e coordinati.

Sarcopenia_hq_03Il tutto evolve verso una riduzione delle normali attività di vita quotidiana.

La perdita progressiva di funzione porta ad un aumento di sedentarietà e cambiamenti del tono dell’umore, condizioni per le quali non viene favorito l’allenamento muscolare quotidiano e costante.

La perdita di massa muscolare crea un danno diretto alla struttura scheletrica perchè viene a mancare il sostegno attivo, aumentando i carichi diretti sui tessuti osteoarticolari e cartilaginei, creando carichi eccessivi anche alle strutture legamentose.

Si perde l’equilibrio tra i gruppi muscolari agonisti e antagonisti a svantaggio delle sinergie necessarie durante le attività motorie.

La perdita di massa muscolare riduce anche l’integrazione con il ricambio biologico del tessuto osseo favorendone l’osteoporosi.

Le contratture muscolari possono comparire con maggior facilità, le tensioni capsulo legamentose e gli impingment articolari sono maggiori.

La sarcopenia può incominciare a manifestare le prime avvisaglie in maniera lenta nel decennio tra i 40 e i 50 anni, per poi proseguire con un aumento di sviluppo dopo i 60 anni in maniera esponenziale, rapportandosi all’età del soggetto, alla qualità biologica dei tessuti dello stesso, al tipo di massa muscolare basale e al tipo di alimentazione che conduce.

Sarcopenia_hq_04La riduzione della massa muscolare può avere come concause la riduzione dell’equilibrio ormonale, così come l’ accumulo in eccesso di proteine ossidate e le modificazioni cellulari del tessuto stesso.

La sarcopenia fa pare del progressivo invecchiamento della persona per il trascorrere del tempo, non si può evitare ne tantomeno fermare, però è vero che ci sono delle attività e delle abitudini che la possono favorire e velocizzare, come la sedentarietà, la cattiva alimentazione, l’incostanza e la pigrizia nella gestione quotidiana della macchina umana.

L’unico fattore ad oggi registrato e concomitante nello sviluppo della sarcopenia nel tempo è il minor peso corporeo alla nascita.

Mediamente la sarcopenia vede una perdita di massa muscolare del 5% ogni 10 anni, che detto tra noi non sono per nulla pochi.

Come fare una diagnosi di sarcopenia?

Il primo elemento necessario è la raccolta di dati riferiti dal paziente in modo da poter avviare un’anamnesi dettagliata.

È necessario fare un esame obiettivo per valutare le capacità funzionale del paziente e i deficit presenti.

Sarcopenia_hq_05La precisione nella diagnosi può essere ottenuta con un’indagine diagnostica chiamata DEXA (assorbimetria a raggi X a doppia energia), vale a dire un esame che valuta varianti tra di loro diverse e che nella sarcopenia studia il peso corporeo in relazione alla massa magra e alla massa grassa del soggetto.

La DEXA può essere anche utilizzata per lo studio della massa ossea nella patologia specifica dell’osteoporosi.

Sarcopenia_hq_06La dose di radiazioni utilizzata in questo tipo di esame è discretamente bassa ed è per questo che si può ripetere l’esame anche a breve distanza.

Lo studio DEXA però deve essere associato ad un test di velocità di camminata per valutare la resistenza muscolare allo sforzo.

Il test e l’esame DEXA darà una valutazione specifica della sarcopenia e la percentuale di massa muscolare persa.

Sarcopenia_hq_07E quali sono i valori specifici di riferimento per stabilire l’effettiva presenza di sarcopenia?

  • riduzione della massa muscolare di almeno due unità sotto il valore medio riscontrato nei giovani adulti
  • velocità di camminata inferiore ai 2,8 metri al secondo
  • la forza nella presa della mano inferiore ai 30kg nell’uomo e a 20kg nella donna.

La terapia per questa patologia non prevede un grosso impegno farmacologico, perché al momento non ci sono cure definite e concordate degne di nota.

Si valutano terapie di tipo ormonali ma non sono ancora considerati protocolli condivisi.

Sarcopenia_hq_08Molto più valutati sono i rimedi naturali basati sull’esercizio fisico e sulla corretta alimentazione.

L’esercizio fisico deve esser fatto con costanza dalle 2 alle 3 volte a settimana cercando di impostare il lavoro sul recupero della forza e sull’aumento della resistenza allo sforzo.

L’attività muscolare deve essere completa almeno per quanto riguarda i gruppi maggiori sia di sostegno che dinamici.

Sarcopenia_hq_09L’alimentazione vede una dieta ricca di proteine e minerali e ridotta nell’apporto di grassi e zuccheri.

La fisioterapia ha la possibilità e la capacità di recuperare la miglior postura e di ritrovare gli equilibri muscolari rendendo economico l’uso dell’apparato locomotore.

L’osteopatia ha il compito di stabilire il miglior assetto vertebrale, la miglior integrazione tra i cingoli pelvici e scapolari, riducendone al minimo lo sforzo muscolare da dover compiere nelle attività minime.

Sarcopenia_hq_10L’osteopatia ha la possibilità di migliorare la funzione viscerale del tratto digerente per ottimizzare l’assorbimento e il metabolismo.

La sarcopenia purtroppo non è evitabile ma può essere invece evitabile lo sviluppo delle complicanze da essa scaturite .

Non trascuriamoci e rimarremo più giovani rispetto a quello che la nostra anagrafe dice.

Il menisco discoide

Il menisco discoide 01Il menisco discoide è una malformazione del menisco che presenta una forma ispessita e più chiusa del normale, in maniera parziale o subtotale, fino a poter assumere una forma a disco (motivo per il quale viene chiamato per l’appunto menisco “discoide”).

I menischi sono delle fibrocartilagini, hanno una forma di C e sono disposti sulle superfici dei due emipiatti tibiali, per aumentare la congruenza articolare e di contatto con i condili femorali, distribuendo in maniera ottimale i carichi dinamici e compressivi, ottimizzando gli accomodamenti e gli adattamenti biomeccanici del ginocchio.

Il menisco discoide 02Il menisco interno ha una forma di C aperta

Il menisco esterno ha una forma di C chiusa.

Il menisco discoide si presenta dalla nascita o meglio, dal momento in cui i menischi si sviluppano come fibrocartilagini, coinvolgendo maggiormente il menisco esterno.

La sintomatologia ha delle manifestazioni variabili, alcuni soggetti rimangono asintomatici, mentre in quelli che presentano il disagio, i segni patologici possono comparire già nell’età fanciullesca e in casi minori nell’età adulta.

Il menisco discoide 03Il paziente può accusare impaccio nella deambulazione e nell’attività fisica, associato spesso a crepitii, sensazione di scatto articolare, compressione nei movimenti massimi di flessione del ginocchio in fuoricarico e peggio ancora in carico, come ad esempio nella posizione accovacciata.

Si avverte spesso una condizione di simil blocco nel passaggio veloce dall’estensione alla flessione e dalla flessione all’estensione, associata ad un’incapacità di raddrizzamento completo della gamba rispetto alla coscia.

A tutte queste situazione generalmente si associa dolore e gonfiore articolare.

Nel tempo il menisco discoide va incontro a dano strutturale, con la formazione di una lesione parziale o di una rottura, inoltre non sono da sottovalutare le discinesie articolari che possono causare un sovraccarico sull’emirima articolare opposta, con la predisposizione alla comparsa di un’artrosi precoce.

La causa del menisco discoide ad oggi non è conosciuta, ma questa malformazione è di tipo congenita e per tanto presente dalla nascita, come precedentemente anticipato.

Il menisco discoide 04La diagnosi si esegue tramite un esame obiettivo, che tiene in considerazione l’anamnesi con la raccolta dei segni e dei sintomi riportati dal paziente.

La visita è supportata da un esame obiettivo, dove i test specifici articolari e meniscali, mostrano una sofferenza del compartimento interessato, che spingerà lo specialista a richiedere una RM.

Il menisco discoide 05L’RM è in grado di fotografare lo stato anatomico del segmento, mostrando la conformazione e l’integrità dei menischi, sia nello specifico che nei rapporti con le strutture capsulo-legamentose.

La terapia per il menisco discoide non è necessaria nei soggetti asintomatici, mentre necessita d un approccio multidisciplinare su quei pazienti che riportano una parte, o la maggior parte dei sintomi precedentemente descritti.

Il menisco discoide 06E’ necessario mettere in campo tutte quelle terapie atte a ridurre il dolore e il gonfiore articolare, focalizzando a seguire l’attenzione nel migliorare il più possibile la corretta mobilità articolare, ottimizzandone la capacità propriocettiva e migliorando il tono trofismo muscolare con l’intento di stabilizzare l’articolazione stessa.

E’ opportuno creare dei compensi articolari soprattutto a carico dell’anca, per scaricare il più possibile il lavoro dell’arto inferiore sul ginocchio.

chirurgiaNei casi in cui la fisioterapia non sia più sufficiente, si potrà perseguire la strada chirurgica, con un intervento di rimodellamento meniscale per via artroscopica, verso un ricondizionamento il più possibile congruo alla sua funzione articolare, tenendo conto dello spazio e della conformazione che si deve sposare tra il piatto tibiale e il condilo femorale.

Il periodo post operatorio prevede un tempo dovuto di riduzione del carico, tramite l’utilizzo di bastoni canadesi o delle stampelle, per un massimo di 3 settimane, associato ad un lavoro mirato di riduzione dell’edema infiammatorio, ad un recupero ed un’elasticizzazione articolare, ad un ricondizionamento della muscolatura agonista-antagonista dell’arto inferiore e ad un incremento propriocettivo dell’articolazione, per arrivare alla miglior cinestetica dell’arto inferiore rispetto al rapporto dinamico e di carico.

Abbiamo appreso che il menisco discoide è una patologia congenita che può rimanere silente per un periodo, fino al punto che non si adatti più alla richiesta di movimento specifico del paziente.

Nel momento in cui si dovesse manifestare, abbiamo vari approcci terapeutici che sono in grado di  ottenere un recupero completo del compartimento articolare, ottimizzando lo stato di salute del paziente.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

 

 

 

 

 

 

Condropatia Femoro Rotulea

La condropatia femoro rotulea è una patologia a carico della cartilagine di rivestimento della rotula.

Condropatia Femoro Rotulea 01Anatomia

La cartilagine rotulea si riduce per eventi degenerativi o traumatici, spesso le due condizioni si associano come conseguenza nel tempo, di un rapporto causa effetto tra un trauma e una degenerazione o viceversa.

La patologia si manifesta con dolore nella zona rotula, associata a crepitio o scroscio durante il movimento del ginocchio, che il paziente stesso riferisce come una sensazione di sfregamento rumoroso durante la flessione e l’estensione.

Il ginocchio è un’articolazione formata da 3 parti ossee di cui la rotula è la porzione che ha il compito di gestire l’asse di funzionamento del quadricipite, prima che si inserisca sulla zona di aggancio tibiale denominata tuberosità tibiale.

Condropatia Femoro Rotulea 02Il femore e la tibia non sono perfettamente allineate tra di loro e per tanto non lo è neanche il quadricipite; se lo considerassimo nelle sue porzioni di giunzione osteotendinee, questo creerebbe un disassiamento e una sublussazione ogni qualvolta si facesse un movimento, facendo perdere forza ed efficacia.

Quindi possiamo affermare che la rotula crea un aggiustamento dinamico correttivo durante l’articolarità tra femore e tibia.

I carichi compressivi e di trazione sulla rotula sono eccessivi per sperare che da sola possa mantenere una corretta posizione nel movimento di scivolamento e traslazione, pertanto viene guidata e trattenuta dal bordo condiloideo femorale esterno, che è maggiormente sviluppato e dai legamenti alari che trattengono la rotula rispetto ai due condili femorali, assicurandone il corretto movimento ma anche il mantenimento della giusta posizione all’aumentare della forza di trazione del quadricipite.

Come guida al movimento della rotula rispetto al femore, troviamo una cresta sulla faccia interna della stessa, che si alloggia in uno spazio tra i condili femorali (gola intercondiloidea), direzionando il movimento della rotula quando è trazionata dal quadricipite durante la flessione del ginocchio.

La faccia interna della rotula, cosi come ogni porzione articolata, è rivestita di cartilagine, con il compito di proteggere la porzione ossea, di favorirne lo scivolamento e di ridurne gli attriti.

Condropatia Femoro Rotulea 03La condropatia femoro rotulea si sviluppa nel momento in cui si crea ripetutamente una disarmonia durante il movimento articolare di piegamento del ginocchio e del suo ritorno all’estensione, associato ai movimenti minori di accomodamento in rotazione interna ed esterna.

La cartilagine per effetto compressivo sui condili femori e sui bordi della gola intrecondiloidea, subirà una modificazione da sfregamento e da compressione che danneggerà l’integrità della cartilagine stessa, andandola a fissurare lungo la sua superficie, rovinandone l’integrità.

Da qui la comparsa del rumore durante il movimento e il dolore sulla zona rotulea.

Condropatia Femoro Rotulea 04Il dolore da cosa è dato?

Il dolore è dato dai nocicettori intrarticolari che vengono attivati dall’aumento della sensibilità ossea non più correttamente ricoperta e protetta dalla cartilagine, dal gonfiore e dall’infiammazione che si manifesta nella zona periarticolare per irritazione dei tessuti molli capsulari e sinoviali.

Anche i menischi stentano a mantenere la stessa funzionalità, perché nel momento in cui la rotula perde la sua normale funzione, i condili femorali creeranno un movimento di adattamento sulla tibia e i menischi cercheranno di compensare come possono, andando a determinare un risentimento sulla porzione della capsula articolare interna a e sul legamento collaterale interno.

La diagnosi clinica vede un test primario della rotula e del suo stato di salute, a cui sarà necessariamente associato una valutazione clinica dei menischi, della capsula articola e del legamento collaterale interno.

Condropatia Femoro Rotulea 05Diagnosi della condropatia femoro rotulea

Nella diagnostica per immagini sarà possibile valutare la situazione con una risonanza magnetica che ci mostrerà lo stato in essere della rotula nella sua posizione, nel rapporto di vicinanza rispetto alla gola intercondiloidea, lo stato in essere della cartilagine e dei tessuti periarticolari di cui abbiamo parlato prima, evidenziando o meno uno stato infiammatorio ed edematoso.

La cura prevede a livello farmacologico l’utilizzo di antinfiammatori non steroidei, eventualmente associati ad infiltrazioni di acido ialuronico, per ridurre l’infiammazione e aumentare la viscosità articolare.

Si può applicare del ghiaccio quando il gonfiore del ginocchio risulta evidente o per scopo preventivo dopo un’attività fisica prolungata.

Condropatia Femoro Rotulea 06La fisioterapia e l’osteopatia possono migliorare in maniera importante lo stato in essere del ginocchio nella condizione di condropatia, perché riescono a recuperare l’equilibrio muscolare del quadricipite rispetto alla catena posteriore dei muscoli ischiocrurali, possono far ritrovare una sinergia dell’anca rispetto al bacino e all’aspetto posturale vertebrale, in maniera da scaricare il ginocchio e la rotula da atteggiamenti di flessione accentuata.

Riescono ad equilibrare il lavoro della rotula rispetto ai legamenti interessati, rispetto alla capsula articolare e ai menischi, in maniera tale da recupera una qualità di movimento esaustivo nelle attività di vita quotidiana.

Possono ridurre il gonfiore dell’articolazione drenando la parte linfatica o vascolare venosa, che ha congestionato l’articolazione.

La condropatia femoro rotulea è un danno anatomico degenerativo che non regredisce, ma possiamo gestirla nel migliore dei modi per far sì che si stabilizzi e che non continui la sua corsa patologica oltre modo rispetto allo stato naturale di invecchiamento della persona.

Lussazione acromion-claveare

Lussazione acromion-claveare 02 La lussazione acromion-claveare è una condizione di perdita della congruità articolare tra la porzione laterale della clavicola e il segmento acromiale della scapola.

Lussazione acromion-claveare 02Anatomia

I due segmenti sopra citati costituiscono l’articolazione acromion-claveare, necessariamente funzionale per la meccanica articolare della spalla, coordinandone la rotazione, l’elevazione, l’abduzione e aggiustandone il movimento in maniera adattativa.

La spalla per poter funzionare bene nella complessità dei suoi movimenti, necessita della sinergia di 5 articolazioni, di cui 3 biomeccanicamente vere e 2 di scorrimento; l’articolazione acromion-claveare è un’articolazione vera che fa parte del quintetto.

Lussazione acromion-claveare 03I capi articolari acromion-claveari sono rivestiti di cartilagine, con una distanza fisiologica tra di loro di circa 11-13 mm. e il loro equilibrio articolare è garantito da una serie di legamenti che ne conferiscono stabilità sia statica che dinamica:

  • leg.acromion-clvicolare (il fascio superiore e posteriore sono particolarmente importanti)
  • leg.conoide
  • leg.trapezoide.

Nell’evento lesivo, il profilo articolare mostrerà una deformazione anatomica più o meno rilevante, associata ad un dolore locale intenso, che irradierà nella zona deltoidea e del trapezio, manifestando una limitazione articolare nei movimenti ampi di elevazione, di abduzione e rotazione.

Classificazione della lussazione acromion-claveare

La lussazione in questione ha una classificazione ben precisa che utilizza la scala di valutazione di ROCKWOOD, associando il quadro anatomopatologico a quello radiografico.

La classificazione vede ben 6 differenziazioni lesive:

  • Tipo I: Clavicola non sollevata rispetto all’acromion
    • Legamenti acromion-clavicolari: lievemente stirati
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): intatti
    • Capsula Articolare: intatta
    • Muscolo Deltoide: intatto
    • Muscolo Trapezio: intatto
  • Tipo II: Clavicola sollevata ma non oltre il bordo superiore dell’acromion
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): elongati
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: lievemente distaccato
    • Muscolo Trapezio: lievemente distaccato
  • Tipo III: Clavicola sollevata oltre il bordo superiore dell’acromion ma con una distanza coraco-clavicolare minore del doppio rispetto al normale (< 25 mm)
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): rotti
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: distaccato
    • Muscolo Trapezio: distaccato
  • Tipo IV: Clavicola lussata posteriormente
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): rotti
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: distaccato
    • Muscolo Trapezio: distaccato
  • Tipo V: Clavicola considerevolmente sollevata con una distanza coraco-clavicolare più del doppio rispetto al normale (> 25 mm)
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): rotti
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: distaccato
    • Muscolo Trapezio: distaccato
  • Tipo VI: Clavicola lussata inferiormente al di sotto del tendine congiunto (rara)
    • Legamenti acromion-clavicolari: rotti
    • Legamenti coraco-clavicolari (trapezoide, conoide): rotti
    • Capsula Articolare: rotta
    • Muscolo Deltoide: distaccato
    • Muscolo Trapezio: distaccato

I sintomi della lussazione acromion-claveare

La sintomatologia, come accennavamo precedentemente, è caratterizzata nella fase acuta dell’evento traumatico, dalla comparsa di dolore nella zona articolare che si va ad esacerbare sia alla palpazione, sia durante i movimenti passivi e ancor peggio in quelli attivi.

Lussazione acromion-claveare 05Il dolore oltre ad essere localizzato, tende ad irradiarsi sulla zona del trapezio, del collo, del deltoide e del pettorale alto (al disotto del bordo clavicolare), portando il paziente ad adottare un’atteggiamento di difesa antalgica che si presenterà con il braccio addotto, adeso al torace, con la spalla risalita verso l’alto e con il capo leggermente inclinato dalla parte del lato leso.

La mobilità tende a diminuire in maniera proporzionale in base al tipo di lesione che il paziente riporta nella lussazione e i piani articolari che saranno coinvolti maggiormente, saranno quelli dell’elevazione, dell’abduzione e delle rotazioni.

Si evidenzia un gonfiore di tipo edematoso più o meno marcato, a seconda del tipo di lussazione che il paziente ha subito.

Lussazione acromion-claveare 06La lussazione acromion-claveare è catalogata tra gli infortuni più frequenti della spalla negli sport da contatto o da impatto, dove un trauma diretto sulla scapola, sulla clavicola, o indiretto tramite la leva omerale, possono creare una lesione da elongazione o da rottura delle componenti legamentose precedentemente citate, arrecando un’instabilità e una perdita di congruità dei capi articolari.

E’ possibile riscontrarla anche negli incidenti stradali, dove la cintura di sicurezza nel suo arresto, crea una compressione violenta direttamente nella zona della clavicola, diversante dalla scapola che invece rimane libera.

 

La diagnosi

La diagnosi verrà fatta dopo un’attenta anamnesi, cercando di capire il tipo di trauma che il paziente ha subito e il meccanismo lesivo a cui è andato incontro.

Lussazione acromion-claveare 07L’esame obiettivo valuterà la conformazione o meglio la deformazione articolare manifesta, associandola a test di valutazione del dolore indotto, della mobilità passiva dell’articolazione acromion-clavicolare stessa, con il caratteristico segno del tasto del pianoforte (applicando una spinta verticale sulla clavicola nella sua porzione distale, ci sarà inizialmente un abbassamento della stessa, per poi risalire oltre misura al termine della pressione imposta).

Va studiata la perdita di funzione del braccio nei vari piani articolari, sia in un movimento indotto che nel movimento attivo richiesto al paziente.

Importantissima sarà la valutazione correlata di indagini radiografiche specifiche, per valutare la congruità articolare tra acromion e clavicola distale, cosi come sarà importantissimo il supporto diagnostico tramite indagine RM, che valuterà lo stato anatomico delle strutture muscolo-tendinee e capsulo-legametose articolari e periarticolari, associate o meno a versamenti edematosi di tipo infiammatorio o vascolare lesivo.

Il trattamento della lussazione acromion-claveare

Il trattamento della lussazione acromion-claveare sarà di tipo conservativo o di tipo chirurgico, a seconda della classificazione lesiva di cui fa parte.

Le tipologie 1 e 2 faranno un trattamento di tipo conservativo.

Le tipologie di tipo 4,5,6 avranno un approccio terapeutico di tipo chirurgico.

Lussazione acromion-claveare 08La tipologia 3 è quella più controversa perché essendo una lesione di tipo borderline, può ottenere dei buoni risultati sia con un approccio conservativo che chirurgico.

Il trattamento di tipo conservativo avrà una linea terapeutica su più fronti.

Il paziente utilizzerà da subito un tutore per circa 3 settimane, che imporrà una spinta cranio caudale per abbassare la clavicola, mentre la scapola viene retroposta e il braccio mantenuto in sospensione.

E’ importante valutare il corretto posizionamento del tutore, con effetto di riduzione della lussazione mediante esame radiografico, che andrà poi ripetuto a distanza di 7 giorni, per assicurarsi che il ripristino della congruenza articolare sia stato mantenuto.

Il tutore ha chiaramente il compito, oltre che di riposizionare i capi articolari in maniera congrua, di mettere a riposo l’articolazione, velocizzando i tempi di ripresa delle strutture capsulo-legamentose.

Sarà importante utilizzare ghiaccio e antinfiammatori per ridurre gli effetti dell’infiammazione in maniera veloce.

La fisioterapia ha un ruolo fondamentale per la riduzione dell’edema, per la risoluzione delle contratture antalgiche riflesse attivate dal dolore, per il riequilibro delle catene agoniste-antagoniste, per il ripristino del completo ROM articolare e il recupero della forza e della resistenza muscolare.

Lussazione acromion-claveare 09Il trattamento chirurgico che sia a cielo aperto o in artroscopia, ha lo scopo di rendere l’articolazione acromion-claveare nuovamente stabile, ripristinandone il profilo articolare in maniera stabile.

Va specificato che l’approccio chirurgico si differenzia su un evento acuto e su una condizione di cronicità.

Nell’approccio chirurgico in fase acuta, la stabilizzazione può avvenire attraverso l’innesto di placche, viti e fili direttamente sull’articolazione, oppure tramite l’ancoraggio dei legamenti coraco-clavicolari.

Nel caso di un’instabilità cronica, dove persiste uno slivellamento apprezzabile e sintomatico, con la persistenza del dolore associato alla perdita di forza, per un tempo superiore alle 3 settimane dal primo intervento riparativo, la strada chirurgica si differenzia  nella strategia di intervento, che propenderà non più alla riparazione, bensì alla ricostruzione della stabilità legamentosa dell’articolazione sul piano frontale e trasversale, il più possibile simile alla normale anatomia.

Lussazione acromion-claveare 10Dopo l’atto chirurgico sia di tipo acuto che cronico, sarà fondamentale sottoporre il paziente a un percorso riabilitativo, volto alla risoluzione del dolore, dell’edema post operatorio, per poi proseguire nel recupero articolare passivo, fino a restituire al paziente la capacità di articolare la spalla in maniera autonoma, stabilizzandola con un tono-trofismo muscolare capace di guidare l’articolazione in maniera congrua, offrendo allo stesso tempo una protezione alle sollecitazioni meccaniche.

Come abbiamo visto, la lussazione acromion-claveare, ha vari gradi di classificazione e in base al tipo di lesione, il recupero del paziente avrà un iter diverso per tempi e complessità di intervento.

Com’è ormai chiaro dalla lettura dell’articolo, la tempestività di intervento e la precisione nella diagnosi è fondamentale per ottimizzare la guarigione ed accelerare i tempi di ripresa della funzionalità sia nelle attività di vita quotidiana che in quelle sportive.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Protesi d’anca

La protesi d’anca è sicuramente l’intervento ricostruttivo che vanta la più alta efficacia nella risoluzione del dolore e dei problemi di movimento dei pazienti che vi si sottopongono.

Protesi d’anca

La protesizzazione articolare è uno dei passi avanti più importanti nella gestione e nel recupero della salute ortopedica, per patologie di tipo croniche, degenerative e in alcune situazioni acute.

Protesi_anca_02Non tutte le articolazioni possono essere sostituite e non tutte le articolazioni sostituibili vantano lo stesso risultato, ma le strutture che maggiormente subiscono un impianto protesico, anche, ginocchia, spalle, come soluzione estrema ad un percorso di cura che non ha portato sufficienti risultati, hanno un guadagno buono tanto da far recuperare al paziente una qualità di vita migliore e un’autosufficienza nella quotidianità.

Andiamo adesso nello specifico parlando della protesi d’anca.

Le protesi d’anca non sono tutte uguali ne per materiali, ne per forma, ne per grandezza.

Non sono neanche tutte uguali per tipologia di impianto all’interno del femore ne per alloggio nell’acetabolo del bacino.

Protesi d'ancaLa scelta di protesizzazione può essere parziale o completa decidendo di sostituire tutta l’articolazione o solamente una parte di essa.

Le condizioni che le rendono differenti sono dovute al soggetto che la riceverà, giovane, meno giovane e anziano, per tipo di patologia e per evoluzione della tecnologia di progettazione e confezionamento.

Anche le zone di accesso chirurgico possono differenziarsi, garantendo lo stesso risultato per quanto riguarda il posizionamento della protesi, ma diversi per tempi di recupero biologico del paziente rispetto al danno chirurgico che inevitabilmente si crea con l’intervento.

Le protesi d’anca non durano in eterno ma sono soggette ad usura dei materiali che la costituiscono, generalmente durano circa 25 anni se utilizzate correttamente.

La ricerca spinge per renderle sempre più longeve, stabili e di minor impatto rispetto al tessuto organico dove le si impiantano.

A chi si propone?

Come accennavamo l’orientamento nella scelta della protesi si baserà su chi deve riceverla.

Le protesi che si metteranno in età giovanile e che con tutta probabilità, saranno soggette a revisioni (sostituzione), avranno un alloggiamento che non prevederà la cementazione della protesi nello spazio di riempimento, ne l’utilizzo di una protesi con uno stelo lungo, in modo tale da facilitarne la rimozione e causare il minor danno biologico nel momento dell’estrazione per sostituzione.

Nel caso di una persona anziana si tende ad utilizzare la cementazione degli spazi periprotesici di riempimento e l’utilizzo di steli un po’ più lunghi in modo da rendere la protesi stabile il prima possibile e rimettere il paziente subito in piedi per evitare le pericolosissime complicanze dell’allettamento prolungato.

Protesi d'anca rxLe protesi vengono utilizzate nei soggetti con forte artrosi, patologie autoimmunitarie come l’artrite reumatoide e simili, in casi di patologie malformative alla nascita e nel periodo dell’accrescimento (displasia congenita dell’anca, morbo di Perthes e altre), in situazioni di frattura articolare dove l’articolazione risulti irrimediabilmente danneggiata, ai casi di collasso vascolare per patologie dismetaboliche che portano alla necrosi dei capi articolari, nelle patologie tumorali ossee (in quest’ ultima situazione verranno utilizzate delle protesi tumorali che però meritano un articolo a se).

Il post intervento

Adesso parliamo delle situazione di recupero post intervento di protesizzazione.

Le ripresa sia dagli esiti del post intervento che nell’attività di vita quotidiana, cambia molto rispetto all’età del paziente e alla causa per cui il paziente è stato operato.

In percentuale il recupero più lineare lo abbiamo sui soggetti giovani che incorrono in una frattura non stabilizzazbile della testa o del colo del femore, oppure nei soggetti giovani che dopo frattura e intervento chirurgico di stabilizzazione con mezzi di sintesi, vanno incontro a necrosi della testa del femore e quindi a protesizzazione dell’articolazione.

Protesi_anca_05In percentuale i recuperi più tortuosi sono i soggetti anziani che protesizzano per un problema di grave artrosi, con perdita di asse meccanico e di tono muscolare.

Una considerazione a se meritano le patologie autoimmunitarie perché generalmente colpiscono soggetti giovani ma con quadri di degenerazione e infiammazione cronicizzati per lungo tempo, il tutto porterà ad un recupero cauto per evitare che l’infiammazione autoimmunitaria possa creare disagi ai tessuti che ospitano la neo articolazione.

Quello di cui bisogna tenere sempre conto nel recupero post intervento è:

  • la stabilizzazione della protesi rispetto alla parte ossea di innesto
  • il drenaggio e l’eliminazione delle raccolte di liquidi vascolari e linfatici che si addensano nelle zone anatomica in essere
  • recuperare ed elasticizzare la cicatrice
  • recuperare il tono muscolare
  • riprendere la normale articolarità, non tanto della protesi in se è per se ma della protesi rispetto alle strutture articolari direttamente inerenti come il ginocchio, la sinfisi pubica, l’articolazione sacro iliaca, la zona lombare
  • recuperare gli accorciamenti muscolari e le fibrotizzazioni che in maniera maggiore o minore ogni patologia sopra citata creano per compenso.

Protesi_anca_06Va pensato che la protesi deve rimettere il paziente nella condizione di poter ristabilire il miglior rapporto rispetto al resto della struttura ortopedica, tanto in statica quanto in dinamica, perciò andrà reintegrata nello schema ottimale che meglio la fa funzionare.

Il lavoro della fisioterapia e dell’osteopatia possono migliorare in fretta il processo di recupero e guarigione perché sono in grado di lavorare sul recupero e sul reintegro delle funzioni precedentemente perse.

La farmacologia potrà invece aiutare a gestire nelle prime fasi il dolore e l’ infiammazione tipica delle giornate post intervento chirurgico.

Protesi_anca_07La protesi d’anca è un aiuto qualitativamente valido per la gestione della salute ma non dimentichiamo che meglio la utilizziamo e la integriamo con il resto della struttura ortopedica e più sarà affidabile e duratura.

 

 

Lussazione di spalla

Per lussazione di spalla si intende una perdita della normale congruità dei rapporti articolari tra la testa dell’omero e la glena.

L’anatomia della spalla

L’articolazione geno-omerale, conosciuta anche come articolazione scapolo-omerale, consiste in una congiunzione tra la testa omerale di tipo sferica che si adatta all’alloggiamento concavo della scapola.

Il rapporto tra le due superfici articolari non è stabile perché la testa dell’omero è in proporzione più grande rispetto alla glena scapolare di alloggiamento.

I cercini glenoidei, la capsula auricolare, le strutture legamentose di sostegno ed i tendini inserzionali di giunzione muscolare, servono ad aumentare la capacità di sostegno e di stabilità per questa articolazione, che vede la necessità di avere dei gradi di mobilità molto ampi, per poter eseguire dei movimenti singoli e congiunti nei 3 piani dello spazio.

E’ quindi la caratteristica anatomica di questa articolazione che ne conferisce una certa suscettibilità all’instabilità articolare, a favore di una mobilità maggiore.

Nella lussazione di spalla la testa dell’omero perde il normale rapporto anatomia rispetto alla glena, creando una disgiunzione articolare.

Generalmente la lussazione avviene in percentuale maggiore per traumi diretti, ma non solo.

E’ necessario ricondizionare i rapporti articolari per merito di manovre di riduzione, che possono essere effettuate con varie tecniche.

Classificazione della lussazione di spalla

La lussazione di spalla vede una classificazione ben specifica:

  • anteriore, la più comune (oltre il 90% dei casi);
  • posteriore (2-5% dei casi)
  • inferiore, la meno comune.

Anteriore, se la testa dell’omero fuoriesce in avanti.

Posteriore se la testa dell’omero fuoriesce all’indietro.

Inferiore (se la testa dell’omero scivola verso il basso).

La lussazione di spalla oltre alla perdita della congruità articolare può causare delle lesioni secondarie alle strutture contigue:

  • lesioni del cercine glenoideo della porzione superiore (lesione SLAP)
  • lesioni del cercine glenoideo della porzione infero-anteriore (lesione BANKART)
  • lesioni del cercine glenoideo della porzione infero-posteriore (lesione BANKART INVERSA)
  • lesione della capsula articolare
  • lesione dei legamenti gleno-omerali
  • lesione della cuffia dei rotatori
  • lesione del tendine del capo lungo dl bicipite brachiale
  • stupor del plesso brachiale nella zona contigua all’articolazione
  • danni vascolari al pacchetto arterio-venoso nel segmento ascellare
  • fratture ossee a carico del terzo prossimale dell’omero, della testa dell’omero e della glena.

Caratteristica della lussazione di spalla è la possibilità che si instauri a seguire una instabilità cronica di spalla, che genera una predisposizione secondaria al ripetersi della lussazione (lussazione recidivante), oppure al manifestarsi di eventi sublussativi con una perdita parziale della congruità articolare e un rialloggiamento immediato del tutto autonomo.

L’instabilità di spalla post traumatica è chiaramente dovuta al conseguente danneggiamento delle strutture contenitive dell’articolazione primaria.

Sintomatologia

Lussazione di spalla 04I sintomi che si manifestano nella lussazione di spalla sono:

  • deformità anatomica articolare, dove risalta l’acromion, mentre la testa dell’omero non è palpabile nella sua normale posizione
  • forte dolore
  • gonfiore
  • limitazione articolare subtotale, con atteggiamento antalgico di difesa
  • scrosci articolari anomali
  • intorpidimento e parestesie dell’arto superiore che si estende spesso fino alla mano.

Le cause della lussazione di spalla, come precedentemente accennato, sono quasi sempre di natura traumatica diretta, caduta sulla spalla, oppure indiretta per caduta sul gomito o sulla mano.

Sarà la dinamica del trauma a causare la differenziazione tra una lussazione anteriore, posteriore, oppure inferiore, e l’eventuale associazione o meno di una frattura segmentale.

spalla infortunioIl trauma è sempre del tutto accidentale, ma va detto che alcune attività sono predisponenti all’evento, come ad esempio gli sport da contatto o pesistici, oppure attività lavorative che prevedono l’utilizzo di carichi ripetuti, con elevazione articolare multiplanare sopra il piano delle spalle e della testa.

Non va dimenticato che la lussazione di spalla può avere anche dei fattori predisponenti all’evento quali:

  • lassità capsulo-legamentose
  • patologie autoimmunitarie e/o infiammatorie del tessuto connettivo
  • traumi pregressi del  cercine glenoideo
  • traumi pregressi di tipo distrattivo legamentoso
  • miopatie
  • patologie neurologiche centrali o periferiche di tipo flaccido.

Diagnosi della lussazione di spalla

diagnosi lussazioneLa diagnosi di lussazione vede in prima battuta un’anamnesi con la quale si cerca di stabilire la dinamica dell’evento lesivo.

Ad essa sarà associata un’esame obiettivo, dove la palpazione articolare e la valutazione della congruità articolare, i test di mobilità e l’evocazione del dolore, saranno in grado di stabilire, quasi con esattezza, la diagnosi di lussazione gleno-omerale.

spalla rxOvviamente l’anamnesi e l’esame obiettivo non sono sufficienti a stabilire la gravità della lussazione, ne se ci sono dei danni associati, pertanto può rendersi assolutamente necessario, integrare la visita con esami radiografici, capaci di stabilire il tipo di lussazione posizionale e se ci sono dei danni fratturativi associati, esami di RM in grado di valutare i danni ai tessuti molli capsulo-legamentosi e muscolo-tendine.

Nel caso il paziente riferisca sintomi neurologici e vascolari associati all’evento traumatico, sarà opportuno richiedere uno esame elettromiografco per valutare la conduzione nervosa periferica rispetto alla placca motrice di competenza e un ecocolordoppler dei vasi profondi arterio-venosi del segmento succlavio ed ascellare, per studiarne la funzione.

Il trattamento della lussazione di spalla

spalla tutoreIl trattamento prevede in prima battuta una riduzione della lussazione tramite manovre specifiche, spesso esercitata in anestesia locale, per far rientrare la testa dell’omero nel proprio alloggiamento articolare.

A questa farà seguito un periodo di immobilizzazione, adoperando un tutore apposito che verrà utilizzato per circa 30 giorni, mantenendo la spalla bloccata in posizione neutra, riducendo a zero ogni tipo di movimento volontario ed involontario e permettendo ai tessuti molli di riparare dal danno subito nella lussazione della testa omerale.

E’ da dire che non tutti i tessuti sono in grado di riparare un danno anatomico, pertanto potrebbe risultare necessario ripetere delle indagini diagnostiche di RM dopo circa 3 mesi, per valutare i danni permanenti e quelli che invece hanno portato avanti un processo di guarigione.

Lussazione di spalla rieducazioneNelle prime 2-3 settimane dall’evento traumatico è importante ridurre l’infiammazione, pertanto sarà utile fare un uso locale di ghiaccio e di antinfiammatori all’occorrenza, coadiuvati da miorilassanti e antidolorifici nei primissimi giorni post trauma.

Una volta tolto il tutore sarà necessario introdurre un periodo riabilitativo fisioterapico, volto a recuperare l’articolarità della spalla, da principio sul piano primario di elevazione, per poi procedere con il movimento laterale di abduzione, fino ad integrare in ultima battuta le rotazioni esterne ed interne.

Necessario sarà far recuperare un ottimo tono-trofismo della muscolatura della spalla, senza mai arrivare allo sforzo massimo, ne ad un’affaticabilità limite, in maniera da irrobustire la tenuta muscolare dell’articolazione stessa.

Da non sottovalutare sarà l’allenamento propriocettivo, capace di ottimizzare gli schemi di movimento, corticalizzandoli nella maniera corretta.

Appare da subito chiaro che i tempi di recupero di una lussazione di spalla sono variabili a seconda della gravità del danno subito, dell’età biologica del paziente e dell’attitudine personale a svolgere lavori di recupero funzionali.

Pertanto i tempi minimi di 3 mesi per il ritorno alla normalità, possono allungarsi anche del doppio se non oltre.

Queste tempistiche variano di molto nel caso si renda necessario effettuare un’intervento chirurgico per riparare un danno anatomico importante quale una frattura ossea, una lassità o una lacerazione della capsula articolare, una lesione della cuffia dei rotatori, o una lesione del cercine glenoideo.

Lussazione di spalla chirurgiaL’intervento chirurgico può essere effettuato nei giorni subito a seguire l’evento traumatico, o dopo terminato il periodo riabilitativo d recupero nel momento in cui i risultati ottenuti non siano stabili e/o sufficienti.

La lussazione di spalla è un infortunio grave, ma se applicati da subito i giusti interventi di assistenza, si possono ottenere degli ottimi risultati di recupero.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Cervicalgia

Per cervicalgia si definisce un dolore nella zona cervicale, segmento anatomico che si estende da sotto la porzione nucale alla base delle spalle.

La definizione è molto generica e per questo, dietro un quadro di algia cervicale si possono nascondere molteplice cause e altrettante patologie.

Andiamo a capire insieme di cosa stiamo parlando.

Il tratto cervicale

Il tratto cervicale è la porzione vertebrale più alta della colonna vertebrale, è formata da 7 vertebre caratterizzate da una diversità di forma per alcune di esse.

Cervicalgia 02Le prime due vertebre cervicali non hanno un corpo vertebrale di sostegno ma hanno delle strutture articolari di movimento e un perno centrale che funge da asse contenitivo e di bilanciamento.

Dalla 3ª alla 7ª vertebra cervicale troviamo la presenza di un corpo vertebrale che tiene il carico della colonna cervicale e allo stesso tempo aiuta a guidare il movimento per merito di porzioni anatomiche chiamate UNCUS, coadiuvando il lavoro delle faccette articolari posteriori.

L’ultima vertebra cervicale, contrariamente alle altre dello stesso segmento, non ha il foro vertebrale per il passaggio intrinseco dell’arteria vertebrale.

Tutte queste diversità caratterizzano le vertebre cervicali per complessità di forma, di funzionamento e di movimento, rendendo necessario una neutralità ed un equilibrio almeno sui piani di flesso estensione e di lateralità nella mobilità quotidiana.

Cervicalgia 03Le cause della cervicalgia

Le cause che portano alla cervicalgia possono essere:

  • deviazione dell’asse posturale segmentale chiamata verticalizzazione e nei casi più estremi, inversione della curva cervicale
  • deviazione dell’assetto posturale generale con la perdita dell’equilibrio tra le curve di lordosi, cifosi e l’appoggio sul bacino e sulle anche
  • contratture muscolari
  • tensione eccessiva muscolare o muscolo-tendinea
  • blocco articolare acuto
  • problematiche di origine discale
  • riduzione degli spazi articolari e interdiscali
  • diminuzione del lume del forame di coniugazione
  • artrosi
  • problematiche derivanti dalla masticazione e dall’articolazione temporo-mandibolare
  • alterazione della vista o dell’udito che possono squilibrare l’assetto, portando ad una rotazione ed inclinazione del capo e del collo
  • difficoltà nella deglutizione
  • problematiche viscerali soprattutto a carico del sistema gastro/esofageo
  • asma e riduzioni delle capacità ventilatoria polmonare

Ovviamente molte cause possono intrecciarsi nello sviluppo della sintomatologia e del disagio cervicale, altre invece saranno individuate come primarie e dirette nella patologia vertebrale.

I sintomi

I sintomi più riscontrabili sono:

  • indolenzimento, tensione, dolore muscolare
  • accorciamento di una porzione di fibre muscolari individuate in un punto preciso, dove spesso si avverte un rigonfiamento dolente che indica in molti casi una contrattura muscolare
  • riduzione del movimento cervicale in rotazione, flesso/estensione, inclinazione laterale, con dolore manifesto nel forzare il movimento
  • alle volte è associato male di testa, per lo più nella zona sottonucale e in alcuni casi anche nausea
  • si possono manifestare leggeri gonfiori della mano la mattina al risveglio, alle volte accompagnati da formicolio del palmo e delle dita.

La diagnosi della cervicalgia

Una buona diagnosi è fondamentale non tanto per dare un nome alla patologia che affligge il paziente, che come abbiamo visto è molto generico, ma è necessaria per capirne la causa scatenante.

Una volta accertato il motivo sarà molto più semplice impostare una cura che sia efficace e stabile nel tempo.

Per la diagnosi come sempre va fatta una raccolta dati, anamnesi, per capire quando si è sviluppata la patologia, con quali modalità, se ci sono state delle cause dirette riconducibili e se possa essere confusa o sovrapponibile in alcuni tratti a patologie dai profili simili.

L’esame clinico è fondamentale per indagare le capacità residue del paziente, per capire come e cosa possa evocare il dolore e cosa aumenta o diminuisce il disagio.Cervicalgia 04

L’esame diagnostico più utilizzato è l’RX cervicale nella proiezione antero/poseriore e latero/laterale, per vedere la struttura anatomica strutturale vertebrale e l’asse della curva fisiologica di lordosi.

Nel caso ci sia il dubbio di un impegno discale, foraminale o inerente ai tessuti intrinseci del canale midollare, si richiederà una RM.

Saranno poche le occasioni che richiederanno un esame TC per poter chiarire l’idea di diagnosi sul caso.

A seconda delle concause che si sviluppano la patologia potrà rendersi necessario richiedere una visita specialistica con un otorinolaringoiatra, un gastroenterologo, un pneumologo, dentista o un’oculista, in modo tale da analizzare quei casi di co-interazione precedentemente citati nell’argomentare la sintomatologia.

Cervicalgia 05

Il trattamento

La cura vedrà la possibilità di utilizzo di varie strategie molte delle quali sovrapponibili tra di loro.

A livello farmacologico potranno essere utilizzati antinfiammatori, miorilassanti, antidolorifici, a seconda se sarà necessario ridurre l’infiammazione, modificare il tono basale muscolare o diminuire la soglia del dolore.

Anche la fisioterapia ha un ruolo determinante nella gestione della cervicalgia perché potrà curare gli aspetti posturali, ridurre lo stato delle contratture, allungare le fibre muscolari, ridurre il dolore.

Cervicalgia 06L’osteopatia ha il ruolo di ripristinare una mobilità articolare ottimale, recuperando i fulcri vertebrali per riportarli ad una sinergia congrua rispetto al miglior assetto vertebrale.

Importantissimo sarà il ruolo della prevenzione cercando di lasciare la cervicale e le spalle sempre ben allineate con il busto mantenendo un asse coerente che può essere visualizzando mantenendo le orecchie all’ altezza delle spalle come se fossero su un’unica linea.

Il collo deve essere sempre libero di poter fare movimenti di flesso estensione, rotazione e lateralità, pertanto sarà necessario fare degli esercizi autonomi di allungamento e mobilizzazione, forzando il movimento nelle loro escursioni massime ma senza mai arrivare al dolore.

Sarà importante mantenere un buon equilibrio respiratorio, per non mandare in affaticamento i muscoli accessori della respirazione.

Per chi passa molte ore della propria giornata seduto è fondamentale fare delle pause ripetute alzandosi e camminando in modo da riattivare i muscoli della postura ridando un start dinamico equilibrato.Cervicalgia 07

La cervicale è il timone della nostra postura ed è il crocevia di molte importantissime finzioni, cerchiamo di prendercene cura in maniera costante e coerente

Protesi di spalla, cosa c’è da sapere

Per protesi di spalla si intende la rimozione e la sostituzione dei capi articolari danneggiati della spalla, nelle componenti della testa dell’omero e nella maggior parte dei casi della glena omerale, utilizzando delle componenti artificiali.

Quando prenderla in considerazione?

Si prende in considerazione la protesizzazione chirurgica, quando la spalla risulta fortemente limitata nei movimenti, associandosi ad una forte componente dolorosa e quando qualunque trattamento conservativo, abbia fallito nell’intento di regressione della patologia.

L’articolazione della spalla è composta dalla gleno-omerale ovvero dalla testa dell’omero e dalla glena, situata nella porzione esterno-laterale della scapola, dall’articolazione acromion-clavicolare composta dalla clavicola che si articola con l’acromion nella porzione supero-laterale della scapola e dall’articolazione sterno-clavicolare, tra clavicola e sterno.

Protesi di spalla 02   Queste 3 articolazioni vere convivono con due articolazioni finte di scorrimento, chiamate sottodeltoidea e scapolotoracica, che hanno il compito di ottimizzare, in maniera sinergica, i movimenti della spalla nei 3 piani dello spazio.

La stabilità e il sostegno dell’articolazione è garantita nella sua interezza dai muscoli, dai tendini e dai legamenti che circondano la spalla stessa.

Nella protesizzazione di spalla viene sostituita solamente una delle articolazioni sopra elencate ovvero l’articolazione gleno-omerale.

Il primo intervento di protesi di spalla fu eseguito negli anni ’50 negli stati uniti, in quei casi dove il paziente aveva riportato delle gravi fratture articolari superiori omerali.

Nel tempo i materiali delle protesi sono nettamente migliorati e i casi in cui l’intervento viene effettuato, sono aumentati per specie e condizioni.

Protesi di spalla 03Si è notato con l’esperienza dei molti anni di protesizzazione, che il paziente trova un netto beneficio nella riduzione del dolore e riesce a recuperare un movimento autonomo nell’affrontare le normali esigenze di vita quotidiana, ma va detto che la neo articolazione non crea una super spalla, pertanto va gestita con la consapevolezza che va incontro ad usura e che la media della sua durata si aggira tra i 15 e i 20 anni.

Pertanto l’eccessiva attività può accelerare questa usura e può portare il paziente troppo presto all’intervento di revisione della protesi, nel caso in cui l’impianto si mobilizzi all’interno dell’osso stesso o diventi dolorosa.

Proprio per questo la maggior parte dei chirurghi sconsiglia di sollevare pesi superiori a 5-10 Kg, o di effettuare sport ed attività fisiche ad alto impatto articolare per il resto della vita dopo l’intervento chirurgico.

Quando viene presa in considerazione la possibilità di sostituzione protesica dell’articolazione gleno-omerale?

Protesi di spalla 04Quando il paziente mostra una forte limitazione articolare che incide nei gesti di vita quotidiana come pettinarsi, lavarsi il viso, mettersi una giacca o una maglietta, raggiungere degli oggetti posizionati in alto al di sopra della testa.

Questa forte limitazione articolare deve associarsi ad un dolore da moderato o grave, che si presenta non solamente nel movimento della spalla, ma anche a riposo e durante le ore di sonno.

Immancabilmente il paziente lamenterà una notevole perdita di fora e uno stato di contrattura periarticolare.

Protesi di spalla 05In ultimo, per arrivare a prendere in considerazione la possibilità di sostituzione protesica della spalla, bisogna accertarsi del fallimento di ogni tipo di cura conservativa che passi attraverso la farmacologia, le infiltrazioni e la fisioterapia, lasciando il paziente e il medico sguarniti di ulteriori possibilità terapeutiche.

Quali possono essere le patologie che predispongono alla protesi di spalla?

  • gravi fratture articolari
  • artrosi
  • condizioni artritiche autoimmunitarie, metaboliche o batterico/virali
  • necrosi vascolare
  • infezioni articolari

Protesi di spalla 06Tutte queste patologie possono causare dei danni articolari irreversibili, che rovinano irrimediabilmente l’articolazione nella sua forma e nella sua funzione.

Nella diagnosi, la raccolta dei dati anamnestici e l’esame obiettivo sono importanti, consentono di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quale sia lo stato di funzione della spalla, l’attivazione del dolore al movimento, alla palpazione e alla pressione, per avere un’idea della patologia in essere e dello stato della sua gravità.

Protesi di spalla 07Importantissimo sarà il supporto della diagnostica per immagini quali:

  • RX
  • RM
  • TC

per valutare sia lo stato anatomico dell’articolazione geno-omerale e sia dei tessuti muscolo-tendinei e capsulo-legamentosi inerenti.

Ma le protesi di spalla sono tutte uguali?

Esistono varie tipologie di protesi, ognuna delle quali viene pensata per adattarsi nel migliore dei modi al paziente, cercando di garantire un buon risultato nel lungo periodo.

Vediamo quali sono.

Protesi di spalla 08Protesi totale di spalla.

Comporta la sostituzione di entrambe le superfici articolari.

Se l’osso si presenta di buona qualità, il chirurgo può scegliere di utilizzare una componente omerale non cementata, mentre se l’osso si presenta degenerato e poco robusto, la componente omerale può essere impiantata con cemento.

Protesi di spalla 09Endoprotesi di spalla.

Viene sostituita solamente la testa dell’omero, pertanto questo intervento prende il nome  di emiartroplastica.

La testa omerale viene sostituita da una componente protesica metallica, costituita da uno stelo sul quale viene inserita una sfera.

L’emiartroplastica viene consigliata quando la testa omerale è gravemente degenerata ma le restanti componenti articolari sono normali.

Protesi di spalla 10Protesi di spalla di rivestimento o emicefalica.

Si procede alla sostituzione della superficie articolare della testa omerale con una protesi a cappuccio senza stelo.

Questo tipo di intervento viene preso in considerazione quando la superficie articolare glenoidea è intatta, quando il collo o la testa omerale non presentano fratture o dismorfismi, nei soggetti  giovani o molto attivi.

Questo tipo di impianto evita i rischi di usura e allentamento delle componenti convenzionali protesiche.

Da non sottovalutare il fatto che la protesi emicefalica può essere facilmente convertita in una protesi totale di spalla, nel momento in cui, per usura ulteriore della restante porzione articolare e del rivestimento metallico stesso, se ne presenti la necessità.

Protesi di spalla 11

Protesi inversa di spalla.

E’ una protesi particolare dove le convessità e le concavità articolari vengono invertite.

E’ indicata nei pazienti che presentano:

  • un grave danno anatomico della cuffia dei rotatori
  • in quei soggetti che mostrano un grave danno anatomico dell’articolazione gleno-omerale, con un cambiamento di forma non solo delle superfici articolari, ma che dell’osso nella sua qualità biologica e nelle linee di forza
  • nei pazienti che hanno subito un precedente fallimento di protesizzazione classica.

In questo tipo di intervento, il paziente può continuare ad avvertire dolore, anche se in maniera ridotta e non riacquistare un soddisfacente movimento soprattutto in abduzione.

Come procede il periodo post operatorio di recupero della funzione della neo-articolazione?

Protesi di spalla 12Il periodo di recupero post impianto, prevede una serie di attenzioni che coinvolgono varie condizioni:

  • la gestione della ferita chirurgica, sia nel periodo della permanenza dei punti, sia nel momento di chiusura totale e rimarginazione della ferita, per evitare che si formino aderenze e che sia il più elastica possibile, in maniera da poter scorrere correttamente in relazione ai tessuti sottostanti
  • la gestione del dolore che deve essere ridotto al minimo, utilizzando antinfiammatori naturali come il ghiacciaio e farmaci antinfiammatori e/o antidolorifici, in maniera da non creare circoli viziosi di contratture antalgiche muscolari
  • Protesi di spalla 13l’utilizzo di mezzi di scarico e protezione, quali tutori appositi di posizionamento della spallail drenaggio dell’arto superiore per eliminare i gonfiori e gli edemi conseguenti all’atto chirurgico per l’impianto della protesi
  • il recupero dell’articolarità della spalla in maniera progressiva e cauta, riprestinando in contemporanea le sinergie biomeccaniche rispetto alla scapola, al gomito, al polso e alla mano
  • il recupero del tono trofismo muscolare dei muscoli inerenti la spalla, per l’attivazione in autonomia delle neo articolazione nei 3 piani dello spazio
  • il recupero delle corrette posture e attivazioni vertebrali, che possono risultare alterate nei compensi, per il prolungarsi della patologia articolare e del dolore associato
  • l’allenamento nella gestione delle attività di vita quotidiane nella maniera più vantaggiosa del paziente, rispetto alla nuova condizione articolare

l’indottrinamento nella gestione della protesi, per evitare un’usura eccessivamente precoce o il danneggiamento delle componenti protesiche impiantate.

Protesi di spalla 14Spesso il paziente pone una domanda precisa su quanto tempo sarà necessario per completare l’iter di recupero post operatorio.

Questa domanda non può avere una risposta unica; l’esito del percorso sarà totalmente personale, in base al tipo di protesi impiantata, alla patologia con cui il paziente si presenta all’intervento, all’età biologica del paziente e alla condizione fisica generale della persona.

La protesi di spalla è un intervento importante e complesso, va affrontato con pazienza e determinazione nell’impegno necessario per il recupero dell’articolazione, cercando di non forzare la guarigione, ma rispettando i tempi biologici per stabilizzare l’impianto e ricreare un rapporto di lavoro congruo con i tessuti muscolari, tendinei e capsulari.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.

Periostite tibiale

Che cosa è la periostite?

La periostite è una condizione patologica di infiammazione a carico del periostio.

Il periostio è la porzione più esterna dell’osso, che funge da astuccio dell’osso stesso, ad esclusione delle aree articolari e delle aree di inserzione tendinea.

E’ formato da tessuto connettivo, il quale nel processo patologico infiammatorio, subisce una trasformazione, creando delle isole di placche ossee dai contorni ben delineati, ad aspetto piatto oppure in rilievo, fino ad arrivare, nei casi più violenti e duraturi, a sviluppare delle esostosi.

Questa trasformazione ossea è causata dalla stimolazione degli osteblasti, deputati alla crescita della matrice ossea, i quali depositano materiale cellulare nella superficie più esterna dell’osso oltre che nella sua porzione strutturale intima.

La periostite tibiale è la patologia infiammatoria del periostio a carico di una od entrambe le ossa tibiali e può localizzarsi sia nella zona anteriore che posteriore della gamba.

Periostite 02Periostite acuta e cronica

La periostite può essere divisa in acuta e cronica e questa distinzione farà si che i sintomi assumeranno delle connotazioni diverse per intensità, durata e manifestazione.

Periostite acuta

La manifestazione del dolore compare in maniera rapida, alle volte violenta, con dolore che si presenta in maniera maggiore durante le attività fisiche, ma che generalmente perdurano anche a riposo.

Il dolore si attiva anche alla palpazione e alla compressione.

Vi è un aumento di calore nella zona locale della periostite, alle volte associato ad edema ed arrossamento.

Non è raro avere delle manifestazioni di aumento della temperatura corporea, soprattutto se la causa della periostite è di origine infettiva.

Periostite cronica

La sintomatologia è meno violenta, il dolore è generalmente persistente e non ha dei picchi di manifestazione.

Quando l’origine della periostite è da ricondurre ad un’aggressione patogena, il paziente può essere accompagnato da un’alterazione minima della temperatura corporea, soprattutto nelle ore serali.

Difficilmente la periostite cronica rende il soggetto inabile al movimento, ma la presenza costante del dolore in sottofondo, riduce le prestazioni fisiche per qualità, forza e resistenza, inducendo il paziente a trovare delle strategie di compenso non sempre fruttuose nel medio e lungo termine.

Periostite 03Le cause

Le cause sono molte e di vario genere.

Nella periostite tibiale i fattori scatenanti sono generalmente da ricercare nel tipo di attività sportiva che il paziente compie, nella ripetitività del gesto sportivo, nelle attrezzature utilizzate per svolgere quel tipo di sport.

E’ chiaro che non sono solamente gli sportivi a soffrire di periostite tibiale, ma anche le persone comuni e la possono sviluppare sia in ambienti di lavori predisponenti e sia nelle normali attività di vita quotidiana.

Ma vediamo insieme quali possano essere le varie cause:

  • traumi
  • microtraumi ripetuti
  • compressione prolungata o eccessiva, esempio tipico è la compressione e la pressione provocata dallo sciatore con l’appoggio della tibia sullo scarpone da sci
  • aggressioni infettive batteriche o virali
  • alterazioni della postura
  • sollecitazioni muscolari eccessive per carichi di lavoro richiesti o per alterazioni dell’equilibrio delle catene muscolari
  • alterazioni dei carichi compressivi
  • sovrappeso
  • dismetria degli arti inferiori
  • alterazione dell’appoggio e dello scarico a terra per una disfunzione di piattismo o caviamo del piede
  • calzature sbagliate durante l’attività fisica o nelle attività che prevedono delle lunghe camminate.

Diversa è la periostite causata da agenti infettivi batterici o virali.

In questo contesto l’aggressione da agente esterno può arrivare al periostio o per un evento traumatico lacerativo profondo, o per via ematica o per via linfatica.

Periostite 04Negli ultimi due casi è chiaro che ci troviamo di fronte ad un problema sistemico che vede la migrazione degli agenti patologici attraverso i sistemi circolatori e che vede il paziente coinvolto in una serie di patologie di natura diversa, che si sovrappongono tra di loro.

La diagnosi della periostite

Nella diagnosi la raccolta dei dati anamnestici è importante, consente di capire quali siano i sintomi riferiti dal paziente, quali siano gli eventi associabili e avere un primo canale di classificazione della patologia in essere.

Nel proseguo della denominazione della patologia, l’esame obiettivo si rende assolutamente necessario per valutare la localizzazione del dolore, l’eventuale presenza di edema o di arrossamenti locali, l’aumento della temperatura locale, la comparsa del dolore durante l’esecuzione di movimenti passivi, attivi e in controresistenza, la presenza di contratture muscolari antalgiche riflesse, l’instaurarsi di atteggiamenti compensatori funzionali o posturali.

RXSono assolutamente utili, nel supporto diagnostico, l’utilizzo di esami quali:

  • rx
  • rm
  • ecografia
  • esami di laboratorio per valutare i fattori ematici inerenti alla presenza di un’eventuale infezione
  • scintigrafia ossea che permette di valutare lo stato metabolico in essere della struttura colpita da infezione accertata.

Il trattamento

Nella fase acuta il paziente va messo a riposo e nel caso di una periostite tibiale, può essere utile consigliare l’uso di una stampella, per scaricare parzialmente il peso del corpo nella fase di appoggio e nella deambulazione.

FisioterapiaLa fisioterapia si rende molto utile per ridurre lo stato infiammatorio, migliorare la circolazione locale, recuperare i compensi muscolari e posturali, recuperare la forza segmentale e della catena muscolare coinvolta, rielaborare il miglior schema cinetico e biomeccanico.

Una strada molto seguita è quella di assumere antinfiammatori non steroidei, per ridurre l’infiammazione in tempi rapidi.

Nel caso di una periostite di tipo infettiva, se di origine batterica, sarà necessario somministrare una terapia antibiotica che spenga il focolaio patogeno.

Anche la chirurgia può dare il suo contributo, effettuando un incisione locale e una tolettatura chirurgica, sia nel caso di infezioni localizzate, sia nelle condizioni in cui ci sia un’edema di vecchia data, non più in grado di essere drenato.

La periostite è una patologia fastidiosa e va assolutamente evitato che cronicizzi nel tempo.

E’ facilmente diagnosticabile, com’è altrettanto semplice ricercarne la causa scatenante, pertanto sarà possibile elaborare la miglior strategia terapeutica per efficacia e tempi di remissione.

La salute passa attraverso la conoscenza e con l’articolo di oggi, abbiamo la possibilità di aggiungere un tassello al nostro benessere.